Tre amici

 

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Erano stati molto amici, loro tre, durante la guerra. Tutti e tre, giovani ed entusiasti, avevano provato la stessa rabbia per l’incapacità dei loro comandanti, per il tradimento della resa, per il caos che ne era seguito. Avevano provato la stessa gioia nel gioco dei corpi, dandosi e prendendosi.

Per alcuni anni i loro percorsi erano stati paralleli, poi però avevano seguito strade diverse: lui era rimasto nell’esercito, Franz era entrato nelle SS e Gunther nelle SA.

Con Franz era rimasto un rapporto di stima reciproca e di amicizia. Non di sesso, no, non più, da moltissimi anni. Franz si era sposato ed aveva due figli belli e biondi come il padre, due splendidi esemplari di pura razza ariana. Franz era un ufficiale delle SS, stimato da tutti, ligio agli ordini.

Anche con Gunther non c’era più un legame affettivo. Quello che ancora li univa era la complicità: entrambi nutrivano fantasie a cui nella Germania di Hitler era pericoloso indulgere. Le SA erano molto permissive, i rapporti tra uomini erano una pratica comune e le orge erano frequenti, che Rohm fosse omosessuale lo sapevano tutti, ma un ufficiale di primissimo piano come Gunther non poteva superare certi limiti: se si fosse saputo che il comandante Gunther Raff amava bere il piscio, i suoi gradi non sarebbero durati a lungo.

Nell’esercito era peggio: un ambiente gretto, molto maschilista, in cui già solo il fatto che Andreas, a quasi quarant’anni, non fosse sposato, era visto con sospetto.

Ed allora Gunther ed Andreas si ritrovavano ancora per soddisfare le loro fantasie, in un rapporto di piena fiducia reciproca. Si incontravano in luoghi che offrivano assoluta sicurezza, in particolare in uno scantinato della fattoria di proprietà di Gunther, dove loro due potevano fare quello che volevano, in libertà. Nella grande stanza Gunther aveva messo due luci rosse, che davano all’ambiente una tonalità spettrale.

Si ritrovavano lì una o due volte al mese, in base agli impegni che avevano.

Andreas ingurgitava grandi quantità di birra, che contribuivano a liberarlo da ogni inibizione e soprattutto fornivano la materia prima: Gunther, legato e supplicante, veniva abbondantemente irrorato, in faccia, sul corpo, in bocca, sul cazzo che si tendeva al primo getto.

Ad Andreas quell’attività piaceva ed apprezzava l’odore acre che rimaneva nello scantinato, che si sentiva anche settimane dopo, aprendo la porta. Certo, non gli diventava duro, come succedeva a Gunther, solo a sentire l’odore, ma erano pomeriggi piacevoli.

Poi veniva il turno di Andreas. I suoi gusti erano diversi. Anche lui desiderava essere legato, le mani dietro la schiena, ma poi voleva essere colpito al ventre: un possente destro in pancia aveva su di lui lo stesso effetto del piscio su Gunther. Avevano provato altri colpi, altre forme di violenza, ma, per quanto stuzzicanti, potevano fare tutt’al più da contorno. Il pugno di Gunther calava deciso in punti diversi del suo stomaco, del ventre, eccitandolo

Eppure, Andreas lo sapeva benissimo, il suo desiderio andava oltre. Se dopo abbondanti docce di piscio ed una bevuta colossale, Gunther era più che soddisfatto, Andreas desiderava altro e neppure quando i colpi di Gunther lo lasciavano a terra senza fiato, incapace di rialzarsi, gli sembrava di averne abbastanza. La violenza finale non era sufficiente a saziare il suo desiderio.

Quello che davvero voleva emerse una volta che entrambi avevano bevuto più birra del solito, che avevano passato più tempo nello scantinato. Una volta che Gunther, casualmente, aveva con sé la pistola: era arrivato in ritardo ed aveva trovato Andreas sulla porta. Erano scesi subito, troppo eccitati per aspettare ancora.

Nello spogliatoio si erano liberati dai vestiti. Avevano fatto come sempre. Gunther era venuto tre volte ed Andreas due, ma ad Andreas non bastava. Per quanto Gunther colpisse duramente, non era sufficiente. Chiedeva di più. Gunther aveva detto:

- Forse dovrei spararti.

