Il corsaro

 

                                                                  

Dalla finestra Bartolomeo guarda i soldati turchi. Sono solo una dozzina e non sembrano prepararsi ad attaccare. Evidentemente preferiscono attendere i rinforzi: la scala della torre è stretta e due uomini sono in grado di difenderla contro un numero ridotto di assalitori. Questo non significa molto: loro due non possono uscire dalla torre senza essere catturati e nessuno verrà in loro soccorso. Invece arriveranno certamente altri soldati a dar man forte agli assedianti.

- Merda, Daniele! Siamo fottuti.

Daniele guarda l’amico. Annuisce.

- Sì, era una fottuta trappola e noi ci siamo cascati. Siamo rimasti vivi solo noi due, ma quando arriveranno i rinforzi attaccheranno e non potremo difenderci a lungo.

Bartolomeo ripete:

- Merda!

Poi aggiunge:

- Se ci catturano vivi, finiremo impalati. Merda! Impalati e castrati. Giorni interi ad agonizzare con il palo in culo. È una morte da cani, non da uomini.

Bartolomeo rabbrividisce. Hanno sempre saputo entrambi che se fossero stati catturati sarebbero stati impalati. Ma contavano di riuscire come sempre a scampare o almeno di non finire vivi nelle mani dei turchi.

Daniele scuote la testa e dice:

- L’unica nostra possibilità è costringerli a ucciderci nel combattimento. Ma se hanno deciso di prenderci vivi, lo faranno: agli ufficiali non gliene frega un cazzo che muoia qualche uomo in più, pur di averci vivi. Chi ci cattura sarà premiato, gli altri saranno sepolti.

Bartolomeo fissa Daniele.

- Sarebbe meglio se attaccassero ora, quei porci bastardi.  

- Non intendono farlo. Possiamo scendere e affrontarli allo scoperto, ma fuori non farebbero fatica a catturarci vivi. Due contro dodici… assurdo.

- Merda!

C’è un lungo momento di silenzio. Bartolomeo si siede a terra, il capo chino. Daniele rimane alla finestra, a osservare i turchi: vuole essere sicuro che non tentino di attaccare ora. Non si sporge, perché i turchi potrebbe scagliare una freccia o una lancia. Tutto sommato, sarebbe meglio così: morirebbe senza agonizzare a lungo. L’amico ha ragione, Daniele lo sa benissimo: la morte sul palo è atroce.

- Non vedo che cosa possiamo fare, Meo. Al massimo possiamo ucciderci con il pugnale, è l’unico modo sicuro per sfuggire al palo. Piantarlo nel petto e lasciarci cadere in avanti, in modo che battendo sul pavimento il pugnale ci spacchi il cuore.

Bartolomeo tace. Daniele aggiunge:

- Se preferisci posso ucciderti io e poi mi uccido.

Bartolomeo solleva il capo. Fissa Daniele. Ghigna.

- Uccidermi… Ti piacerebbe, eh? Ti piace uccidere.

Daniele alza le spalle.

- Piace a tutti e due.

Bartolomeo annuisce.

- È vero.

Medita un momento, poi dice:

- Sì, potremmo…

Si interrompe. Sorride.

- Forse… potremmo…

Si interrompe.

- Dimmi, Meo. Se hai qualche idea, ben venga.

- Senti, Daniele… a tutti e due piace combattere, e, come hai detto, piace uccidere. Ci viene duro.

Bartolomeo ride, poi riprende:

- Potremmo affrontarci, con i pugnali. Uno dei due sarà ucciso in un duello. L’altro si ucciderà.

Daniele sorride.

- Mi sembra una bella idea. Almeno uno dei due morirà in combattimento.

- Sì…

Nuovamente Bartolomeo ride e prosegue:

- Credo che mi piacerebbe ucciderti e…

Non prosegue la frase, ma ghigna. Anche Daniele ghigna e completa:

- Uccidermi… e magari fottermi, come abbiamo fatto tante volte con le nostre prede. Chi vince non morirà ucciso da un guerriero, ma si prenderà il culo dell’altro. Ti fotterò molto volentieri Meo. In fondo l’ho sempre desiderato.

- Se sarai tu a vincermi, spero di essere già morto quando mi fotti: hai un cazzo da toro.   

