Resa dei conti

 

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Il teatro chiude ha un grande successo. Tutte le sere la sala è piena e ci sono applausi fragorosi.

Lo spettacolo realizzato dalla compagnia di Antonio Basile è un atto di denuncia, preciso, circostanziato: ricostruisce le vicende che hanno portato alla chiusura e alla demolizione di un teatro, pochi anni fa, mettendo in luce l’intreccio tra criminalità e politica. Non c’è quasi nulla di inventato nell’opera, che si basa sui risultati di un’inchiesta per tentato omicidio. La vittima, il consigliere di circoscrizione Vincenzo Russo fu ferito gravemente, ma riuscì a salvarsi. La sera della prima Vincenzo ha assistito allo spettacolo ed è salito sul palco per parlare al pubblico. Zoppica ancora per la ferita.

Lo spettacolo di Antonio ha suscitato molte polemiche. Diversi politici hanno storto il naso; alcuni giornali, quelli vicini alla camorra, hanno criticato: Antonio cerca il successo sputtanando Napoli, è uno di quelli che seguono la strada di Saviano.

Lo spettacolo andrà in tournée: l’hanno richiesto diversi teatri. Antonio ormai è un nome noto e apprezzato in tutta Italia. Forse apprezzato più altrove che nella sua Napoli, dove lo chiamano il re, ma è spesso oggetto di feroci critiche. Antonio ha davvero fatto una carriera brillante.

 

Antonio esce da teatro. Anche questa sera ci sono stati molti applausi e la sala era stracolma.

Antonio raggiunge la sua auto. Ha dovuto parcheggiare lontano. È immerso nei suoi pensieri e solo all’ultimo minuto, quando ha già infilato la mano in tasca per tirare fuori le chiavi, nota i tre uomini fermi poco lontano dalla macchina. Sembrano chiacchierare tranquillamente tra di loro, ma Antonio avverte il pericolo. Li guarda e in quel momento dall’ombra del portone alle sue spalle sbuca un uomo. Antonio sente la pressione della pistola contro la schiena.

- Muoviti, in fretta.

Antonio sa di non avere scelta.

Avanza fino all’auto, spinto dall’uomo. Gli altri gli sono intorno. In un attimo gli hanno preso le chiavi e uno si è messo al volante. Antonio si trova sul sedile posteriore, tra due di loro. Non dicono niente. Un pugno nello stomaco, vibrato con forza, fa piegare Antonio in due. L’altro uomo gli tira le braccia dietro la schiena e gli mette un paio di manette. Poi quello che lo ha colpito gli infila un cappuccio di pelle. Antonio non vede più nulla. Gli tengono una mano sulla testa, costringendolo a stare chinato in avanti, in modo che da fuori non si veda nulla.

- Non ti muovere, pezzo di merda.

Mentre il dolore del colpo lentamente si attenua. Antonio si chiede se l’ammazzeranno. Ha paura. Sapeva di essersi esposto, ma non si aspettava che lo sequestrassero. Li ha visti in faccia, tre di loro. Si limiteranno a un avvertimento e lo lasceranno vivo? O l’uccideranno e abbandoneranno il suo corpo in qualche discarica?

La macchina prosegue la sua corsa. Antonio rimane piegato, sente la pressione della mano sulla sua schiena. Che cosa gli succederà? La paura gli stringe lo stomaco.

 

*

 

Antonio non arriva. Sarà stato fermato da qualcuno: succede spesso. Ma Fabrizio è inquieto, non saprebbe nemmeno lui spiegare perché. Antonio non ha ricevuto minacce, ma i toni di certi giornali non lasciano dubbi: lo spettacolo ha dato fastidio, parecchio. Fabrizio si dice che è un coglione a preoccuparsi per il ritardo di Antonio: sarà davanti al teatro a parlare con qualcuno che non lo molla, è già successo, è famoso, sono in tanti a richiedere un po’ della sua attenzione, aspiranti attori e scrittori, insegnanti che lo vorrebbero nelle loro scuole e pure uomini che vorrebbero portarselo a letto, questo Fabrizio lo sa benissimo. Sono tantissimi i motivi per cui Antonio può essere in ritardo. Eppure Fabrizio non si sente tranquillo.

Decide di provare a telefonargli.

Fabrizio compone il numero di Antonio sul cellulare. Sente lo squillo. Sorride della propria agitazione. Adesso Antonio gli risponderà e gli dirà ridendo che è un bel ficcanaso e che non gli va di essere sotto controllo. Ma Fabrizio sa benissimo che non se la prenderà.

Nessuno risponde.

 

*

 

Il cellulare di Antonio squilla mentre lo tirano fuori dall’auto.

- Adesso la paghi, stronzo. Chi ti credevi di essere, coglione?

Antonio pensa che lo ammazzeranno. Pensa a Fabrizio, dev’essere lui che lo cerca al telefonino. Alla paura si aggiunge la sofferenza per Fabrizio. Sarà terribile per lui. Perché ha montato questo spettacolo? Perché doveva farlo, perché non può assistere indifferente allo scempio di questa città che ama.

Qualcuno sta armeggiando con la sua cintura. Antonio non capisce. Il suono del telefonino si allontana. Devono averlo gettato via. Gli stanno calando i pantaloni. Che cosa vogliono fargli? La paura gli stringe le viscere.

Qualcuno lo prende per il collo e lo solleva, poi lo appoggia sul cofano dell’auto. Con un calcio lo costringono ad allargare le gambe. Antonio ha paura.