Gunther l’aveva detto ridendo, ma Andreas aveva annuito.

- Prendi la pistola.

Gunther era andato a prenderla.

- Togli tutte le pallottole, tranne una.

Gunther aveva eseguito, senza capire.

- Fai girare il caricatore, a caso. Puntami la pistola al ventre.

Mentre Gunther eseguiva, Andreas aveva sentito che il cazzo gli si irrigidiva. Un gusto metallico in gola, una tensione nuova al ventre, dolorante per i colpi subiti.

- Punta, tienila un momento e spara.

- Ma ci potrebbe essere un colpo.

- Certo. Provi più volte, fino a che io vengo o fino a che non arriva il colpo.

Gunther era quasi ubriaco, di birra e di piscio alcolico. Aveva accettato la roulette russa ridacchiando. Era perplesso, ma eccitato.

Aveva poggiato la canna sull’ombelico di Andreas, che aveva avvertito una tensione intollerabile, ma anche un’eccitazione violenta. Aveva premuto il grilletto, mentre Andreas sentiva le viscere contrarsi ed un po’ d’aria uscire.

- Te la fai addosso, eh?

La reazione di Andreas aveva eccitato Gunther, che aveva fatto ruotare il caricatore e poi aveva puntato nuovamente la canna contro il ventre, in basso, tra i peli del pube, a fianco del cazzo teso.

Una goccia di liquido era apparsa sulla punta del cazzo di Andreas, mentre nuovamente le viscere gli si stringevano e l’eccitazione saliva ancora.

Quando Gunther aveva poggiato la canna per la terza volta sul ventre, poco sotto l’ombelico, Andreas era venuto,

Allora Gunther aveva alzato la canna e premuto il grilletto: lo sparo li aveva fatti sussultare entrambi, mentre qualche frammento di intonaco si staccava dal soffitto e cadeva su di loro.

In seguito Gunther aveva rifiutato di ripetere il gioco, non con i proiettili, anche se usava la pistola per eccitare e colpire Andreas.

 

Andreas si era perso nei ricordi, mentre tutti lasciavano la stanza, ignorandolo ostentatamente. Ritornò al presente, pensò al futuro che si apriva. Il breve futuro che ancora Gunther aveva da vivere.

Gunther sarebbe stato ucciso quella stessa notte e Franz era uno di quelli che l’avevano deciso. No, la decisione era partita dall’alto, da molto più in alto, ma Franz avrebbe eseguito. Andreas aveva invano cercato di frenare la strage che si preparava, ma non aveva certo l’autorità per opporsi ad ordini che venivano da Hitler stesso. Quando aveva detto quello che pensava, sull’assurdità di quella strage fratricida, aveva sentito su di sé il biasimo di tutti. Le decisioni di Hitler non si discutono. Si eseguono. E Gunther sarebbe morto, insieme a centinaia di altre SA.

     

Gli altri stavano finendo di uscire, mentre lui era rimasto al tavolo. Nessuno gli aveva più rivolto la parola. Tutti ci tenevano a mostrare che conoscevano appena quell’ufficiale che aveva fatto discorsi inammissibili, che presto avrebbe perso il grado, se non la vita.

Sentì che Franz diceva ad uno degli ufficiali che usciva:

- Ci penso io, non si preoccupi.

Sì, toccava a Franz, la riunione si era svolta nel suo ufficio. Era lui a comandare in quella sede.

Franz chiuse la porta e si diresse verso di lui. Era irritato. Probabilmente considerava Andreas uno stupido, per aver detto quello che aveva detto. Ma Andreas non era pentito. Non avrebbe potuto non dirlo.

- Rimarrai qui fino a questa notte.

- No.

Franz lo guardò, infastidito. Non aveva voglia di perdere altro tempo.

- Andreas, non puoi pensare che ti lasci andare. Li avvertiresti.

Scosse la testa. Lo sapeva benissimo. E sapeva che cosa restava da fare.

- Sì, è quello che farei.

- Allora rimarrai qui.

- No, se la loro sorte è segnata, lo è anche la mia.

- Che cosa vuoi dire?

Si avvicinò. Ora aveva il viso di Franz a poche dita. Parlò sottovoce.

