L’esecuzione

 

Esecuzione3

 

      Non riesco a dormire. E come potrei? Il pensiero di Ramón mi ossessiona. Ramón, Ramón Llera, domani Ramón sarà morto. No, non domani, oggi, perché siamo già alle ultime ore della notte. All’alba guiderò il plotone che fucilerà Ramón. Mancano poche ore all’alba. Tra poche ore ucciderò il migliore uomo del mondo, il mio amico, il mio amante.

      Mi alzo di scatto e nuovamente, come ho fatto infinite volte questa notte, percorro freneticamente la mia stanza. Mi sembra una cella, una cella come quella in cui Ramón aspetta la morte, nei sotterranei di questo vecchio forte spagnolo. Sono fradicio di sudore, anche se sono nudo e la finestra è spalancata. La notte non porta frescura, in queste terre basse, ed il mare non è abbastanza vicino per regalare un po’ di vento. La stagione delle piogge non è ancora incominciata e la terra sembra ardere.

      Non posso farlo, non devo farlo. Devo far fuggire Ramón, fuggiremo insieme, verso la morte, lo so, ma non importa, meglio la morte.

      Cerco di calmarmi. Ramón lo vuole, Ramón ha ragione, ma tutto il mio essere si ribella. Ho bisogno di parlare con Ramón, di vederlo ancora. Guardo l’ora. Sono passate da poco le quattro. Un brivido mi corre lungo la schiena. Tra meno di due ore sarà l’alba, tra due ore fucilerò Ramón.

      Mi lavo la faccia nel catino, indosso i pantaloni della divisa e la camicia. Esco. La luce della luna inonda il cortile. Guardo il muro sulla destra, il muro davanti al quale Ramón sarà fucilato. Guardo il cielo ad oriente, quasi avessi paura di vederlo impallidire. È ancora buio, è ancora buio.

      Confuso, mi fermo a guardare il cielo stellato. Poi mi riscuoto. Attraverso il cortile e raggiungo la porta che conduce ai sotterranei. La apro e scendo i gradini, appena visibili alla fioca luce della torcia che arde nel corridoio.

      Il soldato di guardia sta dormendo, la testa appoggiata sul tavolo, le braccia a sostenerla. Potrei mandarlo via con una scusa, potrei ucciderlo, potrei rinchiuderlo in una cella. Potrei liberare Ramón, farmi dare due cavalli e poi fuggire. I soldati non oserebbero opporsi, sono il loro comandante.

      - Svegliati!

      La mia voce è aspra. Il soldato si scuote, mi fissa assonnato, mi riconosce, si alza di scatto.

      - Aprimi la cella del prigioniero, muoviti!

      Il soldato si dirige alla porta, toglie la sbarra che la blocca dall’esterno poi prende alla cintura l’anello con le chiavi, sceglie quella giusta e fa scattare la serratura. Apre la porta. Dentro è buio. Tanfo di chiuso, di piscio. C’è un movimento, Ramón deve essersi alzato, ma non riesco a vederlo.

      - Porta qui la torcia, muoviti!    

      Il soldato esegue rapidamente. Mi porge la torcia.

      - Torna a sederti.

      Il soldato torna al suo posto, nel corridoio che è piombato nel buio. Entro nella cella, chiudendo la porta dietro di me. Fisso la torcia nell’anello alla parete.

      Ramón è in piedi, di fronte al tavolaccio che gli è servito da giaciglio per l’ultima notte della sua vita. Lo guardo, incapace di parlare. Conosco quel corpo benissimo, ma lo guardo ancora una volta.

      Ramón è alto, molto più alto di quanto gli spagnoli non siano di solito. Il mio sguardo scorre sul viso dai tratti marcati, sui capelli che il tempo ha ingrigito, sulla barba, ancora nera, sulle labbra spesse, sul naso forte, sugli occhi scuri, che sembrano ardere di un fuoco interno. Il volto, bagnato di sudore, luccica alla luce incerta della torcia.