- Adesso te lo prendi in culo, finocchio!

Antonio si tende. Avverte la pressione contro il culo. Stanno per violentarlo. Antonio chiude gli occhi, anche se non fa nessuna differenza perché il cappuccio chiude completamente la visuale. Pensa che non deve opporre resistenza. Impone al suo corpo di rilassarsi, di accettare lo sfregio che sta per subire.

L’uomo lo penetra con una spinta decisa, che fa sussultare Antonio. Gli ha fatto un male bestiale. Antonio si morde il labbro. Questi bastardi vogliono umiliarlo, magari riprendono pure la scena con il telefonino e poi la mettono su Internet: che tutti sappiano che cosa succede a pestare i piedi alla gente che conta, quel finocchio di Basile se l’è preso in culo. Eppure, di fronte alla possibilità che lo uccidano, l’idea che si limitino a violentarlo è meno angosciosa.

L’uomo muove il culo avanti e indietro con spinte vigorose. Viene dopo pochi minuti dentro di lui. Antonio sente il seme nelle sue viscere. Anche questo. Se non lo ammazzano, rischia pure di beccarsi l’AIDS.

L’uomo ha finito. Si ritrae. Antonio si chiede che cosa succederà ora. Lo violenteranno ancora? Lo uccideranno? Spera che non lo uccidano, che lo stuprino ancora, piuttosto. Un nuovo cazzo preme contro il suo culo. Non è molto rigido, l’uomo sembra fare fatica a conservare l’erezione.

- Non ti viene duro? Sei un cazzo moscio!

- Io mi faccio le femmine, non i maschi, stronzo!

Infine l’uomo lo penetra e incomincia anche lui a muoversi avanti e indietro, senza troppa convinzione. Si ritira poco dopo.

- Questa roba non fa per me.

Uno degli altri ride.

- Ti faccio vedere io come si fa! La faccio godere, questa troia!

L’uomo gli poggia le mani sul culo e lo infilza con un colpo secco. Antonio ha un guizzo: il dolore è stato lancinante e le spinte energiche lo ingigantiscono. Antonio sente la rabbia salire dentro di sé, l’odio per questi maledetti bastardi che lo fottono, che cercano di spegnere la sua voce. Che forse ora lo uccideranno. E mentre lo pensa Antonio desidera che questo dolore si prolunghi, che il momento della fine si allontani.

L’uomo ci mette un po’ più del primo. Antonio avverte la scarica, poi il cazzo si ritrae e il dolore al culo si attenua. A rinnovarlo è l’ultimo uomo, che fa molto in fretta e viene anche lui dentro Antonio.

E ora? Lo uccideranno? O lo lasceranno lì, legato e incappucciato, fino a che qualcuno lo ritroverà?

Sente un’altra voce, diversa da quelle che ha sentito fino a ora, una voce che rievoca vaghi ricordi.

- C’è ancora questo, per te, stronzo.

Il dolore allo scroto è atroce, un bruciore che lo fa urlare e cancella ogni ricordo. Gli hanno spento una sigaretta sulla pelle. Il corpo di Antonio vibra nell’agonia di uno spasimo violento.

Di nuovo lo afferrano e lo buttano a terra. Con un calcio lo fanno rotolare. Antonio si dice che è finita, ora lo ammazzeranno. Sente invece il getto che gli scende sul cappuccio e sul torace. L’odore gli dice che gli stanno pisciando addosso. Antonio respira con difficoltà crescente. Solleva la testa.

- Sta’ buono, stronzo.

Poi Antonio sente la voce di prima, dell’uomo che gli ha spento la sigaretta sulle palle:

- La benzina, muovetevi.

No! Vogliono dargli fuoco! Una morte orrenda. Antonio non vuole morire, non così. Cerca di rialzarsi, riesce a mettersi a sedere ma un calcio lo rimanda a terra. Lo afferrano e lo trascinano per qualche metro. Lo vogliono mettere nell’auto e incendiarla. Antonio si dibatte.

- Sta’ fermo, stronzo!

D’improvviso sente il ruggito di una vampata di fuoco, a qualche metro di distanza. Hanno incendiato l’auto. Lo getteranno nel rogo?

Il cellulare squilla in quel momento. Vicino, vicinissimo. Devono averlo buttato proprio dove adesso si trova lui.

Antonio mormora: - Fabrizio!

Uno sparo.

 

*

 

Il cellulare di Antonio è muto, una voce femminile informa che l’utente non è raggiungibile. Fabrizio ormai è in preda all’angoscia. Sa che è successo qualche cosa ad Antonio, qualche cosa di grave. Se avesse liberamente deciso di non tornare a casa, lo avrebbe sicuramente avvisato. Fabrizio si prende la testa tra le mani.

Ha già telefonato in commissariato, ha comunicato che Antonio è scomparso, ha chiesto di essere informato immediatamente se ci fossero notizie Poi è stato al teatro, da cui Antonio è uscito alla solita ora. Ora gira in auto per le vie, senza una meta, sperando di vedere Antonio fermo da qualche parte, anche se sa che è un’assurdità. Alle ricerche partecipa una volante della polizia, su cui c’è Alex, che conosce bene Antonio, ma è come cercare il classico ago nel pagliaio.

Il cellulare squilla. Fabrizio lo ha poggiato sul sedile di fianco. Lo guarda, scuote la testa senza muoversi, colto da un terrore che lo schiaccia, poi lo afferra di scatto.

- Pronto?