- Anch’io sarò considerato tra i nemici della Germania. Probabilmente lo sono già, dopo quello che ho detto oggi.

- Motivo di più per non impicciarti.

- Non mi basterebbe per salvarmi. E non mi interessa. Tanto vale che muoia anch’io.

Franz lo guardò, interdetto.

- Vuoi crepare?

-  Sì, non ho molta scelta. Oggi o tra pochi giorni. Lo so benissimo. E lo sai anche tu, Franz.

Franz non disse nulla. Sapeva che era vero, che Andreas aveva firmato la sua condanna a morte.

- Allora ti chiedo di aiutarmi a farlo a modo mio.

- Che cosa intendi?

- Due uomini, Franz, di sicuro ne hai di adatti alla situazione. Due di questi giovani per cui uccidere è divertente, magari eccitante. Salgo in macchina con loro e appena siamo fuori mi scaricano il caricatore nello stomaco. Poi un colpo alla nuca e via. Tra i tanti cadaveri che ci saranno domani, non sarà un problema sistemarne uno in più.

Franz lo fissò.

- Vuoi morire…

- Sai anche tu che è meglio, anche per te. Succederebbe presto, comunque: sai quello che penso e sai che lo dirò. E lo sanno anche quelli. Meglio per te, che avrai fatto quello che dovevi. E meglio per me, nel modo che preferisco.

- In auto…

Franz stava entrando nell’idea. In fondo per lui era una preoccupazione in meno.

- Sì, fammi colpire più volte, sei volte, al ventre. Da uno di loro, mentre l’altro mi tiene per le manette e mi costringe a stare voltato verso il mio assassino. Un momento di pausa tra un colpo e l’altro, in punti diversi… Voglio sentire la morte. Poi l’altro mi finirà alla nuca.

Franz scosse la testa, ancora incerto.

- Non è meglio un colpo al cuore?

No, non era più incerto. Aveva acconsentito.

- No. Voglio morire così. E questo lo puoi fare. Non ti costa troppo.

Franz scosse nuovamente la testa, ma questa volta era una risposta.

- Sei sicuro?

Aveva solo più bisogno di una conferma.

- Sì. Non c’è altra soluzione. Non durerei più di quindici giorni, lo sai. Lascia che sia ora e che possa sentire quei colpi, uno dopo l’altro.

Franz annuì.

- Se è questo che vuoi… È la soluzione migliore.

- Ancora una cosa, Franz.

Franz lo guardò, diffidente. Si stava chiedendo che cosa voleva ancora.

- Che cosa?

- Strappami i gradi.

Avrebbe voluto dirgli di più, invitarlo a colpirlo, avrebbe voluto ancora una volta sentire i pugni, prima delle pallottole. Sarebbe stata la preparazione ideale.

- E perché mai?

- Fa parte delle mie fantasie.

Franz sorrise. C’era una sfumatura di disprezzo in quel sorriso.

- Le tue fantasie. Degradato e ucciso.

Alzò le spalle.

- Bah, ognuno ha le sue.

C’era qualche cosa di non detto, in quella frase. Qualche cosa che lo riguardava, Andreas lo sapeva.

- Quali sono le tue?

Franz lo fissò, un sorriso incerto.

- A me piacerebbe incularti ancora una volta.

- Strappami i gradi, colpiscimi al ventre, con il pugno, fino a che non riuscirò più a rialzarmi, poi fa’ quello che vuoi.

Franz scosse la testa.

- No, non voglio prenderti con la forza.

- Lo desidero anch’io, Franz, ma nella mia fantasia c’è la violenza. I tuoi colpi e poi… il tuo cazzo, senza cerimonie. Sì, è quello che voglio.

Guardò Franz. Aveva conservato un fisico asciutto e doveva avere una forza taurina.

- Vacci deciso, Franz, sia con i pugni, sia con il cazzo. Presto godrò anch’io.

Franz lo guardò, poi alzò leggermente le spalle e, senza una parola, si mise in azione. Strappò le spalline, apparentemente senza sforzo. Poi guardò ancora Andreas negli occhi e, sorridendo, lo colpì con forza, all’ombelico.

