Un ottimo attore

 

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Salvatore Scibone cerca di dire qualche cosa, ma dall’altra parte non glielo permettono. Angelo guarda la faccia di suo padre, scura di rabbia repressa.

- Ho capito.

Il tono di suo padre è chiarissimo: resa su tutti i fronti.

- Sì, martedì alle sei. Da Lucio. Sarà fatto.

Un breve silenzio.

- Va bene.

La comunicazione è finita. Suo padre scaglia il cellulare contro il muro, urlando:

- Merda! Merda! Merda!

Salvatore Scibone ha il respiro affannoso.

Angelo raccoglie il cellulare da terra, lo apre e ne tira fuori la scheda. La posa sulla scrivania di suo padre e lo guarda. Non dice nulla. Attende.

Salvatore Scibone stringe i pugni, digrigna i denti. Avrebbe voglia di spaccare il mondo intero. Poi guarda suo figlio. Sibila:

- Tutto dobbiamo dargli, tutto. Come se fosse stato quello schifoso di Lucio a fare il lavoro e non noi.

Angelo annuisce. Sa benissimo che i rapporti tra suo padre e suo zio sono pessimi. Zio Lucio è l’erede, quello che il nonno ha designato come suo vice e futuro capo. Ma che suo padre non possa neanche fare qualche affare per conto proprio, è davvero un’infamia.

- Martedì alle sei bisogna portargli i soldi, a quello schifoso. Ma un giorno o l’altro sistemiamo i conti, con lui e con quell’altro.

“Quell’altro” è il nonno, l’unico davanti a cui suo padre non può fare altro che cedere.

Angelo annuisce.

- Devi portarli tu i soldi, a quel maiale. Di me non si fidano. Sanno che se potessi, li strangolerei con le mie mani, anche se sono sangue del mio sangue. Ma me lo succhiano il sangue, quei due fottuti…

Suo padre si interrompe.

Angelo chiede:

- È proprio necessario?

 

*

 

Fabrizio torna a casa. Chissà se Antonio sarà già rientrato? È stato via tre giorni.

Apre la porta. La chiave gira solo una volta: c’è lo scatto, Antonio è già in casa. Fabrizio sorride: gli fa sempre piacere quando arrivando trova il suo compagno. Antonio esce dal salotto e guarda Fabrizio.

- In divisa oggi! Come mai?

- Tra due ore riprendo. Mi faccio trovare in piazza Garibaldi.

- Due ore? Giusto il tempo di un bel “Fotti il poliziotto”. Che ne dici?

“Fotti il poliziotto” è uno dei tanti giochi di ruolo che ha inventato Antonio e che inizialmente disorientavano Fabrizio: si sentiva impacciato, anche se l’idea lo stuzzicava. Antonio è un attore professionista, quando recita una parte si trasforma completamente e inizialmente davanti a lui Fabrizio avvertiva la propria inadeguatezza.

Ma adesso queste scene che improvvisano gli piacciono un casino. Fabrizio è sempre più coinvolto e ormai è spesso lui a proporre qualche variante: non sarà bravo come il suo compagno, ma lui fa il poliziotto, non l’attore, e si divertono tutti e due.

Quando Fabrizio è in divisa, il che capita di rado, nel gioco conserva il ruolo del poliziotto, che affronta un delinquente. Il criminale vuole fotterlo, in tutti i sensi, e spesso ci riesce, ma altre volte è il poliziotto ad avere la meglio.

Fabrizio prende la pistola e la svuota: sono molto attenti tutti e due alle precauzioni necessarie, perché la scena li prende completamente e nella colluttazione potrebbe partire un colpo. Qualche volta si sono procurati lividi, ma questo fa parte del gioco e va bene così.

Appena ha finito di scaricare l’arma, Fabrizio la impugna con le due mani e la punta su Antonio.

- Alza le mani, fottuto bastardo, o ti sforacchio.

Antonio solleva appena le braccia.

- Agente, che cosa vuole da me? 

Antonio parla in italiano, ma la cadenza è quella del napoletano.

- Alza le mani o sparo, figlio di puttana.

Antonio fa un passo avanti, le braccia mezze sollevate, un sorriso sornione sulle labbra.

- Perché mi insulta la madre, agente? Che feci?

- Lo sai benissimo che facesti, bastardo. Alza quelle mani, ti ho detto.

Antonio ha fatto un altro passo avanti e ora ha la pistola a una spanna dal torace.

- E spara, poliziotto di merda, spara!

Antonio avanza ancora e ora la pistola preme contro il cuore. Fabrizio ha il cazzo duro.

- Voltati, stronzo, che ti metto le manette.