- Qui è l’ospedale Cardarelli. Il signor Fabrizio Poggio?

Fabrizio ha l’impressione che una mano gelida lo abbia afferrato alla gola. A fatica riesce a dire:

- Sì?

- Attenda.

Fabrizio vorrebbe chiedere, ma in quel momento sente la voce:

- Fabrizio…

Fabrizio chiude gli occhi. Ringrazia un Dio sulla cui esistenza ha molti dubbi.

- Antonio, Antonio… che è successo?

- Sono vivo, non mi hanno ammazzato. Vieni a prendermi, per favore.

Fabrizio riesce a chiedere:

- Come stai?

- Sto bene… vieni, per favore. Vieni.

- Subito.

C’è un’urgenza nella voce di Antonio che spaventa Fabrizio. Arriva all’ospedale bruciando semafori e ignorando precedenze, continuando a ripetersi che Antonio è vivo, che gli ha parlato, che non lo hanno ammazzato.

All’ospedale ci sono due suoi colleghi davanti alla porta. Fabrizio conosce l’ispettore Scalenghi, con cui ha spesso lavorato.

- Che è successo?

Scalenghi gli risponde:

- Lo hanno sequestrato, menato, stuprato e poi lasciato a Miano, vicino all’auto che bruciava. Ma non sembra avere niente di serio.

Fabrizio è rimasto senza parole. Annuisce ed entra.

C’è Antonio, sul letto, e un giovane medico vicino a lui. L’uomo si volta.

- Fabrizio!

Fabrizio si avvicina e abbraccia Antonio, che si è alzato a sedere.

- Come stai?

- Sto bene. Voglio andare a casa.

Il medico interviene, rivolto a Fabrizio.

- Non dovrebbe andarsene. È sotto shock.

È Antonio a rispondere.

- Prendo il sedativo, dottore, ma voglio andare a casa.

Fabrizio guarda il dottore.

- Ha ferite, altro?

- No, l’ustione allo scroto è cosa di poco conto, non ci sono lacerazioni nel retto e per il resto direi che il problema principale è lo shock. Anche se il suo amico è forte, non bisogna sottovalutare il trauma.

Poi il medico si rivolge ad Antonio:

- Signor Basile, adesso a lei sembra di stare bene, ma ha bisogno di tempo per riprendersi.

- Lo so, lo capisco, ma ho bisogno di essere a casa.

Fabrizio interviene. Antonio vuole andare a casa e allora ci andranno.

- Va bene. Ce ne andiamo. Firmiamo quello che c’è da firmare.

Il medico non è contento, ma si rassegna.

- Gli stia vicino, ispettore. Sta affrontando quello che gli è successo con coraggio e grande lucidità, ma è comunque un trauma. Gli faccia prendere il sedativo, a ogni costo. Non ha voluto farlo prima che arrivasse lei.

- Lo farà.

Svolgono le formalità, poi escono.

Antonio ha già fornito alcune indicazioni agli agenti, domani in commissariato renderà la sua testimonianza.

In auto Antonio dice:

- Grazie, Fabrizio. Avevo bisogno di averti vicino. Voglio che tu mi stringa, questa notte, se non ti faccio schifo.

Fabrizio inchioda e urla:

- Antonio!

Lo abbraccia di slancio.

- Scusa, Fabrizio. So che avrò bisogno di quel sedativo.

Dietro qualcuno suona il clacson.

A casa Antonio fa una doccia. Fabrizio lo aiuta, anche se Antonio potrebbe fare da solo. Poi gli fa prendere il sedativo e si mettono a letto. Fabrizio lo abbraccia e attende che Antonio si addormenti.

 

*

 

La mattina Fabrizio si alza presto, cercando di non fare rumore per non svegliare Antonio. Passa in salotto e telefona al commissariato. Chiede che gli passino il commissario.

- Commissario, mi scusi, le chiedo un giorno di ferie. Non ho potuto farlo prima…

Il commissario lo interrompe.

- No, Fabrizio, non sei in ferie, sei in servizio. Per i prossimi tre giorni ti occupi esclusivamente della protezione di Antonio Basile.

I colleghi di Fabrizio sanno ed evidentemente anche il commissario sa, anche se Fabrizio non gliene ha mai parlato.

- Grazie, commissario.

- Poi vediamo se è il caso di prolungare. Me lo dici tu.

- Grazie.

Fabrizio non sa dire altro.

 

Nel primo pomeriggio però Fabrizio passa in commissariato. Antonio è a casa, che riposa: più tardi verrà anche lui a deporre. Con lui adesso ci sono Alex e Vincenzo. Quando ha saputo dell’accaduto, Alex gli ha telefonato subito e ha dato la sua completa disponibilità. Fabrizio ne ha approfittato: per la sicurezza di Antonio, ha bisogno di sapere qual è la situazione. Non è solo per questo che vuole sapere la situazione delle indagini, se ne rende conto.

Fabrizio parla con Ernesto Scalenghi, che si occupa dell’indagine.

- Che cosa sai?

- Poco più di quello che ti ho detto ieri sera. Hanno incendiato l’auto e sparato al telefonino. Gli hanno pisciato addosso.

- Indizi?

- Abbiamo il proiettile, avremo il DNA degli aggressori e adesso aspettiamo la testimonianza di Basile.

- Lo spettacolo, di sicuro è quello il motivo.

- Sì e credo di sapere chi è il mandante.

