Il piacere di uccidere - I

 

007F

 

Korzuchin

 

      James aprì la porta della stanza. Non riusciva a tenere gli occhi aperti per il sonno: il giorno precedente c’era stato il viaggio da Londra a New York, bruciando svariati fusi orari; poi una notte quasi insonne nella Grande Mela; e infine, quella stessa mattina, prima il volo fino a Miami e poi l’ultimo, per Nassau. A Miami aveva passato cinque ore in aeroporto, per il ritardo dell’aereo, e adesso non ne poteva proprio più. Il sonno e quel caldo assurdo lo stordivano.

      Era ancora chiaro, ma James non aveva nessuna intenzione di rimanere sveglio a lungo. Aveva fatto tutto quanto doveva: aveva parlato con l’uomo dei servizi, che gli aveva dato le informazioni essenziali e l’arma. Poi aveva mangiato un boccone al ristorante dell’albergo e si era preso un whisky al bar. In quel momento aveva solo voglia di fare una bella doccia fresca, per levarsi di dosso il sudore, e poi dormire.

      A Korzuchin avrebbe pensato il giorno dopo.

      Liberarsi dei vestiti fu un sollievo: gli si erano appiccicati alla pelle e non li sopportava più. Avrebbe dovuto vestirsi più leggero, ma a Londra non faceva quel caldo fottuto. La doccia fresca lo rinvigorì.

      Sistemò la pistola sotto il cuscino. Korzuchin non poteva sapere del suo arrivo, ma era meglio essere prudenti. Non aveva nessuna intenzione di trasformarsi da cacciatore in preda. Korzuchin aveva già ammazzato un altro agente, a Nairobi.

      Avrebbe ammazzato quel figlio di puttana e sarebbe stato un piacere, come sempre. Più gli anni passavano, più si rendeva conto che uccidere gli dava un piacere intensissimo, fisico. Quasi meglio che scopare.

      Controllò che la finestra fosse chiusa, regolò il condizionatore in modo da poter dormire nudo, senza però avere troppo caldo, e si stese.

      Gli era sembrato che la doccia lo avesse svegliato un po’, ma non appena fu a letto, sentì l’ondata di sonno avvolgerlo. Si lasciò sprofondare.

      Era ormai diventato buio quando sognò la ragazza del bar, quella che gli aveva servito il whisky. Nel sogno le infilava una mano nella generosa scollatura e stringeva il seno prosperoso. Lei gli sorrideva, come gli aveva sorriso mentre gli porgeva il bicchiere.

 

*

 

      I quattro uomini uscirono dall’ascensore. Il quinto continuò la corsa, in modo da tenerlo occupato. L’altro ascensore era già stato bloccato all’ultimo piano. Per qualche minuto i clienti dell’albergo non avrebbero potuto servirsi dell’ascensore e avrebbero sbuffato. Ma sarebbe stata una cosa molto rapida.

      Korzuchin e uno dei suoi uomini rimasero indietro. Gli altri due si avvicinarono alla porta della stanza, la mano sulla pistola. Uno di loro infilò la tessera magnetica nella serratura ed entrò, silenziosamente, seguito dall’altro. Avevano le pistole spianate, ma era inutile. L’agente dormiva: il sonnifero che gli aveva versato la barista aveva fatto effetto: era sufficiente per far dormire un cavallo.

      Notarono tutti e due che l’agente ce l’aveva duro. Un grosso cazzo, duro per l’ultima volta. Sorrisero. Al capo avrebbe fatto piacere. Lo pensarono entrambi, ma non dissero nulla. Uno continuò a tenere la pistola puntata sull’agente, l’altro si sporse e fece un cenno a Korzuchin, che subito entrò nella stanza.

      Guardò l’agente. Era steso sulla schiena, le braccia ai lati del corpo, le gambe leggermente divaricate. Aveva un bel cazzo, grosso e rigido, teso sul ventre. Korzuchin sorrise. Si avvicinò e prese la pistola dalla tasca. Guardò ancora l’uomo, che respirava pesantemente. Era avanti negli anni, ma aveva un corpo muscoloso. Doveva essere stato un bell’uomo ed era ancora interessante, anche se a lui piacevano più giovani. Gli piaceva farsi fottere da quelli che non avevano neanche trent’anni, non dai vecchi. 

      Ora era il suo turno di fottere. Stava per spedire al Creatore un altro agente segreto. Il sangue aveva incominciato ad affluirgli al cazzo da quando era sceso dall’auto, nel parcheggio dell’albergo. Ora ce l’aveva duro. Uccidere gli era sempre piaciuto, a volte si diceva che non c’era niente di più bello che uccidere. Uccidere lo eccitava e ora, di fronte a quest’uomo che ancora respirava e nel cui corpo stava per infilare sei pallottole, sentiva il desiderio crescere impetuoso. Gli piaceva che anche la sua vittima avesse il cazzo duro, come lui.

      Era a pochi passi dall’agente. Puntò la pistola contro il ventre. Il silenziatore ridusse il colpo a un fischio. Un foro si aprì nel corpo dell’uomo, poco sotto l’ombelico, e per un attimo il dolore violento ebbe la meglio sul sonno. James emise un grido strozzato e aprì gli occhi. Un secondo e un terzo colpo lo svegliarono quasi completamente. Si portò le mani al ventre, da cui il sangue colava abbondante. I due colpi successivi, al torace, gli riempirono la bocca di sangue. Girò la testa e vomitò. In quel momento Korzuchin si avvicinò, gli puntò la pistola in fronte e sparò l’ultimo colpo.

      James ebbe appena un sussulto, poi rimase immobile.

      Korzuchin sapeva che se si fosse anche solo sfiorato il cazzo, sarebbe venuto. No, davvero: niente era più piacevole di uccidere.  

      In un minuto furono tutti fuori dalla stanza e gli ascensori ripresero a funzionare, prima che qualcuno si fosse lamentato dell’attesa eccessiva.

 

*

 

      Herman entrò nella stanza della Signora. Sapeva benissimo che quella convocazione improvvisa significava una missione urgente. Era tornato da appena tre giorni, dopo due mesi tra Singapore, il Triangolo d’oro e Kuala Lumpur, in cui aveva rischiato la pelle ogni singolo minuto, ma ovviamente questo era irrilevante. Avrebbe dovuto rivolgersi ai sindacati, ma gli agenti segreti non hanno sindacati.