Sempre ghignando, Bartolomeo aggiunge:

- Anche se tutto sommato, l’idea di gustarlo non mi spiacerebbe.

Daniele sorride.

- E io te lo farei gustare molto volentieri. Dai, spogliamoci, Meo. Affrontiamoci nudi, così siamo pronti.

Non hanno molto addosso: la camicia, i pantaloni, le scarpe. In breve sono nudi. Meo guarda l’amico e dice:

- Hai un cazzo magnifico. E anche i coglioni… Credo che te li taglierò. Tanto se non lo faccio io, lo faranno i turchi.

- È vero. Finiremo comunque impalati e castrati, ma meglio che lo facciano quando siamo morti, no?

Bartolomeo non riesca a distogliere lo sguardo dal cazzo di Daniele. Questi se ne accorge e dice:

- Meo, tra poco saremo due cadaveri. Se c’è qualche cosa che vuoi, prima che ti ammazzi, dillo.

Bartolomeo si riscuote. Fissa Daniele. C’è asprezza nella sua voce:

- Che cosa intendi?

- Intendo che secondo me hai voglia di gustare il mio cazzo. Non è così, Meo?

Bartolomeo abbassa il capo. Fissa ancora il cazzo dell’amico. Rialza la testa.

- Forse.

- E allora fallo. Divertiamoci un po’ prima di ammazzarci.

- Se te lo succhio, poi te lo taglio, quando ti ammazzo.

Daniele ride:

- Va bene. Chi se ne fotte? Tu o i turchi, che differenza fa?

Meo ghigna.

- È vero, hai ragione.

Si inginocchia davanti a Daniele e avvicina la bocca al cazzo dell’amico. Ne sente l’odore, forte: sudore e piscio. Lo prende in bocca. Incomincia a lavorare con la lingua e le labbra. È la prima volta che Bartolomeo succhia un cazzo e sa che certamente è anche l’ultima: tra qualche ora, al massimo domani, sarà un cadavere senza cazzo e senza coglioni. Posa le mani sul culo di Daniele. Gli piace il contatto con questo corpo caldo, gli piace sentire in bocca il cazzo di Daniele che si tende. Si chiede perché non l’ha fatto prima. Le sue dita accarezzano il culo di Daniele, scorrono lungo il solco, l’indice della destra stuzzica il buco.

Daniele ride:

- Ti piacerebbe gustare il mio culo, vero? Ma devi uccidermi per farlo.

Bartolomeo molla la presa e fissa Daniele.

- Lo farò, Daniele. Ti ucciderò, ti castrerò e ti inculerò.

Daniele ghigna.

- O sarò io a fare le stesse cose a te. E credo che tu abbia voglia di gustare il mio cazzo in culo, come lo gusti in bocca.

Non ha senso mentire: stanno per morire. Bartolomeo annuisce.

- È vero, Daniele. Se mi colpirai, fottimi prima di finirmi. Mi farà un male cane, ma lo voglio.

Bartolomeo riprende a leccare e succhiare. Ora il cazzo di Daniele è rigido, teso verso l’alto.

- Ora basta, Meo, o vengo. E voglio venirti in culo, non in bocca.

Meo si stacca, annuisce. Accarezza il cazzo dell’amico. Sorride.

- È magnifico. Sentirlo in culo dev’essere come quando ti infilano il palo. Forse dovrai usare il pugnale e allargare il buco, come fanno per far entrare il palo.

Daniele ride.

- Vedrai che lo faccio entrare senza usare il pugnale.

C’è un momento di silenzio, qualche cosa di non detto tra di loro. È Daniele a parlare, a esprimere il desiderio di entrambi.

- Meo, se vuoi… posso mettertelo in culo ora. Lo desideri, come lo desidero io.

Bartolomeo guarda l’amico. Sorride.

- È vero che lo desidero, ma dovrai guadagnartelo. E non è detto che invece del mio culo, tu non gusti il mio pugnale. E il mio cazzo.

Bartolomeo si alza e prende il pugnale. Daniele fa altrettanto. Lotteranno, ma tutti e due intuiscono che la lotta si concluderà con la vittoria di Daniele: Bartolomeo vuole la propria sconfitta, vuole sentire il cazzo di Daniele farsi strada dentro di lui.