Fabrizio lo guarda, interrogativamente, senza dire nulla:

- Lo spettacolo riguarda la chiusura del teatro e la speculazione sui terreni, quella che il consigliere Russo cercò di bloccare. Gli elementi emersi dall’indagine portano tutti ad Angelo il Pazzo.

- Angelo il Pazzo?

- Angelo Scibone. Da quando ha preso il controllo del clan, ha fatto di tutto. Le vecchie regole per lui non contano niente. Fa quello che vuole. Lo chiamano il Pazzo per quello. Non arretra davanti a nulla, ma prima o poi qualcuno lo ammazza. Non si vive a lungo quando si è come lui, anche se si può dire che ha fatto una carriera brillante.

Fabrizio annuisce. Angelo Scibone. Fabrizio non si occupa di camorra, ma il nome gli è ben noto. Si ricorda che Antonio aveva conosciuto Angelo quando era un ragazzino, gli è capitato qualche volta di accennarne anche in tempi recenti.

- E un altro elemento lo conferma.

- Quale?

- Una cosa del genere non è nello stile della camorra, Fabrizio.

- E allora?

- Allora l’unico a cui può essere venuto in mente è proprio Angelo il Pazzo.

Fabrizio ha un brivido. Quello è davvero capace di tutto. Potrebbe non limitarsi all’avvertimento.

 

*

 

Antonio arriva un’ora dopo e racconta quanto è successo. Lo fa con freddezza, come se non fosse capitato a lui, come se fosse solo la trama di un dramma che vuole recitare. Fabrizio invece prova un’angoscia crescente, mentre ascolta. Vorrebbe abbracciare Antonio.

La testimonianza di Antonio è precisa. Antonio è molto fisionomista e individua facilmente due degli uomini di Scibone tra le foto che gli vengono mostrate. Su un terzo ha dei dubbi.

Due uomini di Angelo Scibone. L’ipotesi di Ernesto si è rivelata esatta. C’è il DNA degli stupratori, se sono loro incastrarli sarà facile.

La sera Antonio si presenta in scena. È accolto da un grande applauso. Già si sa, la notizia ha fatto il giro di tutta Napoli. Ma Antonio grida le sue parole contro la camorra. Fabrizio è in sala. Intende esserci sempre, anche quando sarà finito il periodo in cui deve occuparsi solo della protezione di Antonio.

 

*

 

I tre uomini hanno negato, ovviamente, ma la testimonianza di Antonio è sicura e la prova del DNA li inchioda. Sono in carcere. Scalenghi ha convocato Angelo Scibone. Fabrizio gli chiede di essere presente all’interrogatorio. Ernesto non è d’accordo: Fabrizio è troppo coinvolto. Ne discutono a lungo. Fabrizio promette che starà zitto.

Scalenghi conduce l’interrogatorio.

- I tre uomini che abbiamo arrestato per la violenza sul regista lavorano per lei.

Angelo inarca le sopracciglia, come se Ernesto avesse detto una cosa senza senso. Li sta chiaramente prendendo in giro, del tutto indifferente alle accuse. Non si cura neanche di nascondere il suo disprezzo per loro. I due ispettori sono soltanto delle merde.

- Per me? Non mi risulta. E che lavoro farebbero?

- Lavori come quello di giovedì scorso, Scibone. E quella sera forse c’era anche lei.

- Questo dovrà provarlo, ispettore.

Fabrizio interviene, di scatto:

- C’è il mozzicone di sigaretta, quello che ha spento sul corpo di Basile.

Si pente subito di aver parlato. Ha fatto una cazzata. Non avrebbe dovuto nemmeno essere presente.

Angelo non dice nulla. Si volta verso Fabrizio e lo fissa negli occhi. Fabrizio sa leggere in quello sguardo: è una condanna a morte, che verrà eseguita molto presto. Fabrizio sente un brivido percorrergli la schiena, ma non abbassa gli occhi.

Angelo si rivolge a Ernesto e gli dice, come se l’interrogatorio fosse concluso.

- C’è altro, ispettore?

C’è molta ironia nella parola “ispettore”.

Fabrizio interviene di nuovo:

- Non si illuda, Scibone. Le indagini vanno avanti, in ogni caso.

Angelo ripete, come se non avesse capito:

- In ogni caso?

- Sì, in ogni caso.

Angelo annuisce. La sua espressione è leggermente mutata, ma Fabrizio non è più in grado di leggerla.

Ernesto pone ancora qualche domanda, poi congeda Angelo Scibone. Quando è uscito, si rivolge a Fabrizio:

- Sei una testa di cazzo, Fabrizio!

 Fabrizio china la testa.

- Hai ragione, Ernesto. Scusami, non ci ho visto più!

- Per questo non ti volevo. Cristo! Sei in pericolo, Fabrizio, l’hai capito, vero?

Fabrizio annuisce.

- Da domani ti metto sotto protezione. Te e Antonio.

 

*

 

Mentre rientra a casa, Angelo pensa all’ispettore Poggio. Quell’uomo ha le palle. Una ragione in più per ammazzarlo. Angelo si rivolge a Bellavia, il suo braccio destro.

- Lino, per domani devi dirmi dove abita l’ispettore Poggio, come vive, con chi, che orari fa. Tutto.

Per ammazzare quel figlio di puttana non servono tutte queste informazioni: basta molto di meno. Ma Angelo vuole saperne di più su quest’uomo. Una notte l’ha visto scopare a teatro con Antonio Basile e adesso ‘sto figlio di puttana ha assistito all’interrogatorio. Angelo ha un’idea in testa e vuole verificarla.

