La bestia

 

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      Mathurin accompagna lo stallone fuori dalla scuderia, per l’accoppiamento. Come gli succede sempre, è eccitato. Ha ripiegato una striscia di tessuto e l’ha messa sotto le mutande, per non sporcarle troppo. Sa che verrà, come succede ogni volta, e non vuole che rimangano segni troppo evidenti.

      Il cavallo ha avvertito l’odore della femmina e la sua reazione è immediata.

      Mathurin guarda il cazzo dell’animale, lungo e splendido. Vorrebbe essere lo stallone in calore, che si appresta a montare la femmina.

      Poi guarda la cavalla nel recinto: la fica si contrae e si apre, mentre ne cola un po’ di liquido. Mathurin sente che il buco del culo gli si contrae. Vorrebbe essere la giumenta che sta per essere penetrata.

      Mathurin ha il viso rosso per l’eccitazione. Cerca di controllarsi: sa che lo stalliere lo sta guardando. Gustave gli vuole bene, non andrà in giro a sparlare di lui, ma Mathurin non vuole fare brutta figura davanti all’unico uomo che gli ha dimostrato un po’ d’affetto.

      Mathurin sorride a Gustave, il suo sorriso impacciato. Mathurin sorride di rado davanti agli altri. Quando è da solo, a cavallo o a piedi, sorride più facilmente.

      Poi entra nel recinto e riprende a guardare lo stallone che si avvicina alla giumenta e si slancia su di lei. Il grande cazzo si avvicina alla fica. Mathurin sente la tensione salire dentro di lui.

      Il cavallo dà una spinta e l’arnese massiccio penetra in profondità. A Mathurin sembra che entri dentro di lui e nello stesso tempo gli pare di stare infilzando la giumenta. Come sempre, gli passano davanti agli occhi visioni mostruose, si vede legato a un palo, piegato in avanti, in attesa di accogliere il cazzo dell’animale che gli squarcerà le viscere. O si vede invece prendere il posto dello stallone sulla giumenta. O su un corpo umano, di maschio.

      Mathurin ansima. Cerca di controllare il respiro, ma fa fatica. Il cavallo spinge ancora più a fondo. Mathurin ha la sensazione precisa che il cazzo dell’animale sia entrato dentro di lui e chiude un attimo gli occhi, sopraffatto dalla violenza del piacere che lo investe. Li riapre, guarda lo stallone e il suo piacere deborda, spargendosi contro il suo ventre.

 

*

 

      Il cartello indica Saint-Nicolas. Ormai Henri è arrivato: di qui alla proprietà dei Mervans ci sono dieci chilometri, anche meno. Henri ha voglia di prendersi un caffè, di fumarsi un sigaro. Sono tre ore che guida, senza fermarsi mai. Era un po’ che non vedeva un paese, ma qui ci sarà pure un bar. E in effetti nella piazzetta, sul lato opposto alla chiesa, ce n’è uno.

      Henri ferma l’auto, scende ed entra nel locale. Classico piccolo bar di provincia, una specie di osteria, con ben poco da offrire, ma a Henri basta un caffè. Ci sono due clienti, che lo guardano un po’ perplessi. Non è zona turistica, questa, e che ci viene a fare uno in questo buco di culo di posto?

      “A viverci!”, potrebbe rispondere Henri.

      Il barista prepara il caffè e glielo porge.

      Henri lo beve. Fa schifo, ma non è che si aspettasse molto di meglio, in un posto del genere. Henri tira fuori un sigaro e chiede:

      - Per la tenuta dei Mervans, che strada seguo?

      Il barista gli lancia un’occhiata e allunga il braccio, indicandogli la strada che si vede sulla destra della chiesa.

      - Da quella parte, non può sbagliare.

      Uno dei due avventori si avvicina.

      - È il nuovo amministratore, vero?

      Henri è un po’ infastidito da quella curiosità, ma si dice che in fondo è naturale. Annuisce.

      L’altro cliente, un cinquantenne segaligno, ghigna:

      - Così lavorerà per la bestia!   

      Interviene il barista:

      - Sta’ zitto, Victor!

      Ma l’uomo non ha nessuna intenzione di stare zitto. È un’occasione troppo ghiotta, questa, non devono essere molti i clienti di passaggio in questo locale. Non capita spesso di poter raccontare la storia della bestia.

      Henri è stato colto di sorpresa, non capisce.

      - La bestia?

      Victor riprende:

      - Sì, la bestia, Mathurin de Mervans. Suo padre lo teneva chiuso in una stanza e lo faceva scendere solo in qualche occasione, perché nessuno si accorgesse che non è un uomo, è un animale e nient’altro. Deve avere degli zoccoli da cavallo al posto dei piedi....

      - Sono tutte cazzate, non gli dia retta. Voci che circolano tra le vecchie del paese. Mathurin lo abbiamo visto tutti, al funerale del padre e del fratello, è perfettamente normale e si è comportato come doveva.

      Ma Victor non demorde. 

      - È un animale ammaestrato, a cui hanno insegnato le buone maniere. Ma sta meglio con i cavalli che con gli uomini, perché è un cavallo pure lui. Passa le sue giornate a cavalcare e a spiare la monta dei cavalli. Sotto gli abiti è peloso come una scimmia e ha un uccello da cavallo.

      Il barista interviene di nuovo:

      - Quello non l’hai mai visto, né tu né gli altri. Non lo stia a sentire, parlano così perché Mathurin non viene mai in paese, non riceve nessuno, non ha amici. È un solitario di natura, per cui circolano voci. La gente, se non ha niente da fare, parla a vuoto.

      È una frecciata rivolta a Victor, ma questi insiste.

      - E allora perché non lo lasciavano mai uscire? Lo hanno anche fatto studiare con un istitutore. Perché suo fratello Louis se la spassava in giro per il mondo e Mathurin era sempre al castello? Chiuso a chiave al piano di sopra, come i servi, perfino un appartamentino per lui gli avevano fatto fare, ma separato dalle altre camere. D’altronde non è il primo della famiglia a essere così, c’era stato anche quel suo antenato…

      Henri non ha più detto nulla. Da una parte è curioso di sapere, questo Mathurin è il suo nuovo padrone, dall’altra non gli va l’idea di rimanere ancora ad ascoltare un perdigiorno che spettegola: che direbbe Mathurin de Mervans se sapesse che il suo amministratore dà retta a simili chiacchiere?

      Henri rimette il sigaro, che non ha acceso, in tasca, saluta il barista, che si appresta a rispondere a Victor, ed esce con un generico: - Buongiorno.

      Risale in auto, guida per qualche chilometro, poi si ferma in uno spiazzo, vicino ad una casa isolata, e scende. Si accende il sigaro e si mette a fumare.

      A quello che raccontava Victor non presta fede, ha superato l’età per credere ai mostri e ai lupi mannari. Si chiede quali saranno i suoi rapporti con il padrone. Forse ha fatto male ad accettare senza neanche fare un salto alla proprietà. Ha parlato a lungo con l’amministratore precedente, che non ha fatto cenno a problemi con il proprietario. Ha solo detto che il padrone delega completamente la gestione.

      Henri fuma il suo sigaro e si chiede perché è lì, in quell’angolo sperduto di Francia. La risposta la conosce. Si è stufato, si è rotto i coglioni della vita che faceva. E per la seconda volta si è bruciato tutti i ponti alle spalle. La prima volta è stato quando ha lasciato Parigi, per stabilirsi in campagna, in Touraine. Ma non era abbastanza lontano, ancora tornava a Parigi, ancora girava tra Tours e Orléans.