Antonio lo guarda, un ghigno di disprezzo sul viso. Poi finge di ubbidire, ma mentre si gira, il suo braccio colpisce quello di Fabrizio, la mano blocca la pistola e incominciano a lottare. Fabrizio cerca di liberare la destra con l’arma, ma Antonio non molla la presa e urla:

- T’accido! Te levo d’ ‘o munno, fétente!

Antonio è passato al dialetto e a Fabrizio piace sentirlo dalle sue labbra. Fabrizio muove il braccio libero e assesta un colpo deciso al ventre di Antonio, che emette una specie di grugnito. Anche Antonio colpisce Fabrizio, ma questi si scansa con un movimento brusco che fa perdere l’equilibrio ad Antonio.

Fabrizio libera il braccio e punta la pistola allo stomaco di Antonio, che grida:

- Nun me faie paura, puorco!

Fabrizio preme il grilletto: una, due, tre volte e il corpo di Antonio vibra, come se davvero fosse stato colpito. Antonio si affloscia e Fabrizio gli grida:

- Volevi fottermi, eh? Ma ti andò male.

Antonio, a terra, si porta le mani allo stomaco. Fabrizio gli slaccia la cintura e gli cala pantaloni e boxer.

- Adesso me la paghi!

- E che ato vuò, strunzo?

- Fotterti, figlio di puttana.

- Si proprio na’ chiavica!

Fabrizio si apre i pantaloni. Il cazzo è duro, come sempre in queste occasioni. Fabrizio morde il culo di Antonio, un bel morso deciso, che lascia un segno rosso. Poi con la lingua percorre il solco, indugia un momento sull’apertura, la inumidisce bene, infine assesta un altro morso.

- Adesso te lo metto in culo, bastardo. E poi ti ammazzo.

- T’hanna magnà ‘e can, puorco!

Fabrizio stringe il corpo di Antonio tra le braccia, mentre avvicina la cappella al buco.

- Ora, ora.

Avanza. Rimane un momento sulla soglia per dare ad Antonio il tempo di abituarsi e poi entra deciso, affondando l’arma fino alle palle. Antonio emette una specie di grugnito e ha un guizzo. Fabrizio lo stringe con forza.

Fabrizio ritrae il cazzo, fino a uscire completamente, poi lo introduce con un colpo secco. Antonio ha un nuovo guizzo. Fabrizio sa bene che gli sta facendo male, ma sa anche che è quello che Antonio desidera.

- Lo senti il cazzo del poliziotto che ti ha sforacchiato, pezzo di merda? Lo senti?

Antonio grugnisce una bestemmia.

Fabrizio incomincia a spingere, con decisione, in un movimento ritmico continuo. Affonda il cazzo fino a che i coglioni toccano il culo di Antonio, poi lo tira indietro, in una successione di spinte vigorose che non lasciano tregua ad Antonio. Antonio si contorce, sembra davvero la vittima di una violenza, lo insulta, bestemmia e ogni parola è una sferza che accresce il desiderio di Fabrizio e lo spinge ad accelerare il ritmo della sua cavalcata. Fabrizio afferra i capelli di Antonio, risponde agli insulti, ma le sue mani a tratti accarezzano il corpo che sta prendendo, incapaci di nascondere il sentimento.

Infine Fabrizio viene, riempiendo il culo di Antonio di sborra calda.

Fabrizio abbraccia Antonio, lo bacia sulla guancia, sul collo, sui capelli, su un occhio. Gli sussurra:

- Amore mio…

- Tre pallottole in pancia, mi fotte pure e mi chiama amore…

Poi Antonio ride e gli dice:

- Ti amo, Fabrizio.

Fabrizio preme il capo sulla schiena di Antonio. Quasi si vergogna della felicità che prova.

Si baciano ancora, poi Fabrizio estrae il cazzo dal culo di Antonio e si alza. Fa per rassettarsi, ma si rende conto che ha la divisa spiegazzata. Antonio vede la sua espressione scocciata e ride.

- Dai, spogliati. Vuoi mica andare in giro così? Te la stiro.

Antonio sa stirare, anche se c’è una signora che viene due volte la settimana a fare le pulizie. Fabrizio si toglie la giacca e i pantaloni.

- Mi faccio una doccia, mentre tu lavori. Ho sempre desiderato avere il cameriere personale.

Antonio ghigna.

Fabrizio si spoglia davanti a lui. Poi si dirige in bagno. Antonio fissa il culo di Fabrizio.

Quando Fabrizio torna, avvolto nell’accappatoio, Antonio ha finito di stirare. La divisa è perfetta: neanche una piega. Ma Antonio è nudo, il cazzo mezzo in tiro e la pistola di Fabrizio in mano.

