LA NUVOLA

 

 

        

I - IL DUELLO

 

Si ritrovarono nel solito pub. Sapevano che sarebbe stata l’ultima volta: entro pochi giorni sarebbero morti tutti. La proposta l’aveva fatta Ed. Erano amici fin dai tempi della scuola superiore e avevano continuato a frequentarsi anche se avevano preso strade diverse.

La conversazione si concentrò alla nuvola, l’argomento di cui parlavano tutti. La nube tossica provocata dall’asteroide aveva già spento la vita in gran parte del mondo.

- È arrivata in Spagna questa mattina.  Probabilmente sarà qui tra tre o quattro giorni.

Lo sapevano tutti: seguivano il telegiornale o si collegavano a Internet per conoscere gli ultimi sviluppi, sperando di sentire che la nuvola si era fermata. Ma la nuvola si allargava sempre, avanzando inesorabile. E non lasciava nulla in vita: le immagini trasmesse dai satelliti, dai droni e dalle telecamere ancora funzionanti nei continenti già colpiti non davano speranze: ogni forma di vita veniva cancellata, piante e animali morivano rapidamente.

- Gli ultimi a crepare saranno i canadesi, a quanto pare, entro dieci giorni, al massimo quindici. E in Europa i norvegesi: reggeranno qualche giorno più di noi, ma tra una settimana saranno fottuti anche loro.

- No, gli ultimi a crepare saranno quelli che hanno i rifugi antiatomici. Se riescono a depurare l’aria, possono andare avanti a lungo.

- Capirai che vita di merda, sottoterra, a mangiare cibo in scatola e gallette, senza poter uscire, senza poter fare nulla, aspettando la morte! Perché tanto non rimarrà più niente di vivo sulla Terra e, finite le provviste, creperanno anche loro.

- Contenti loro!

- Le pastiglie le avete tutti, vero?

La nube provocava una morte dolorosa: l’agonia durava parecchie ore, anche giorni. I governi dei diversi paesi avevano distribuito le pastiglie, che assicuravano una morte rapida e indolore.

- Certo. Ma le prenderemo all’ultimo minuto. Voglio godermi quel poco che resta.

- Sempre che qualcuno non ti ammazzi: magari c’è chi ce l’ha con te.

Quando era diventato chiaro che sarebbero morti tutti, c’era stata un’ondata di omicidi e altri reati. Molti avevano deciso che, visto che dovevano morire, tanto valeva togliersi qualche soddisfazione: vendicarsi di un capo dispotico, di un vicino antipatico, di un rivale in amore, di un marito infedele.

- Non credo di avere nemici interessati alla mia morte.

- Tu, Rupert, ne avrai senz’altro. Qualche tuo studente.

- Figurati. Che vuoi che gli importi del professore di storia medioevale?

- E tu, Gerald?

- Io non conto di farmi ammazzare. Vorrei invece ammazzare qualcuno.

- Ah, sì? Chi?

Gerald alzò le spalle.

- Non una persona particolare.

- Che cosa intendi dire?

- Sapete che mi piace cacciare. Mi piace uccidere. Vorrei uccidere un uomo. Capire che cosa si prova a uccidere un uomo.

Rod e Sam lo guardarono scandalizzati.

- Ammazzare un poveretto…

Gerald interruppe Sam:

- No. Un duello. Ad armi pari. Uno dei due, il più abile o il più forte, fotte l’altro. Come in uno di quegli antichi riti di morte, quelli di cui mi hai parlato, Rupert.

Rupert annuì. Lui e Gerald avevano parlato a lungo dei riti di morte presso le antiche popolazioni europee, un tema che aveva sempre affascinato Rupert e che Gerald aveva scoperto con grande interesse.

- Che cazzo di roba è, Rupert?

- Antichi riti delle montagne scozzesi, a quanto pare.

- Dicci qualche cosa di più.

Rupert alzò le spalle. Non aveva voglia di parlare dell’argomento.

- Che guerrieri si sfidassero a duello per stabilire chi fosse il più forte era un uso diffuso in tutto il mondo, lo sapete benissimo.

Gerald intervenne:

- Ma presso questa popolazione scozzese il rito era… più interessante.