Aggiunge ancora:

- Telefona a Capuano, digli che questa sera vado in palestra.

- Va bene.

Angelo è irritato. Ripensa all’interrogatorio. Quei bastardi sono sulla strada giusta. E il Poggio ha le palle. Gliele farà tagliare e mettere in bocca. 

 

*

 

Fabrizio è teso. Nel suo mestiere si rischia la pelle, questo lo sapeva benissimo anche lui, fin dall’inizio. Se uno lo fa sul serio, rischia ancora di più. Ma è la prima volta che la minaccia è così concreta, non legata ai rischi di un’azione. Non è più nemmeno una minaccia, è una certezza.

Fabrizio aziona l’apricancello e mette l’auto nel box. Potrebbe essere domani, qualcuno che lo attende nei box. O una bomba nell’auto. Che dire ad Antonio? Fabrizio non vuole che si preoccupi, ma in qualche modo deve prepararlo. E il pensiero gli passa per la testa come un lampo: anche Antonio è in pericolo. Potrebbero far esplodere l’auto mentre sono insieme. Mandare un sicario a casa. E in ogni caso l’indagine parte da Antonio: motivo di più per eliminare lui. Fabrizio si rende conto di aver messo in pericolo Antonio. L’angoscia monta. Fabrizio si accorge di sudare. Non Antonio, non Antonio. Non vuole. Non lui. Prova l’impulso di fuggire via. Non Antonio.

Fabrizio sale in casa. C’è un solo giro di chiave alla serratura: Antonio è dentro. Fabrizio avrebbe preferito che non ci fosse, avere il tempo di pensare, di capire che cosa fare.

Antonio gli viene incontro sorridendo, ma si ferma, di colpo.

- Che succede, Fabrizio? Non stai bene?

 

*

 

- È per questa sera.

- Va bene.

- Ti è tutto chiaro?

- Sì.

Per Bruno Cammarota tutto è perfettamente chiaro, ha già ricevuto tutte le istruzioni necessarie: che cosa deve fare e come. L’unico elemento che gli mancava era il quando. È per questa sera.

- Ti passano a prendere alle undici.

Bruno Cammarota prepara la borsa. Prende il coltello. Ne accarezza la lama. Gli piace il coltello, anche se ha ucciso più spesso con la pistola. Gli piace affondare la lama in un corpo, sentire il rumore della carne lacerata. Gli piace uccidere e con il coltello c’è più gusto. Gli piace castrare: è una sensazione bellissima, quando la lama recide i legamenti, quando taglia il cazzo. Bruno ha il cazzo duro. Sarà una bella serata. Uno stronzo di meno, un sacco di euro per lui. E via da Napoli verso Torino, dove lo chiamano per un altro lavoro.

 

*

 

Antonio si spoglia e abbraccia Fabrizio, che è già steso a letto. Lo bacia e le sue mani incominciano a percorrere il suo corpo. Da quando ha subito la violenza, non hanno più fatto l’amore, ma lo scoprire che Fabrizio è in pericolo, che lo sono entrambi, ha scosso Antonio, lo ha fatto uscire dal torpore di questi ultimi giorni.

Non ci sono giochi di ruolo, questa sera. C’è solo la tenerezza infinita di diciassette anni di amore, di due corpi che si conoscono a fondo e che non sono sazi uno dell’altro, di giorni vissuti insieme, di orari diversi, di lontananze e intimità, partenze e ritorni, ricordi e speranze.

Antonio accarezza Fabrizio, le sue mani percorrono ogni centimetro di quel corpo che conoscono bene, scivolano sul viso, sul collo, sul petto, scendono al ventre, al cazzo, ai coglioni e poi lungo le gambe, fino ai piedi. In ginocchio sul letto Antonio prende in bocca un alluce di Fabrizio, lo morde, con delicatezza. Poi la sua lingua ripercorre l’itinerario delle mani, indugia a lungo sui coglioni, risale sul cazzo, la bocca inghiotte la cappella e la avvolge in una carezza umida, poi riprende il percorso, lungo il ventre, si ferma all’ombelico, risale fino ai capezzoli, i denti mordicchiano, la lingua accarezza, poi la bocca succhia e risale ancora, lungo il collo, fino a che le due bocche si incontrano. Antonio volta Fabrizio sulla pancia. Lo bacia sulla nuca, poi la bocca scende sulla schiena, la lingua percorre la colonna vertebrale, fino al solco tra le natiche, fino al buco del culo. Accarezza, indugiando, risale, scende di nuovo, preme, risale ancora, scende, si spinge più a fondo.

Fabrizio geme.

Antonio prende un preservativo. Ha detto a Fabrizio di comprarli, dopo la violenza, perché non vuole esporlo a rischi, ma non ne hanno ancora usati. Fabrizio non ha preso nessuna iniziativa, aveva paura di forzare Antonio.

Antonio si infila il preservativo sul cazzo perfettamente teso. Guarda il culo di Fabrizio e avvicina la punta del cazzo al buco. Spinge con delicatezza, la cappella forza l’apertura, avanza e prende possesso. Antonio si stende su Fabrizio e imprime un’ultima spinta, più decisa. Ora il suo cazzo è tutto dentro il culo di Fabrizio e una sensazione profonda di benessere lo invade. Antonio abbraccia Fabrizio e rimane immobile. Solo la sua bocca bacia il collo di Fabrizio, poi un occhio, mentre la lingua si infila dietro l’orecchio e dentro, i denti mordono il lobo.