- Alza le mani, poliziotto di merda, che adesso in culo te lo metto io.

Fabrizio lo guarda, con un sorriso provocatorio. Non obbedisce.

- E che credi fare?

Antonio si avvicina e con la canna della pistola fa ricadere il cappuccio dell’accappatoio all’indietro, poi passa la pistola sulla spalla, facendo scivolare il tessuto. Fabrizio non si oppone e si ritrova nudo davanti ad Antonio.

- Pije ‘o mmocca, sfaccimma!

Fabrizio si inginocchia. Guarda il cazzo di Antonio, che sta riempiendosi di sangue. Lo prende in bocca, come ha fatto tante altre volte. Ha un buon sapore il cazzo di Antonio, ha un buon odore. Gli piace da impazzire. Avvolge la cappella con le labbra, la percorre con la lingua. Le mani accarezzano i coglioni di Antonio, li strizzano un poco, li avvolgono, mentre Fabrizio incomincia a succhiare con gusto.

Antonio ha sempre in mano la pistola e la usa per accarezzare la pelle di Fabrizio. La fa scorrere tra i capelli, lungo la guancia coperta dalla barba, sul collo. Poi la posa e stringe con le mani la testa di Fabrizio. Avverte la tensione che sale, il desiderio che si moltiplica. Chiude gli occhi, le mani sulla nuca di Fabrizio. E poi sente il dilatarsi del piacere e il seme che sgorga nella bocca di Fabrizio.

 

Dopo che si sono rivestiti, Antonio gli chiede se vuole mangiare o bere qualche cosa.

- Un succo d’arancia, cameriere. E un panino alla mozzarella di bufala.

- Ai suoi ordini, signore.

Antonio si dirige in cucina e ritorna poco dopo con il panino e il succo. Sul braccio ha un tovagliolo e sembra un perfetto cameriere. Serve Fabrizio con un mezzo inchino e poi si siede di fianco a lui.

- Senti un po’, che ne sai degli Scibone?

Fabrizio ride.

- Quelli li conosci anche tu.

- Sì, so che sono una delle famiglie della camorra. Ma volevo qualche dettaglio. Ho conosciuto Angelo Scibone.

- Angelo? Non mi risulta nessun Angelo.

- È il figlio di Salvatore Scibone.

- Cazzo! E come l’hai conosciuto?

- Alla media dove tengo il corso di teatro, l’ho visto martedì, subito prima di andare a Roma.

- Non a Secondigliano, di certo.

Antonio tiene un corso pomeridiano di teatro anche a Secondigliano.

- No, la scuola media Santa Chiara, privata. Un posto per ricchi. Uno degli insegnanti mi ha detto che è il figlio di Salvatore Scibone. Volevo saperne di più.

- Salvatore e Lucio Scibone sono due fratelli, i figli di Agatino Scibone, attuale capofamiglia. Lucio è il figlio maggiore, l’erede, ma Salvatore è una testa calda e pare che prenda iniziative personali. Di più non so, non mi occupo di loro.

Antonio annuisce.

- Mi fa un certo effetto, pensare che quel ragazzo diventerà un criminale…

- Penserai mica di fargli cambiare idea? Chi nasce quatro nun po’ mmurì tonno.

Antonio scuote la testa:

- No, lo so che non è possibile. Ai ragazzi di Secondigliano magari il teatro serve a qualche cosa, li mette a contatto con una realtà diversa, ma per uno che è destinato ad arrivare ai vertici…

- O a finire ammazzato…

Antonio sente un brivido. Fabrizio chiede:

- Che cosa mettete in scena? Il tuo testo contro la camorra?

È una battuta, chiaramente. Antonio ride, senza convinzione. È turbato.

- No, la superiora me lo disse subito, appena mi contattò: doveva essere un classico, Goldoni, Pirandello o Alfieri. Per cui la scelta cadde su La locandiera.

- E che parte fa Scibone?

- Intendo assegnargli quella del protagonista maschile, il cavaliere di Ripafratta. Quel ragazzo, Angelo… sembra davvero un angelo. È bellissimo.

- Ehi, ehi! Guarda che se ti metti certe idee in testa, la prossima volta che giochiamo a “Fotti il poliziotto” i proiettili mica li tolgo. Ma probabilmente ci pensano gli Scibone prima.

- Cazzo, Fabrizio, anche se sembra un sedicenne, deve avere tredici anni. Non ho mai combinato nulla con un tredicenne in vita mia. Uno a cui insegno teatro, poi!

Antonio strizza l’occhio e aggiunge:

- Dovrò aspettare che ne abbia compiuto sedici.