      Questa volta ha deciso di andare ancora più lontano.

      Ha fatto la scelta giusta? La campagna gli trasmette un senso di pace, la città l’opprime. Non è solo quello, lo sa benissimo. Non regge più le serate nei locali gay, quelli che gli si strusciano contro perché tutti nel giro sanno che ha un grosso uccello e un’energia inesauribile. Gli dà fastidio quando arriva e sente che sussurrano che c’è il Toro. Il soprannome è un complimento, ma Henri si è rotto i coglioni di essere l’inutile appendice di un grosso uccello. Basterebbe che non andasse nei locali gay, no? Perché deve rifugiarsi in culo ai lupi?

      E adesso anche questo padrone che viene dipinto come una specie di mostro! Henri si dà della testa di cazzo.

 

*

 

Mathurin esce dalle scuderie e raggiunge il castello. Sale in camera, passa nel bagno attiguo e si spoglia, lasciando per terra tutti gli indumenti. Si mette sotto la doccia e si lava con cura, per quanto glielo permette la mano ingessata.

A Mathurin non importa di essere sporco, ma nel pomeriggio dovrebbe arrivare il nuovo amministratore e non vuole presentarsi come un barbone. Le buone maniere suo padre gliele ha insegnate, a suon di botte e frustate. Da ragazzino Mathurin si chiedeva perché suo padre usasse così spesso la frusta, perché lo colpisse in continuazione. Anche adesso, che è adulto, non riesce a vedere nei suoi comportamenti di bambino e ragazzo niente di particolarmente irrispettoso: forse era vivace, ma non più di suo fratello.

Finché sua madre era stata viva, suo padre si era contenuto, poi l’inferno era incominciato. In fronte, subito sopra il naso, Mathurin conserva ancora la cicatrice della ferita provocata da un fermacarte che suo padre gli lanciò. Quella volta poco mancò che morisse. Il medico era venuto, mentre Mathurin era privo di sensi, ma lui aveva ripreso coscienza sentendo la voce del dottore, che diceva:

- Ha rischiato di ucciderlo, signor conte.

E la risposta di suo padre era stata chiara, Mathurin non se la scorderà mai:

- Sarebbe stato meglio. Meglio per lui e per tutti noi.

Solo allora Mathurin aveva capito la banale verità: suo padre lo detestava, per lui Mathurin era un marchio di vergogna, che avrebbe volentieri cancellato.

Mathurin non ha pianto per la morte di suo padre e di suo fratello, anche se erano gli unici legami che gli erano rimasti, dopo la scomparsa della madre. È stata una liberazione, la fine di anni di vessazioni e umiliazioni. Ha smesso di usare la scala di servizio per scendere, non deve rimanere rinchiuso in camera quando ci sono ospiti a cena. Anche se ormai ospiti a cena non ci sono più. Mathurin non conosce nessuno e non invita nessuno.

         Mathurin esce dalla doccia. Si asciuga con cura. Anche adesso che ha la mano ingessata, nessuno lo assiste. Nessuno deve vederlo nudo: questa è un’idea fissa che i suoi genitori gli hanno inculcato. Mathurin si riveste. Prende le mutande e la striscia di tela sporche e le porta in lavanderia. Le mette direttamente in lavatrice.

         Prova vergogna e una tristezza che gli stringe il petto.

 

*

 

      E così questo è Mathurin de Mervans. Che cosa c’è di strano in lui? Sui trenta, un folto barbone nero, un po’ stempiato. Irsuto, questo sì, basta vedere il dorso della mano, l’unica visibile, perché l’altra è ingessata: è coperto di una peluria scura. Ma basta questo per fare di un uomo un mostro? Allora lo è anche Henri, che è piuttosto villoso.

      Henri si dice che è stato sciocco a prestare ascolto alle dicerie di quell’imbecille giù al paese. Mathurin de Mervans si comporta in modo civile, è stato molto cortese. È riservato, questo sì: l’incontro è già alla fine, è durato forse dieci minuti, neppure: poco per un uomo che gli affida la gestione delle sue proprietà, ma non se n’è mai occupato lui, ci ha sempre pensato l’amministratore. Evidentemente non ama chiacchierare, ma non c’è niente di particolare.

      Henri lascia il castello. Chiamarlo castello è eccessivo: è una bella villa signorile, niente di più. Ci sarebbe rimasto volentieri a mangiare, un invito a cena non gli avrebbe fatto schifo, per nulla, anche se Mathurin de Mervans non è il massimo della compagnia: è arrivato solo ora, è sera, dovrebbe scendere in paese per comprare da mangiare, altrimenti rimarrà a digiuno.

      Henri non ha voglia di scendere in paese. Digiunare una sera non gli farà male. Gli rompe un po’ non poter fare una bella colazione domani, ma andrà in paese il mattino presto a procurarsi il necessario. Coutraille, l’amministratore che ha lasciato l’incarico, arriverà domani mattina e accompagnerà Henri per un giro della proprietà, ma ha detto che verrà verso le dieci.

      Henri raggiunge la sua nuova abitazione, una di quelle che compongono il piccolo borgo vicino al castello. Sono in tutto sette-otto case: se Henri voleva pace e tranquillità, non poteva chiedere di meglio.

      Henri tira fuori dall’auto la valigia, apre con la chiave che gli ha dato il conte ed entra. La casa è su due piani: un salotto, un’ampia cucina e il bagno al piano terra, due stanze e un altro bagno al piano superiore. Più di quello che gli serve.

      In cucina c’è un biglietto. Qualcuno ha fatto un po’ di spesa e gli ha lasciato in dispensa e nel frigo del cibo. C’è persino una bottiglia di vino. Ottimo, meglio che un invito a cena. Può rilassarsi pienamente senza doversi preoccupare di sostenere la conversazione con un padrone di casa musone.

      Henri incomincia a sistemare le sue cose. Non c’è moltissimo: ha portato con sé solo lo stretto necessario per i primi due giorni. Quattro casse lo raggiungeranno dopodomani. Non c’è comunque molto, Henri si è disfatto di gran parte delle cose che aveva. Sentiva il bisogno di un po’ di leggerezza.

       Dopo cena Henri legge un po’. C’è un silenzio assoluto, sembra di essere fuori dal mondo. Verso le undici Henri esce dalla casa. Il borgo è immerso nell’oscurità, ci sono poche luci. Anche nel castello quasi tutte le finestre sono buie. In questo momento Henri si sente felice, i dubbi sulla sua scelta sono svaniti. Si mette a guardare il cielo, alla ricerca delle costellazioni che conosce. Gli piace guardare il cielo stellato, quando ha lasciato Parigi si è comprato una mappa del cielo, che adesso è da qualche parte tra i suoi bagagli, e ormai è in grado di individuare una ventina di costellazioni.

         Rientra dopo un’ora, completamente appagato. Sale al piano di sopra, si spoglia e si mette a dormire.

      Henri dorme bene, ma a un certo punto è colto da un accesso di tosse che lo sveglia. La tosse continua, gli sembra che gli manchi il fiato. Ci mette un momento a capire. La stanza è invasa dal fumo. Henri si alza e si muove verso la porta che ha lasciato socchiusa, ma quando la spalanca vede una lingua di fiamma che guizza. Henri arretra, il fiato gli manca. Barcollando si dirige verso la finestra, la apre. L’aria fresca gli restituisce un po’ di lucidità.

      Ci sono due persone fuori, che gridano:

      - Salti, salti giù.