      Poi il mio sguardo scende. Conosco bene quel corpo massiccio, membruto, scuro per il pelame rigoglioso che lo ricopre, quel corpo che tante volte ho stretto, in cui i rivoli di sudore accendono piccoli lampi di luce. Conosco quelle spalle larghe, quel torace possente, da lottatore, che ho spesso accarezzato, quelle braccia forti che mi avvolgevano, quelle mani vigorose. Gli anni hanno lasciato il segno sull’eroe di Calatrava e l’ampio ventre deborda. Sotto, più messo in evidenza che nascosto dai pantaloni logori, il grande sesso. Lo chiamano il Toro e molti pensano che sia solo per il coraggio e la tenacia dimostrata in mille azioni, ma quel soprannome ha origini più lontane e, per chi lo ha conosciuto direttamente, ha un altro significato. Ma nemmeno il ricordo delle notti di fuoco che abbiamo trascorso insieme riesce a distrarre la mia mente dal pensiero ossessivo che tra meno di due ore dovrò fucilare Ramón. Tutto è pronto, tutto è come Ramón stesso ha chiesto. Io solo non sono pronto, io solo non riesco ad accettare quello che sta per succedere.

      Ramón sorride e mi si avvicina. Mi bacia sulle labbra, un bacio appena accennato. Mi prende le guance tra le grandi mani ed io sento il bisogno di mettermi a piangere, come un bambino. Mormoro:

      - Non ce la faccio, Ramón. Non posso farlo.

      Le labbra di Ramón si posano ancora sul mio viso, sui miei occhi. Chiudo gli occhi, mi abbandono a quel bacio che è appena una carezza.

      - Ignacio, sai anche tu che è l’unica cosa da fare.

      Sì, lo so anch’io. So che una volta ucciso Ramón, il tentativo di sollevamento militare sarà dimenticato, solo Ramón fa davvero paura, perché è un eroe e soldati e popolo lo idolatrano. Morto Ramón, il suo progetto svanirà e non saranno necessari bagni di sangue. E so anche che Ramón stesso vuole morire, perché la vita che è costretto a fare, la forzata inazione, per lui è un supplizio. Per quanto il legame tra Ramón e me sia fortissimo, non è certo quella volta la settimana in cui io raggiungo il suo forte o lui il mio, a costituire una ragione di vita per un militare, un uomo abituato a lottare, a sfidare la morte ogni giorno, ad essere al centro della battaglia. Il progetto di sollevamento militare forse mirava solo a questo: al plotone, al muro, alla fine di anni oziosi. E chi ha deciso di inviare in queste terre desolate l’eroe di Calatrava, probabilmente sapeva bene che se ne sarebbe sbarazzato davvero, spingendolo a distruggersi.

      So che è l’unica cosa da fare, so che Ramón lo vuole, ma trovo ancora parole, prive di senso, argomenti ormai superati:

      - Io dovrei essere al tuo fianco, non dall’altra parte.

      Non riesco a continuare. Ne abbiamo già parlato. Ma Ramón, con pazienza infinita, mi ripete ciò che mi ha già detto molte volte.

      - La ribellione l’ho progettata io, tu hai aderito perché l’avevo proposta io. E denunciandomi, hai salvato tutti.

      “Denunciandomi” è una fitta. Sì, ho denunciato Ramón, ho riferito agli alti comandi i progetti di Ramón. L’ha deciso lui, mi ha forzato a farlo, quando ha capito che qualcun altro stava per farlo. Denunciando il piano, sostenendo che esso non aveva l’appoggio di nessuno, neppure dei soldati di Ramón, perplessi all’idea di una rivolta, ho evitato che altri pagassero. Ed ho avuto l’incarico di occuparmi io della fucilazione di Ramón. Di attirarlo nel forte che dirigo e di fucilarlo immediatamente.

      Ramón, a cui ho subito raccontato tutto, mi ha seguito e ieri sera siamo arrivati qui. Si è tolto l’uniforme, ha indossato i due stracci che abbiamo trovato, una camicia che non potrebbe nemmeno chiudere ed un paio di pantaloni logori e stretti, ed all’alba lo fucilerò.

      Ramón scuote la testa, sorridendo.