      La Signora aveva l’aria stanca, più del solito. Era successo qualche cosa di brutto.

      - Si sieda.

      Herman si accomodò.

      - L’agente 007 è stato assassinato ieri a Nassau.

      Herman non batté ciglio. Aveva lavorato due volte con James Bond, ma non è che il tizio gli piacesse molto. Alquanto tronfio di tutti i successi accumulati in una vita nei servizi segreti di Sua Maestà, tutto sommato era ora che si togliesse dai coglioni. E quale modo migliore di farlo che farsi spedire al Creatore in una missione? In fondo anche Herman avrebbe voluto morire così. Più tardi, però. Bond doveva avere quasi sessant’anni, il doppio dell’età di Herman, una buona età per chiudere.

      Non esternò i suoi pensieri e rimase in attesa del seguito.

      - È il secondo agente che viene assassinato, nella stessa missione. Ora questa missione tocca a lei.

      Ottimo, pensò Herman, la Signora ha finalmente trovato il modo di togliermi di mezzo! I suoi rapporti con la Signora non erano mai stati ottimali, anche se in realtà non era facile capire che cosa lei pensasse veramente dell’agente 019 (la sigla gli sembrava idiota, ma la Signora lo chiamava solo così).

      - La missione consiste nell’eliminare un uomo, che si fa chiamare Michail Korzuchin. Vive a Nassau, ma è spesso in giro per il mondo, per affari. Affari che dobbiamo interrompere al più presto.

      Herman annuì. La Signora non aveva bisogno di molto incoraggiamento per proseguire.

      - Sospettiamo che sia stato il nostro uomo a Nassau a tradire. L’agente 007 è stato assassinato non appena è arrivato in città. Lei non prenderà contatto con il nostro uomo. Dovrà cavarsela da solo.

      - Va bene.

      Gli andava davvero bene così. Si sentiva molto più sicuro quando si muoveva in piena libertà.

      - Suppongo che come al solito vorrà occuparsi dei voli direttamente?

      - Sì, certo.

      Era una sua abitudine, che alla Signora non piaceva. Di quello che Herman faceva, quasi nulla piaceva alla Signora.

      - Questo è il dossier. Lo legga e lo distrugga.

      Scambiarono ancora due parole, poi la Signora lo congedò.

 

      A casa Herman guardò i Last Minute. C’era un’offerta per Nassau, volo più albergo. L’aereo faceva un giro del cazzo, fino a Chicago, poi Miami, poi Nassau. Ma sì, andava bene, tanto in aereo avrebbe dormito. Herman era in grado di dormire ovunque, anche sulla tazza del cesso. 

Sarebbe sbarcato a Miami poco prima delle 11. L’aereo per Nassau era alle 18.55. Cazzo, che rottura di coglioni! Aveva diverse ore di tempo. Assurdo rimanere in aeroporto. Avrebbe potuto fare un giro per Miami. Oppure… Perché no? Un locale in cui divertirsi un po’. O magari, se non c’era niente (nessuno) di interessante, dormire.

Fece un giro sulla rete. Locali gay, Miami. Sulla Coral Way c’era il Club Body Center. Iscrizione per tre mesi, venti dollari. Più venti o venticinque dollari per la stanza. Si poteva fare. Il tutto da inserire nella nota spese, in modo da mandare in bestia la Signora. Ma se avesse portato a termine la missione, la Signora non gli avrebbe detto niente. E se non l’avesse portata a termine, in una fossa (o in fondo al mare, a Nassau l’acqua non mancava) le critiche della Signora non gli avrebbero fatto né caldo né freddo. 

Si preparò per il volo. Un bagaglio ridotto: per le Bahamas non c’era certo bisogno di abiti pesanti. Bagaglio a mano, niente. Detestava avere le mani impegnate.

      Lesse con cura la scheda su Korzuchin. Appena 35 anni, pochi in più dei suoi, una ricchezza enorme, accumulata con traffici illegali di ogni tipo. Traffico d’armi, soprattutto, attualmente in trattativa con un’organizzazione terroristica islamica per vendere materiale atomico proveniente dal Kazakistan. Cazzo! Sì, era da fermare subito.

 

*

 

      L’aereo partiva nel pomeriggio. Arrivò all’aeroporto con quello che riteneva un anticipo ragionevole. Quello che la Signora avrebbe definito “all’ultimo minuto”.

      Dopo aver spedito il bagaglio, raggiunse i gabinetti.

      Entrò e chiuse la porta; non sempre lo faceva, lo divertiva l’idea di farsi sorprendere seduto sulla tazza o con i pantaloni abbassati e il culo fuori, mentre pisciava. Si abbassò i pantaloni ed i jockstrap. Si infilò l’anello intorno al cazzo. Era metallico, avrebbe fatto suonare l’allarme. Lo avrebbero fatto spogliare. Erano le cose che mandavano in bestia la Signora. Le cose che gli piacevano.

      Lo avrebbe dovuto tenere abbastanza a lungo: tempo di salire sull’aereo, aspettare che tutti fossero a bordo, che l’aereo partisse. Poi sarebbe potuto andare al cesso e toglierselo.

      Sistemò i jockstrap.

      Poi prese dalla tasca il butt-plug e lo lubrificò. Divaricò le gambe e se lo infilò nel culo. Aveva scelto un modello di dimensioni medie: non sapeva quando avrebbe potuto toglierselo, non voleva rischiare. Buttò nel cesso la bustina con il lubrificante.

      Ora era pronto. Se il metal detector avesse segnalato la presenza dell’anello e lo avessero fatto spogliare, con i jockstrap avrebbero visto anche il butt-plug.        

      Sorrise.

      Si tirò su i pantaloni e uscì.

     

      Herman guardò i due addetti alla sorveglianza. La donna era giovane e carina. L’uomo doveva essere sui quaranta-cinquanta, forse più cinquanta che quaranta, tarchiato, con barba grigia e capelli corti. Non era niente male, con quella faccia da duro e quel corpo vigoroso. Herman sentì un brivido lungo la schiena. Era esattamente il tipo d’uomo che gli piaceva. Quello capace di spaccarti la faccia se non gli vai a genio e di spaccarti il culo se gli piaci.