Fabrizio gli salta addosso e dal divano rotolano a terra.

Si baciano.

- Ti amo, Fabrizio.

 

*

 

- E adesso passiamo alle parti maschili. Il cavaliere di Ripafratta lo fa Angelo.

Angelo sorride, soddisfatto. Ci teneva a interpretare il cavaliere, tra i personaggi maschili è il più importante. Lui è bravo a recitare, l’insegnante di teatro glielo ha detto.

- Alberto invece farà il marchese di Forlipopoli.

Angelo ghigna, guardando la faccia di Alberto: sa benissimo che Alberto avrebbe voluto avere la parte del cavaliere, invece gli tocca quella del marchese, che è un povero coglione. Vero è che anche il cavaliere alla fine si ritrova scornato, ma ne La locandiera l’unica vincitrice è la protagonista, Mirandolina.

- Nino, tu fai il conte d’Albafiorita.

Angelo è contento che Nino abbia avuto quella parte: è la migliore, dopo la sua.

- E Fabrizio tocca a Salvo.

La lezione di teatro è quasi finita: rimane solo una mezz’ora. Provano, leggendo le parti: per la prossima volta dovranno studiare le prime otto scene della commedia. Sarà un bell’impegno, ma ad Angelo teatro piace e non ha difficoltà a ricordare le battute. È un ragazzo sveglio, Angelo, e riesce bene in tutte le materie.

Angelo esce da scuola con Nino.

- Hai visto la faccia di Alberto? Sperava di avere lui la parte del cavaliere.

- Come marchese, me lo vedo benissimo. Non ha neanche bisogno di far finta di essere stupido: lo è.

Nino ride. Angelo lo saluta e sale sull’auto che lo attende. Quasi tutti i ragazzi hanno un’auto che li aspetta, ma non è una scuola qualunque, la media privata Santa Chiara: le rette non sono certo alla portata di tutti.

L’auto che è venuta a prendere Angelo è guidata dall’autista. Angelo non parla. Adesso è concentrato su quello che deve fare.

In venti minuti raggiungono la casa del padre di Angelo. Il ragazzo entra, apre la cassaforte e ne estrae la valigetta. Poi esce in giardino dalla porta posteriore. Lo aspetta un’altra auto. Angelo si limita a dire:

- Vai.

L’autista conosce la meta.

 

*

 

Lucio guarda il filmato sul computer, mentre attende il nipote. È roba forte, questo DVD che gli ha procurato lo sbirro: un ragazzo che fa il servizio a due maschi. A Lucio piace un casino, il cazzo gli è diventato duro.

Pensa al nipote. Angelo arriverà tra poco con i soldi. Quel coglione di suo fratello ha cercato di fare di testa propria, ma ha dovuto cedere e mandare il figlio a pagare. Salvatore si è sempre creduto più furbo. Non imparerà mai, quello. Bisognerà dargli una lezione, un giorno o l’altro, una lezione pesante. Prima o poi Lucio riuscirà a convincere suo padre che non c’è altro modo per far capire a quel coglione che deve rigare diritto, che essere il figlio del capo non significa poter fare di testa propria. Ma Salvatore sa benissimo che non sarà l’erede designato e allora cerca di farsi il suo giro, d’accordo con i Santacroce. Che stronzo!

Lucio sente il suono del campanello. È Angelo, certamente, con il denaro. I due uomini di guardia lo perquisiranno, anche se è inutile: Angelo è soltanto un ragazzino, va ancora alle medie.

Nereo sale:

- C’è suo nipote. Non ha armi, ma non ha voluto aprire la valigetta. Dice che solo lei può aprirla.

Nella valigetta ci sono i soldi.

- Accompagnalo su.

Nereo scende e ritorna con Angelo. È un po’ che Lucio non lo vede, da quando i rapporti con suo fratello si sono deteriorati. Per molti anni Angelo è venuto regolarmente da loro, passavano anche le vacanze insieme a Capri.

È cambiato molto: si è fatto più grande. E più bello. Sembra che abbia sedici anni, l’età dei ragazzi che piacciono a Lucio. Ma ne ha di meno.

Angelo gli porge subito la valigetta e gli dice:

- Ecco zio. Papà ha detto di darla solo a te.

Lucio sorride e la prende. Con un cenno congeda Nereo.

Lucio apre la valigia. Le mazzette da 100 sono sempre una bella vista.

- Bravo, Angelo.

Poi aggiunge:

- Ma che bel ragazzo che ti sei fatto, Angelo.

Angelo sorride.

- Grazie, zio.

