Duello nel fienile

 

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Immagine di DeeperDarkRed

 

Guidavo lungo la strada che portava al ranch di Dan. Mi sentivo nervoso ed avevo le mani sudate. Non solo le mani. Ero tutto sudato. Faceva caldo, ma non era ancora estate piena e non c’era motivo per sudare come un maiale. O, meglio, non c’era un motivo esterno, perché io un motivo ce l’avevo, e come: stavo andando ad uccidere un uomo. E non un uomo qualunque: Dan, il primo uomo con cui avevo scopato, il primo uomo che avevo amato, l’uomo che mi aveva insegnato praticamente tutto quello che avevo imparato sul piacere e sui suoi limiti.

Non avevo mai ucciso nessuno prima di allora – e non ho mai più ucciso nessuno dopo di allora -, ma era stato Dan a chiedermelo, tre settimane prima. Mi aveva suonato il campanello ed io ero andato ad aprire, senza che mi passasse per la mente che potesse essere lui. Dan abitava a duecento miglia da casa mia e non l’avevo mai visto a Denver.

Ma Dan aveva incominciato a pisciare sangue ed il dottore non gli aveva dato nessuna speranza. Dan non aveva nessuna voglia di crepare in un letto d’ospedale, intubato, rincoglionito dai medicinali, ridotto ad un’ombra di se stesso.

Dan voleva morire da uomo. E sapeva che io l’avrei aiutato.

Così in quel momento stavo raggiungendo il ranch di Dan per sforacchiargli la pancia un bel po’ di volte, come lui mi aveva chiesto, prima di finirlo, per poi gettare il cadavere nella fossa che lui stesso doveva ormai essersi scavato. Lo aveva fatto, certamente, perché Dan era uno che manteneva la sua parola e se aveva deciso di finire, aveva deciso di finire.

Non correvo molti rischi. Dan aveva comunicato a tutti che sarebbe partito per un viaggio e sarebbe rimasto via almeno tre mesi. Nessuno lo avrebbe cercato per un bel po’ e quando qualcuno avesse incominciato a chiedersi dove cazzo era finito Dan, beh, non gli sarebbe passato per la testa di cercarlo sotto terra nel suo ranch.

Dan aveva vent’anni più di me, ormai si avvicinava ai cinquanta, ma aveva ancora la forza di un toro. E come un toro scopava, con un’energia inesauribile: ancora tre settimane prima, benché avesse già la morte addosso, ci aveva dato dentro fino a spossarmi, lasciandomi dolorante. Ma il sangue nel piscio, gliel’avevo visto anch’io, quella sera.

Mentre percorrevo l’ultimo tratto pensavo al mio rapporto con Dan. Lo avevo amato alla follia, quando ero ancora un ragazzo. Lui mi aveva accompagnato per mano a muovere i primi passi, poi mi aveva incoraggiato a correre liberamente in un mondo nuovo. E poi ancora, mi aveva guidato ad esplorare i miei limiti, anche se a volte mi ritraevo. Mi dissi che Dan mi aveva portato spesso a fare cose che non volevo, ma non era vero: anch’io le volevo fare, volevo provare, anche a costo di incontrare il dolore o il disgusto.

Avevo fatto fatica ad accettare di non essere l’unico per Dan, avevo deciso di andarmene a Denver per ripicca, ma il nostro legame non si era mai spezzato. Anche se ci vedevamo ormai di rado, ciò che ci univa era per sempre. E non a caso Dan aveva chiesto a me di ucciderlo.

Mi dissi che ancora una volta Dan mi stava conducendo ad esplorare i miei limiti. Ed ancora una volta io avevo accettato di seguirlo.

 

Era quasi mezzogiorno, l’ora fissata, ed ormai ero arrivato.

Il ranch sembrava disabitato: porte e finestre chiuse, nessun animale, nessun segno di vita: per tutti Dan era partito quella mattina stessa. Non vidi nemmeno la sua auto e mi chiesi dove cazzo fosse: Dan non poteva averla lasciata in città ed essere tornato a piedi. Il centro più vicino era a trenta miglia e comunque lì la sua auto l’avrebbero individuata subito. Probabilmente l’aveva fatta finire sotto la cascata.

Fermai l’auto dietro il fienile e mi diressi verso l’aia.

Dan mi aspettava vicino al fienile, accanto ad una buca profonda.

Lo guardai. Mi dissi che era bellissimo.

Dan non era un divo di Hollywood, era massiccio, con una pancia debordante, un viso largo, labbra grosse. Ma io l’avevo sempre trovato bellissimo.

Aveva la camicia completamente aperta e potevo vedergli il torace ed il ventre coperti da una densa peluria nera e grigia. Presto ci sarebbero stati diversi fori in quella carne che si offriva al mio sguardo.

Non ci salutammo. Non era necessario.

- La vanga rimettila nel fienile, dove ci sono gli attrezzi, ma cancella le impronte, non si sa mai. Le pistole gettale via in qualche posto dove nessuno possa trovarle. Cancella le impronte dalla tua.

Poi si voltò e lo guardai dirigersi a passo fermo verso il fienile.

Avevamo già combinato tutto. Non era necessario dirci altro.