      - Mi spiace, Ignacio. Mi spiace. Vorrei che tu vivessi quanto sta per accadere come lo vivo io. Ignacio, non c’è nulla di più bello che ricevere la morte da un uomo che ami. E dare la morte a qualcuno che ami, e desidera morire, è quasi altrettanto bello.

      Sono io, ora a scuotere la testa.

      Le mani di Ramón mi aprono la camicia, sento il contatto delle sue dita contro la mia pelle, sul ventre.

      - Quattro colpi qui, quattro colpi che danno inizio all’agonia, che chiudono con tutto: l’attesa vana di un’azione, il vuoto di giorni sempre uguali davanti, l’abbandonarsi all’alcol, il disfacimento.

      La sua mano sale ed un dito traccia un circolo intorno al mio capezzolo destro.

      - Quattro colpi qui, che cancellano ogni ricordo.

      La sua mano sale ancora e l’indice ed il medio, tesi, poggiano sui miei denti, poi, quando la mia bocca si apre ad accoglierli, entrano dentro.

      - Ed un colpo qui, per ricordare la cosa più importante, il legame che ci unisce.

      Le dita escono dalla mia bocca, accompagnate da parole prive di senso:

      - Vorrei che potessimo scambiarci le parti.

      Ramón ride, una risata forte.

      - Ignacio, se dovessi ucciderti, come tu mi ucciderai, io godrei e vorrei che godessi anche tu, che anche tu provassi questa eccitazione, che da ieri sera mi perseguita.

      Mi guida la mano al ventre, dove batte, duro e caldo come la canna di una pistola che ha appena sparato, il cazzo taurino.

      - Questo è l’effetto che mi fa parlare di quanto sta per succedere. Dio, se lo desidero, se desidero che tu lo faccia.

      La sua mano ha lasciato la mia, che stringe la sua preda, e raggiunge il mio cazzo. Il contatto accende un piccolo fuoco.

      Per non pensare, gli accarezzo l’asta protesa, ma Ramón blocca la mia mano.

      - No, non più.

      Mi guarda ancora.

      - Ho ucciso un uomo che avevo amato, un tempo. L’ho giustiziato io stesso, niente plotone, un colpo alla tempia. Aveva tradito ed io dovevo farlo. Certo, mi dispiaceva ucciderlo, ma mi eccitava anche. E lui era eccitato all’idea di essere ucciso da me. Lo uccisi in una cella. Venne un attimo prima che io sparassi ed io venni mentre premevo il grilletto. Vorrei che fosse così, per te, Ignacio, come per me. Credimi, per un militare, un combattente…

      Si interrompe. Ora sono più calmo e la vicinanza di Ramón, la vista del suo corpo, il suo odore maschio, tutto accende i miei sensi. Vorrei ancora farmi possedere, ma non è più possibile. I nostri corpi si sono detti addio la notte prima che io partissi per denunciarlo.

      Ramón annuisce, sfiorando il mio sesso eretto.

      - Sì, così alla morte, così.

      Non so più che cosa penso. Non voglio che Ramón muoia, ma qualche cosa si è acceso dentro di me, le parole di Ramón mi hanno ubriacato.

      - Farai tutto quello che ti ho chiesto?

      Annuisco. Ramón sorride.

      - Mi sarebbe piaciuto ucciderti, avrei goduto. Ma mi piace di più pensare che tu mi ucciderai. Cazzo, che bello! Che bello! Non vedo l’ora.

      China la testa a guardare la protuberanza dei suoi pantaloni.

      - Non vedo l’ora.

      Ride. Mi guarda.

      - Dimmi che anche tu lo desideri.

      Rispondo, meccanicamente:

      - Sì, lo desidero anch’io.

      So che c’è molto di vero in questa risposta, ora, più di quanto sarei disposto ad ammettere.

      - Dimmi che non vedi l’ora di fottermi, con il tuo plotone del cazzo.

      È un gioco, un gioco di parole, a cui abbiamo giocato altre volte, curiosi ed eccitati a sentire che le nostre parole, pronunciate dall’altro, acquistavano nuova forza e nuovo significato, e che le parole dell’altro, nella nostra bocca, diventavano vere.