Antonio rimane a lungo così, assaporando il benessere perfetto di quell’abbraccio. Poi incomincia a muoversi dentro Fabrizio, gustando la sensazione del cazzo che struscia nell’involucro caldo del culo di Fabrizio. Si muove con lentezza, prima, e poi via via più velocemente, trascinato da un desiderio che incalza e non gli lascia tregua. Di colpo si ferma. Rimane immobile, poi riprende a spingere, spinte decise, ma spaziate, per prolungare il piacere. A ogni spinta risponde un gemito di Fabrizio. E infine Antonio viene, in un grido.

Antonio tiene il suo compagno tra le braccia. Pensa che potrebbe essere l’ultima volta. Spera che ammazzino anche lui, insieme a Fabrizio.

Sussurra, mentre ancora è dentro di lui:

- Prendimi tu, Fabrizio.

Lo stringe e poi lo lascia, si ritrae e scivola di lato.

Vuole che Fabrizio lo possegga ancora una volta. Non vuole che gli ultimi a prenderlo siano stati quei quattro figli di puttana.

Fabrizio ha il cazzo duro. Si stende sopra Antonio, lo abbraccia, poi avvicina la cappella al buco, ma Antonio gli dice:

- Il preservativo.

Fabrizio ubbidisce e prende la bustina. Antonio si volta, gli toglie la bustina di mano, lo bacia e poi sfila il preservativo. Bacia il cazzo di Fabrizio, lo lecca con cura, lo succhia un buon momento, poi infila il guanto. Strizza ancora un po’ i coglioni del suo compagno, facendolo gemere, e si stende a pancia in giù. Fabrizio avvicina il cazzo e lo spinge dentro, piano, mentre le sue mani accarezzano la schiena di Antonio e la sua bocca sussurra parole d’amore.

Antonio sente di nuovo il cazzo di Fabrizio dentro di sé e pensa che è bello, che va bene così e che quello che è successo è solo una nube scura che con il tempo svanirà. E se non avranno più tempo a disposizione, va bene anche così, purché se ne vadano insieme.

Fabrizio sente che il desiderio lo trascina e le sue spinte diventano sempre più vigorose. Antonio geme e Fabrizio risponde con un altro gemito, un grido strozzato, mentre il suo seme si spande.

 

Sotto casa di Antonio e Fabrizio si è fermata un’auto, con due uomini a bordo.

 

*

 

Angelo entra in palestra accompagnato da due dei suoi uomini. Gli altri due rimangono fuori, in auto, di guardia.         Angelo saluta appena il proprietario, che quasi si inchina, deferente come al solito. I due uomini rimangono nell’ingresso: la palestra non ha altre entrate, c’è solo un’uscita di sicurezza di fianco all’ingresso principale, i due uomini in auto controllano anche quella.

Sotto non c’è nessuno, sono quasi le undici, la palestra è chiusa da un’ora. Angelo ha fatto telefonare da uno dei suoi e il proprietario è rimasto ad aspettarlo, come le altre volte. Tutte le luci sono accese, sauna e bagno turco sono in funzione, anche se Angelo userà solo il bagno turco. Tutto è pronto come se la palestra fosse aperta, ma lo è solo per Scibone.

Il proprietario sa che ogni volta Angelo paga profumatamente. Può essere generoso: la sua banda ha conquistato il controllo dello spaccio in una vasta area, eliminando la concorrenza. Angelo ha molto più denaro di quanto possa spendere. Ed in ogni caso nessuno gli direbbe di no. Angelo non accetta un rifiuto, da parte di nessuno.

Angelo scende negli spogliatoi. Posa sulla panca la borsa e tira fuori l’accappatoio. Nella tasca infila lo shampoo. Poi si spoglia completamente, si infila le ciabatte e si dirige verso le docce. Non usa gli armadietti, non c’è nessuno che possa prendergli gli abiti, il portafogli o la pistola.

Nell’area delle docce lascia l’accappatoio e poi passa nella piscina. Guarda la grande vasca e sorride. Si tuffa e incomincia a nuotare.

Ad Angelo piace nuotare. Nuoterebbe per ore intere. Il suo corpo nudo scivola rapido nell’acqua, le braccia e le gambe si muovono con un ritmo regolare. Raggiunta la sponda, ogni volta Angelo inverte la direzione e prosegue, con bracciate forti e costanti.

Non esiste altro per lui, ora, che la sensazione dell’acqua che lo avvolge e il benessere intensissimo che gli dà l’attività fisica. Non è la scarica d’adrenalina dell’azione, della lotta. È piacere puro.

È passata un’ora da quando è entrato. Angelo tocca ancora una volta la sponda e si ferma. Lentamente scivola fino alla scaletta e risale gocciolante. Si infila le ciabatte e ritorna nell’area delle docce. Apre l’acqua e lascia che il getto lo inondi. Poi chiude e passa nel bagno turco.

Prende la pompa, pulisce un tratto della panca, ripone la pompa e si siede.

Il bagno turco gli piace quanto la piscina. Assapora l’aria satura di umidità, mentre la temperatura della sua pelle sale e le prime goccioline di sudore incominciano a scendere. Con la destra si accarezza l’uccello.

Angelo suda abbondantemente, ora.

In quel momento una figura appare oltre il vetro smerigliato della porta, che si apre.

L’uomo ha un coltello in mano. È nudo: Bruno non vuole sporcarsi gli abiti con il sangue.