Quando Herman passò, il metal detector emise il suono familiare.  

La donna gli chiese di controllare se aveva qualche cosa in tasca, ma Herman non aveva nulla, a parte il passaporto, due preservativi, la mascherina ed i tappi. L’uomo gli passò il rilevatore manuale lungo i fianchi. Al primo passaggio non trovò nulla. Herman si sentì deluso. Ora che l’uomo era vicino a lui, ne poteva sentire l’odore di tabacco. Sigari, non sigarette.

      L’uomo fece un secondo controllo. Questa volta passò il rilevatore anche davanti e ci fu un suono. L’uomo lo guardò negli occhi, poi lo invitò ad accompagnarlo in uno spogliatoio.

      Herman sentì di nuovo un leggero brivido di piacere percorrergli la schiena, mentre il sangue affluiva all’uccello.

      - Si spogli.

      Herman si sbottonò la giacca e la camicia e le aprì insieme, poi se le tolse. Voleva prolungare il momento. Quando fu a torso nudo, l’uomo gli passò ancora il rilevatore sui pantaloni e nuovamente si udì il suono. Herman sorrideva. L’uomo sembrava impassibile. Herman non avrebbe saputo dire che cosa stesse pensando.

      Herman si calò i pantaloni e li diede all’uomo.  Il tipo lo fissò, poi prese i calzoni e vi passò il rilevatore. Nessun suono. Lo spostò sul pacco di Herman. Il solito suono.

      L’uomo non disse nulla. Fece solo un cenno.

      Herman si tolse i jockstrap e li tenne in mano, sotto la faccia dell’uomo, come se volesse fargli vedere che non c’era proprio nulla. Voleva che vedesse che non era un normale paio di mutande.

      L’uccello aveva alzato la testa. Non era proprio duro, ma si sporgeva in avanti in modo promettente. L’anello ora stringeva un po’.

      L’uomo passò il rilevatore sui jockstrap, poi sull’uccello di Herman, anche se ormai era inutile: lo vedeva benissimo che c’era l’anello, era solo per verificare che fosse proprio l’anello a far scattare il rilevatore.

          Il solito suono.

      L’uomo scosse la testa. Herman si aspettava una ramanzina, ma il commento fu di altro tipo.

      - Tenersi questa roba addosso per tutto il volo è una cazzata. Puoi avere problemi, se ti viene duro.

      Il tizio era esperto. Magari li usava anche lui. Prometteva bene.

      - No, è di quelli apribili. E poi me lo tolgo sull’aereo.

      Il tizio annuì.

      - Puoi rivestirti.

      Peccato, la perquisizione sembrava promettere meglio. Ma sull’aereo avrebbe avuto tutto il tempo per immaginare una conclusione diversa. Si sarebbe messo la mascherina ed i tappi ed avrebbe pensato che…

      Herman si mise la camicia, poi si volse di lato e si chinò per infilarsi i jockstrap.

      - Ma sei proprio una testa di cazzo! Pensi di sederti sull’aereo con un butt-plug in culo?

      Herman si raddrizzò e sorrise. Non era ancora finita.

      - Non lo tengo tutto il tempo. Solo finché lo reggo. Mi piace stare seduto, bloccato dalla cintura, con la mascherina, i tappi e immaginarmi cose…

      - Tipo?

      Herman sorrise.

      - Che sono prigioniero in una cella. Che il mio carceriere è un uomo robusto…

      - E che te lo mette in culo.

      Herman scoppiò a ridere.

      - Mi leggi nel pensiero.

      L’uomo annuì. In quel momento bussarono. L’uomo disse, senza muoversi:

      - Che c’è?

      Una voce maschile chiese:

      - Tutto a posto, Rod?

      - Non rompere, Matt.

      - OK, OK.

      Il dialogo era stato sufficientemente chiaro. Herman fu sicuro che entro breve il butt-plug sarebbe stato sostituito da altro.

      - Chinati un po’ in avanti, che te lo tolgo.

      Rod non aveva specificato perché intendeva togliergli il butt-plug, ma lo sapevano tutti e due. Rod si tolse la camicia. Era davvero un toro. Herman sentì che il cazzo gli si tendeva.

      Herman si chinò in avanti. L’uomo afferrò l’estremità del butt-plug e lo sfilò, senza delicatezza. Lo posò sui pantaloni di Herman. Herman aveva voltato la testa per guardarlo. Rod si abbassò pantaloni e quant’altro aveva sotto, con un unico movimento, e mise in mostra uno dei cazzi più grossi e tesi che Herman avesse visto in vita sua. Herman avvertì il brivido familiare lungo la schiena. Non sarebbe stato facile accogliere quel bastone, anche se poteva vantare una certa esperienza.

      Rod aveva già in mano un preservativo. Di certo misura extra. Se lo infilò rapidamente e lo lubrificò. Herman sorrise, pensando che c’era un grande uso di lubrificanti, quel giorno, all’aeroporto. Rod poi premette sulla schiena di Herman con la sinistra, costringendolo ad abbassarsi, mentre la destra guidava il cazzo alla conquista del culo di Herman.

      Per quanto l’apertura fosse ancora dilatata e lubrificata, l’ingresso fu alquanto doloroso: c’era poco da fare, quando le dimensioni erano quelle, l’allenamento non bastava.

         Herman strinse i denti e, come sempre, il dolore fece da volano al piacere. 

      Rod entrò con lentezza, ma avanzò in modo inesorabile. Herman appoggiò le mani al muro. Il dolore era tanto forte da farlo rabbrividire, ma il desiderio cresceva. L’uomo continuava ad avanzare e la pressione diventava intollerabile. Herman pensò che gli avrebbe lacerato le viscere. Non era possibile che ce ne fosse ancora. Ma la pressione aumentava. Herman sentì salirgli le lacrime agli occhi per il dolore, ma non avrebbe fermato l’uomo per nulla al mondo.

      Nessuno lo aveva mai scopato così.