      - Sì, non vedo l’ora di fotterti, di vedere il tuo corpo sforacchiato dalle pallottole, di spararti in gola, ce l’ho duro al pensiero.

      Ed ora è vero, è vero che lo desidero anch’io, che questa morte non è più solo un gesto eroico di Ramón per salvare me e gli altri che avevano aderito alla sollevazione, ma anche il gioco di due corpi mai sazi l’uno dell’altro.

      - Bene, così va bene. Sarà davvero come fottermi, ad ogni ordine che darai spingerai il tuo cazzo più dentro il mio culo.

         Annuisco.

     - Sì, sarà come fotterti, fotterti in culo. Ogni ordine sarà una spinta vigorosa ed alla fine ti avrò davvero fottuto.

     È vero? È vero. Sì, è vero! Sto per fottere Ramón, il Toro, l’eroe di Calatrava, il maschio più maschio di tutto l’esercito messicano.

- Sarà bello fotterti, Ramón.

- Sarà bello farsi fottere da te, Ignacio. Ho aspettato una vita questo momento.

      Sì, ora capisco, Ramón ha davvero aspettato una vita il momento in cui l’uomo che lo amava lo avrebbe fottuto per sempre.

- Anch’io ho aspettato per una vita questo momento.

Ora che l’ho detto, è vero.

- Sì, lo so. Ed ora è giunto. Cazzo, che bello! Cazzo! Cazzo!

- Cazzo!

      Non so dire altro. C’è un momento di silenzio, tra di noi. Ma ormai non tornerò indietro, Ramón lo sa, perché ora so che cosa c’è dentro di me.

È Ramón a parlare di nuovo.

- Ora fammi legare le mani dietro la schiena.

      - Perché?

      - Perché voglio gustare la sensazione. E poi perché non so se riuscirei a reggere, a non farmi una sega. Sono troppo eccitato. E voglio venire solo quando mi fotterai tu.

      Vado alla porta. Chiamo la guardia che, seduta sulla sedia, cerca di rimanere sveglia.

      - Porta un paio di manette.

      Guardo Ramón che mi sorride.

      Quando il soldato rientra, gli ordino di mettere le manette a Ramón, mani dietro la schiena.

      L’uomo esegue, poi gli faccio cenno di uscire.

      Con le braccia dietro la schiena, il vasto torace di Ramón appare ancora più ampio. Un perfetto bersaglio. Il pensiero non mi angoscia, mi eccita ancora di più.

      - Avrei bisogno di manette anch’io!

      Ramón ride, felice.

      - Cazzo, è bellissimo, Ignacio, è bellissimo. Non tornerei indietro per tutto l’oro del mondo.

      Annuisco.

      - Ora vai, Ignacio. Non credo che manchi più molto. Tornerai come comandante del forte. E del plotone. Tornerai per fottermi. Cazzo, che bello, cazzo!

      Lo bacio e mentre lo bacio i nostri corpi si toccano. Sono sul punto di venire, ma Ramón si ritira.

      - Cerca di reggere fino all’esecuzione.

      Ride. Ghigno anch’io, prendo la torcia e mi dirigo verso la porta.

      Mi volto un’ultima volta a guardare Ramón, il Toro, l’eroe di Calatrava, il mio uomo. L’idea che tra un’ora avrà otto buchi mi turba, ma mi eccita ancora. Tiro in dentro la pancia, cercando di nascondere l’erezione.

      Nel cortile è ancora buio, ma ad oriente il blu è meno scuro. Il sole sorgerà presto ed alle sei e mezzo illuminerà in pieno il muro. A quell’ora giustizierò Ramón. Sì, il pensiero è ancora angoscioso, ma nello stesso tempo esaltante. Rimango un buon momento a fissare l’orizzonte

      In camera guardo l’orologio. Sono passate le cinque. Manca un’ora. Mi stendo sul letto e cerco di immaginarmi tutto quanto sta per accadere, passo per passo. Sì, qualche cosa è scattato. C’è angoscia, ma come avvolta da un bozzolo di eccitazione crescente, che mi impedisce di soffrire.

      Il pensiero vaga, torna al giorno in cui conobbi Ramón, alla prima volta che i nostri corpi si incontrarono, ai sei anni di combattimenti e di amore sfrenato, ai due anni di esilio in queste terre calde del Sud.