Il colpo gli tolse il respiro ed Andreas si piegò in due. Non si era ancora drizzato, che un secondo ed un terzo colpo gli tolsero ogni forza: i pugni di Franz erano macigni. Franz lo sbatté sulla scrivania, lo voltò, gli abbassò i pantaloni e lo infilzò immediatamente: l’aveva già duro. Spinse con decisione ed Andreas sentì una fitta acuta. Franz non ci mise molto a venire: Andreas sentì infine le scariche e poi il ritrarsi.

Con fatica si drizzò e si tirò su i pantaloni. Barcollava. Si appoggiò alla scrivania per non cadere.

- Era questo che volevi? Sei soddisfatto?

Andreas annuì.

Improvvisamente Franz lo colpì di nuovo. Due pugni nello stomaco che lo accecarono.

Cadde addosso a Franz, che lo spinse sulla scrivania, nuovamente lo voltò e gli calò i pantaloni. La penetrazione fu più violenta ed il dolore più acuto. Franz rimase a lungo dentro di lui e ad Andreas sembrava che ogni spinta gli lacerasse la carne.

Franz lo mollò. Andreas cercò di tirarsi su, ma faceva fatica a drizzarsi.

- Ce la fai?

Andreas annuì.

- Aspetta di là.

Non voleva che aspettasse lì, che magari cedesse all’impulso di telefonare, di avvisarli. Sì, era meglio così.

- Grazie Franz, grazie di tutto. È stato grande. Era quello che volevo.

Esitò un attimo.

- Franz…

- Che cosa c’è?

- Occupati tu di Gunther.

Franz lo fissò.

- Che cosa intendi dire?

- Visto che deve morire… Anche lui ha le sue fantasie. O almeno che non soffra troppo.

Franz annuì.

Andreas passò nella saletta. C’erano due civili che parlavano tra di loro, ma si interruppero non appena lo videro. Con una certa fatica raggiunse una sedia e si lasciò cadere. Uno dei due continuava a guardarlo, doveva essersi accorto dei gradi strappati. L’altro riprese a parlare. Un affare di commesse militari, gli stivali. Quello che parlava era in panico perché temeva di perdere la commessa. Qualche capo difettoso nella partita. Ripeteva che non era colpa sua. L’altro sembrava sicuro di sistemarla. Andreas ascoltava indifferente, cercando di riprendere fiato, mentre il dolore si calmava.

Il calore della giornata gli sembrava intollerabile ora, era tutto sudato. Aveva la fronte bagnata e sentiva l’odore del suo sudore sotto le ascelle. Aveva la camicia bagnata, anche sulla schiena. Dal culo gli colò un po’ dello sborro di Franz.

Non mancava più molto. Franz stava scegliendo i due uomini e l’autista. Stava dando le istruzioni. Poche parole, senza spiegazioni. Avrebbero obbedito senza discutere, come sempre.

Presto sarebbero arrivati.

Vicino a lui i due uomini continuavano a parlare.

- Ti dico che la sistemiamo.

Mentre lo diceva l’uomo gli lanciò un’occhiata. Non voleva essere più esplicito, non con lui ad ascoltarli. Andreas sorrise. Non avrebbe potuto riferire nulla. Tra un quarto d’ora sarebbe stato un cadavere.

Fissò la porta. Deglutì. Da quella porta sarebbero entrati. Tra poco. Dal loro arrivo alla sua morte sarebbero passati forse dieci minuti, no, neanche. Il tempo di uscire, salire in macchina, partire, deviare su una strada secondaria del parco, sparare…

Era eccitato. Tra poco sarebbe stato un cadavere. Sentiva una stretta allo stomaco. Sarebbero arrivati, tra poco sarebbero arrivati.

I due uomini ora tacevano, la sua presenza li innervosiva.

 

La porta si aprì. Andreas si controllò per non sussultare. I due uomini entrarono.

Uno doveva avere trent’anni o poco più. Alto, un fisico massiccio ed atletico, nero di capelli, ma gli occhi azzurri, la mascella squadrata. L’altro era più giovane, non più di venticinque anni, anch’esso muscoloso, ma meno massiccio, occhi grigi e capelli biondi. Franz aveva scelto bene.

- Venga con noi.