Daniele attacca. Bartolomeo schiva la lama e a sua volta cerca di ferire l’amico. È un duello lungo e accanito: se Daniele ha contato su una facile vittoria, deve ricredersi in fretta. La luce del sole entra dalla finestra e fa caldo. Sudano entrambi abbondantemente. Rivoli si formano sul petto e scendono a perdersi tra il pelame rigoglioso. Anche il viso è bagnato e a tratti uno dei due si passa il dorso di una mano sulla fronte per evitare che le gocce gli finiscano negli occhi. Sono eccitati e i loro cazzi svettano.

- Merda, Meo! Mi stai facendo sudare come un porco.

Meo ride.

- Se vuoi il mio culo, te lo devi guadagnare.  

Si muove rapido e Daniele fa appena in tempo a schivare il colpo, che lo prende di striscio a un braccio.

- Merda!

Daniele salta addosso a Bartolomeo, bloccandogli la mano che stringe il pugnale. L’amico riesce a stringergli il polso, deviando la lama che stava per penetrargli nel petto. Scivolano entrambi a terra, cercando di liberarsi dalla stretta dell’altro. Nella caduta Daniele perde il pugnale.

- Sei fottuto, Daniele.

Ma il corsaro non ha lasciato la presa e stringe il polso di Bartolomeo. Si dibattono. Daniele è sulla schiena e Bartolomeo è su di lui, il pugnale ancora in mano, ma il polso bloccato dall’amico.

Bartolomeo sente contro il culo il cazzo di Daniele, duro, caldo. Gli sembra che il mondo svanisca. Daniele ne approfitta per girargli il polso: ora la lama di Bartolomeo è diretta contro il suo stesso ventre. Daniele esercita una forte pressione. Bartolomeo cerca di resistere. Ora la punta sfiora la sua pelle. E il cazzo di Daniele si muove, no, è il corpo dell’amico che si muove, che gli blocca le gambe con le proprie, le allarga leggermente, in modo che la cappella prema contro il buco del culo di Bartolomeo.

- Merda! Che cazzo fai?

Daniele ride.

- L’hai capito benissimo, Meo. Stai per gustare il mio cazzo.

- Merda! No!

Le mani di Daniele premono su quelle di Bartolomeo, il suo cazzo preme contro il culo dell’amico.

Ora la voce di Daniele è quasi dolce, un sussurro:

- Lo vuoi anche tu, Meo. Lo sai. Il mio cazzo in culo e poi la morte.

Bartolomeo ancora si dibatte, ma gli mancano le forze. Non si rende conto di muovere il culo per favorire l’ingresso. E quando il cazzo di Daniele si fa strada dentro di lui, cede. Il pugnale gli squarcia il ventre, mentre il cazzo gli squarcia le viscere.

- Merda!

Bartolomeo si abbandona completamente. Una mano è ancora sull’impugnatura del pugnale, l’altro braccio va indietro, a cingere il collo dell’amico, in un abbraccio al suo assassino.

Daniele sorride. Sfila il pugnale e, tenendo stretto Bartolomeo tra le braccia, si gira, in modo che l’amico rimanga disteso sulla pancia sotto di lui. Incomincia a muovere il culo con forza: non intende risparmiare nulla a Bartolomeo.

- Ecco, ora lo senti il mio cazzo? Il cazzo del tuo assassino. Lo desideravi.

Il sangue che sgorga dalla ferita si allarga sotto il corpo di Bartolomeo, che emette suoni strozzati mentre l’amico lo incula. Lo desiderava, è vero. È un buon modo di morire.

- Mi fai crepare… con un palo… in culo…

- Sì, morirai con il mio cazzo in culo.

Daniele spinge con vigore: è un ottimo stallone. Bartolomeo geme. Malgrado la ferita, ha il cazzo ancora duro.

- Tra poco, Meo. Non manca più molto. Tra poco verrò e poi ti ucciderò.

- Lo fai… volentieri… eh?

- Sì, come l’avresti fatto tu.

- È vero.

- Uccidere è bello. Uccidere un maschio forte che hai sconfitto è meraviglioso.

- Mi hai fottuto… sei tu il maschio… io sono… la tua troia.

- Sì.

Daniele prosegue con le sue spinte, fino a che viene. Rimane un buon momento steso su Bartolomeo. È stato bellissimo.

Stringe l’amico tra le braccia e si volta sulla schiena. Ora Bartolomeo è nuovamente sopra di lui.