      Infine sentì il ventre dell’uomo aderire al suo culo. Stava sudando, ma il cazzo era diventato una pietra. Avrebbe dovuto togliersi l’anello prima. In quel momento sentì la mano dell’uomo che gli accarezzava i coglioni, risaliva all’anello, trovava il meccanismo e lo apriva. L’operazione era stava svolta con grande delicatezza, ma mentre la destra stringeva l’anello, la sinistra ripassò sui coglioni, dando una brusca strizzata, e Herman fece fatica a trattenere un urlo.

      Poi l’uomo gli pizzicò il culo energicamente - Herman fu sicuro che si sarebbe ritrovato i lividi - e ritrasse la sua arma. Per un attimo Herman respirò, sentendo che la pressione diminuiva, ma quando il cazzo fu quasi completamente fuori, l’uomo lo spinse nuovamente in avanti. Herman sentì che gli mancava il fiato. Pensò che non sarebbe stato in grado di reggere le spinte, che doveva dire a Rod di fermarsi. E si disse che lui non voleva che Rod smettesse e che comunque a quel punto a Rod non gliene fotteva un cazzo di quello che Herman poteva volere o non volere.

      L’uomo ritrasse nuovamente il cazzo e lo spinse con maggiore vigore. Herman quasi perse l’equilibrio. Gli sembrava che gli stessero infilando una spada in culo eppure aveva il cazzo teso come la corda di un violino, gonfio di sangue. L’uomo arretrò ancora e spinse nuovamente, con un movimento ancora più deciso. Herman chiuse gli occhi, mentre una lacrima gli scendeva lungo la guancia.

      - Pronto per la cavalcata?

     

SteelHerman4

 

      La domanda di Rod non richiedeva una risposta. Herman non era in grado di darla. Rod prese a muoversi in modo continuo e il dolore crebbe nuovamente. La sinistra di Rod passò davanti, accarezzò il cazzo di Herman, che quasi venne a quel contatto, poi scese di nuovo sulle palle e le strizzò con energia.

      Herman emise un gemito, trattenendo l’urlo che aveva dentro. Ma non avrebbe saputo dire se era un gemito di dolore o di piacere. La sinistra di Rod gli tappò la bocca, mentre la destra sostituiva la compagna e prendeva a martoriare i coglioni di Herman. Poi li strinse con decisione, mentre Rod riprendeva il movimento a stantuffo, che dilatava le viscere di Herman al limite della loro possibilità e poi le lasciava rilassarsi, solo per una nuova e più violenta spinta.

      Herman sudava abbondantemente e aveva difficoltà a tenere le mani sulla parete per non scivolare in avanti. Non riusciva più a reggere, né alla violenza del dolore, né all’intensità del piacere. Avrebbe voluto che tutto finisse, avrebbe voluto che durasse in eterno. Sì, per sempre, quel cazzo dentro le sue viscere. Non avrebbe retto a lungo, ma valeva la pena di crepare.

      Le spinte divennero più rapide e più violente. Herman gemeva senza ritegno, ma la mano di Rod soffocava i suoi gemiti. L’altra mano stuzzicava i coglioni. Herman ebbe la sensazione precisa di essere sul punto di svenire.

      In quel momento Rod emise un suono sordo, mentre la sinistra accarezzava il cazzo di Herman.

      Le ultime spinte di Rod fecero quasi cadere Herman contro il muro, ma la destra di Rod salì sulla fronte, frapponendosi tra il muro e la testa di Herman. Dai coglioni di Herman un’onda immensa salì a travolgerlo e negli occhi, chiusi, esplosero mille lampi. Herman sarebbe caduto, se il braccio di Rod non lo avesse sostenuto.

         La mano di Rod, che gli stringeva la cappella, raccolse gran parte dello sborro.

      Quando Herman si fu ripreso e recuperò il controllo delle proprie gambe, Rod lo forzò a mettersi dritto. Continuò a tenergli il cazzo in culo, anche se ora era meno gonfio. Gli mise la mano con lo sborro davanti alla bocca.

      - Puliscimi con la lingua.  

      Herman aprì la bocca e incominciò a leccare le dita di Rod, poi a succhiarle. Lo ripulì con cura.

      Doveva partire, aveva perso un sacco di tempo, in culo aveva il fuoco, ma avrebbe voluto continuare a stare così, appoggiato contro il corpo di Rod.

      Fu Rod a staccarsi. Herman gemette nuovamente, quando il cazzo di Rod lo abbandonò.

         Rod gli porse il butt-plug.

      - Adesso rimettiti questo.

      Herman respirò a fondo. Il culo gli faceva un male cane e infilarci ancora dentro il butt-plug non era proprio il massimo. Ma questo voleva Rod, questo avrebbe fatto.

      Herman se lo infilò. Non fu piacevole, eppure Herman fu contento di averlo fatto.

      - Rivestiti.

      Herman annuì e si rivestì, con fatica. Si voltò. Ora Rod era davanti a lui e lo guardava. Herman gli sorrise.

      Rod fece un passo avanti, gli mise le mani sulle guance e lo baciò sulla bocca, infilandogli la lingua tra i denti. Herman rimase frastornato.

      - Muoviti, ora!

      Rod uscì. Herman lo seguì come un automa.

Cercò di camminare normalmente. Il dolore al culo era bestiale. Per un attimo pensò di raggiungere rapidamente un cesso e togliersi quel fottuto ingombro che aveva in culo, ma glielo aveva imposto Rod e intendeva tenerlo.

      Raccattò la cintura, il portafogli e le chiavi che erano ancora nella cesta al controllo, poi si diresse verso la porta d’imbarco. Sentiva su di sé lo sguardo di Rod, ma non si voltò, finché non fu giunto all’angolo del corridoio. Prima di svoltare, si girò. Rod lo stava guardando. Herman gli sorrise. Rod ricambiò il sorriso. O forse era un ghigno.

      Sentì in quel momento il suo nome all’altoparlante. Era in ritardo. Ma non ce la faceva a correre. Impossibile.

      Alla porta non c’era più nessuno, a parte il personale. Mostrò il passaporto e il biglietto, sotto lo sguardo irritato dell’assistente di volo.

      Raggiunse l’aereo, dove ormai erano tutti seduti. Trovò il suo posto e si sedette con la massima cautela, ma quando poggiò il culo, il dolore gli fece chiudere gli occhi. Si mise la cintura. Aprì la coperta e la distese.

         L’aereo incominciò a muoversi quasi subito.