      Henri si volta a guardare la stanza, dove il fumo diventa sempre più fitto. Per fortuna il suolo è a meno di tre metri. Henri scavalca il davanzale e salta, sperando di non rompersi una gamba.

      Atterra sull’erba, cade e si rialza. Nessun danno, ha salvato la pelle e le ossa. Guarda la casa, che sta bruciando. Mathurin de Mervans arriva trafelato, insieme a due servitori del castello.

      - Che è successo? 

      - Non lo so. Mi sono svegliato che già bruciava. Ho appena fatto in tempo a saltare dalla finestra.

      - Non si è fatto male, no? Tutto a posto?

      Henri scuote la testa.

      Mathurin prosegue:

      - Ha lasciato qualche fiamma accesa, il sigaro?

      - No, assolutamente.

      Interviene un uomo che Henri non ha mai visto.

      - Questo è un regalo di Gaspard Colas, aveva detto che ammazzava l’amministratore.

      Minacce di morte possono capitare, ma che qualcuno cerchi di farti fuori prima ancora di averti visto, è davvero un po’ troppo.

      - Ce l’aveva con Coutraille, pensava che era ancora qui.

      Henri si volta verso il secondo uomo che ha parlato, dietro di lui. Una donna che è arrivata lo guarda e scoppia a ridere. Henri si rende conto che è completamente nudo. Si copre i genitali con le mani.

      Mathurin si rivolge a uno dei domestici:

      - Clément, vada a prendere una delle mie vestaglie per l’amministratore.

      La casa sta bruciando completamente. Quando i pompieri arrivano, non è rimasto quasi nulla. Henri pensa che è stato fortunato: ha salvato la pelle e non ha perso molto, a parte i documenti. Una bella rottura, dovrà rifarli tutti, ma non è niente di terribile. Anche le chiavi dell’auto, già. Ma anche quello si può rimediare.

      Il servitore torna con la vestaglia, Henri se la mette.

      È arrivata anche la polizia. Questo Colas è uno fuori di testa. Ha giurato di vendicarsi di Coutraille, che non gli ha rinnovato il contratto d’affitto, ma si è mosso troppo tardi e ha rischiato di far fuori Henri.

      Mathurin invita Henri a dormire al castello.

      - Domani vedrò di trovarle un abito adatto. I miei non le vanno bene.

      No, questo è certo. Il conte è più alto e meno massiccio di Henri.

 

*

 

      Mathurin si stende a letto. È turbato, molto. Non per l’incendio della casa, che per fortuna non si è propagato alle altre abitazioni: sarà da abbattere e ricostruire, ma non è certo un gran danno per il suo patrimonio.

      A turbarlo è stato un altro elemento: vedere l’amministratore nudo. Non aveva mai visto un uomo nudo. L’intensità del proprio desiderio lo ha spaventato.

      E ora quell’uomo dormirà al castello. In quale altro posto potrebbe dormire? Non ci sono case libere, al borgo, non può certo dirgli di andare al paese, dove non c’è nemmeno un albergo. Dovrebbe spostarsi a trenta chilometri di distanza.

      L’amministratore dorme in una camera separata dalla sua solo dal locale che gli serve come guardaroba, la camera di suo padre. L’unica che era pronta sul piano. Non poteva mica mandarlo a dormire con la servitù.

      Mathurin vorrebbe che quell’uomo alloggiasse da un’altra parte. L’idea di averlo al castello, così vicino, lo disturba.

      Anche l’idea di avere qualcuno tra i piedi non gli va a genio, Mathurin non ha rapporti sociali. Ma la presenza di un estraneo nella casa è un fastidio minimo, rispetto al turbamento provocato dalla visione di quel robusto corpo nudo.

      Mathurin vorrebbe alzarsi, passare nel guardaroba e di lì nella camera dell’amministratore e guardare ancora quel maschio. Ma non può certo farlo e non lo vedrà mai più nudo.

      Ormai è eccitato e la sua mano scivola verso l’uccello. Di nuovo la vergogna lo avvolge, fredda, ma il desiderio è troppo forte e non ha altro modo per soddisfarlo. Non ce l’ha ora e non l’avrà mai, questa è la sua sorte. Bisognerebbe vivere castamente, come gli diceva sempre il curato. Ma Mathurin non è un monaco, anche se vive da eremita.

      La mano di Mathurin scorre lentamente dai coglioni fino alla cappella, scende per poi risalire e, mentre rivede il corpo del suo amministratore, il getto prorompe.

      Mathurin chiude gli occhi. Il piacere è stato un lampo. È rimasta solo la vergogna.

 

*

 

      Henri dorme al castello da quindici giorni.

      Mathurin lo fa mangiare con lui, ma è evidente che è in imbarazzo. Anche Henri è a disagio. La conversazione procede a rilento, fortunatamente i pasti sono rapidi, Mathurin de Mervans non è di quelli che hanno bisogno di otto portate. Pasti molto semplici, vegetariani (ma comprensivi di uova e formaggi). Henri è sempre stato un carnivoro, ma la cuoca sa il fatto suo e il cambio di dieta non gli fa male. Magari perderà qualche chilo.

      Il lavoro procede senza intoppi, l’amministratore precedente era uno in gamba e tutto sembra in ordine: non è difficile star dietro agli affari. Due giorni dopo il rogo, l’incendiario è stato arrestato: è stato proprio Colas, uno squilibrato. La casa verrà ricostruita, ma i tempi sono lunghi.

      Oggi Henri sta ispezionando il bosco, a qualche chilometro dal castello, quando vede oltre gli alberi un cavaliere che si avvicina al galoppo. Quando è quasi al margine della foresta, lo riconosce: è Mathurin. Non si è accorto di lui.

      Ora il cavaliere guida il cavallo come se stesse facendo uno slalom. No, il paragone non è azzeccato, sembra una danza, sì, una danza in cui Mathurin conduce e l’animale obbedisce, docile.

      È bellissimo guardarli: uomo e cavallo sembrano costituire un’unica creatura, un animale mitologico, come i centauri.

      Non sa che cosa ci possa essere di vero in quel che si dice di Mathurin de Mervans, ma una cosa è certa: quello a cavallo dev’essere in grado anche di salire su una scala. Una scala a pioli, perché su uno scalone di marmo come quello della villa va a occhi chiusi.

      Henri potrebbe uscire e salutare il suo padrone, ma preferisce guardarlo senza che Mathurin lo veda. Lo osserva mentre accarezza l’animale. Com’è diverso da quando si trova con lui nel castello: è sciolto, perfettamente a suo agio, sorride. A Henri piace il sorriso di Mathurin. Poi il centauro riprende la sua corsa, salta una siepe e scompare verso una delle fattorie della tenuta.

      La sera Henri parla a Mathurin della cavalcata a cui ha assistito.

      - Oggi ero al bosco di Hautes-Futaies quando è arrivato. L’ho vista cavalcare. È bravissimo.

      Mathurin sorride, un po’ imbarazzato (come al solito), poi risponde qualche banalità.

      Mathurin parla poco anche di cavalli. Mathurin parla poco e basta.

      Difficile conoscerlo, è troppo riservato.

 

      Henri è curioso, fa qualche domanda generica alla servitù, ma pare che nella villa dei Mervans non ci sia nemmeno uno di quei bei servitori dei romanzi, sempre disponibili a raccontare o almeno ad alludere. Gli rispondono gentilmente. Sì, il padrone è proprio bravo a cavallo, sì il padrone esce poco, sì il padrone è molto riservato, sì il padrone…

      Vaffanculo i servitori rispettosi! Ma evidentemente deve averli scelti il padre di Mathurin, proprio in base alla discrezione.