- È ora, Meo. Sei pronto?

Meo non risponde subito. Daniele ripete:

- Ora di crepare. Ti ucciderò e poi ti castrerò, così non saranno i turchi a farlo.

- Lo fai volentieri, vero?

- Sì, è vero.

- Sei tu il maschio. Io… no… io no.

Meo passa una mano sul cazzo, ancora gonfio di sangue, anche se non più rigido. Stringe i coglioni.

Daniele lo lascia fare. Intuisce che l’amico non ha ancora ceduto alla morte che lo attende.

Bartolomeo ride, una risata strozzata.

- Se vincevo… ti inculavo e poi ti castravo… prima di ammazzarti. Se ti inculavo, non eri più un maschio.

Daniele non dice nulla. Bartolomeo chiude gli occhi.

- È ora, Meo.

Bartolomeo fa un cenno d’assenso.

- Hai vinto. Mi hai fottuto con il cazzo. Ora puoi fottermi con il pugnale.

Daniele vibra un colpo al cuore, che mette fine all’agonia di Bartolomeo.

Daniele chiude gli occhi. È stato tutto troppo forte, troppo bello. Adesso però è il momento di darsi la morte.

Si muove per far scivolare a terra il corpo dell’amico, ma in quel momento entrano i soldati turchi. Gli sono addosso prima che abbia avuto il tempo di rialzarsi e lo bloccano. Lo colpiscono con pugni e calci, per spegnere ogni resistenza, poi gli legano le mani dietro la schiena e lo fanno alzare.

Daniele li guarda con disprezzo. Non vuole mostrare paura.

Lo fanno scendere per le scale e lo caricano su un asino, mettendolo rivolto all’indietro, in segno di spregio. Il cadavere di Bartolomeo viene caricato su un altro asino e legato in modo che non cada.

Viaggiano per tutta la notte. In mattinata arrivano in città: qui, nella piazza, avverrà l’esecuzione, perché tutti possano assistere allo spettacolo della sua fine.

Daniele viene condotto nella fortezza. Lo fanno scendere e lo conducono in uno stanzone. Lo mettono su un tavolo, gli legano le caviglie alle zampe posteriori, forzandolo a divaricare le gambe, e i polsi alle zampe anteriori.  

Daniele ha capito che cosa intendono fargli: non è raro che i prigionieri vengano stuprati.

Il comandante dice qualche cosa. Un uomo, che è di fronte a Daniele, fa un cenno d’assenso e si cala i pantaloni. Si accarezza il cazzo, fino a che viene duro. Allora si gira nuovamente, per mostrare la sua attrezzatura a Daniele. È un colosso, di pelle piuttosto scura, chiaramente con sangue africano nelle vene. Esibisce un grosso cazzo perfettamente teso.

Daniele lo guarda e rabbrividisce. L’uomo passa dietro di lui e gli poggia le mani sul culo, divaricando la natiche. Daniele non può opporsi allo stupro.

A un cenno del comandante, l’uomo preme con la cappella contro il buco del culo, lo forza e spinge il cazzo ben dentro, fino a che i coglioni sbattono contro le natiche del corsaro. Il dolore è violento: l’uomo è entrato brutalmente e Daniele non è abituato a essere inculato. Dolore e umiliazione gli bruciano dentro.

È riuscito a non urlare per il dolore. Si limita a dire:

- Bastardo!

L’uomo ride e spinge con forza, avanti e indietro, assaporando il piacere che gli trasmette questo culo caldo e la coscienza di stare fottendo un bastardo infedele, un figlio di puttana che per anni ha devastato le coste dell’Impero e ora ha finalmente ciò che si merita.

L’uomo procede a lungo, con spinte molto violente. Quando infine viene e si ritira, sul cazzo ha un po’ di sangue. Vedendolo sorride.

Daniele ha abbassato il capo. Il dolore è stato bestiale, ma più forte ancora è l’umiliazione, la rabbia: è stato stuprato da uno schifoso bastardo.

Il comandante sorride, soddisfatto: ha apprezzato lo spettacolo. Fa di nuovo un cenno a un soldato.

Daniele ha un guizzo di ribellione, cerca con uno strattone di liberare le braccia, ma le corde sono ben strette: non può fare nulla.

L’uomo che lo prende per secondo è anch’egli alquanto dotato e come il primo entra con violenza. Il dolore esplode. Daniele digrigna i denti e grida:

- Bastardi! Schifosi bastardi!