Gerald sorrise.

- In che senso?

- I due guerrieri si affrontavano con un pugnale, con cui cercavano di colpire l’altro al ventre, senza ucciderlo subito.

- E poi?

- Chi riesce a infilare il pugnale in pancia all’altro, lo incula.

- Un rito di morte con scopata.

- Non è finita. Il guerriero inculato pulisce il cazzo del vincitore, con la lingua, naturalmente, poi ne beve il piscio. E infine viene castrato prima di essere ucciso.

- E quindi tu vorresti rischiare di essere inculato, costretto a mangiarti la tua merda, poi castrato? Ma ti manca qualche rotella?

Rod si rivolse a Rupert:

- Ma è vera, sta roba?

- Non sappiamo. Il rito è descritto in un testo di un monaco inglese del IX secolo. È un testo sicuramente autentico, ma forse poco attendibile. Il monaco cristiano riportava indignato questi antichi riti di morte, ancora presenti presso alcune tribù. Si basava su voci che gli erano state riferite e può darsi che le voci corrispondessero solo in parte alla realtà. O che lui calcasse un po’ la mano per mettere in risalto la bestialità dei pagani. Però…

- Però?

- Però ci sono in cronache e altri testi medioevali alcuni elementi che potrebbero fare riferimento proprio a questi riti. O a pratiche simili.

La conversazione si spostò. Rupert parlò poco. Guardava Gerald. Non erano mai stati davvero amici, anche se stavano bene insieme. Rupert si disse che Gerald sarebbe stato un assassino perfetto.

Quando si lasciarono, Gerald disse:

- Ti accompagno a casa, Rupert. Non vorrei mai che trovassi qualcuno che ti vuole ammazzare.

Rupert rise e disse:

- Per capire cosa si prova a uccidere…

- Esatto.

Quando furono davanti alla casa di Rupert, Gerald disse:

- Lo facciamo, Rupert?

Rupert guardò Gerald. Ebbe l’impressione che gli mancasse l’aria.

- Che cosa intendi dire?

Aveva capito benissimo, ma gli sembrava incredibile che l’amico glielo proponesse.

- Credo che tu abbia voglia di provare.

- Rischiare di essere castrato? No, non ci tengo. Non vedo perché dovrei morire soffrendo in modo atroce.

- Non hai voglia di prendere la pastiglia. Preferiresti essere ammazzato.

Rupert guardò Gerald.

- Forse, ma non in quel modo.

- Anche il modo ti tenta. Hai solo paura del dolore.

Rupert non rispose subito. Aveva a volte fantasie di violenza e di morte che lo eccitavano, era vero. Un rapporto brutale non gli spiaceva e un po’ di dolore poteva essere un buon ingrediente nei giochi del piacere. Ma qui si parlava di una morte terribile.

- Forse è così, Gerald. Ma non vedo perché dovrei morire tra sofferenze atroci.

- A questo si può provvedere. Un po’ di cocaina, nel mix giusto, e reggerai benissimo. Te lo garantisco. Anche il dolore più violento diviene tollerabile.

- Tu sei pazzo.

- No. Io ho voglia di scoprire che cosa si prova a uccidere. E tu sei affascinato da questi antichi riti. Ti piacerebbe morire così.

- Di’ pure che a te piacerebbe uccidermi.

- Sì, è vero. Mi piaci e ti fotterei volentieri, con il cazzo e con il coltello.

Gerald fece una pausa, poi proseguì:

- E credo che a te piacerebbe farti uccidere da me.

Era vero, Rupert non poteva negarlo. Gerald era un maschio forte, che sapeva essere brutale: un tipo di maschio che a Rupert piaceva. Sarebbe stato un assassino perfetto.

Rimasero a guardarsi un momento in silenzio, poi Gerald disse:

- Saliamo da te.

Rupert annuì, ma salendo le scale ripeté:

- Tu sei pazzo, Gerald.

Quando furono nell’appartamento, Gerald si accomodò in salotto. Rupert si sedette davanti a lui. Gerald sorrise e disse:

- La mia villa nel Sussex. Ci arriviamo, nonostante il casino per le strade. La dose giusta di cocaina e altri farmaci, che ti lasciano perfettamente lucido, ma ti permettono di tollerare il dolore. E poi il duello, un vero duello.