Lucio gli pizzica una guancia tra due dita. Angelo gli è sempre piaciuto, un pensierino l’avrebbe fatto, ma è il figlio di suo fratello, sarebbe un casino. Se il loro padre venisse a saperlo… cazzo!

Angelo non si sottrae al contatto.

- Ma quanti anni hai?

- Tredici zio, come Michele, lo sai.

- Sì, ma Michele è un bambino e tu sembri un uomo fatto!

Lucio toglie la mano dalla guancia e la passa sotto il mento.

- E la fidanzatina ce l’abbiamo, eh?

Angelo lo guarda, sorridendo. Alza le spalle.

- Proprio la fidanzatina, no.

- Ma vai già in giro a scopazzare, eh? Con questo bel faccino le ragazzine non ti mancano.

Lucio ha sempre la mano sotto il mento di Angelo. Dovrebbe toglierla, lo sa benissimo, ma quel film che stava vedendo lo ha eccitato, i soldi lo hanno reso euforico e Angelo ha un viso d’angelo.

Angelo scuote di nuovo le spalle.

- Ma sì, bisogna pur provare…

Lucio si decide a togliere la mano. Si mette a braccia conserte, scrutando Angelo come se volesse fargli un interrogatorio.

- Provare?

Lucio ride. Si dice che è meglio cambiare argomento, ma Angelo risponde:

- Ma sì, voglio provare un po’ di cose. Prima di farmi la fidanzatina…

 - E che cos’altro hai provato, eh? Mi sa che sei proprio un maialino…

Angelo sorride:

- Ma no, ho solo tredici anni…

- Io alla tua età ne facevo di tutti i colori. Se non si prova quando si è giovani…

Lucio sa di muoversi su un terreno minato, ma Angelo è delizioso, con quegli occhioni scuri, il bel viso abbronzato, la leggera peluria sopra il labbro superiore. Lucio ce l’ha duro da fargli male.

- E che hai fatto, zio Lucio? Che hai combinato, allora, quando eri un ragazzino?

- È meglio che non te lo racconti, poi tuo padre mi dice che ti metto in testa brutte idee.

Angelo ride, un riso che a Lucio sembra provocante.

- A papà certo non lo racconto, se faccio qualche cosa che lui non approva. Tu mica le raccontavi al nonno, certe cose.

Lucio sorride, ma vorrebbe afferrare Angelo e premere le sue labbra su quella bocca che pare fatta apposta per essere baciata, vorrebbe allungare le mani su quel culo perfetto, vorrebbe...

- E che cosa fai che lui non approva?

Angelo alza le spalle. E sorride, un sorriso malizioso. Lo sta provocando davvero, questa troietta, non è solo un’impressione.

- Qualche cosa la faccio anch’io…

Lucio fa un passo avanti, prende la testa di Angelo tra le mani e lo bacia sulla bocca.

- Questo, ad esempio?

Angelo sorride, lo bacia e risponde:

- O questo.

- Hai mai fatto altro?

- Con un uomo no, non mi fido di gente che non conosco.

La porta è aperta e Lucio non si fa certo pregare.

- Ma con qualcuno che conosci bene, di cui sai che puoi fidarti…

- Allora è un’altra cosa. Potrei provare…

Lucio annuisce.

- Che ne diresti di andare di là? Non c’è nessuno a casa, la zia è a Castellammare.

“Di là”, al fondo del corridoio che collega la stanza che Lucio usa come ufficio all’appartamento, c’è la camera da letto.

Angelo annuisce.

- I soldi non te li porti dietro?

- Nessuno può entrare, ma hai ragione, è meglio che me li porti di là.

La cassaforte è in casa. Lucio li metterà via poi.

Raggiungono la camera da letto. Lucio lascia che Angelo vada avanti. Ha un bellissimo culo, cazzo! Lucio non riesce a staccare gli occhi da quei fianchi, dal leggero ondeggiare che imprime il movimento.

Lucio chiude la porta della stanza.

- Sei bellissimo, Angelo, un bellissimo ragazzo.

Angelo sorride. Un sorriso incerto, ora, che nasconde male il timore. Il ragazzo vuole fare lo spavaldo, ma è spaventato. Lucio sorride: gli piace che il nipote sia incerto, gli piace sapere che sarà il primo a metterglielo in culo.

- Non aver paura, non ti farò male.

Lucio lo abbraccia e poi incomincia a spogliarlo: non regge più, non può più attendere.

Gli sfila il giubbotto e lo lascia cadere a terra, poi gli toglie la felpa. Lo stringe tra le braccia, gli posa le mani sul culo, stringe. Lo bacia ardentemente. Angelo ricambia quel bacio. Anche lui lo vuole.