 

      Il suono della tromba mi scuote. Non è possibile, devo aver dormito, guardo l’ora. Sì, sono le sei, ma mi basterebbe guardare dalla finestra per vedere il cielo già chiaro. Il sole è sorto e tra mezz’ora il muro occidentale del cortile sarà in piena luce. Tra mezz’ora Ramón sarà un cadavere.

      L’erezione è svanita, ma l’eccitazione permane.

      Mi sciacquo nuovamente la faccia, mi vesto con cura. Mi vesto per Ramón, come tante volte mi sono spogliato per lui. Il pensiero dà una forma più concreta alla mia eccitazione, il cazzo incomincia a gonfiarsi. Non c’è problema, la giacca dovrebbe aiutarmi a nasconderlo. E poi, è qualche cosa che capita spesso, anche ai soldati. Uccidere è eccitante. Mi faccio la barba. Mi guardo nel piccolo specchio. Sì, va bene. Guardo l’ora. Le sei e un quarto. Sì, va bene. Scendo in cortile. Il cielo è ormai luminoso, ma il muro del cortile è ancora in ombra: solo il piano superiore del forte è illuminato direttamente dai raggi del sole.

      Gli uomini del plotone sono già in cortile, con i loro fucili. Da quelle canne nere partiranno i colpi che uccideranno Ramón, quelle mani rozze premeranno i grilletti. Angoscia, di nuovo, ed eccitazione, il cazzo che si indurisce. Li guardo in viso. Uno solo è spagnolo, gli altri sono meticci, due indios. Sorridono, contenti. Non si fucila ogni giorno un uomo. Ho già dato istruzioni precise ed i miei uomini le eseguiranno.

      Chiamo due soldati e con loro scendiamo nei sotterranei.

      La guardia è sveglia, ora. Non aspetta l’ordine, sa quello che siamo venuti a fare, sa quello che deve fare. Ci guida alla porta della cella, toglie la sbarra, apre con la chiave e si fa da parte per lasciarmi entrare. Prendo la torcia dalla parete.

      - Aspettate qui.

      Entro, chiudo la porta alle mie spalle. Nuovamente l’odore di sudore e di piscio.

      Ramón è in piedi, forte, sicuro, impavido. Sapevo che sarebbe stato così. Guardo il grande torace peloso, il ventre sporgente. Sorrido.

      - Un bersaglio grosso, non sbaglieranno. Otto bei fori. Sei pronto?

      Ramón sorride. Le mie parole hanno fugato un dubbio. Ora sa che farò la mia parte senza timore, con piacere.

      - Io sono pronto. Vedo che anche tu lo sei.

      Annuisco.

      - Sì, Ramón. Ti amo ed ora ti fotto, per sempre.

      - Andiamo! È ora.

      Sorrido. Il prigioniero che dice al comandante del plotone che è ora di andare!

      - Sono io che do ordini, qui, pezzo di merda.

      L’ho detto con un tono di voce forte, che anche i soldati fuori hanno certamente sentito. Ma non l’ho detto per loro, non solo per loro.

      Ramón non sorride più con la bocca, ma gli occhi gli ridono.

      - Ai suoi ordini comandante!

      - Così va meglio, stronzo!

      Anche questa volta ho parlato forte.

      Mi avvicino a lui, ora la sua faccia è ad una spanna dalla mia, i nostri corpi si toccano.

      - Stai per crepare, pezzo di merda. Fucilato per tradimento.

      Sto giocando, non so neanch’io perché lo faccio, ma questo gioco mi eccita ed anche Ramón è coinvolto.

      Ramón mi guarda, gli occhi ridono sempre.

      - Sto per crepare, fucilato per tradimento.

      Sussurro:

      - Sei un pezzo di merda!

      Ramón annuisce:

      - Sì, è giusto, mettimelo in culo.

      È questo che sto facendo? Sì, è questo. Glielo sto mettendo in culo, ma lui ancora resiste. Non è abituato a farsi fottere, ma oggi lo farà. Ripeto, sibilando, ed è il mio cazzo che preme contro il buco del suo culo:

      - Sei un pezzo di merda!