      L’unico da cui Henri ricava un po’ di più è lo stalliere, Gustave. Henri lancia un’osservazione:

      - Certo che il conte ama i cavalli.

      Gustave lo guarda in faccia e Henri si sente un po’ a disagio. Lo stalliere sta pensando che Henri è un ficcanaso. Lo stalliere ha ragione.

      - Sì, molto.

      Henri prosegue, stampandosi in faccia un sorriso:

      - Più degli umani, direi.

      La replica è secca:

      - Nei suoi confronti i cavalli si sono sempre comportati meglio degli umani.

      Gustave si volta e se ne va, senza dire altro. Henri non aggiunge nulla. Gustave è stato sufficientemente chiaro ed è evidente che per lui il discorso è chiuso.

 

*

 

      Mathurin si chiede se non invitare il suo intendente a stabilirsi nell’albergo di Saint Nicolas. Potrebbe pagargli la benzina. Ma probabilmente una proposta di questo genere sarebbe scortese. Fargli preparare una stanza da un’altra parte, non è proprio pensabile: sarebbe ancora peggio, come se volesse fargli capire che non lo vuole avere vicino.

      Mathurin vorrebbe che quell’uomo se ne andasse. Mathurin vorrebbe non averlo davanti a pranzo e a cena. Mathurin vorrebbe…

      Mathurin sa benissimo che cosa vorrebbe davvero: vederlo ancora nudo. E non solo vederlo. Vorrebbe stringere quel corpo, perché Henri Grisaille accende in lui un desiderio devastante, che non riesce a reprimere. Deve mandarlo via, la sua presenza gli toglie quel poco di tranquillità che è riuscito a raggiungere dopo la morte di suo padre e di suo fratello. Non vuole sprofondare di nuovo nella sofferenza. Ne ha già avuta abbastanza, nella sua vita. Ha bisogno di un po’ di pace e sa benissimo che non ne avrà mai finché si troverà quell’uomo tra i piedi tutti i giorni, finché Grisaille dormirà nel castello, nella camera a fianco della sua.

      Deve allontanarlo in qualche modo. Ma non vuole farlo, non può farlo, non può.

 

*

 

      Henri è in camera sua. È pomeriggio, tra un’ora sarà servita la cena.

      Scorre i titoli dei libri disposti su uno scaffale. La villa ha una biblioteca al piano di sotto, qui ci sono alcuni volumi. Dovevano essere del conte, il padre di Mathurin. Da quel che Henri ha capito, la camera che gli è stata assegnata è quella in cui dormiva il defunto conte di Mervans.

      C’è un libro messo dietro gli altri. Chissà come mai è finito lì. E perché nessuno lo ha mai rimesso al suo posto: i volumi non hanno un filo di polvere, evidentemente vengono spolverati regolarmente. Ma in questa casa i servitori sono abituati a rimettere le cose esattamente al loro posto.

      Henri prende il volume, che non ha un titolo sulla copertina. È un libro vecchio, si direbbe dell’Ottocento. Henri lo apre. Non c’è una prima pagina, è stata strappata.

          Henri sfoglia il libro. Parla di creature deformi. A un certo punto ci sono frasi sottolineate a penna.

      “La bestia ritorna, secolo dopo secolo, nelle famiglie maledette”. Più in là è sottolineato anche: “Né uomo, né donna; né uomo, né cavallo; o forse uomo e donna insieme, uomo e cavallo uniti, ogni lussuria è riunita nella bestia, che porta il marchio d’infamia nel suo corpo.”

      Henri scorre tutto il volume, ma non ci sono altre frasi sottolineate. Il testo sembra un trattato sulle deformità fisiche e morali, su uomini che nascondono un aspetto bestiale. 

      Perché questo libro è nello scaffale? Perché è nascosto dietro gli altri? Perché la pagina con il titolo è stata staccata? Perché quelle frasi sono state sottolineate, tracciando una linea con un righello? C’è qualche legame tra questo libro e quello che si dice di Mathurin?

      Henri è curioso. Il suo misterioso padrone di casa, che vive nella stanza accanto alla sua, è davvero un mostro? Dovrebbe vederlo nudo, ma anche adesso che è estate, ha sempre una camicia addosso o almeno un camiciotto a maniche corte.

      Basterebbe entrare una notte nella camera a fianco. No, non basterebbe, di notte non vedrebbe niente, dovrebbe entrarci il mattino presto, tanto adesso le notti sono molto brevi.

      La porta tra le due stanze è chiusa a chiave, una volta Henri ha controllato. Chissà dov’è la chiave?

      Henri guarda dalla finestra. A quest’ora di solito Mathurin torna a casa dalle sue cavalcate. Poi si fa una doccia e scende per la cena. E in effetti eccolo arrivare. Henri ha dieci minuti, anche meno, poi Mathurin sarà in camera sua.

      Henri controlla la porta che mette in comunicazione la sua stanza con quella di Mathurin. Chiusa, come ricordava. Prende la chiave della propria stanza e la prova: entra, ma non gira. Dovrà provarne un’altra.  

      Poi Henri si china e accosta un occhio al buco della serratura.

      Se qualcuno lo beccasse, che figura!

      Non si vede molto: il locale sembra immerso nella penombra. Deve procurarsi la chiave di quella stanza.

      Henri conosce abbastanza bene gli orari dei domestici e la sera successiva, mentre Mathurin è sotto in biblioteca e la servitù non è sul piano, entra in altre due camere e ne prende le chiavi. Poi le prova. Una entra e gira.

      Henri apre la porta con cautela. Dall’altra parte non ci dovrebbe essere nessuno. Certo che se un servitore lo sorprendesse a ficcare il naso nella stanza di Mathurin, ci farebbe una figura di merda.

      La stanza che appare è buia, la luce entra solo dalla porta che Henri ha aperto e dall’altra porta, sulla parete opposta, che è socchiusa. C’è un grande guardaroba, ci sono scarpe per terra.

      Henri avanza fino alla porta sul lato opposto. Dall’apertura si vede il letto. Perfetto. Domani mattina, molto presto, darà un’occhiata.

      Henri chiude e rimette l’altra chiave al suo posto. Poi tira le tende, in modo che la stanza sia ben buia: domani mattina Mathurin non deve vedere la luce del giorno provenire dal guardaroba!

      Henri si sveglierà all’alba. Prima di addormentarsi, si chiede se non sta per fare una follia. Sicuramente una grave scorrettezza. Ma non intende mica far del male a qualcuno…

 

      Henri si sveglia alle quattro e trenta, come previsto: non ha mai avuto difficoltà a svegliarsi all’ora che gli serve. Si alza e si mette addosso una vestaglia: se Mathurin lo dovesse sorprendere, almeno che non lo veda entrare nudo in camera sua. Chissà che cosa penserebbe… E uno strano pensiero attraversa il cervello di Henri. Gli piacerebbe scopare con Mathurin? Oddio, dopo queste settimane di astinenza, scoperebbe anche con una scimmia. Ma non è questo il punto. Mathurin lo attrae? No, sì, forse, diciamo che non gli dispiace. Sul piano umano lo trova scostante, ma non antipatico. Fisicamente non è malaccio.

      Henri apre la porta, badando a non fare rumore, e si chiede che cazzo sta facendo. Dovrebbe vergognarsi. Si vergogna, in effetti. Ma la curiosità è più forte.

      Silenzio. Il locale è buio, la porta che dà nella camera di Mathurin è socchiusa.