Lucio gli slaccia la fibbia, poi abbassa la cerniera. Gli cala pantaloni e slip in un colpo solo, con un movimento rapido. Angelo si libera delle scarpe e ora è nudo, davanti a lui.

Lucio incomincia a spogliarsi, con movimenti lenti. La fretta di un attimo fa si è trasformata in una tensione che rallenta i movimenti. Angelo lo fissa, ammaliato. Lo ha visto tante volte in costume da bagno, anche nudo sotto la doccia o quando si cambiavano, ma Angelo era un bambino, allora, adesso è un giovane uomo.

Lucio abbassa i boxer. Il cazzo è duro, una spranga d’acciaio tesa. Angelo pare spaventato, ma quando Lucio si avvicina e lo stringe, non si sottrae.

Lucio lo bacia ancora, poi lo fa stendere sul letto, a pancia in giù. Gli fa allargare le gambe e osserva il culo che gli si offre. Gli sembra di non aver mai visto nulla di così bello. Le natiche strette, muscolose e snelle, l’apertura nascosta.

- Fa’ piano, zio… io…

- Tranquillo, non ti farò male.

Lucio sa che sarà il primo a possedere questo splendido culo. Sputa sull’apertura, sparge la saliva con due dita. Ripete l’operazione. Poi si stende su Angelo e avvicina la cappella al buco. Accarezza Angelo, passandogli una mano sulla testa. Il ragazzo è teso.

- Rilassati e non avere paura.

Angelo annuisce.

Lucio preme il cazzo sull’apertura e quel contatto lo fa fremere. Lucio spinge con delicatezza. La cappella si infila nella carne. Lucio attende un momento, poi spinge più avanti, piano. Angelo geme. Lucio gli accarezza la testa, poi spinge ancora. Ora il cazzo è quasi tutto dentro il culo di Angelo. Un’ultima spinta.

È splendido stare così, una goduria senza fine. Lucio passa la mano sulla testa di Angelo, poi scende a una spalla e oltre, lungo il fianco.

Lucio prende a muoversi lentamente, ritraendosi e poi avanzando. Angelo geme di nuovo, ma Lucio è sicuro che sia più di piacere che di dolore. Il suo movimento diventa più intenso. Lucio spinge con forza, muovendo il culo in avanti, fino a che i coglioni toccano il culo di Angelo, e poi ritraendosi.

Il desiderio cresce, una bolla che si gonfia, che avvolge tutto. Non esiste null’altro che questo piacere. Lucio spinge freneticamente ora, mentre i gemiti di Angelo accompagnano il suo movimento. E infine viene, in un delirio di piacere.

Anche Angelo geme, più forte.

Solo dopo qualche minuto, Lucio trova la voce per chiedere:

- Allora, Angelo, che ne dici?

- È stato bello zio. Mi ha fatto male, ma è bello.

- Lo faremo ancora, Angelo. E ogni volta ti farà meno male e sarà più bello.

- Sì, zio.

Lucio si solleva. Geme quando il cazzo esce dal culo di Angelo. Anche il ragazzo geme.

Lucio entra nel bagno e apre l’acqua della doccia. Quando la temperatura è quella giusta, si mette sotto il getto. Dopo un momento Angelo lo raggiunge. Entra anche lui sotto la doccia. Si baciano ancora. Lucio gli accarezza il culo e infila un dito nel buco. Sente il proprio sborro.

Infine escono. Lucio dà ad Angelo il proprio accappatoio e usa l’asciugamano. Guarda il ragazzo che appende l’accappatoio al gancio dopo essersi asciugato. È bellissimo.

Tornano in camera. Lucio si riveste e Angelo fa altrettanto. Quando Angelo prende il giubbotto da terra, lo chiama.

- Zio.

Lucio si volta, mentre si sistema la camicia.

Angelo ha una pistola in mano e la punta verso di lui. Come è possibile? L’hanno perquisito!

- Sei un coglione, zio, ma mi è piaciuto.

La pistola è la sua. Angelo è stato tante volte a casa sua, sa benissimo che lui tiene una pistola nel comodino.

- Angelo, vuoi scherzare. Perché?

Lo sparo lacera l’aria mentre un proiettile gli lacera in ventre. Lucio sente il fiato mancargli. Barcolla.

- Merda! Angelo… perché?

- Credevi davvero che ti avremmo dato i soldi? Tutto a Giesù e niente a Maria?

Un secondo proiettile lo prende un po’ sopra il primo. Lucio cade in ginocchio.

- Figlio di

Non fa in tempo a completare la frase. Il terzo colpo lo prende allo sterno e lo getta a terra. Angelo si avvicina. Mira al cuore e spara. Il corpo di Lucio ha appena un sussulto.