- Non pensi che potrei ucciderti?

- Sì, potresti. Tu desideri morire ucciso, ma la reazione di difesa, magari anche gli effetti del mix… potresti sbudellarmi. In questo caso sarai tu a fottermi e io ti pulirò il cazzo, prima che tu mi pisci in bocca e mi castri.

- E ti andrebbe bene? Non ti spaventa?

- Preferisco ucciderti, ma sapere che potrei essere ucciso non mi spaventa, tutt’altro: rende il duello vero, mi dà la carica necessaria. Non mi interessa un’esecuzione, preferisco un vero duello mortale.

- Mi sembra una follia.

- Lo è. Una follia che desideriamo entrambi.

Ci fu un momento di silenzio, poi Rupert disse:

- Sei sicuro che quel fottuto mix funzioni davvero?

Gerald rise.

- Te lo garantisco, l’ho provato.

Poi aggiunse:

- Ero sicuro che avresti accettato.

- Mi conosci abbastanza.

- Sì. So quali abissi copre la tua aria di rispettabile professore universitario di storia medioevale, come gli abiti coprono i tuoi tatuaggi.

Rupert rise. Gerald proseguì:

- Non sei quello che sembri, la tua apparenza inganna ed è un aspetto di te che ho sempre apprezzato. Sei molto più profondo di quanto appari. E non ti spaventano gli abissi che hai dentro.

 

Arrivare alla villa non fu facile. Il paese si stava sgretolando, gli incidenti si erano moltiplicati e se una strada si bloccava, non veniva più sgomberata. Dovettero tornare indietro più volte, ma nel tardo pomeriggio arrivarono alla casa di campagna di Gerald.

- Adesso o domani?

- Domani, freschi e riposati.

Mangiarono i panini che si erano portati dietro, poi passarono in salotto, dove chiacchierarono. Infine salirono al piano di sopra.

- Dormiamo insieme? Ti va?

L’avevano fatto, da ragazzi, in quella stessa villa. Non nello stesso letto, ma in due letti vicini.

- Per me va bene.

Si spogliarono, guardandosi. Rupert ghignò, per nascondere il suo turbamento, e disse:

- Non so se reggerò a prendermi in culo in tuo cazzo. Spero che la cocaina serva anche per quello.

Gerald rise. Sapeva di essere molto dotato, già al liceo lo avevano soprannominato “Il Toro”.

- Sì, sì, serve anche per quello. E credo che tu abbia voglia anche di quello.

Era vero, Rupert non poteva negarlo. Gerald lo aveva sempre attratto come maschio.

- Sì, è vero, Gerald. Non l’abbiamo mai fatto, ma…

Gerald completò la frase per lui:

- Ma adesso che stai per crepare ti piacerebbe provare.

Rupert non replicò. Gerald aveva ragione.

 

Poi si coricarono in un letto matrimoniale.

Rupert pensò che era l’ultima notte della sua vita. Era sicuro che avrebbe dormito poco, ma si addormentò presto. A svegliarlo fu il sogno.

 