      E se adesso Mathurin si svegliasse? Che cosa può raccontare Henri? Rischia il posto per la sua curiosità. Per un attimo Henri si chiede se non tornare indietro.

      Avanza fino alla porta. Si sente un respiro pesante, Mathurin sta dormendo. La camera è immersa nella penombra, ma le tende non sono state tirate, per cui si vede abbastanza.

      Henri sporge la testa e guarda nella stanza.

      Mathurin è steso su un fianco nudo, rivolto verso la porta del guardaroba.

      Henri lo fissa, impietrito.

      L’uomo disteso sul letto è molto peloso, come Henri aveva già avuto modo di notare, ma non è un uomo. Ha grandi coglioni, questo sì, ma al di sopra il ventre mostra solo una piega della carne, come una fenditura. Mathurin non ha un cazzo.

      Così questa è la verità. Povero Cristo! Che cosa terribile, per un uomo! Ecco perché non volevano che nessuno lo vedesse. Avevano paura che la gente sparlasse.

      Henri arretra, in silenzio. Si vergogna di quello che ha fatto, del segreto che ha scoperto. E per Mathurin prova una pena infinita.

 

*

 

      Adesso è il turno di Henri di sentirsi in imbarazzo quando è insieme a Mathurin. Cerca di cancellare dalla testa quello che ha visto. Mathurin è un uomo come tutti gli altri, anche se è fisicamente malformato. E adesso quella timidezza estrema gli appare perfettamente comprensibile.

      Mathurin gli si avvicina un mattino, tre giorni dopo la visita notturna.

      - Senta, scusi se la disturbo, ma c’è un problema. Thomas, l’autista, ha la febbre alta, e io devo andare a togliermi il gesso. Non mi può mica accompagnare lei? Se non può, chiedo ad uno dei servitori.

         - Ma no, l’accompagno volentieri.

         - Prende la mia auto o preferisce usare la sua?

      - Uso la mia.

      - Va bene, pago io la benzina, però. Mi spiace, le farò perdere un sacco di tempo, temo.

      Henri sorride.

      - Non si preoccupi, tanto è il suo tempo: lavoro per lei.

      Salgono in auto.

      - La ringrazio, non sapevo bene come fare.

      - Certo, non può guidare così.

      Mathurin lo guarda, esita un attimo, poi risponde:

      - Non guido.

      - Vuole dire che… non ha la patente?

      Henri non è riuscito a nascondere il proprio stupore. Avverte un leggero imbarazzo in Mathurin, che risponde:

      - Tanto c’è l’autista.

      Henri annuisce. Poi aggiunge:

      - Non so, al suo posto credo che avrei voglia ogni tanto di andarmene in giro per conto mio. È vero che lei lo fa a cavallo.

      - Sì, non ho mai provato a guidare l’automobile.

      - Perché non prova? Le faccio provare io. E lei mi insegna ad andare a cavallo.

      Mathurin sorride. Henri si dice che gli piace quel sorriso. Se l’è già detto. Se lo sta dicendo spesso. Henri si chiede se non si sta attaccando un po’ troppo al suo datore di lavoro. Ma vive da solo, in culo ai lupi.

      - Le insegno volentieri ad andare a cavallo. E potrei provare a guidare l’auto, perché no? Una volta che mi avranno tolto il gesso.

      - Va bene, allora incominciamo subito con un po’ di teoria:

      Henri fa vedere a Mathurin le marce. Andando, gli spiega alcune cose. Mathurin sa poco di guida, ma rivela invece alcune conoscenze sui motori. Ha letto qualche libro, dice, la meccanica lo interessa.     

 

*

 

      Perché gli ha detto che voleva provare ad andare a cavallo? Perché cazzo ha tirato fuori questa idea del cazzo?

      I cavalli sono alti, decisamente alti, e Henri non si sente propriamente a suo agio su quell’animale che si trova sotto il culo. E poi i cavalli non sono automobili, tendono a fare quello che cazzo vogliono.

      Il giorno della prima lezione di equitazione Henri ha una gran voglia di dire che tutto sommato può anche farne a meno, ma sarebbe poco cortese.

      Mathurin e Gustave lo aiutano, sale a cavallo senza cadere dall’altra parte e scopre che non è poi così difficile, se qualcuno tiene il cavallo per una corda e lo fa girare per il maneggio. Comunque Henri ha la sensazione che non diventerà mai un provetto cavallerizzo

     Mathurin però è un ottimo maestro, paziente, dolcissimo. E poi quando Henri fa innervosire il cavallo, basta una sua carezza per placare l’animale. Henri si dice che se non imparerà ad andare a cavallo da Mathurin, non imparerà mai. Vero è che si può vivere anche senza cavalcare, nel XX secolo…

 

      Henri è molto meno paziente come istruttore di guida e le automobili non sono cavalli, non capiscono che cosa ha in testa chi le guida.

     Mathurin non è un cattivo allievo: non se la cava particolarmente bene, ma non è neanche un disastro. Ma Henri non ha la stoffa del maestro e la coscienza di non avere i doppi comandi lo disturba.

      Ad un certo punto Mathurin gira troppo poco il volante. Stanno andando contro un albero. Mathurin recupera, ma Henri ha già tirato il freno a mano, urlando:

      - Ma che cazzo fa?!

      La macchina inchioda, sono catapultati in avanti. Fortunatamente hanno la cintura e la velocità era davvero minima.

      Mathurin si toglie la cintura.   

      - Mi scusi. Sono un incapace.

      Henri è in imbarazzo, ora. Ha avuto una reazione eccessiva.

      - Senta…, continuiamo.

      - No va bene così, la ringrazio. Mi spiace di averla irritata.

      Mathurin scende.

      Henri si dà del coglione e scende anche lui.

      - Mathurin!

      È la prima volta che lo chiama per nome.

      - Mi scusi. Sono una testa di cazzo. Per favore, riprendiamo la lezione.

      Mathurin si è voltato. Sorride:

      - No, sono io a non essere capace.

      - Certo che non è capace, altrimenti non le insegnerei. Avanti, risalga in macchina, altrimenti mi sentirò in colpa per tutto il giorno.

      Anche Henri sorride e aggiunge:

          - Potrei curare male i suoi affari…

      Il sorriso di Mathurin si allarga.

      - Se è un ricatto… sono costretto a cedere.

      La lezione prosegue meglio. Mathurin è un allievo volenteroso, forse non particolarmente dotato, ma tutt’altro che stupido.

 

*

 

      Altri tre mesi sono passati. Mathurin ha superato l’esame di teoria e presto darà anche quello di pratica. Supererà anche quello, Henri ne è sicuro. Henri si muove a cavallo con una discreta scioltezza, almeno se ha un cavallo docile, ma Mathurin non gli propone certo il suo focoso stallone.

      Henri e Mathurin passano parecchio tempo insieme. Le lezioni di guida, le lezioni di equitazione. Le chiacchierate davanti al camino che ormai viene acceso, perché l’autunno è arrivato. Il conte adesso è molto più a suo agio e si rivela una persona davvero gradevole.

     Adesso sono seduti proprio vicino al caminetto, nel salotto. Henri guarda Mathurin e si dice che è affezionato al suo datore di lavoro. No, sta mentendosi. Non è affezionato al suo datore di lavoro: ne è innamorato. E questo, pensa, è davvero il massimo: innamorarsi di un uomo che non è neanche tale. E poi, quando si dice questo, Henri si sente in colpa e la sua testa ritorna a quanto ha visto quella mattina d’estate. Eppure quel corpo lo attira.