 

*

 

Tutto come aveva previsto. Lo zio non ha sospettato di lui ed è cascato nella trappola. Ora la seconda parte.

Angelo prende la valigetta e raggiunge l’ufficio dello zio. Solleva il telefono e avvisa gli uomini che attendono in strada. Mette la mano sul pulsante che apre la porta sulla strada e conta fino a dieci. Lo schiaccia. Subito dopo risuona la raffica di mitra.

Angelo scende le scale. Le due guardie giacciono a terra, in un lago di sangue. Angelo fa un cenno. I quattro uomini che sono entrati lo seguono per le scale. Angelo prende di nuovo il telefono e compone un altro numero.

La sua voce è agitata ora, sembra sull’orlo delle lacrime:

- Nonno, nonno.

- Chi è? Angelo, sei tu? Che cosa è successo?

Angelo non risponde subito, come se non riuscisse a parlare.

- Sono dallo zio. La porta era aperta. Hanno ammazzato le due guardie. Ti telefono dall’ufficio. Papà ha detto di avvisare te. Lui è a Roma.

- Lo zio?

- Non lo so. Non sono ancora salito.

- Aspettami fuori, ma non chiudere la porta. Arrivo subito.

Angelo posa il telefono. Accompagna i quattro uomini nella camera da letto e li fa sistemare. Poi scende e si mette nella stanza d’ingresso, badando a non pestare i rivoli di sangue. Una delle due guardie del corpo ha il cazzo duro: si vede benissimo. Non è la prima volta che Angelo vede un morto ammazzato che ce l’ha duro.

Quando sente arrivare l’auto, si affaccia sulla porta.

Nonno Agatino scende, insieme a tre uomini. Sono tutti armati.

Angelo ha le lacrime agli occhi.

- L’hanno ammazzato, nonno, l’hanno ammazzato!

Il nonno china la testa.

- Dov’è?

- Nella camera da letto. Sono salito. La porta del corridoio è aperta. Sono andati via.

Angelo scuote la testa. Sembra che non riesca più a parlare.

- Hai fatto un’imprudenza a salire. Adesso rimani qui, Angelo. Gennaro, resta con lui.

Il nonno chiude la porta, poi sale le scale di corsa.

Passa qualche minuto. Angelo cerca di captare i rumori, ma ci sono diverse porte in mezzo e la camera da letto è lontana.

Passano forse due minuti. Un rumore in cima alle scale.

Gennaro alza lo sguardo. Quando vede degli sconosciuti armati, fa per puntare la pistola, ma il colpo che lo prende alla schiena lo manda a terra.

Angelo gli si avvicina, preme la pistola contro la nuca della guardia, che ancora si muove, e spara. Poi ripone la pistola.

- Avete controllato bene? Sono morti tutti?

- Abbiamo sparato un colpo alla testa a tutti e quattro, ma erano già morti.

- Aspettate.

Angelo sale le scale e prende la valigetta che ha nascosto nell’ufficio dello zio. Escono tutti insieme e salgono sulle due auto che li attendono.

 

*

 

Angelo è a casa. Ha detto a sua madre che lui non è più uscito dopo essere rientrato da scuola. Sua madre ha annuito. Non ha posto domande, sa benissimo che non tocca a lei chiedere di queste cose. Se qualcuno farà domande, Angelo è tornato a casa alla fine delle lezioni ed è rimasto in camera sua a studiare.

Angelo si è steso sul letto. Non ha chiamato suo padre. Lo ha fatto Maciste da uno degli uffici che servono come copertura. Per il momento gli omicidi non sono ancora stati scoperti.

Angelo riflette. È turbato. Non è la prima volta che uccide. Ha imparato a sparare da bambino, usava una pistola vera a otto anni. Ha finito un uomo a undici anni, ne ha ucciso uno a dodici e un altro sei mesi fa. Uccidere gli piace, gli dà una sensazione di potenza. Quando guarda i suoi compagni di classe e pensa che quelli se la farebbero sotto se sapessero, si sente su un altro pianeta. Loro sono mocciosi, lui è adulto.

Quello che lo ha turbato è avere ammazzato lo zio e soprattutto il nonno. Andava fatto, Angelo lo sa benissimo, è stato lui a suggerire a suo padre che era arrivato il momento di farlo. Ma ora emergono ricordi di giochi da bambino, di camminate, di feste in famiglia. Piccoli frammenti che gli danno fastidio, che vorrebbe poter cancellare come ha cancellato quelle vite.