Andreas li seguì obbediente. L’ora era giunta. Tra poco sarebbe morto. Tra poco sarebbe stato un cadavere. Sentiva la gola secca, ma il sangue continuava ad affluire al sesso, che si stava rapidamente inturgidendo. Sei colpi al ventre, la pistola… Chi era il boia? Il bruno, sì, era il bruno. L’altro lo avrebbe finito. Deglutì, gli sembrava di respirare a fatica, eppure l’eccitazione era così intensa che si chiese se non sarebbe venuto.

Nel cortile c’era già l’auto, con il motore acceso. Tutto pronto: erano efficienti, come sempre. Il bruno aprì la portiera e lo spinse dentro in modo brusco, mentre il biondo saliva dall’altra parte, anche lui sul sedile posteriore. Chiusero le portiere e l’uomo al volante mise in moto. Andreas non poteva vederne il viso, solo gli occhi chiari nello specchietto e le sopracciglia, che quasi si congiungevano sopra il naso. Aveva un collo molto largo, non c’era stacco tra la testa ed il collo.

L’auto uscì dal cortile e si avviò lungo la strada. L’autista voltò a destra, in una sterrata. Andreas sentì il ferro intorno al polso sinistro e lo scatto della chiusura. Il bruno gli bloccò il polso destro con la mano e glielo portò dietro la schiena. Poi il biondo allungò il braccio dietro la sua schiena e gli afferrò la destra, che il bruno ancora teneva. Un secondo scatto. Ora Andreas aveva le mani imprigionate dietro la schiena, bloccate nelle manette. Il biondo tirò le manette verso l’autista, forzando Andreas a voltarsi verso il bruno.

Pochi secondi ormai, pochi secondi. Gli sembrava che gli mancasse il respiro e la gola era riarsa, ma aveva la sensazione di non essere mai stato tanto eccitato. Il bruno stringeva la pistola. Piccolo calibro. Certo per evitare che le pallottole, trapassandolo, potessero ferire l’uomo dietro di lui. Un’agonia più lunga. Sì, era quello che voleva. Voleva sentire ogni colpo. Il bruno gli avvicinò la pistola al ventre e con la punta esercitò una lieve pressione sull’ombelico.

Ora, ora.

Il bruno non sparò subito. Ci fu un’attesa che ad Andreas parve eterna. Poi risuonò lo sparo, che lo fece sussultare, mentre la prima pallottola gli penetrava nelle viscere, dilaniandole. Sentì l’incendio nel suo ventre, lo spasimo violento, che lo spinse a piegarsi in due. Cercò di controllare il dolore che sembrava dilatarsi ad ogni respiro e con fatica si drizzò nuovamente. Il bruno allontanò la pistola. Andreas lo guardò. Sorrideva. Lo faceva volentieri. Bene, meglio.

Il bruno avvicinò la pistola più in basso, a sinistra del sesso. Andreas guardava la punta della pistola contro i suoi pantaloni. Il bruno spinse la canna contro il ventre. Andreas avvertì la pressione della canna sulla carne, poi il colpo e nuovamente il fuoco che ardeva nel ventre, il dolore violento. Nuovamente si piegò in due, preda di un dolore feroce. Lentamente si drizzò ed alzò di nuovo gli occhi sul bruno: sorrideva, la bocca socchiusa. Forse anche lui era eccitato. Godeva ad ucciderlo.

Ancora quattro colpi, ancora.

Il bruno alzò la canna e la spostò verso destra, più in alto. Pigiò con forza contro il fegato, ma non sparò subito. Andreas aspettava il colpo, senza staccare gli occhi dalla canna, e, malgrado il dolore, la sua eccitazione non accennava a diminuire.

Il colpo lo spinse all’indietro, questa volta, facendogli inarcare la schiena. Gli sembrò che la fitta fosse più violenta delle precedenti e che in tutto il suo ventre ci fosse un’unica grande fiammata, che le viscere ardessero in un rogo inestinguibile. Gemette, un suono inarticolato. Mentre, a fatica, si raddrizzava, vide il ghigno del bruno. Abbassando lo sguardo gli fissò il rigonfio dei pantaloni. Sì, era eccitato.

Questa volta la canna si spostò tutta a sinistra, mantenendosi all’altezza del colpo precedente, fino a premere sullo stomaco.