Vide i quattro intorno a Gerald. Lo avevano afferrato per le braccia, ma lui si dibatteva. Rupert non riusciva a vedere bene la scena, dal ce­spuglio scorgeva solo i corpi dalla vita in su, attorno al suo amico. Poi vide la faccia di Gerald mutare espressione, la bocca spalancarsi in un urlo che non sentì, poi ancora una seconda vol­ta e vide che la lotta era cessata. Due tenevano fermo Gerald e gli altri due dovevano colpirlo, perché l’amico contraeva il viso in smorfie di dolore. Quando lo lasciarono crollò. Poi si voltarono verso di lui. Lo vedevano, benché fosse nascosto dal cespuglio. Ora correva disperatamente. Per due volte scivolò sull'erba umida e si rialzò, voltandosi a guardare i quattro giovani. Non correva­no, avanzavano con passi lunghi, senza sforzo, ed erano sempre più vicini. Capiva che non ce l'avrebbe mai fatta. Il fiato gli mancava, ma il terrore lo spingeva ancora a correre. Cadde una terza volta, ai piedi di un albero. Si rialzò a fatica, appog­giando una mano al tronco e cercando di fermare il mondo che gli girava intorno e sembrava voler crollare. Quando finalmente il prato smise di muoversi, li vide intorno a sé. Il suo sguardo ri­salì lentamente, per una paura ben più profonda di quella di ca­dere, dalle gambe snelle strette nei pantaloni neri, al rigonfio del sesso e subito sopra ai ventri lisci e alle mani forti. Due di loro stringevano un coltello. Un brivido gli scese lungo la schiena. Guardò ancora i toraci robusti, appena velati da una leggera peluria, ma non osava alzare lo sguardo ai loro visi. Erano immobili. Aspettavano. Si fece forza e li fissò. Erano visi impassibi­li, con i lineamenti decisi, gli occhi chiari inespressivi, i ca­pelli biondi per uno di loro e neri per gli altri, sciolti sulle spalle. Raddrizzò il corpo e lasciò il sostegno del tronco. I due senza coltello gli si misero ai lati, bloccandogli con le mani le braccia. Gli altri due erano di fronte a lui e lo fissavano. Poi il biondo vibrò il primo colpo, sotto l'ombelico. Vide il proprio ventre aprirsi e un forte getto di sangue schizzare tutto intor­no, mentre il giovane ritirava il coltello. Sapeva di soffrire, ma non sentiva il dolore. Al secondo colpo, vibrato dal bruno al­la base del cazzo, dal basso verso l'alto, vide il proprio sesso staccarsi netto e cadere per terra. Al terzo colpo il biondo girò il coltello in verticale e gli aprì il ventre dal pube allo sterno. Rupert urlò. Urlò.

- Che hai, che ti succede?    

Gerald lo scuoteva. Rupert si svegliò sudato ed ansimante. Un so­gno. Il respiro gli si calmò.

- Un incubo. Ho avuto un incubo. Niente.

Gerald scosse la testa.

- Sei teso, è inevitabile. Cerca di dormire, adesso. Domani devi essere in forma.

Dopo un momento l’amico si sdraiò su un fianco e riprese a dormire. Rupert guardò la schiena di Gerald, steso accanto a lui. Avrebbe voluto accarezzare quel corpo nudo, ma si trattenne. Guardò il soffitto. Sapeva che non avrebbe più ripreso sonno. Guardò nuovamente Gerald, di cui sen­tiva il respiro pesante. Fece scorrere un dito lungo le vertebre, poi tra i fianchi. Gerald continuava a dormire: aveva il sonno pesante. Emise solo un sospiro.

Rupert si accorse che il cazzo gli si stava tendendo.

 

Il mattino fecero una colazione leggera.

- Quando lo facciamo?

Rupert sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

- Quando vuoi.

- Ti va bene in serata? Così abbiamo il tempo di preparare tutto e riposare ancora un momento.

- Che cosa c’è da preparare?

- La villa, la nostra pira funebre.

- Che cazzo dici?

- Rupert, non so che cosa vuoi fare tu nel caso che tu vinca, se vuoi prenderti quella fottuta pastiglia o che cosa. Se vinci fai quello che vuoi. Se vinco io, incendierò questa villa e i nostri cadaveri bruceranno insieme alle mura.

- Non intendi bruciare vivo, vero?

- No, non mi piace. Mi impiccherò. Se vinci tu, puoi decidere di farlo. Oppure quella fottuta pastiglia. Quello che cazzo vuoi.

Rupert annuì.

Passarono una parte della mattinata a trasportare sacchi di pellet e a spargerli in alcune stanze al primo piano, vicino alle tende, che avrebbero preso più facilmente fuoco. Poi sgomberarono il salotto, dove si sarebbero affrontati. Gerald smontò il lampadario e appese al gancio un cappio che aveva portato con sé. Mise sulla mensola del camino un paio di manette.

- E quelle a che cazzo servono?

- Se vinco io, salito su quello sgabello, sistemerò il cappio intorno al collo, mi metterò le manette, in modo da bloccare le mani dietro la schiena. Poi darò un calcio allo sgabello. Sarà una lunga danza, perché il salto sarà minimo e il mio collo è alquanto grosso, ma va bene così.