L’uomo lo fotte a lungo. Quando infine viene, si ritrae. Dal culo del corsaro cola un po’ di sborro, misto a sangue. L’uomo passa davanti, il grosso cazzo ancora gonfio di sangue. Ride e dopo un momento incomincia a pisciare in faccia a Daniele. Il corsaro chiude gli occhi.

Uno dopo l’altro gli uomini lo prendono. Per tutto il giorno i soldati fottono il corsaro, gli pisciano in faccia e sulla testa, lo deridono. Dal culo di Daniele il sangue cola, misto a molto seme. Il dolore diviene sempre più forte.

La notte Daniele viene lasciato nella posizione in cui si trova. Sprofonda in un sonno torbido, da cui si sveglia spesso. Il dolore non si attenua.

 

Il mattino seguente lo slegano e lo forzano a camminare attraverso le vie fino alla piazza, dove è stato montato un palco. Ogni passo è un tormento. Dal culo scendono ancora sborro e sangue e il dolore è feroce.

Daniele non intende mostrare segni di debolezza e si sforza di camminare a passo sicuro, malgrado il dolore. Il percorso è breve, ma ai lati delle vie si è assiepata una folla, che grida, lo insulta, lo deride, gli lancia oggetti.

Infine giungono in piazza. Sul palco è già stato issato un palo e c’è un cadavere. Daniele non lo riconosce subito: da lontano gli pare quello di un nero. Ma quando è più vicino vede che è il corpo di Bartolomeo, ricoperto di merda e da un’infinità di insetti.

Mentre sale sul palco gli arriva l’odore: un fetore di decomposizione e merda. Bartolomeo è morto da quasi due giorni, il calore ha accelerato la decomposizione.

Quando arriva in cima alla scala Daniele può vedere gli strumenti del supplizio: una sella di legno, su cui sarà costretto ad appoggiarsi, le corde per legargli le caviglie e allargargli le gambe, il forcone per bloccargli il collo e tenerlo in posizione, il coltello che servirà per allargargli il buco del culo, l’apertura in cui verrà infilato il palo quando lo innalzeranno. Il carnefice lo guarda e sorride.

Daniele rabbrividisce. Quando lo afferrano, si dibatte. Non ha modo di sottrarsi al supplizio, lo sa, ma il suo corpo rifiuta lo scempio a cui è destinato. Daniele insulta gli uomini, che infine lo costringono a inginocchiarsi e appoggiarsi con il torace sulla sella. Due di loro premono sulla sua testa, impedendogli di alzarla e un terzo gli blocca il collo con il forcone, le cui punte premono sul legno del palco. Altri due gli tengono ferme le gambe e passano le corde alle caviglie. Tirano verso l’esterno, in modo da divaricare bene le gambe e le natiche.

- Bastardi!

Un uomo si inginocchia dietro di lui. Daniele si tende. Avverte la pressione di una punta che si infila nel suo culo. Maledice ancora, mentre la lama affonda poi, con un movimento brusco, si sposta verso l’alto, squarciando l’apertura. Daniele urla, un grido di puro dolore. Il sangue cola abbondante. L’uomo si alza e sparge una pasta che ferma l’emorragia. Il culo del corsaro è pronto ad accogliere il palo. La sella viene tolta, ora Daniele è disteso sul legno, le gambe ben divaricate.

Gli uomini prendono il legno e lo mettono in posizione, la punta acuminata contro l’apertura insanguinata. Daniele sente la pressione del palo che tra poco entrerà dentro di lui, regalandogli una morte terribile.

Il boia colpisce il palo, che penetra a fondo nel culo del suppliziato. Daniele grida, la testa schiacciata a terra, in preda a un dolore atroce. Si divincola, invano. Il martello del boia si abbatte di nuovo sul palo, che si fa strada nella carne, dilaniando le viscere del condannato. A ogni colpo Daniele urla, un urlo che non è più umano.

Poi la voce gli manca e quello che esce dalla sua bocca è solo più un suono soffocato, versi animali che sgorgano insieme a saliva e sangue. Daniele non vede più nulla, non sente più nulla, solo il palo che gli scava le viscere e avanza, inesorabile, dentro di lui, sempre più a fondo, nel petto.