Nel fienile Dan prese i due cinturoni e me ne passò uno. Si mise l’altro. Sarebbe stato un duello, ma un finto duello: Dan era molto più veloce di me nello sparare, ma non mi avrebbe preceduto.

 

Ora eravamo a pochi passi l’uno dall’altro, Dan contro la parete del fienile, io davanti a lui, a pochi metri. Nessun colpo sarebbe andato a vuoto.

Fissavo Dan, che mi sorrideva. Un sorriso di ringraziamento che divenne una smorfia di derisione.

Guardai l’ampio torace peloso ed il ventre. Un bersaglio perfetto.

Dan portò la destra sui pantaloni e si strinse i coglioni, in un gesto di scherno. Come se non sapesse bene ciò che stava per succedere, come se non l’avesse voluto ed organizzato. Le pieghe della stoffa dei pantaloni sottolineavano il gonfiore del suo grosso cazzo. Mi dissi che non l’avrebbe avuto duro per molto ancora. Ci avrebbe pensato la prima pallottola a sgonfiarlo. Ma il mio cazzo si stava irrigidendo.

Dan ghignava, il sigaro tra le labbra. Forse mi beffeggiava, provocandomi, sfidandomi a fare ciò che avevamo deciso. Ciò che aveva deciso lui ed io avevo accettato di fare.

Dan stava per morire, ma non aveva paura. Ed io non avevo bisogno delle sue provocazioni.

Dan spostò la mano verso la fondina. Un movimento lento, che mi diede tutto il tempo di estrarre la pistola e puntarla prima che Dan alzasse la sua. Sparai subito un colpo e nel grande ventre di Dan apparve un foro rosso, sopra l’ombelico. La testa di Dan scattò all’indietro, fino ad incontrare il muro e la mano che alzava la pistola si bloccò a  metà strada. L’altra risalì verso il ventre, fino a fermarsi contro la camicia. Le labbra si schiusero, ma il sigaro non cadde.

Era bello vedere l’agonia che incominciava, il grande corpo che cercava di reagire al dolore violento che già gli scavava le viscere. Mi presi il tempo di assaporare le mie sensazioni, di sentire che il mio cazzo era ormai teso. Gli lasciai il tempo di sentire la morte che arrivava, come lui voleva.

Sparai un secondo colpo, che raggiunse Dan vicino all’altro, un po’ più in alto, nello stomaco. Una smorfia di dolore apparve sul viso di Dan. La sinistra si avvicinò al ventre, ma senza coprire la ferita. Il braccio destro scese in basso, ma la mano non lasciò la pistola. Dan avrebbe potuto ancora alzare il braccio e sparare, lo sapevo,come lo sapeva lui, ma non l’avrebbe fatto. Lo guardai in faccia. C’erano gocce di sudore, ma il viso sembrava concentrato, quasi in ascolto del dolore che ardeva dentro il suo corpo.

Il terzo colpo prese Dan più in alto ancora, perforandogli il polmone destro. Dan chinò la testa ed il grande cappello nero gli coprì il viso, mentre la mano sinistra si contraeva sulla camicia, in un movimento spasmodico.

Di nuovo aspettai un momento prima di colpire, rimasi a fissare Dan che stava crepando, affascinato dalle contrazioni della mano sinistra, dal sangue che colava dalle ferite.

Il nuovo colpo raggiunse Dan al polmone sinistro. Dan girò bruscamente la testa ed il cappello scivolò e cadde a terra. Dan rimase appoggiato al muro, ma era evidente che le gambe non lo reggevano più, che senza l’appoggio del muro sarebbe caduto a terra. La pistola gli scivolò finalmente tra le dita e cadde al suolo, accanto al cappello.

Il quinto colpo lo prese alla base dello sterno. Dan alzò appena la testa, poi la chinò e lentamente il corpo scivolò a terra, rimanendo seduto, con la schiena appoggiata contro il muro.

Sembrava incosciente, gli occhi socchiusi, ma quando mi avvicinai, alzò la testa e mi guardò. Sorrise. Non era più un sorriso di scherno.

Gli appoggiai la pistola sulla fronte, tra gli occhi e Dan fece una smorfia.

- No… in … culo.

Esitai un attimo. Bene, se era quello che voleva, glielo avrei dato. Riposi la pistola nella fondina e mi chinai per slacciargli la cinghia dei pantaloni. Li abbassai e ne emerse il grande cazzo, duro come una pietra.

Anch’io ce l’avevo duro come l’acciaio e la tensione era quasi insopportabile, ma come potesse avercelo duro Dan, con cinque pallottole in corpo, non potevo capirlo.

Facendo pressione sulla spalla, lo spinsi a terra. Dan rimase steso su un fianco, contro la parete, e mi guardava, un vago sorriso sulle labbra. Aveva gli occhi velati, ma mi vedeva.

Spostai le gambe e voltai il corpo sulla pancia; gli abbassai i pantaloni e guardai il culo grosso e peloso di Dan. Allargai le natiche alla ricerca del buco. Quando lo vidi sentii una sensazione violenta allo stomaco.

Infilai la pistola nel buco e mi resi conto che stavo per venire.

- Addio, Dan.

Sparai. Tre volte, vuotando il caricatore, mentre venivo.

Quando voltai il cadavere, vidi che anche Dan era venuto.

 

 

 

 

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