     Lentamente il dolore si attenuò. Chiuse gli occhi. Immaginò di essere in una cella. Lo avevano colpito, più volte, e ora l’ufficiale lo stava violentando. L’ufficiale era Rod.

     Si rese conto che, anche se era venuto da meno di venti minuti, aveva di nuovo l’uccello duro.

     Ora lo portavano al muro. Lo bendavano. Sentiva la voce di Rod che scandiva gli ordini. Fuoco! I colpi che lo trapassavano. Cadeva a terra. Nella caduta la benda gli era scivolata via. Poteva vedere l’ufficiale che si avvicinava, che sorrideva. Sul davanti c’era un rigonfio inequivocabile.

         Rod gli poggiava il piede sul cazzo e gli avvicinava la pistola alla fronte.

     Vennero insieme tutti e tre: l’ufficiale nei pantaloni, mentre sparava; il prigioniero mentre l’uomo lo uccideva; Herman mentre sognava.

         Poi si alzò e andò a togliersi il butt-plug.

         Tornò a sedersi e si addormentò. Dormì come un sasso, per gran parte del volo.

 

 

 

Il Club Body Center non era male: era molto spazioso e, anche se c’erano tanti uomini, non dava la sensazione dell’affollamento. Ma la musica era troppo forte. Certo, nessuno era lì per fare conversazione, però era proprio fastidiosa.

Diversi tizi avevano provato ad avvicinarsi, ma Herman li aveva ignorati. Nessuno gli sembrava interessante. Era strano, di solito non era così esigente. È che gli tornava continuamente in mente Rod. Assurdo. Un’esperienza grandiosa, la migliore scopata della sua vita (e il peggior male al culo), ma era finita lì. Che senso aveva pensare ancora a Rod?

Avrebbe fatto meglio ad andare nella sua cameretta. Dormire un po’, magari farsi una sega pensando a Rod. A quel pensiero il cazzo sollevò un po’ la testa, ma l’asciugamano lo copriva e poi non era certo il posto in cui preoccuparsi se qualcuno vedeva che ce l’aveva duro!

Sorrise e fece per alzarsi, quando lo vide entrare.

Indubbiamente era lui, il suo bersaglio, l'uomo che aveva assassinato due agen­ti speciali. Fortunatamente Korzuchin non aveva ancora guardato dalla sua parte: Herman aveva il tempo di rimettersi dalla sorpre­sa. Ora doveva decidere in fretta a che gioco giocare. Korzuchin lo avrebbe notato. Herman sapeva benissimo di essere attraente. A quel punto poteva rischiare il tutto per tutto e tirare a concludere. Senza un'arma, niente. Giocando solo sull'effetto sorpresa. Oppure lasciar perdere.

Non avrebbe avuto un'altra occasione così. Se davvero Korzuchin non sapeva del suo arrivo, se era realmente quella coincidenza incredibile che sembrava essere, allora era l’occasione giusta.

Poteva essere una trappola. Magari Korzuchin sapeva che lui era l’agente inviato per ucciderlo. Sarebbe stata una spiegazione convincente per una combinazione davvero inverosimile. Ma questo avrebbe significato che c’era un traditore ai piani più alti dei servizi e non era probabile. Se era quello il caso, Herman era certamente arrivato al capolinea, se ne rendeva conto. Altrimenti, era probabile che ci fosse arrivato Korzuchin.

Quando il russo lo guardò, Herman lo fissò tranquillo. Aveva deciso. Oltretutto non era niente male: giovane (questo Herman lo sapeva già, ma gli sembrava maledettamente giovane per essere un uomo così potente e pericoloso), bella faccia, un corpo snello e muscoloso. Non molto diverso da Herman, anche se Herman aveva sulla parte superiore del petto e sul ventre una peluria densa.

Continuò a fissarlo, con un mezzo sorriso sulle labbra. Korzuchin si avvicinò:

- Nuovo di qui? Non ti ho mai visto.

- Nuovo fiammante: sono arrivato due ore fa.

- E qual è la prima impressione?

Herman lasciò correre lo sguardo lungo il corpo di Korzuchin, con una smorfia apprezzativa, poi rispose:

- Niente male, direi. Niente male davvero.

Korzuchin ridacchiò.

- Non intendevo questo.

- Ah beh, se sei qui solo per fare conversazione...

- Non perdi tempo, eh?

- No, stasera voglio andare a dormire presto, da Londra a qui è un lungo volo.

- Londra, eh? Ne ho incontrati due di Londra in tempi recenti.

Ridacchiò ancora.

“Stronzo”, pensò Herman. Ma sorrise.

- Spero sia stato soddisfacente.

- Beh, direi di sì.

- Facciamo un terzo londinese? Anche se a dire la verità io sono di York. Old York, naturalmente.

Se le cose fossero andate come Herman contava, il terzo londinese sarebbe stato quello buono per Korzuchin, quello che avrebbe saldato i conti. 

- Va bene, andiamo nella mia camera.

- O.K.

Si avviarono per il corridoio. Herman guardò la schiena diritta dell’uomo davanti a lui, i fianchi avvolti nell'asciugamano, le gambe robuste. Sì, niente male, davvero niente male.

Ovviamente Korzuchin aveva una VIP room, quelle da 40 dollari, con doccia e cesso.

Sul tavolino c’erano due preservativi. Ottimo, Herman non aveva nessuna voglia di beccarsi l’AIDS. Certo che se Korzuchin sapeva chi lui era, poteva anche beccarsi l’AIDS: non sarebbe morto di quello.

Korzuchin si tolse l’asciugamano e sorrise. Sì, non era male. Herman fece lo stesso. Korzuchin annuì, mostrando la sua approvazione. Sì, Herman era piuttosto ben dotato, anche se in confronto a Rod aveva uno stuzzicadenti.

Herman era intenzionato a lasciare che Korzuchin conducesse il gioco. Avrebbe colto un’occasione quando si fosse presentata. O l’avrebbe creata. Nella stanza non sembrava esserci niente di adatto.

Korzuchin gli prese con delicatezza cazzo e coglioni, soppesandoli, e sorrise. Poi le mani lasciarono la preda e salirono ad accarezzare il torace di Herman, perdendosi tra i peli scuri. Infine ritornarono al punto di partenza, ma l’arma di Herman aveva cambiato posizione e dimensioni.