- Mi piacerebbe vederti morire impiccato.

Gerald rise.

- Non dubito, ma non sarà possibile, temo. A meno che non ci sia un aldilà da cui puoi vedere.

- Non mi sembra probabile.

Quando ebbero finito di preparare tutto, Rupert disse:

- Avrei bisogno di una doccia.

- Non è meglio che rimaniamo così? Secondo me gli antichi guerrieri scozzesi non si facevano una doccia prima di combattere.

Rupert annuì.

- Va bene.

Mangiarono un boccone. Gerald tirò fuori quattro pastiglie e ne diede due a Rupert.

- Che cazzo è?

- Servono anche queste.

- Non è una risposta.

- Fidati, Rupert.

Rupert inghiottì le pastiglie con un bicchiere di vino bianco.

Poi tornarono a stendersi. Gerald si addormentò. Rupert rimase sveglio, ma non aveva sonno: aveva solo bisogno di un po’ di riposo dopo il lavoro del mattino. Sentiva l’odore di sudore di Gerald.

Il sole stava ormai tramontando quando si alzarono.

- Sei pronto, Rupert?

- Sì.

Sì, era pronto.

Scesero nel salotto.

 

Gerald estrasse dalla borsa che aveva portato da Londra un piccolo braciere di alluminio e un’ampolla di vetro. Poi prese una busta piena di polvere bianca, che versò sulla lastra del braciere. Accese la fiamma sotto la lastra. Prese due cannucce e ne porse una a Rupert.

- Aspira il fumo.

E con la sua cannuccia gli mostrò come fare.

Rupert lo imitò. Si sentì subito più forte e pieno di energia. Gli sembrava di poter fare mille cose. Rise.

- Cazzo, che bello!

Gerald scosse la testa. Accese il camino. Rupert lo guardò perplesso. Chiese:

- Perché cazzo accendi il camino? Fa già un caldo fottuto.

Era vero. Rupert avvertiva il fastidio degli abiti che il sudore incollava alla pelle.

- Perché combattiamo nudi, come gli antichi guerrieri. Perché mi piace sudare. E perché se vinco io, questa villa brucerà in un grande rogo, te l’ho detto. Userò un tizzone per incendiare tutto.

Rupert annuì.

 

Si spogliarono e gettarono gli abiti in un angolo. Poi presero i pugnali. Rupert sapeva che stava per morire, ma continuava a sentirsi euforico. Si chiese se le pugnalate gli avrebbero restituito la sobrietà, ma ne dubitava.

Si guardarono, sorridendo.

- Hai avuto una buona idea, Gerald, una fottuta buona idea.

Gerald rise.

- Sapevo che ti sarebbe piaciuta.

Si mossero circospetti. Nessuno dei due aveva mai affrontato un duello, ma entrambi avevano praticato la lotta. Rimanevano a una certa distanza e quando uno avanzava, l’altro si ritraeva. Nessuno dei due aveva fretta. Si godevano quel duello.

Gerald attaccò, ma Rupert evitò il colpo. Poi provò ad attaccare, senza risultato. Gerald riuscì a ferirlo al braccio, un taglio superficiale, appena un graffio.

Rupert rise di nuovo. Non avvertiva il dolore.

- Cazzo! Fai sul serio, pezzo di merda!

E rise. Gli pareva di essere ubriaco. Perfettamente lucido, ma ubriaco. Aveva voglia di dire parolacce, di insultare Gerald, di abbracciarlo.

- Anche tu fai sul serio.

- Una bella idea, una fottuta bella idea.

Stavano sudando tutti e due. Rupert guardava i rivoli di sudore che scorrevano lungo il petto di Gerald, perdendosi tra il pelame più fitto del ventre. A Gerald stava venendo duro e anche Rupert avvertiva una certa tensione. Effetto di qualche cosa che Gerald aveva mischiato alla cocaina? O delle pastiglie che aveva preso prima? O semplicemente del duello stesso?

Gerald attaccò, Rupert riuscì a scansare il colpo, ma non fu abbastanza veloce nel rispondere, per cui riuscì appena a ferire superficialmente Gerald a un fianco. Rise.