Il boia si ferma. Il corpo del condannato è infilzato dal palo fino allo sterno. Può bastare così.

Gli uomini tolgono il forcone che bloccava la testa di Daniele. Il corsaro emette suoni inarticolati. Gli uomini infilano il palo nell’apertura del palco. Quando il palo viene issato, il movimento è un nuovo strazio, che porta il palo a penetrare ulteriormente nel corpo del suppliziato. Daniele grida ancora.

Il mondo ondeggia, senza contorni precisi. Anche le voci sono solo un ronzio indistinto. Lentamente le immagini ritornano nitide e stabili. Daniele può vedere gli uomini che lo fissano: il boia e i suoi aiutanti, sudati per lo sforzo e soddisfatti del loro lavoro; i soldati, molti dei quali hanno la mano sul davanti dei pantaloni, a ricordargli che ieri ha gustato tutti i loro cazzi; la folla che grida il suo odio e la sua gioia.

Daniele sente il dolore che pulsa, atroce, un fuoco inestinguibile nel culo, nel ventre, nel torace. Il suo corpo è solo sofferenza. Daniele respira a fatica.

Le ore passano, interminabili. Gli insetti si posano sul suo corpo, si abbeverano del sudore che scorre a rivoli. Daniele vorrebbe gridare, vorrebbe chiedere di essere ucciso, ma sa che nessuno lo ascolterebbe. E allora preferisce agonizzare in silenzio.

La notte porta un po’ di sollievo: dopo il tramonto la temperatura scende e gli insetti sembrano meno famelici. A tratti Daniele perde coscienza, ma anche nei momenti in cui è immerso nel dormiveglia il dolore rimane forte.

Il giorno dopo la folla riempie di nuovo la piazza: sono arrivati tutto presto, anche se la castrazione avverrà solo a metà giornata. Le punture degli insetti hanno coperto la pelle di segni rossi e il cazzo è gonfio.

In mattinata vengono portati due secchi pieni di merda e piscio. Un soldato sale su uno sgabello e li rovescia in testa a Daniele, uno dopo l’altro.

 

Il sole è alto in cielo quando un ufficiale fa segno a una guardia. Il grido di esultanza della folla desta Daniele dal torpore che lo invade. L’uomo si avvicina al cadavere di Bartolomeo, afferra i genitali e li recide. Poi mette uno sgabello di fianco al palo su cui è infilzato il corpo di Daniele. Questi capisce e dice:

- Porco… bastardo…

La guardia ride e infila il cazzo di Bartolomeo nella bocca di Daniele. I coglioni pendono sul mento.

Poi scende e afferra con la sinistra i coglioni e il cazzo del corsaro, tanto gonfio per le punture da essere quasi rigido. Ride e avvicina la lama. Daniele lo guarda: è ancora cosciente. Vorrebbe insultarlo ancora, ma ha in bocca il cazzo di Bartolomeo e non può parlare.

Quando la lama incomincia a tagliare la carne, il corsaro si contorce. Il pugnale prosegue nella sua opera e il sangue si mescola al sudore e agli insetti. Daniele agita la testa, mentre il boia completa la sua opera.

L’uomo sposta lo sgabello, mettendolo vicino al cadavere di Bartolomeo, sale e infila i coglioni di Daniele in bocca al morto. Il grosso cazzo sporge tra le labbra, grottesco.

La notte le sentinelle sono autorizzate ad allontanarsi dai due corpi, disponendosi agli angoli delle vie che conducono alla piazza, perché il fetore diventa sempre più forte. Attratti invece dalla merda e dal sudore, centinaia di mosche, tafani e altri insetti volano intorno al corpo e si posano sulla pelle dell’agonizzante. Le punture e i morsi sono una continua sofferenza, che si aggiunge al dolore tremendo che sale dalla carne attraversata dal palo e dalla ferita della castrazione.

Gli insetti lo divorano: il suo corpo si copre dei segni rossi lasciati dalle punture e dai morsi, che fanno gonfiare la pelle e la lacerano. Le piccole ferite attraggono altri insetti.

 

La terza notte quattro sentinelle rimangono di guardia. Daniele a tratti perde i sensi, ma poi ritorna cosciente, per periodi sempre più brevi.

Quando il sole spunta, sul palco ci sono solo due cadaveri ricoperti di merda.

 

 

 

 

 

 

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