Il nuovo colpo lo spinse ancora all’indietro. Quasi si sollevò dal sedile, inarcandosi, mentre dalla sua bocca usciva un urlo prolungato:

- Aaaaaaahhhhhhhh.

Gemette ancora, mentre si drizzava. Sentì in gola il sangue ed aprì la bocca, lasciando che gli colasse sul mento e sul corpo. La vista era annebbiata. Poi recuperò la lucidità. Allora abbassò lo sguardo sulla patta del bruno.

Il bruno spostò il braccio, allontanando la canna, poi la avvicinò nuovamente, ancora più in basso, quasi alla base del sesso. Il dolore dilaniava Andreas, ma l’eccitazione era giunta al culmine. Il bruno appoggiò la canna a fianco del sesso, mettendone in risalto il gonfiore. Il contatto fu l’ultima scintilla. Andreas sentì l’onda dell’orgasmo salire e travolgerlo, più forte dello spasimo che lo dilaniava, più forte di tutto. La bocca gli si aprì e il fiotto proruppe. Per un attimo il piacere annullò il dolore.

Gemette ancora, un gemito di piacere.

Il bruno capì, con un rapido movimento spostò la canna e la puntò direttamente alla base del sesso.

- Sì.

Il sì gli era sfuggito, assurdo, un invito ad un nuovo, atroce, sfregio. La pressione della canna contro il sesso che continuava a vibrare, come se non avesse mai voluto smettere, lo stordiva.

Il colpo cancellò ogni piacere, trapassandogli il sesso e scavando nuovamente nelle viscere, mentre il sangue si mescolava allo sperma. Urlò, senza ritegno, un urlo spezzato dalla fatica di respirare.

- Aaaaaah. Ah, aaaaaaaaah. Aaaaah.

Una macchia s’allargava sui pantaloni del bruno. Franz aveva scelto bene il suo uomo. Ancora un colpo, poi sarebbe finita. Ora voleva finire. Voleva finire. Il fuoco nel ventre era intollerabile.

Tenendo la punta sul ventre di Andreas, il bruno spostò la pistola fino alla base dello sterno, poi sparò.

Andreas urlò ancora, mentre si rovesciava indietro, fino a che la sua testa toccò il corpo del biondo. Non vedeva più nulla, travolto dal dolore lancinante. Il biondo lo spinse in avanti. Il sangue gli riempì nuovamente la bocca ed uscì, abbondante. Stava per morire.

Sentì sulla testa la pressione della mano del bruno, che lo forzava a chinarsi, a porgere la nuca al suo assassino. Sentì ancora la pressione della canna sulla nuca.

Il colpo annullò ogni dolore.

 

Franz vide la macchina rientrare e fermarsi presso la porta dei sotterranei. I due uomini scesero e scaricarono il cadavere di Andreas.

Aveva dato ordini precisi e sapeva che sarebbero stati eseguiti. Scese rapidamente al piano terra, percorse il lungo corridoio e scese per la scaletta fino alla stanza dove aveva dato ordine di portare Andreas.

I due uomini stavano uscendo. Lo salutarono. Franz li congedò con un cenno ed entrò. Chiuse la porta e fece scorrere il catenaccio.

Sul tavolaccio era steso il cadavere. Nudo, come aveva ordinato. Franz guardò i buchi dei proiettili. Distribuiti in vari punti del ventre, come Andreas aveva chiesto, come Franz aveva ordinato. Il cazzo teso, l’ampia macchia umida sulla cappella e sul ventre, l’intenso odore di sborro non lasciavano nessun dubbio sul piacere che Andreas aveva ricavato da quella morte. C’era un buco anche sul cazzo.

Franz guardava quel cadavere. Lo aveva posseduto due volte, nemmeno mezz’ora prima.

Sentiva l’eccitazione crescere.

Toccò il corpo di Andreas. Era ancora caldo.

Lo voltò e lo tirò verso di sé fino a che le gambe non scivolarono dal tavolo. Ora aveva il culo di Andreas davanti a sé. Per un attimo si chiese che cosa stava facendo, ma il suo corpo lo voleva con un’intensità tale, che ogni domanda era priva di senso. Per la terza volta in meno di un’ora stava inculando Andreas. No, stava inculando il cadavere di Andreas.