      Nel camino il fuoco arde, loro due sono seduti sulle poltrone. Henri pensa che sembra la scena di un film, Donne in amore, che ha visto una decina di anni fa. I due protagonisti maschili si spogliavano e si affrontavano in una lotta, una delle scene più erotiche che Henri abbia mai visto in tutta la sua vita, anche se i due non facevano l’amore, lottavano soltanto. Il pensiero ha un effetto immediato. Henri è eccitato. Normale, era abituato a scopare spesso, adesso vive come un monaco nel deserto, non svuota mai i coglioni. Prima o poi dovrà farlo, no?

      E Mathurin? Ha un paio di coglioni da cavallo. Funzionano? Come? Henri si chiede che cazzo sta pensando questa sera. Ma è in calore, un animale in calore. E Mathurin gli piace, questo lo sa benissimo, anche fisicamente, per quanto possa apparire assurdo.

      Henri si è abituato a essere oggetto delle attenzioni degli altri: a Parigi o in Touraine poteva scegliere con chi scopare, difficilmente qualcuno si tirava indietro, non per la bellezza del viso o del corpo - Henri non è bello - ma per quella, innegabile, del cazzo. E ora c’è quest’uomo che non lo cerca, non gli chiede nulla, non si aspetta nulla da lui, quest’uomo che lo attira. Gli piace la sua timidezza, il suo pudore, la fragilità che avverte. E gli piace quel viso barbuto, gli piacciono quelle mani pelose. Henri è un orso e ha sempre avuto un debole per gli orsi. Mathurin è snello, non è massiccio come Henri, ma è villoso.

      Henri sa che vorrebbe baciare Mathurin. E sa che è una follia, una pura follia.

      - Va mai al cinema, Mathurin?

      Henri conosce benissimo la risposta: Mathurin non esce mai la sera e ben di rado va in paese, dove non c’è un cinema, figuriamoci in città. Probabilmente va in città solo per comprarsi ciò di cui ha bisogno.

      Mathurin scuote la testa.

      - No. Guardo qualche volta i film alla televisione.

      - Sa, siamo qui seduti davanti al fuoco del camino e ho pensato a un film di qualche anno fa, s’intitolava Donne in amore, non so se lo conosce.

      Mathurin fa di nuovo un cenno di diniego.

      - No, direi di no. Se lo daranno alla TV vedrò di non perderlo.

      - Non lo daranno. È vietato ai minori, ma è un bel film.

      - Che cosa racconta?

      - È la storia di due sorelle che si innamorano di due amici.

      - E come finisce?

      - Una si sposa, l’altra invece si stacca e l’uomo che ne è innamorato si lascia morire.

      Mathurin chiede:

      - E c’è una scena davanti al camino?

      Henri sa benissimo che a questo punto dovrebbe dire di sì e cambiare argomento. Ma il desiderio preme e Henri cede, senza riflettere.

      - Sì, i due amici parlano, uno è teso, sente il bisogno di sfogarsi e allora i due si spogliano e fanno la lotta.

      Henri prosegue, rifiutandosi di pensare a quello che sta dicendo.

      - Davanti ad un caminetto come questo. Chiudono a chiave la porta e si spogliano completamente. E poi lottano. Che ne dice? Un po’ di movimento…

      Henri giurerebbe che Mathurin è arrossito leggermente. Lo vede aprire la bocca, come se volesse rispondere, ma le parole gli mancano, perché la richiude senza dire nulla.

      Poi, dopo un momento, dice:

      - Dev’essere un film interessante.

      Guarda Henri negli occhi e poi fissa il camino. Henri ha letto un dolore profondo in quello sguardo. Solo adesso si rende conto di quello che ha detto. Henri si dà della testa di cazzo. Mathurin non potrebbe mai spogliarsi davanti a lui, Mathurin non è un uomo, come ha potuto parlare così?

      Henri si alza. Anche Mathurin si alza. Henri non sa come scusarsi.

      - Mi scusi. È che io…

      Il viso di Mathurin è ad una spanna dal suo e Henri fa una cosa folle. Gli prende il viso tra le mani e lo bacia sulla bocca.

      La prima reazione di Mathurin è altrettanto folle: ricambia il bacio appassionatamente, quando la lingua di Henri si infila tra le labbra e preme contro i suoi denti, apre la bocca. Chiude gli occhi e stringe Henri con forza e Henri pensa che è bellissimo stare così, tra le braccia di Mathurin.

      Ma è solo un attimo. Mathurin sembra risvegliarsi, toglie le braccia, cerca di staccarsi.

      Henri non cede, stringe ancora di più quel corpo che lo fa fremere.

      - No, lasciami, lasciami!

      Henri si stacca. Si fissano negli occhi. Henri alza la mano e accarezza il viso di Mathurin, dalla fronte al mento. Mathurin chiude gli occhi.       

      - Non lo desideri anche tu, Mathurin?

      Mathurin riapre gli occhi. Luccicano. Il dolore di Mathurin è una coltellata per Henri, che non riesce a sopportarlo. Sì, si è innamorato di quest’uomo, non può negarlo.

      Mathurin balbetta, mentre una lacrima gli riga la guancia.

      - Henri, tu non sai, non sai. Non è possibile.

      Henri gli stringe il viso tra le mani. Vorrebbe cancellare quella lacrima. La destra di Mathurin si appoggia su una delle mani di Henri.

      - Io so, Mathurin. Ti ho visto.

      Mathurin lo guarda sconvolto.

      - Non è possibile.

      - Sono entrato attraverso il guardaroba, con una delle chiavi. Una mattina. Ti ho visto. Mathurin, io…

       Henri lo bacia, bacia quest’uomo che ama, anche se non è un uomo. E di nuovo per un momento Mathurin risponde al bacio, ma poi si stacca.

      - Henri, tu mi hai visto e…

      - E ti desidero ugualmente, perché mi sono innamorato di te, Mathurin.

      E questa volta è Mathurin a stringerlo appassionatamente, a baciarlo, ad accarezzarlo.

      Poi gli poggia la testa su una spalla e mormora:

      - Non dire niente, Henri, non dire niente. Lasciami sognare per un attimo.

      Con una mano Henri accarezza i capelli di Mathurin. Esita un momento, poi parla.

      - È la verità, Mathurin. Ti amo e ti desidero, così come sei.

      Nella sua testa Henri aggiunge un pezzo alla frase: “Anche se non so cosa combineremo”, ma si guarda bene dal dirlo.

      E l’altra mano di Henri scende lungo il corpo di Mathurin, fino a che incontra un rigonfio assolutamente inequivocabile. Henri non capisce. Mathurin non ha un cazzo, non… l’uomo-cavallo! I cavalli ce l’hanno retrattile, a riposo non viene fuori. Cazzo! Henri stringe vigorosamente il cazzo, lungo e voluminoso. Altro che non averlo, Mathurin è piuttosto dotato!

      E allora? È mai possibile che sia solo questo il problema? Casi del genere esistono, Henri ne ha sentito parlare. C’è un altro segreto, allora? Come era scritto nel libro, uomo e donna, uomo e cavallo?

      E poi Henri si dice che non gliene fotte un cazzo, perché lui ama Mathurin e vuole scopare con lui e anche Mathurin

      Una domanda si fa strada nella testa di Henri, anche se ora, con quel bel cazzo palpitante che stringe nella mano, Henri dovrebbe avere altri pensieri. Ma forse è l’altra mano, quella che ancora accarezza la testa di Mathurin, a trasmettergli domande di tipo diverso.

      - Mathurin, tu mi vuoi bene?

      Mathurin solleva la testa di scatto e lo guarda negli occhi.