- Hai un bel cazzo.

Herman sorrise, un bel sorriso ampio. Vedendo Korzuchin aveva pensato di avere a che fare con un top: era chiaramente un uomo molto sicuro di sé, abituato ad imporre la propria volontà. Ma, come non di rado succedeva, doveva essere uno di quegli uomini che a letto preferiscono essere sottomessi. Meglio così: il culo di Herman non era propriamente nelle condizioni migliori per accogliere intrusi.

Ghignò e rispose all’osservazione di Korzuchin:

- Lo preferisci in bocca o in culo. O tutti e due?        

Korzuchin non disse nulla. Sorrise e si inginocchiò davanti a lui. Incominciò a leccarlo, poi lo prese in bocca e si mise a succhiarlo. Herman lo lasciò fare per un momento, poi gli mise una mano dietro la nuca e fece per avvicinargli la testa al ventre, ma Korzuchin si ritrasse.

- Aspetta.

Korzuchin si alzò, prese uno dei preservativi, ritornò a inginocchiarsi davanti a Herman e gli mise il guanto. Quando Korzuchin ebbe finito, Herman gli avvicinò il cazzo alla bocca. Korzuchin sussurrò:

- Insultami.

Herman conosceva il tipo. Tutt’altro che raro.

- Prendimelo in bocca, troia.

Korzuchin obbedì. Herman gli mise di nuovo la mano sulla nuca e gli infilzò il cazzo in bocca.

- Ora ti fotto in bocca, troia.

Cominciò a muovere ritmicamente il culo, spingendo a fondo il cazzo e poi ritraendolo. Korzuchin gli accarezzava il culo, lo stringeva, mentre cercava di inghiottire quel boccone di carne senza soffocare.

Herman spingeva con vigore, lasciando a Korzuchin la possibilità di respirare: non avrebbe certo potuto ucciderlo così e non voleva irritarlo. Voleva che si sentisse a suo agio con lui, in modo da avere l’opportunità di colpire.

- Godi, eh, finocchio? Godi a prendertelo in bocca, un bel cazzo?

A Herman non piaceva insultare o essere insultato, ma sapeva stare al gioco. Ed era suo interesse soddisfare al massimo Korzuchin.

Korzuchin cercò di annuire, ma le spinte vigorose di Herman non gli lasciavano la possibilità di muovere molto la testa.

Herman afferrò con la mano libera i capelli di Korzuchin e tirò un po’.

- Pezzo di merda, sei solo un succhiacazzi!

Quella bocca calda intorno al suo cazzo era piacevole. Korzuchin si dava da fare per assecondare i movimenti di Herman e si dimostrava abile: doveva avere un buon allenamento.

Herman pensò che quel coglione stava facendosi scopare dal suo assassino e l’idea lo eccitò ancora di più. Non gli era mai capitato di scopare con un uomo che doveva ammazzare. Non che avesse avuto molte volte il compito di assassinare un uomo. Molto più spesso aveva ucciso nel corso delle sue missioni, per difendersi, per eliminare un ostacolo che si trovava di fronte o perché non potessero individuarlo. In poche occasioni il suo compito era stato quello di uccidere qualcuno.

Ora si diceva che stava fottendo in bocca la sua vittima, ma era perfettamente conscio che loro due avrebbero potuto scambiarsi i ruoli: il cadavere che presto si sarebbe trovato nella VIP room, avrebbe potuto essere il suo, non quello di Korzuchin. La tensione lo eccitava, come spesso gli accadeva, e moltiplicava il piacere che gli dava la bocca di Korzuchin intorno al cazzo.

Il desiderio e il piacere divennero sempre più forti, finché furono incontenibili e proruppero. Herman tirò più forte i capelli, poi colpì Korzuchin in faccia, ma senza dare forza alla mano. Sapeva che Korzuchin non avrebbe voluto uscire con un livido sul volto.

- Troia!

Herman tolse la mano dalla nuca di Korzuchin, che poté infine respirare liberamente.

Korzuchin rimase in ginocchio davanti a lui. Aveva il cazzo duro.

- Ti è piaciuto, eh? Sei proprio una troia succhiacazzi.

Korzuchin annuì. Herman si tolse il preservativo e lo buttò in un angolo.

- Adesso distenditi, che ti spacco il culo.

- No, per favore, no. Ce l’hai troppo grosso…

Quella di Korzuchin era solo una scena, recitata senza troppa convinzione. Herman gli diede un altro ceffone, sempre senza calcare troppo la mano, poi lo spinse con il piede a terra. Korzuchin si lasciò andare lungo disteso. Guardava Herman.

Herman fece un passo avanti e si mise con un piede a destra ed uno a sinistra del corpo del russo.

- Sei una troia. Meriteresti che ti pisciassi addosso.

Aveva buttato lì la frase, per vedere la reazione del russo. Korzuchin gli passò le mani sui polpacci e non disse nulla.

Herman si prese il cazzo in mano, per dirigere il getto. Incominciò a pisciare sulla faccia di Korzuchin, che la voltò di lato, senza però cercare di sottrarsi al getto. Poi pisciò sul torace.

- Bene, finocchio, hai avuto quello che volevi. Ed adesso ti volti, perché è ora che ti spacchi il culo.

Con il piede voltò Korzuchin, che non oppose resistenza.

Ora era il momento. Come continuando il gioco erotico, Herman gli si mise seduto sulla schiena, le gambe piegate, le ginocchia aperte appoggiate sul pavimento a lato delle braccia. Sentiva il pavimento bagnato del proprio piscio.

Pizzicò con forza il culo di Korzuchin, gli tirò un po’ i capelli, gli accarezzò la schiena e le braccia, gli passò una mano sulle palle, gli premette la faccia contro il pavimento bagnato.

Korzuchin mugolava.

- Sto per fotterti, rottinculo.

Era vero, ma in un senso diverso da quello che poteva avere in mente Korzuchin. L’avrebbe scoperto presto, ma troppo tardi.

Continuando ad accarezzargli le braccia, con un movimento lento gliele mise contro i fianchi e con le ginocchia le strinse in una morsa.