      Ramón sorride, esita, poi si abbandona.

      - Sì, sono un pezzo di merda, è vero. Mi merito questa morte.

      Annuisco. Ramón ha accettato, ha allargato il culo ed io l’ho infilzato. Così va bene.

      Ramón rilancia:

      - Sai cosa facevamo dei cadaveri dei traditori a San Juan, vero? Li gettavamo in una fossa vicino alle latrine e per tutto il giorno i soldati, invece di pisciare e cacare nelle latrine, pisciavano e cacavano nella fossa. A sera erano coperti di piscio e merda.

      Così va bene, so che cosa significa e glielo dico:

      - Mi fa piacere sapere che godi a sentire il mio cazzo in culo. Bravo!

      Il sorriso di Ramón si allarga.

      Io rilancio:

      - È quello che faremo anche con il tuo cadavere. Un pezzo di merda sepolto nella merda!

      - Sì, è quello che mi merito.

     Sì, Ramón ce l’ha in culo, Ramón mi ha detto che questo lo fa godere, ma non basta ancora. Qui c’è un solo maschio e la sua resa dev’essere completa.

      - Quando sarai un cadavere, ti farò spogliare. E prima di gettarti nella fossa, a raccogliere il piscio e la merda di tutti gli uomini del forte, ti castrerò, Ramón. Quando pisceranno e cagheranno su di te, vedranno tutti che il Toro è solo più un bue.

      Ramón rimane senza fiato, questo non se l’aspettava. Aveva pensato di dirigere il gioco fino in fondo, ma ora l’ho preso io in mano. Vorrebbe dirmi di non farlo e sa che se me lo dicesse, non lo farei. Ma sa che deve accettare fino in fondo l’umiliazione che lo aspetta, sa che deve prendersi fino in fondo il mio cazzo dentro il culo, perché ormai qui, di maschio, ce n’è uno solo e quello sono io.

     Con uno sforzo accetta anche questa suprema umiliazione. Annuisce. Sorride ed annuisce.

     Il gioco è finito, io ho vinto, ho sconfitto Ramón e l’ho umiliato come lui mi chiedeva, assai più di quanto lui stesso non si aspettasse. Ora Ramón ha perso, ha accettato il mio cazzo che gli sfonda il culo. Ora Ramón camminerà, stringendo il mio cazzo tra le chiappe, fino al plotone e là, davanti al muro, finirò di fotterlo.

      La vittoria mi esalta. Il culo di Ramón è caldo ed accogliente e voglio sfondarlo tutto, voglio farlo urlare di piacere e dolore.

      Gli dico ancora:

      - E c’è un’altra cosa, Ramón. Sei un traditore. Ed i traditori si fucilano alla schiena.

      Mi guarda. Non sorride più. China la testa, completamente sconfitto. La rialza, mi guarda e mormora:

      - Sei tu il maschio.

      Sorrido. Mi avvicino a lui. Lo bacio sulla bocca. Poi mi stacco:

      - Sì, Ramón, e le pallottole che ti colpiranno alla schiena non saranno meno dure del mio cazzo.

      Ramón annuisce. Sorride di nuovo. Ha accettato l’ultima umiliazione.

      - Che cosa c’è di meglio che essere fottuto da un vero maschio?

      Chiamo i soldati.

      - Venite dentro.

      I due entrano.

      - Andiamo.

      Prendo la torcia ed esco per primo. Sento i loro passi alle mie spalle. Do la torcia alla guardia e salgo le scale. In cima alle scale mi fermo un attimo. Il sole ha raggiunto il muro, che è illuminato per più di metà.

      I soldati del plotone sono già vicino al muro. Altri soldati ed ufficiali sono venuti ad assistere. Non si fucila tutti i giorni il Toro di Calatrava.

      - Mettete questo pezzo di merda al muro.

      I due soldati guidano Ramón al muro. Usiamo sempre lo stesso tratto di muro per le fucilazioni e ci sono i segni di molte pallottole: durante la guerra i fucilati sono stati molti, anche in queste regioni dove si è combattuto di meno. Dal mio arrivo le occasioni di fucilare qualcuno sono state meno numerose, ma i conti in sospeso non mancavano e, soprattutto l’anno scorso, ci siamo tenuti in esercizio.