      - Ti amo, Henri, ti amo.

      Si baciano ancora e Henri si stenderebbe volentieri sul tappeto, passando a consumare sul momento, ma Mathurin gli sussurra:

      - Andiamo in camera mia.

      È più saggio, senza dubbio. Ma Henri si dice che una di queste sere scoperanno in salotto, sui tappeti… Il desiderio è violento.

      Salgono le scale ed entrano nella camera di Mathurin, che lo guarda, sgomento. Henri chiude a chiave la porta.

      Henri sorride e lo bacia ancora, poi si toglie il maglione e la camicia, lasciandoli cadere a terra. Sbottona la giacca di Mathurin e la fa scivolare sul pavimento, poi gli sbottona la camicia.

      Mathurin è di nuovo arrossito ed è bellissimo quel rossore. Henri lo bacia delicatamente e poi gli toglie la camicia. Lo stringe a sé ed è inebriante il contatto tra i loro due corpi, quella carne calda che preme contro la sua e, più in basso, ancora separati dal tessuto, i loro due cazzi tesi e vibranti.

      Le mani di Henri scorrono lungo la schiena di Mathurin e, dopo un’esitazione, anche Mathurin prende ad accarezzarlo. Poi Henri stringe il culo di Mathurin tra le dita. Mathurin sussulta, come spaventato. Allora le mani di Henri risalgono lungo la colonna e sulla nuca Henri sente un’area in cui la peluria è più fitta, come se i capelli scendessero fino alla base del collo. La accarezza delicatamente. Poi sussurra:

      - Finisci di spogliarmi, Mathurin.

      È bello vederlo arrossire di nuovo, leggergli nello sguardo il desiderio e l’imbarazzo. E poi il desiderio è più forte e Mathurin, con le dita che tremano un po’, gli slaccia la cintura, abbassa la cerniera e fa cadere i pantaloni. Le sue mani esitano, si appoggiano sui fianchi di Henri, subito sopra gli slip, poi, con lentezza, li abbassano.

      Mathurin guarda il cazzo di Henri, perfettamente teso e massiccio. Non riesce a distoglierne lo sguardo e Henri si dice che è la prima volta che vede un cazzo duro. Cavalli a parte, s’intende.

      Henri sorride e le sue mani si avvicinano alla cintura di Mathurin, ma questi fa un passo indietro, spaventato.

      - Henri, tu sai

      Henri non sa, a questo punto se ne rende conto. Il segreto di Mathurin è un altro, probabilmente, anche se Dio solo sa che cosa quest’uomo, sempre vissuto in isolamento, può credere normale o mostruoso.

      Ma Henri si dice che è più saggio barare e far finta di sapere tutto. Se ci sarà da stupirsi, nasconderà il suo stupore.

      Bacia di nuovo Mathurin e lo stringe tra le braccia, per calmarlo. Poi lo accarezza, le sue mani scivolano lungo la schiena e infine raggiungono la cintura, la slacciano e poi sbottonano i pantaloni (ma perché Mathurin non usa pantaloni con cerniera lampo?!) e infine li fanno calare. Mathurin indossa mutande alte e quando Henri avvicina le mani, ha un’ultima reazione di paura, quasi di panico.

      Ma Henri lo bacia ancora e poi le fa calare, con un gesto deciso. A questo punto lo stringe a sé, inebriato dal calore di quel corpo, lo avvolge tra le sue braccia, lo accarezza, gli pizzica il culo, ride, felice e trionfante.

      Mathurin è spaventato. Perché? Che cosa pensa? Non è solo l’imbarazzo della prima volta.

      Henri si stacca un attimo da lui e lo guarda. Mathurin gli sembra bellissimo. Snello, ma forte, un vello piuttosto fitto su tutto il corpo, che diviene una foresta lussureggiante intorno ai capezzoli e sul basso ventre, un cazzo splendido, lungo e teso come una lama d’acciaio. Qual è il problema?

      - Sei bellissimo, Mathurin!

      Lo abbraccia di nuovo e le sue mani si muovono decise, pizzicano, stringono, torturano un po’ il culo. Risalgono e poi scendono lungo la colonna vertebrale. Henri vuole raggiungere il buco del culo di Mathurin, oggetto del suo desiderio, ma le dita incontrano qualche cos’altro, una protuberanza. Henri esita un attimo e avverte la tensione in Mathurin, che non è l’eccitazione, ma la paura. Allora continua il suo movimento, come se già sapesse che cosa lo aspetta, mentre bacia appassionatamente Mathurin.

      Le sue dita si muovono come se il proprietario sapesse esattamente che cosa incontreranno, ma Henri non capisce. Dove dovrebbe esserci un solco, c’è un rilievo tondeggiante e peloso. Le mani di Henri si muovono, stringono e sotto il rilievo trovano quanto ci deve essere: l’incavo tra le natiche, in cui si schiude l’apertura segreta. Ma c’è anche una sporgenza a cui Henri esita a dare un nome, ma che gli sembra dover essere una specie di coda.

      Henri spinge Mathurin sul letto, si stende su di lui ed è così bello stare sdraiato su quel corpo, sentire contro la propria carne quella di un altro uomo forte e vigoroso, contro il proprio cazzo, quello lungo e duro di un altro maschio in calore. Henri bacia selvaggiamente Mathurin, più e più volte, poi scivola a terra, apre le gambe di Mathurin, che sporgono dal letto, e prende in mano la formidabile arma del suo padrone. 

 

*

 

      Henri sa, Henri sa e non gli importa. Henri lo bacia, gli bacia il cazzo, Henri glielo ha preso in bocca e lo sta succhiando, Henri, Henri è l’uomo più bello del mondo, Henri, Henri gli ha detto che lo ama.

      Mathurin è in delirio e forse è proprio questo delirio a permettergli di superare lo sgomento che provoca in lui l’essere nudo e indifeso di fronte ad un altro uomo. Ma Henri sa e la bocca di Henri circonda, accarezza, succhia, morde, avvolge. Ondate di piacere squassano tutto il corpo di Mathurin, che fa appena in tempo a urlare.

      - Henri! Sto…

      Il seme sgorga, in una frenesia di piacere quale certo Mathurin non ha mai provato e neppure sognato, quale non pensava fosse possibile. La bocca di Henri non si ritrae, rimane a succhiare ogni goccia della bevanda e Mathurin accarezza i capelli di Henri, ma in realtà glieli tira, nella foga di un godimento che non ha limiti.

      Henri si stende di nuovo su di lui e non c’è nulla di più bello che stare così, con il peso del corpo di Henri sul proprio. Henri lo bacia e Mathurin si sente l’uomo più felice del mondo. Può sentire contro il proprio ventre il cazzo di Henri, magnifico e caldo e il buco del culo gli si contrae. Lo desidera, ma non osa dirlo.

     È Henri a prendere l’iniziativa, a sollevarsi, a guardarlo sorridendo e poi, con un rapido movimento che coglie Mathurin di sorpresa, a voltarlo sulla schiena. Ora Henri vedrà la sua coda, quell’appendice che ha segnato tutta la sua vita, ma l’ha già vista e le carezze di Henri, i pizzicotti di Henri, i morsi di Henri, tutto gli dice che Henri arde di desiderio. Mathurin sente di nuovo le contrazioni, la coda si solleva a scoprire il buco.

         Henri sta per prenderlo. Il pensiero gli dà le vertigini. Henri lo ama.