- Ora sei mio prigioniero e non ti alzerai tanto facilmente, troia.

Sì, Korzuchin non si sarebbe più alzato. Oppure sarebbe stato Herman a non alzarsi più.

Quando fu sicuro di averlo completamente bloccato, portò le mani intorno alla gola, palpò cercando il posto giusto e cominciò a stringere. Era la prima volta che strangolava qualcuno: all'adde­stramento sconsigliavano lo strangolamento, perché lungo e poco sicuro. Ma sapeva bene come fare, sapeva dove appoggiare le mani, come stringere: gli avevano insegnato tutti i movimenti. Ed ese­guì rapido, con tutta la forza delle sue mani. Korzuchin cercò di parlare, ma non riuscì a emettere altro che un gorgoglio stroz­zato. Cercò di scrollarsi di dosso Herman, ma questi era ben saldo.

- Stai crepando, Korzuchin. Sei bell'e fottuto. Il tuo ultimo gioco erotico. Un agente speciale che ti ha fottuto in bocca e ora ti fotte la vita.

Voleva che sapesse chi lo uccideva. Voleva che sapesse di aver perso la sua battaglia contro i servizi segreti inglesi.

Korzuchin ebbe ancora un guizzo, ma Herman non mollò la presa. Infine il russo rimase immobile.

Non c'era più nessuna resistenza, nessun movimento. Herman sapeva di aver fi­nito, ma strinse ancora un poco, fino a che ne fu assolutamente sicuro.

Si rese conto di avere il cazzo duro. Gli era piaciuto ucciderlo a mani nude. Non aveva mai ucciso un uomo con cui aveva appena scopato. Non aveva mai ucciso a mani nude.

Si alzò e guardò il cadavere di Korzuchin sul pavimento.

Rise, ma il desiderio lo av­volgeva. Guardò il preservativo sul tavolino. Si disse che era pazzo, del tutto pazzo. Per una volta tanto diede ragione alla Signora.

Prese il preservativo e se lo infilò. Si stese su Korzuchin, sollevandosi sulle brac­cia sopra il cadavere. Avvicinò il sesso all’apertura e sorri­dendo lo infilò nel culo del morto. Lo guardò scomparire, mentre i coglioni arrivavano a toccare il culo. Era una sensazione fortissima, un'ondata di desiderio e piacere che saliva dal sesso a tutto il suo corpo.

Sto scopando un cadavere, pensò. E mi piace.

Non aveva mai fatto nulla del genere. Non aveva mai pensato che un giorno avrebbe potuto farlo. Ma era eccitato e aveva un culo a disposizione. E gli piaceva l’idea di fottere quel figlio di puttana che aveva ammazzato.

Spinse avanti e indietro più volte, finché venne. Il piacere fu talmente violento da essere quasi doloro­so.

Si alzò ancora una volta. Guardò soddisfatto il cadavere steso a terra. Si sentiva bene. Si tolse il preservativo e lo gettò nel cesso. Fece lo stesso con l’altro, poi tirò l’acqua. Si lavò accuratamente. Cancellò le impronte di­gitali, anche se sapeva che era inutile: a parte il fatto che c’erano troppe tracce, l’inchiesta sarebbe stata bloccata molto presto, se ne sarebbero occupati i servizi.

Aprì la porta. Nel corridoio non c’era nessuno. Raggiunse la sua stanza. Si rivestì e uscì. Si fece portare in taxi a un albergo del centro. Scese e fermò un altro taxi, con cui raggiunse l’aeroporto.

Cambiò il volo, adducendo la necessità di un rientro urgente. Dovette pagare uno sproposito, ma tanto non sarebbe stato lui a pagare.

Da un telefono chiamò la sede. Avvisò che aveva compiuto la missione.

Sul volo per Chicago sentì che gli occhi gli si chiudevano. Pri­ma di addormentarsi pensò alla faccia della Signora, quando le avrebbero detto che aveva concluso la sua missione: senza neppure essere sbarcato a Nassau, in meno di tre ore.

      A Chicago dovette correre per beccare l’aereo per Londra. Non si mise l’anello, né il butt-plug. Con i controlli statunitensi si rischiava solo di perdere tempo. E non ci teneva ad attirare l’attenzione. Era già abbastanza insolito che uno facesse Londra-Chicago-Miami per poi ritornare indietro dopo poche ore.

Dormì gran parte del tempo.

     

*

 

      Ritirò la valigia dal nastro trasportatore. Poteva rientrare a casa.

      Superò i controlli e uscì dall’area degli arrivi.

      Fece due passi verso l’uscita dell’aeroporto e si fermò. Chissà se Rod era di servizio?

      Era una cazzata, era stato molto bello, ma sarebbe stato assurdo fare il bis.

      Fece altri due passi verso l’uscita, poi, senza interrompere il movimento, si voltò e prese la scala che saliva al piano delle partenze. Era una cazzata, lo sapeva benissimo. Stava venendo meno a una regola che si era dato, ma non gliene importava un cazzo. Avrebbe affidato al destino la decisione. Se Rod c’era, gli avrebbe parlato. Per dirgli che cosa, non sapeva.

      C’era la solita coda. Si mise di lato e cercò di guardare tra gli addetti ai controlli. Non vedeva Rod.

         Un uomo gli si avvicinò.

         - Cerca qualche cosa?

      Era un addetto alla sicurezza. Senza prendersi il tempo di pensare, Herman rispose:

      - Cerco un amico, un addetto alla sicurezza. Si chiama Rod.

      L’uomo lo guardò e Herman si disse che i gusti di Rod non dovevano essere un segreto per nessuno. Non gliene importava un cazzo, anche se la Signora sarebbe andata in bestia, se avesse saputo che un agente si faceva notare in quel modo.

      - Te lo vado a chiamare.

      Herman rimase un attimo senza parole. Non per la disponibilità dell’uomo o per il fatto che Rod c’era. Perché il cuore aveva dato un balzo. E questo non era previsto. Cazzo! No, non era previsto. Avrebbe fatto meglio ad andarsene. Subito. Dire al tizio di lasciar perdere, che voleva solo sapere se c’era Rod. Ma il tizio già si era mosso e Herman rimase fermo, in attesa.