E poi c’è l’altra parte, quello che c’è stato con lo zio. Angelo sapeva benissimo che allo zio i ragazzi piacevano, gli bastava vedere certe occhiate che lanciava quando erano al mare. Aveva pensato di far leva su quello per ucciderlo. Ma aveva anche deciso di provare. Non ne aveva parlato a nessuno. Suo padre l’ammazzerebbe se sapesse che lui se l’è fatto mettere in culo. Non lo saprà mai, perché l’unico che potrebbe dirglielo è morto. Angelo ha provato. E ora? Gli ha fatto male, non molto. Gli è piaciuto, parecchio. Poco ci è mancato che venisse. Non sarà facile farlo altre volte. Ma ne valeva la pena.

Uno con cui gli piacerebbe provare è l’insegnante di teatro, Antonio. Non è un bell’uomo, non nel senso tradizionale, ma è un uomo interessante, gli piace come sa trasformarsi in scena, gli piace la sua autorevolezza.

 

*

 

Al funerale ci sono tutti. I familiari, i parenti lontani, il quartiere.

Angelo e suo padre sono in prima fila, insieme a zia Assunta, a Michele e a Lidia. Tante lacrime da parte delle donne. Anche Angelo a tratti pare singhiozzare.

Quando infine calano i due corpi nella fossa, zia Assunta dice al cognato:

- Quelli li devi ammazzare, Salvatore, come cani rabbiosi li devi ammazzare. Sulla Madonna me lo devi giurare.

Zia Assunta non sospetta nulla: le femmine non sono informate, gli Scibone non parlano alle loro donne degli affari, sono cose da uomini. Magari le femmine si accorgono degli screzi, ma non sanno quello che ci sta dietro, sono convinte che la famiglia venga sempre prima di tutto.

Michele non dice nulla. Sospetta qualche cosa? Qualcuno degli uomini gli ha parlato? È difficile, adesso suo padre è il capo e se qualcuno mettesse in giro delle voci sul suo conto, rischierebbe la pelle.

 

*

 

Per oggi hanno finito. C’è ancora la prova generale, la prossima volta. Angelo indugia, chiede ad Antonio alcune cose.

- Crede che riuscirà bene?

- Certamente. Avete tutti imparato la parte e siete convincenti. Sarà meglio di certe Locandiere che circolano nei teatri italiani.

- Non ci credo.

- Siete bravi, Angelo. E tu sei bravissimo. Se mai decidessi di dedicarti al teatro, faresti strada.

- Lo dice per incoraggiarmi.

- No, davvero. Sei davvero bravo, Angelo. Potresti davvero fare l’attore.

Antonio sa benissimo che Angelo è l’erede degli Scibone e che non farà l’attore, ma vuole pensare che magari questo ragazzo potrebbe trovare una strada diversa.

Angelo sorride.

- Grazie. Ma ho un sacco di dubbi. Soprattutto sul finale, quando Mirandolina svela il suo gioco. Non mi sembra di essere convincente…

Antonio sta per rispondere, ma Angelo continua:

- …mi aiuterebbe a preparare meglio questa scena? Adesso non c’è più nessuno e non c’è problema se usciamo più tardi. Tanto c’è il custode.

La domanda spiazza Antonio. Sa che non è la richiesta di un aiuto, peraltro superfluo. C’è qualche cosa di più, come conferma l’accenno al fatto che ormai non c’è più nessuno.

Antonio ha colto già prima qualche segno e ora i suoi sospetti ricevono una conferma. Rimane un attimo incerto. Angelo è bellissimo, davvero. Ha tredici anni, forse quattordici ora. Antonio pensa a Fabrizio.

- Mi spiace, Angelo, non posso fermarmi: ho un impegno.

Non dice che potrà farlo un’altra volta. Aggiunge solo:

- Tanto sei bravissimo.

Angelo annuisce, sorride:

- Pazienza.

Antonio torna a casa. Non ha approfittato dell’occasione e gli va bene così. L’età di Angelo ha pesato molto sulla sua scelta e forse anche la famiglia di cui fa parte: con gente come gli Scibone Antonio preferisce non avere a che fare. Ma Antonio ha l’impressione che il fattore determinante sia stato un altro: il pensiero di Fabrizio. Ha sempre pensato che due uomini che si amano non debbano considerarsi vincolati ad una reciproca fedeltà, eppure il pensiero di stringere un altro corpo gli ha quasi dato fastidio. Non gli era mai successo, prima.

Quanto ama Fabrizio? Tanto, lo sa benissimo. È solo un anno che stanno insieme, ma Antonio sa di non aver mai amato nessun altro come lui.

 

*

 

 La recita di fine anno è un gran successo. Angelo riscuote tantissimi applausi. È davvero un ottimo attore.

 

2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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