- Potrei sbudellarti, Gerald.

Anche Gerald rise:

- Sì, ti piacerebbe, ora l’hai capito. Sei riuscito a tirar fuori l’assassino che c’è in te. Ottimo.

Rupert scosse la testa.

- L’assassino che c’è in me. O il suicida. Chi cazzo se ne fotte? In ogni caso tra un’ora saremo morti tutti e due. Due fottuti cadaveri per un fottuto rogo.

Guardò Gerald, la mano con il pugnale, il cazzo proteso in avanti. Improvvisamente si sentì debole. Si chiese se non desiderava sentire quella lama squarciargli il ventre, quel cazzo aprirgli il culo. Essere stuprato e ucciso come nelle fantasie di morte che a volte leggeva su Internet.

Arretrò, spaventato dalle sensazioni confuse che provava. Gerald lo incalzò, ma Rupert si sottrasse. Guardò l’amico, concentrato nella lotta. Sorrise, improvvisamente contento e sicuro di sé, e si gettò in avanti, in un attacco che era un invito al colpo. Gerald si scansò e, mentre gli bloccava il braccio, gli infilò la lama nel ventre, senza immergerla completamente: aveva avuto anche lui un momento di incertezza.

Il dolore fu forte, ma a Rupert sembrò che fosse lontano.

- Merda.

Poi aggiunse:

- Mi hai preso, stronzo! Mi hai preso. Un buon fottuto colpo. Merda, Gerald. Ma non sei andato fino in fondo.

Non sapeva perché l’aveva detto. Aveva perso ogni freno. Stava per crepare e andava bene così. Stava già crepando.

Senza lasciargli il braccio, Gerald estrasse l’arma e lo colpì una seconda volta più sotto, tra i peli del pube, affondando la lama fino all’impugnatura. Sangue e piscio gli inondarono la mano: aveva trapassato la vescica.

Rupert lasciò cadere il pugnale. Guardò Gerald, che sorrideva. L’amico aveva il cazzo duro.

- Ce l’hai duro, stronzo!

Gerald rise. Rupert proseguì:

- E ora me lo metti in culo. Il tuo fottuto cazzo nel mio fottuto culo.

- Puoi contarci.

Rupert si stupì di essere ancora in piedi, ma gli sembrava che avrebbe potuto continuare a combattere. Sentiva il dolore, ma era come se fosse esterno a lui.

Gerald lo spinse fino a un angolo del caminetto. Lo fece appoggiare sul ripiano, contro il muro. Rupert si sentiva ancora euforico e il dolore era preciso, ma lontano. Ripeté:

- Il tuo fottuto cazzo nel mio fottuto culo.

Rise.

- Esatto.

Gerald si mise dietro di lui e lo infilzò con un colpo secco, spingendo fino a che il cazzo non fu tutto dentro e i coglioni batterono contro il culo di Rupert.

Rupert si morse il labbro. Il dolore era stato violento e gli era parso più vicino di quello delle due ferite. Lo aveva sentito più forte, ma era contento di questo.

- Merda!

Gerald incominciò a fotterlo. Era un ottimo stallone. A Rupert piacque sentire il grosso cazzo dell’amico che si faceva strada nel suo culo. Nonostante il dolore, si sentiva ancora euforico.

- Mi hai fottuto con il pugnale e adesso mi fotti con il cazzo. Merda!

Gerald andò avanti a lungo. Non diceva nulla. Invece Rupert parlava. Gli sembrava di non riuscire a tacere.

- Ti piace fottermi. Ti piace ammazzarmi. Sei un fottuto bastardo.

Sentì la scarica. Gerald si ritirò. Rupert si staccò dal caminetto. Riusciva ancora a stare in piedi, anche se aveva perso parecchio sangue.

- In ginocchio. Devi pulirmi il cazzo.

Rupert si lasciò scivolare in ginocchio. Il cazzo era sporco.

- Questo fottuto cazzo che mi ha rotto il culo.

- Proprio questo.

Rupert aprì la bocca e si mise a leccare e succhiare. Andò avanti un buon momento. Non gli spiaceva.

- Ora basta. Adesso devi bere.

Gerald incominciò a pisciare e Rupert bevve.