      Il cuore correva e Herman non capiva. Non voleva capire. La scopata con Rod era stata superlativa e questo era tutto, no? No. Cazzo, no! Non era tutto.

      Assurdo scappare. Quello che doveva succedere, sarebbe successo. Era già successo.

      Rod arrivò dopo cinque minuti.

      - Già di ritorno?

      Herman annuì, senza parlare.

      - Mi sono fatto sostituire. Possiamo andare.

      Herman annuì di nuovo. Uno scolaretto che non riesce a spiccicare parola davanti al maestro. Rod stava andando avanti. Herman lo seguiva docile. Rod si voltò:

      - Ah, hai il butt-plug in culo?

      Herman sorrise.

      - No.

      - Allora vai al cesso e mettitelo. Facciamo mezz’ora in auto.

      Rod sorrideva. Herman annuì.

      - Lasciami pure la valigia.

      Herman annuì di nuovo.

      Entrò nel cesso e pensò che stava commettendo la più grossa cazzata della sua vita e che stava rischiando più della pelle. Ma il senso di benessere totale che lo avvolgeva gli diceva che stava facendo l’unica cosa possibile.

      Lubrificò il butt-plug e se lo infilò. Raggiunse Rod. Avrebbe voluto baciarlo, lì, in mezzo all’atrio. E di nuovo ebbe un momento di smarrimento.

      Il parcheggio riservato ai dipendenti era al secondo piano sotterraneo. Non c’era nessuno. Rod aveva una jeep, parcheggiata in un angolo poco illuminato.

      Salirono. Rod lo strinse a sé e lo baciò, poi gli infilò la lingua in bocca, con decisione. Herman chiuse gli occhi e gli parve di essere sospeso in aria.

          Poi Rod si staccò da lui. Si aprì i pantaloni e disse:

      - Non ce la faccio più, devo pisciare.

      Non aveva detto altro. Non occorreva altro.

      Herman si abbassò e prese in bocca il cazzo di Rod.

      Rod incominciò a pisciare. Herman bevve. Era bello bere il piscio di Rod, sentirne il gusto in bocca. Era bello sentire il liquido scendergli in gola.

      Quando ebbe finito, Rod gli accarezzò la testa, con molta dolcezza. Herman si sentì perso. Quello che lo spiazzava completamente in Rod era proprio ciò che stava avvenendo, quella mescolanza di brutalità e di tenerezza, che sembrava corrispondere esattamente a ciò che Herman desiderava. Un incastro perfetto, che non sarebbe stato facile sciogliere. Ma Herman non voleva scioglierlo.

      Rod gli accarezzò a lungo i capelli, poi disse:

      - Ora andiamo.

      Herman si rimise seduto e si allacciò la cintura. Rod fece altrettanto, ma non chiuse i pantaloni. Herman mise una mano sul cazzo di Rod.

      Rod partì. La mano di Herman rimase in posizione, mentre il cazzo si riempiva di sangue e si irrigidiva.

      La casa di Rod era a mezz’ora di distanza, come lui aveva detto, sul fianco di una collina. Era una casa isolata, raggiungibile solo con una strada sterrata.

      Rod aprì il garage con il telecomando. Quando furono dentro il box, Rod chiuse la saracinesca allo stesso modo, senza scendere dalla vettura. Si tolse la camicia e si calò le brache. Herman gli guardò il cazzo. Aveva la gola secca e nella mente c’era un vuoto completo. Rod prese un preservativo dal cruscotto e se lo infilò.

      - Vieni qui, ragazzo. Il babbo vuole tenerti in braccio.

      Herman si spostò mettendosi a sedere su Rod. Guardò davanti a sé la parete del garage. Le mani di Rod lo sollevarono un po’, mentre Herman si abbassava i pantaloni.

      Rod gli tolse il butt-plug, gli mise le mani sui fianchi e lo guidò a impalarsi su quel cazzo proteso verso l’alto.

      Herman chiuse gli occhi. Il dolore era di nuovo terribile, ma non aveva importanza. O meglio, era parte del suo piacere.

      Lentamente Herman sprofondò, fino a che non ebbe tutto il cazzo dentro il culo. Rovesciò la testa all’indietro, ebbro di dolore e di piacere. Rod incominciò ad accarezzarlo. Le mani si muovevano, ora lente, ora veloci, dai capelli alle gambe. Stuzzicavano i capezzoli, stringevano i coglioni, sfioravano appena le guance. La bocca di Rod gli mordeva la spalla, la lingua gli passava dietro un orecchio, poi dietro l’altro. Una mano gli scorreva sul viso, due dita si infilavano tra i denti e Herman le mordicchiava. E, sempre tanto forte da non poter essere ignorata neppure per un attimo, c’era la presenza di quel palo che gli dilatava il culo oltre ogni limite.

      Le mani di Rod lo stavano facendo impazzire. La tensione aumentava e il cazzo di Herman era ormai una roccia. I gesti di Rod divennero più bruschi, una mano ora gli pizzicava il culo, mentre l’altra attanagliava i coglioni, poi fu il turno dei capezzoli e infine del cazzo. Quando la mano di Rod afferrò il cazzo di Herman, questi emise un gemito, che si trasformò in un urlo.

      Di rado gli capitava di urlare nel piacere, ma questa volta la sensazione era troppo forte. Urlò, senza ritegno, mentre veniva.

      Rod continuò a stuzzicarlo, finché il contatto divenne intollerabile. Allora lo strinse tra le braccia e rimasero a lungo così. Herman si abbandonò completamente a quella stretta.

      Poi Rod gli strinse i coglioni e incominciò a dare energiche spinte con il culo. Herman sentiva il cazzo di Rod vibrargli all’interno del culo e quel dolore che era piacere si gonfiava nuovamente dentro di lui. Gli sembrava di avere un vuoto immenso nella testa. Pensieri scollegati balenavano per poi spegnersi. Pensò che sarebbe morto, che voleva vivere per sempre con Rod, che non era più in grado di reggere, che…

      Non pensò più nulla, perché il fuoco che gli divorava il culo gli esplose dai coglioni trascinandolo in un nuovo vortice di piacere e per un attimo perse i sensi, mentre veniva una seconda volta e Rod veniva dentro di lui.

      Quando riemerse, sentì la mano di Rod che gli accarezzava la guancia.

     

2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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