      I soldati mettono Ramón con la fronte rivolta verso il plotone, non sanno ancora che ho deciso altrimenti. Ramón è diritto, ben piantato sulle sue gambe, illuminato dal sole nascente fin quasi alle gambe, e guarda gli uomini del plotone senza la minima traccia di paura. Gli uomini del plotone ridacchiano, indicandosi l’un l’altro la protuberanza sul ventre di Ramón. I pantaloni sono tesi all’inverosimile. Do una rapida occhiata e vedo che almeno due dei soldati sono eccitati. Bene, meglio così. Il mio cazzo è gonfio e duro, ma la giacca lo nasconde.

      Tra poco incomincerò a dare gli ordini. Ad ogni ordine Ramón si avvicinerà alla morte. Per un attimo l’angoscia mi avvolge e guardo Ramón come per cercare conforto. Ramón mi guarda, un ghigno di disprezzo appare sul suo volto. Riprende il gioco che io ho avviato nella cella ed allora ghigno anch’io.

      - Forza, ragazzi, liberiamo il Messico da questo pezzo di merda. Sapete come fare.

      I soldati annuiscono, impazienti. Ramón li guarda, tranquillo. Non ha voluto una benda, ha scelto di guardare la morte in faccia, e nei suoi occhi non c’è paura, ma forza e, so di non sbagliarmi, gioia.

      - Voltatelo con la faccia al muro. I traditori si fucilano alla schiena.

      I due eseguono. I soldati del plotone sono disorientati, avevo dato ordini precisi, ora che Ramón è di schiena, si chiedono dove colpire.

      Glielo dico in due parole.

      - Mirate alla stessa altezza.

      Qualcuno ghigna, ma io incomincio a dare ordini.

      - Plotone, ai vostri posti!

      I soldati si dispongono in una doppia fila, quattro davanti e quattro dietro.

      - Plotone, attenti!

      I soldati scattano sull’attenti. Manca poco, ormai, pochissimo, e l’eccitazione cresce, il cazzo si riempie di sangue. Il sangue di Ramón sta per uscire da otto fori.

      - Plotone, prendete il fucile!

      I soldati afferrano il fucile. Mi sposto verso Ramón, che è a un passo dal muro. Ora sono di fianco a lui. Posso vederlo di profilo, diritto e tranquillo. Sui pantaloni di Ramón appare una piccola macchia umida. Non è venuto, no, conosco il flusso torrenziale del suo seme, ma è vicino a farlo. La mia eccitazione cresce. Ramón sta per morire.

      - Plotone, in posizione!

      I quattro soldati della fila davanti si inginocchiano, i quattro della fila dietro rimangono in piedi. Sono a pochi passi da Ramón, non sbaglieranno di certo. E poi ho scelto i migliori tiratori, volevo essere sicuro che colpissero come volevo. Tra poco il corpo di Ramón si coprirà di fori rossi. Ramón sta per crepare ed il mio cazzo è tanto teso che mi sembra stia per scoppiare.

      - Plotone, fucili in posizione!

      Come un solo uomo, i soldati alzano i fucili. Otto canne sono puntate verso il corpo di Ramón, otto canne che vomiteranno pallottole e morte. Stai per crepare, Ramón, io ti amo e sto per ucciderti, ma questo pensiero atroce tende solo allo spasimo il mio cazzo. Desidero vedere quei buchi sul tuo corpo, sono impaziente di vederli, anche se do con lentezza i miei ordini. Voglio che tu abbia il tempo di goderti questa attesa, so che te la godi, come la godo io. Sto davvero per fotterti, Ramón, definitivamente, e mi sembra che il cazzo voglia scoppiarmi, tanto è teso.

      Mi sposto dalla mia posizione, mi metto dietro Ramón, afferro la camicia e la strappo, in modo da scoprire la schiena. Voglio vedere i fori dei proiettili su quella schiena. Gli metto le mani alla cintura e gli abbasso i pantaloni. Ora Ramón è nudo davanti al plotone, un’ulteriore umiliazione. Gli sussurro:

      - Sto per venirti in culo, Ramón. Lo senti il mio cazzo che ti sfonda?