Angelo è scattato in piedi, pronto ad affrontare l’avversario. Sa che è arrivata la fine. È stato tradito, quel figlio di puttana del proprietario deve averlo venduto. L’uomo si era nascosto in qualche angolo ed ora è venuto fuori. Anche se Angelo urlasse, non lo sentirebbero dal piano superiore. Troppe fottute porte in mezzo.

L’uomo è massiccio ed è alto almeno una spanna in più di Angelo. Angelo sa di non avere nessuna possibilità: il bagno turco è troppo stretto, non c’è via di fuga. L’uomo è armato e dev’essere forte come un toro, basta guardargli le braccia nerborute, pelose come le gambe e gran parte del torace e del ventre.

Bruno ghigna. Ha il cazzo quasi rigido, proteso in avanti. Gli piace uccidere.

Anche ad Angelo piace uccidere, ma questa volta non gli tocca il ruolo dell’assassino. Angelo sale sulla panca di pietra che corre lungo il muro. Con la parete alle spalle ha un minimo spazio di manovra. Troppo poco, lo sa benissimo.

Bruno avanza lentamente, un ghigno sulle labbra. È sicuro del fatto suo, ma sta in guardia. Schiva facilmente il calcio che Angelo dirige contro la sua faccia, ma mentre si china di lato, un secondo colpo lo prende in pieno. Finisce a terra, bestemmiando.

- Porcoddio! Questa me la paghi, bastardo finocchio.

Angelo è saltato di lato, verso la porta, ma l’uomo è su di lui, il coltello proteso verso l’alto, pronto a vibrare un fendente. Angelo gli blocca la mano con la sinistra e con la destra gli sferra un pugno allo stomaco. Una ginocchiata colpisce l’uomo ai coglioni.

Bruno geme e spinge Angelo contro la parete, bloccandolo con il suo peso. Gli stringe il polso destro. Su quel lato, di fianco alla porta, non c’è la panca. L’uomo schiaccia il corpo di Angelo contro la parete.

Angelo non ha più spazio per agire. I loro corpi nudi aderiscono. Le loro mani si bloccano a vicenda. L’uomo arretra leggermente e dà una violenta testata contro il torace di Angelo.

Angelo sente la violenza del colpo che gli blocca il respiro, ma non cede. Una seconda testata ed una terza lo intontiscono. Non ha la forza di reagire. Bruno gli molla una ginocchiata ai coglioni. Angelo urla per il dolore. La vista gli si appanna. Deve reagire, deve colpire l’uomo, altrimenti è finita.

Cerca di alzare una gamba per colpire, ma l’uomo preme contro di lui.

- Sei finito, finocchio.

Bruno arretra nuovamente e prima che Angelo riesca a reagire, il suo ginocchio colpisce con maggior forza i coglioni di Angelo. Il grido di Angelo è un urlo strozzato.

L’uomo gli molla la destra e con la sinistra incomincia a colpire Angelo al ventre ed allo stomaco. I colpi sono mazzate, Bruno è stato un pugile. Una, due, tre, quattro volte. Angelo è preso da un conato di vomito. La sua mano stringe ancora il polso del suo avversario, ma senza forza.

Un pugno in faccia, poi un secondo, un terzo. Il sangue cola abbondante dal naso, sulla bocca, il mento, il torace. Angelo non si regge più in piedi. Le sue braccia senza forze ricadono inerti. Le gambe stanno cedendo.

Bruno molla ancora due pugni al ventre, poi lascia che Angelo scivoli a terra.

Ora è seduto, la schiena contro la parete, il culo a terra, le gambe allargate. Respira a fatica, il dolore è feroce.

Bruno riprende a respirare con calma. Guarda Angelo, incapace a difendersi ormai, e sorride. Tra poco lo scannerà. Il cazzo gli si tende nuovamente.

Angelo raduna le sue forze ed afferra una gamba dell’uomo, sbilanciandolo. Bruno lo colpisce in faccia. Il dolore acceca Angelo, altro sangue cola abbondante dal naso. Due calci al ventre hanno ragione di ogni resistenza. Angelo emette solo un suono sordo, quasi un grugnito. L’uomo gli molla un altro violento calcio, ai coglioni, questa volta. Angelo vede il locale oscillare e quasi svanire.

Bruno gli mette una mano sul collo, da dietro e lo spinge a terra.

- Adesso te lo metto in culo, bastardo.    

Angelo non capisce subito, solo lentamente le parole dell’uomo raggiungono la sua mente. Non è in grado di reagire.

Bruno gli allarga le gambe. Vuole umiliare questo finocchio. Si stende su di lui, si inumidisce il cazzo e con una spinta decisa incula Angelo.

Il corpo di Angelo ha un guizzo. Capisce quello che sta accadendo. Vorrebbe sottrarsi, ma non ha la forza. L’umiliazione è atroce, ben più forte del dolore, che pure è intenso.

Angelo apre le labbra, a fatica mormora:

- Fi…glio di …putta…na.

L’uomo gli prende la testa con le mani e gli sbatte la faccia due volte contro il pavimento. Poi incomincia a spingere con grande forza.

- Mi hai fatto sudare, bastardo, ma ho avuto il tuo culo e poi avrò anche la tua pelle, finocchio.

Angelo non reagisce. Ormai è stato sconfitto. È un uomo morto e si sottomette all’ultimo sfregio.

Bruno dà ancora alcune spinte vigorose e viene con un verso animale che risuona nelle orecchio di Angelo.

Angelo è annichilito.