 

Rupert si sollevò. Riusciva ancora a stare in piedi e non provava molto dolore, ma ora si sentiva debole. Si appoggiò alla parete, vicino al camino. Gerald gli afferrò il cazzo e i coglioni.

Rupert lo guardò, poi, lentamente annuì.

- Hai vinto. Mi hai fottuto.

- Sì, sono il maschio.

E incominciò a recidere, sorridendo. Rupert avvertì il dolore esplodere, violento.

- Merda! Merda! Merda!

Gerald aveva finito. Guardò il suo trofeo sanguinolento, poi disse:

- Apri la bocca.

Rupert obbedì. Gerald gli infilò i coglioni in bocca, lasciando che il cazzo sporgesse sul mento. Sorrise.

Poi vibrò un colpo, sotto l’ombelico, immergendo la lama fino al manico. Il colpo successivo squarciò il ventre di Rupert all’ombelico. Gerald immerse la lama una terza volta, più in alto. Era bello, era bello affondare la lama nella carne, uccidere. Il cazzo gli si era irrigidito nuovamente e non era solo effetto delle pastiglie. Gli piaceva uccidere.

Rupert lo guardava, gli occhi spalancati. Il dolore ora era forte, ma sarebbe finito presto.

Gerald vibrò un ultimo colpo, al cuore.

Il cadavere di Rupert rimase un momento appoggiato alla parete, poi scivolò a terra.

Gerald lo guardò e sorrise. Aveva scoperto che cosa si prova a uccidere un uomo. Gli era piaciuto, doveva ammetterlo.

Rimase un momento immobile, poi passò in cucina e bevve tre bicchieri di vino bianco. Ritornò nel salotto, prese un tizzone dal camino e passò per le diverse stanze, appiccando fuoco alle tende e al combustibile.

Era arrivato il momento di morire. Se la situazione fosse stata diversa, avrebbe pagato qualcuno per un secondo duello, in cui avrebbe trovato la morte, ma ormai i soldi non servivano a nulla: ci si poteva pulire il culo, con le sterline. Magari qualcuno disponibile avrebbe potuto trovarlo, qualcuno che come lui aveva voglia di scoprire che cosa si provava a uccidere. O magari qualcuno che aveva già ucciso e che avrebbe ucciso di nuovo volentieri. Ma trovare la persona giusta avrebbe richiesto tempo e il tempo mancava. Non voleva rischiare che tutto andasse a puttane perché aveva trovato la persona sbagliata.

Tornò nel salone, salì sullo sgabello, si sistemò il cappio intorno al collo e si mise le manette in modo da avere le mani bloccate dietro la schiena. Ora non poteva più tornare indietro. Non era in grado di liberarsi e se non avesse rovesciato lo sgabello, sarebbe morto soffocato dal fumo o bruciato dalle fiamme.

Stava per scoprire che cosa si prova a morire.

Diede un calcio allo sgabello.

Come aveva previsto, la sua fu una lunga danza. Il nodo si stringeva lentamente e Gerald cercava disperatamente di trovare un appiglio che non esisteva, sollevava le gambe, scalciava avanti e indietro, piegava le ginocchia. Cercava di liberare le mani ed un po’ di sangue colò dai polsi martoriati. Dalla bocca colava saliva in abbondanza, dal naso il muco.

Gerald sentiva l’incendio che gli divorava i polmoni. Avvertiva che il cazzo era sempre più teso. Il dolore al collo diventava sempre più forte, come se avesse un collare incandescente. La vista gli si annebbiò, mentre il fumo incominciava a invadere la stanza.

Tutto svanì. Si agitava ancora, ma non avvertiva più nulla. Un po’ di piscio incominciò a colare dal cazzo teso e un po’ di merda dal culo. La lingua sporgeva dalla bocca. Il viso era congestionato.

Ci fu un ultimo movimento convulso, poi il corpo di Gerald rimase immobile.

Poco dopo l’incendio raggiunse anche il salone, distruggendo tutto e divorando i due cadaveri.

Infine la villa crollò.

 

C’erano ancora alcune centinaia di milioni di uomini vivi, ma entro pochi giorni sarebbero morti anche loro.

 

 

 

 

 

 

 

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