      Poi arretro e riprendo il mio posto a fianco del plotone.

      - Plotone, pronti!

      I soldati sono già pronti, aspettano solo l’ordine successivo, ma io seguo ogni tappa di questo sentiero ed è come se ad ogni tappa io ti spingessi il cazzo più a fondo in culo, sì, è così, ti sto davvero fottendo. Guardo il tuo culo peloso e penso che sto fottendoti. Tu guardi il muro, eretto, sicuro, nella tensione del tuo corpo non c’è la minima traccia di cedimento, di paura. Senti il mio sguardo su di te, lo so. Tra poco sarai un cadavere, Ramón, ed in tutti e due l’eccitazione sale.

      - Plotone, mirate!

      È l’ultima parola prima dell’ordine, prima della scarica che ti colpirà a morte. Mancano pochi secondi alla tua morte, Ramón, ed hai ragione, è bello, è bello da morire, sto per fotterti, Ramón, e mi sembra di aver atteso per tutta la vita questo momento. Non posso staccare i miei occhi dai tuoi, sei fottuto, Ramón, amore mio.

      - Prima squadra, fuoco!

      Tre colpi risuonano insieme, impossibile distinguerli. Il quarto una frazione di secondo dopo. Quattro fori appaiono sulla tua schiena, quattro pallottole ed il sangue sgorga, da uno dei fori, più in alto, è una vera fontana, da due è un getto continuo, dall’ultimo, al culo, è solo un rivolo. I colpi ti hanno gettato contro il muro, barcolli, ma stringendo i denti ti rimetti in piedi, diritto.

      - Seconda squadra, fuoco!

      I quattro colpi risuonano insieme. Si distribuiscono sulla destra, lontano dal cuore. Devo essere io a fotterti, Ramón, la tua morte non può essere così breve. Di nuovo i colpi ti sbattono contro il muro, alzi la testa per un respiro che non trovi più e lentamente scivoli a terra, il ventre contro la parete, fino a che non ti siedi con il culo sui talloni. Hai la testa reclinata di lato, contro il muro.

      Estraggo la pistola e mi avvicino. Ti guardo, Ramón, sei ancora vivo, il corpo ancora si muove negli ultimi sussulti. Ti colpisco con un calcio e ti faccio cadere al suolo. Il tuo corpo ha un guizzo e finisce disteso, la schiena a terra. Ci sono i fori di uscita di tre proiettili, due al ventre ed uno al torace. C’è parecchio sangue che scorre. Ma dal tuo cazzo taurino continua ad uscire lo sborro, che si spande sul tuo ventre e si mescola al sangue. Tutti possono vedere. E ridere. Come ti vedranno castrato. E rideranno.

      Mi chino, ti afferro per i capelli e sollevo la tua testa. Da un angolo della tua bocca cola sangue. Nei tuoi occhi annebbiati leggo il dolore per un’agonia atroce, il piacere violento del tuo seme che si sparge. Mi ringrazi con gli occhi, mentre ti infilo la canna in bocca, fino in fondo.

      - Crepa, pezzo di merda!

      Sparo. La testa ha un violento movimento convulso, ma io non lascio andare i capelli. Il tuo capo mi si appoggia sul ventre, dove il mio fiotto sta prorompendo, incontenibile, nell’orgasmo più intenso della mia vita. Mi sembra di venirti in bocca, Ramón. Mollo la presa ed il tuo corpo cade a terra.

      Guardo il tuo cadavere, Ramón, ma non lo vedo. Per un buon momento non vedo nulla. Il piacere che mi ha avvolto si dilegua e lentamente torno a vedere. C’è un corpo nudo davanti a me, la testa reclinata da un lato, dalla bocca esce ancora un po’ di sangue. Un grosso cazzo duro, una macchia biancastra sul ventre, altro sangue.

      Sei un cadavere, Ramón, nient’altro che un cadavere.

     

 

 

 

 

 

 

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