L’uomo estrae il cazzo dal culo di Angelo e si alza. Si guarda il cazzo, sporco di sangue.

Afferra Angelo per il collo e lo forza ad inginocchiarsi davanti a lui. Angelo non ha né la forza, né la volontà per opporsi. Non è più un maschio.

- Puliscimi il cazzo.

Angelo guarda l’uomo, senza capire.

L’uomo gli dà un violento ceffone. Altro sangue sulla faccia di Angelo, questa volta cola dal labbro.

- Puliscimi il cazzo, con la lingua, stronzo.

Angelo guarda il cazzo sporco del suo sangue. Il cazzo che gli è entrato in culo. Il cazzo del maschio, perché Angelo non lo è più.

Bruno stringe il collo di Angelo con una mano, forzandolo ad aprire la bocca. Gli infila il cazzo dentro, premendo sempre il collo con la mano. Struscia il cazzo contro la lingua di Angelo.

- Adesso ti do da bere.

Incomincia a pisciare. Angelo beve il piscio del suo assassino, inghiotte, sputa. Il piscio gli cola sul mento.

Quando l’uomo ha finito, ghigna.

- Sei un bravo succhiacazzi, ma è ora di finire. Alzati.

Alzarsi è una fatica terribile, ma Angelo riesce a sollevarsi. Ora è di fronte al suo assassino.

- Non sei un maschio, quindi questa roba non ti serve.

Mentre parla, l’uomo ha afferrato il cazzo ed i coglioni di Angelo. Angelo sa quello che lo aspetta.

L’uomo incomincia a tagliare, con un unico movimento continuo recide i coglioni e il cazzo.

Angelo geme e barcolla. L’uomo vibra un fendente al ventre, poi un secondo, un terzo. Ogni colpo è un’ondata di dolore, più forte della precedente, che si unisce a essa e la sovrasta.

Due colpi allo stomaco, poi al cuore.

Bruno guarda il corpo di Angelo che scivola a terra. Ha di nuovo il cazzo duro. Ammazzare questo finocchio è stato grande.     

Bruno mette il cazzo e i coglioni nella bocca spalancata di Angelo, poi trascina fuori dal bagno turco il cadavere e lo lascia nel corridoio. Con il coltello gli squarcia il ventre, aprendolo dalla ferita della castrazione fino allo sterno. Si infila sotto la doccia, lavandosi con cura. Si asciuga con l’accappatoio di Angelo.

Poi prende il telefonino e incomincia a scattare fotografie del cadavere: circoleranno domani e tutti sapranno com’è crepato Angelo Scibone. Piscia ancora sul cadavere e riprende il getto che cade sulla faccia di Angelo. Poi si riveste e esce dalla porta che dà nelle cantine, una di cui nessuno conosce l’esistenza. Ha tutte le chiavi. 

 

*

 

Sono le otto quando il telefono di Fabrizio squilla. Fabrizio si desta di soprassalto. Guarda l’ora. Chi è sto scassacazzo che gli telefona a quest’ora sul suo cellulare? Sanno tutti che accompagna Antonio allo spettacolo e fa tardi.

La voce è quella di Ernesto Scalenghi:

- So che ti scasso le palle, a quest’ora…

- Puoi dirlo!

- Ma ho una bella notizia e volevo dartela.

- Dimmi!

- Hanno ammazzato Angelo Scibone, ieri notte. Fatto fuori in un modo… degno di lui. Chi vo’ ‘o mmale ‘e llate ‘o ssuojo sta areto â porta.

- È davvero una bella notizia.

- Credo che a questo punto non corriate più rischi. Comunque prima di ritirare gli uomini che ho mandato ieri sera, preferisco aspettare.

- Hai mandato gli uomini ieri sera?

- Sì, c’è un’auto della polizia sotto casa vostra. Mi sono detto che era meglio partire subito con la protezione.

- Grazie, Ernesto.

Ernesto saluta e riattacca. Fabrizio rimane a guardare nel vuoto, gustando la gioia di vedere svanire l’incubo.

- Che cosa c’è, Fabrizio?

La voce di Antonio lo riscuote. Fabrizio si volta. Sorride.

- Hanno ammazzato Angelo Scibone. Non correrai rischi per la cazzata che ho fatto.

Antonio allunga un braccio, lo afferra per la nuca e lo forza ad abbassarsi su di lui. Lo bacia.

- Sono contento, Fabrizio, anche se non dovrei.

- E perché non dovresti?

- Perché è triste che uno venga ucciso a quell’età, senza aver conosciuto altro che delitti e odio.

- Io lo odiavo.

- Anch’io, anche se mi pesa ammetterlo. E sono contento che sia morto, non solo perché non corriamo più rischi.

 

*

 

Negativo! Anche questa volta il test HIV di Antonio risulta negativo. Pericolo scongiurato, definitivamente.

Fabrizio sente sciogliersi quel grumo di tensione che ha sentito dentro negli ultimi mesi.

Quando sono in auto, dice:

- Adesso a casa faccio un bel falò di tutti i preservativi del cazzo che mi hai costretto a usare in questo periodo.

Antonio lo guarda, ironico.

- Hai tenuto quelli usati? Che schifo!

Fabrizio ride. È troppo felice.

- No, non quelli usati, quelli avanzati. E poi facciamo sesso alla grande. Tutta la giornata. Alla fine avrai un male al culo che non ti potrai sedere per una settimana!

Antonio ride.

- Potremmo fare una bella scena. Io faccio l’assassino e tu Angelo Scibone…

 

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