 

Il mattino dopo Franz raggiunse Gunther nella cella in cui l’aveva fatto portare. Aveva tenuto fede alla parola data ad Andreas, ma avrebbe preferito non doversi occupare di quella faccenda. Gunther doveva morire. In giornata. Era già vissuto troppo.

Gunther era seduto sul tavolaccio, nudo, così come era stato catturato quella notte. Quando lo vide, si alzò ed incominciò ad inveire, ad insultarlo. Franz non ascoltava neppure, infastidito da quello sfogo inutile. Solo quando sentì il nome di Andreas, parlò:

- Andreas è morto.

Gunther tacque immediatamente. La contrazione sul suo viso confermò a Franz quanto fosse legato ad Andreas. Gunther si sedette, abbassando la testa.

Quando Gunther parlò nuovamente il suo tono era cambiato, ogni rabbia svanita, soffocata da un’immensa tristezza, che debordava, scolorando le parole, spegnendo l’invettiva in un cupo lamento.

- Morto? Perché, bastardo, perché? Cristo, perché? Non era mica un SA!

- No, ma si era espresso contro l’operazione, aveva detto cose… che non si possono più dire.

- L’avete ammazzato. Maledetti porci.

Anche nell’insulto non c’era più furia. C’era solo un dolore profondo, un arrendersi.

- Me l’ha chiesto lui.

- Lui?

- Sapeva di dover morire e mi ha chiesto di farlo come voleva. Credo che tu sappia di che cosa sto parlando.

Gunther lo guardò perplesso.

- Vieni.

Percorsero il lungo corridoio dei sotterranei, fino alla stanza dove si trovava il cadavere di Andreas. Franz l’aveva fatto lasciare lì. Sarebbe stato eliminato con quello di Gunther, di Jacob e degli altri.

Franz aprì la porta e fece cenno a Gunther di entrare, poi accese la luce.

Il cadavere di Andreas era come l’avevano lasciato il giorno prima. Franz lo aveva risistemato dopo aver goduto.

Franz indicò le ferite, il cazzo duro, la macchia di sborro, ora appena visibile. Mentre lo faceva, sentiva che si stava di nuovo eccitando.

- Questo è quello che Andreas ha chiesto. Io l’ho fatto fare. Come lui mi ha chiesto.

Gunther non diceva nulla, guardava il corpo di Andreas.

- Si è fatto inculare da me, prima colpire con i pugni al ventre, poi inculare. L’ho fatto due volte. Poi ho dato gli ordini e l’hanno ammazzato, come aveva chiesto. Lo hanno portato qui. L’ho inculato ancora.

Ora Franz sentiva di avere il cazzo duro come una pietra. Gunther alzò lo sguardo su di lui, ma non disse nulla.

- Andiamo.

Franz aprì la porta, spense la luce e guidò Gunther nella sua cella.

- Ora tocca a te.

Gunther annuì.

- È stato Andreas a chiedermi di occuparmi di te. Io avrei preferito non farlo. Che ci pensasse qualcun altro, questa notte.

- Ti ha chiesto Andreas?

Gunther non capiva.

- Sì, voleva che tu non soffrissi o… che potessi realizzare le tue fantasie.

- Le mie fantasie?

- Sì, Andreas aveva quella di essere colpito, di morire come è morto. Tu hai le tue, lo so, anche se non so quali sono. Io ho le mie, più semplici e banali.

- E quali sarebbero le tue? Fottere i cadaveri?

La voce di Gunther era sarcastica. Franz replicò irritato.

- Fottere i vivi, prima, come farò con te. Poi magari anche i morti, quando sono ancora caldi.

La rabbia svaporò. Gunther sarebbe morto di lì a poco. Era legato, conscio che la morte era inevitabile, che entro poche ore sarebbe stato un cadavere, che la Germania in cui credeva non si sarebbe realizzata. Aveva visto morire i suoi amici.

- Mi spiace, Gunther. Dimentica quello che ho detto. Forse Andreas avrebbe fatto meglio a non parlare.

- Mi fotterai davvero, Franz?

Franz lo fissò. Gunther lo desiderava quanto lo desiderava lui.

- Sì, ora. Lo vuoi anche tu. O devo colpirti, prima?

Gunther scosse la testa.

Franz si avvicinò a lui, gli poggiò una mano sul collo, le dita aperte, lo forzò ad appoggiarsi supino sul tavolo. Si aprì i pantaloni.

Si bagnò di saliva due dita, le fece scorrere tra i fianchi di Gunther. Le bagnò di nuovo, le introdusse nell’apertura.

Poi entrò, senza fare complimenti. Non sapeva che cosa voleva Gunther, ma in quel momento lui voleva prendere quel culo, prenderlo con decisione. Gunther sarebbe morto presto, poteva servire solo più per quello.

Mosse un po’ di volte il culo avanti e indietro, quasi uscendo, poi infilzando di nuovo Gunther con un colpo violento. Poi cominciò a spingere vigorosamente, fino a che venne.

Estrasse il cazzo. Era sporco. Gli diede fastidio.

Gunther si alzò. Aveva il cazzo duro. Si mise in ginocchio davanti a lui e, prima che Franz realizzasse che cosa intendeva fare, gli prese il cazzo in bocca. Pulì con cura, poi continuò a succhiare, con movimenti esperti.

- Sei bravo a succhiare cazzi, davvero.

Franz venne una seconda volta. Gunther bevve lo sperma fino all’ultima goccia, ma continuò a tenere il cazzo in bocca.

- Ora basta, Gunther.

Gunther aprì la bocca e lasciò andare la sua preda.

- Ora pisciami in bocca, Franz.

Franz lo guardò stupito. Questa era la sua fantasia? Gli venne da ridere.

- Va bene.

Gunther prese di nuovo in bocca il cazzo e Franz pisciò. Era bello pisciare così, svuotare la vescica dentro una bocca calda.

- E così questa è la tua fantasia.

- Sì, Franz. Vorrei bere piscio fino a morirne.

Franz lo guardò. No, non scherzava.

- Il piscio non manca di certo, qui. Se vuoi posso farti pisciare addosso da trecento soldati.

- Sì, fino a che creperò.

Franz richiuse i pantaloni, Guardò Gunther.

- Sei sicuro che è quello che vuoi?

Gunther annuì.

Franz uscì. Era confuso. Ma se Gunther voleva morire in quel modo, lo avrebbe accontentato.

 

Dopo aver sbrigato i diversi affari, ritornò nella cella. Gunther era seduto in un angolo.

- Sei deciso? Non hai cambiato idea?

Gunther lo guardò. Allargò le gambe. Il cazzo era di nuovo duro.

- Sono pronto.

- Va bene, allora faccio il secondo turno con te, come con Andreas, poi provvedo. Intanto un aperitivo.

Si aprì nuovamente i pantaloni, mentre Gunther si metteva in ginocchio davanti a lui. Gunther aprì la bocca e Franz cominciò a pisciare. Gunther beveva. Ad un certo punto cominciò a tossire ed il piscio gli scese dalla bocca sul mento e poi sul corpo. Franz non smise di pisciare.

Quando ebbe finito, Franz mise Gunther in posizione e lo prese di nuovo. Il pensiero che presto quel corpo che stava fottendo sarebbe stato un cadavere lo eccitava.

 

Diede tutti gli ordini necessari, ma non seguì l’operazione. Entrò solo tre ore dopo.

Gunther era inginocchiato a terra, nudo e con le mani legate dietro la schiena. Il corpo era completamente bagnato e dai capelli il piscio colava lungo la faccia ed il corpo. A terra, un’ampia pozza.

Gunther lo guardò. Aveva gli occhi velati. Stava agonizzando.

- Via tutti. Non fate entrare più nessuno.

Tutti uscirono.

- Bene, Gunther, soddisfatto?

Gunther annuì. Aspettava solo di finire.

- Ora ti fotterò un’ultima volta e ti affogherò nel secchio di piscio. Voglio vederti crepare mentre ti fotto e poi venire nel tuo cadavere.

Gunther si mosse a fatica. Si mise in modo da offrirgli il culo e da avere la testa esattamente sopra il secchio.

Mentre fotteva Gunhter, tre volte Franz gli immerse la testa e la sollevò prima che Gunther soffocasse.

La quarta volta la tenne fino a che non ci più nessuno spasimo. Allora venne dentro di lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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