 

*

 

      Sì, è davvero una coda, non molto lunga, pelosa, che si solleva e scopre il buco del culo. E anche lì c’è qualche cosa di strano, un liquido chiaro che sembra colare. “Uomo e donna”, diceva il libro, ma Mathurin è un uomo, non una creatura ambigua.

      Henri tocca con il dito l’apertura, che si contrae, mentre un po’ di liquido chiaro esce nuovamente. Un bel buco del culo lubrificato. A Henri sembra di vivere in un sogno di magia, il suo corpo arde come gli sembra non sia mai accaduto e l’uomo che è steso sul letto è un magnifico maschio, una bestia selvaggia e indomita che per la prima volta si piega, accettando di accogliere un altro maschio.

      Henri sa benissimo che per Mathurin è il primo uomo e ne è felice. Accosta il proprio cazzo, voluminoso e gonfio allo spasimo, all’apertura ed entra senza sforzo, mentre Mathurin geme. È un gemito di piacere, Henri lo sa benissimo, come è godimento violento quello che lo avvolge. Il cazzo avanza senza incontrare ostacoli, Mathurin urla il suo nome ed è bellissimo, Henri sente che vibrazioni di piacere percorrono tutto il suo corpo, sempre più alte, senza mai tornare indietro, come un’onda di marea che sale e sale e infine sommerge completamente la terra. Henri affonda in un gorgo di bramosia e appagamento, mentre il seme troppo a lungo trattenuto inonda le viscere di Mathurin, getto dopo getto, come se non finisse mai.

         Henri crolla inerte sul corpo di Mathurin, gli bacia ancora il collo, gli mormora:

         - Ti amo.     

      Non esce da Mathurin. Rimane dentro di lui. Non c’è nulla di più bello che rimanere così. Henri passa la lingua dietro l’orecchio di Mathurin, che sussulta, gioca con i capelli neri.

      Poi si gira su un fianco e le sue mani incominciano a percorrere il corpo di Mathurin, aggrovigliano i suoi peli, gli pizzicano i capezzoli, gli grattano i coglioni, accarezzano il cazzo, di nuovo rigido.

      Poi Henri gli dice:

      - Com’è stato, Mathurin?

      Mathurin sospira.

      - Non credevo che… È la cosa più bella del mondo. Grazie, Henri.

      - Grazie a te.

      Henri afferra il cazzo di Mathurin, che vibra, poi gli sussurra:

      - Vuoi mettermelo in culo?

      Mathurin annuisce.

         Henri esce, un po’ a malincuore, da lui, e si stende a pancia in giù. Divarica le gambe.

      - Bagna un po’ con la saliva ed entra piano.

      Mathurin ha un cazzo da cavallo, sarà bello averlo dentro, ma se non va piano… Meglio guidarlo. Ora è lui ad insegnare a Mathurin a cavalcare: Mathurin imparerà, in fretta, Henri ne è sicuro. A letto Henri è un buon maestro.

      Henri sente le dita bagnate che stuzzicano l’apertura.

      - Bagna ancora e poi falle entrare, piano.

      Mathurin esegue ed è una bella sensazione. Da molto tempo non gli capitava.

      Poi Henri sente la punta del cazzo di Mathurin premere.

      - Aspetta, inumidisci anche il cazzo.

      Mathurin obbedisce. È un allievo docile.

      E poi nuovamente l’ariete avanza. Mathurin si muove con delicatezza, ha paura di fare male. Ma, per quanto la sensazione di quel grosso cazzo che entra non sia priva di sofferenza, è così bella, così forte. Mathurin avanza, lentamente. Ogni tanto si ferma. Henri lo lascia procedere, fino a che si rende conto che è giunto al limite.

      - Fermati! Di più mi fa male.

      Fa male anche così, ma non conta, il piacere è troppo forte. Mathurin prende a spingere avanti e indietro, con delicatezza, ed è una sensazione meravigliosa: nessun maschio l’ha mai riempito così. Ma Mathurin è uno stallone e Henri è felice di essere una giumenta. Poi ritornerà stallone, in un gioco delle parti che per entrambi è splendido.

      Mathurin spinge a lungo e ogni spinta apre nuove voragini in cui Henri si sente catapultato, senza capire se sta salendo verso il cielo o sprofondando vero il centro della terra.

      E infine Mathurin viene, gemendo, e al suo gemito risponde quello di Henri, che viene con lui.

 

*

 

      Hanno passato la notte nello stesso letto. Il mattino si lavano insieme. Mathurin si è passato la schiuma da barba sul collo e ora sta manovrando per radersi i peli che scendono lungo la nuca. Uno dei segni della sua deformità che ha sempre cercato di occultare, il più trascurabile, ma l’unico visibile anche quando è vestito.

      - Fermo. Faccio io.

      Henri gli prende il rasoio e lo passa, radendo con cura. Poi asciuga il collo di Mathurin. Avvicina la bocca e bacia l’area che ha appena rasato. Mathurin sente che le forze gli mancano, la tenerezza di quel gesto e il desiderio che monta impetuoso lo stordiscono.

     Henri passa le braccia intorno al corpo di Mathurin, che si appoggia con le braccia al lavandino. China la testa, preda di una bramosia che lo frastorna. Henri appoggia le sue mani sul culo di Mathurin, divarica le natiche. Il suo cazzo vibra contro il culo di Mathurin e Henri guarda il buco che si contrae e il liquido che cola. Henri sorride. Henri lo guarda e sorride. Henri vede il marchio d’infamia che si porta dietro dalla nascita, e sorride. Henri lo ama. Mathurin ha gli occhi umidi.

         Henri entra, da padrone, mentre guarda nello specchio il viso di Mathurin, trasfigurato dal piacere.

      Cavalcano a lungo, poi la mano di Henri scende sul cazzo di Mathurin e lo guida al piacere. Vengono insieme. Il seme di Henri si riversa nelle viscere di Mathurin e lo sborro del conte sale in alto, fino a raggiungere lo specchio.

      La cavalcata è finita, lasciando entrambi pienamente soddisfatti. Mathurin si dice che Henri è davvero bravo a cavalcare.

 

*

 

      Una settimana è passata. Una settimana in cui i loro corpi si sono incontrati e hanno imparato a conoscersi meglio. Una settimana in cui si sono aperti l’uno all’altro. Henri ha scoperto l’abisso di solitudine e di vergogna in cui è vissuto Mathurin, Mathurin ha aperto gli occhi su mondi di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. Il loro legame è diventato più forte.

      Ora sono davanti al camino, seduti, mentre il fuoco arde. Henri ripensa alla sera in cui ha scoperto le carte e si dice che mai ha giocato meglio una mano in tutta la sua vita.

      Poi il pensiero torna al film di cui aveva parlato a Mathurin e allora si alza, chiude a chiave la porta della sala, controlla che le tende siano ben tirate e, senza dire una parola, incomincia a spogliarsi.

      Mathurin lo guarda, divertito e perplesso, ma Henri gli legge negli occhi il desiderio.

      - Avanti, spogliati, che facciamo la lotta. Chi vince lo mette in culo all’altro.

      Mathurin sorride e si spoglia anche lui. Sono entrambi nudi, uno di fronte all’altro, i cazzi che si stanno riempiendo di sangue. Henri si dice che avrà la meglio facilmente su Mathurin, che è meno forte. Ma Mathurin è agile e ogni volta che Henri cerca di bloccarlo, gli scivola tra le mani come un’anguilla.

      Nessuno dei due è un lottatore esperto e il desiderio che brucia i loro corpi è troppo forte, c’è un continuo fluttuare tra la lotta e il gioco amoroso. Henri si butta su Mathurin, riesce a farlo cadere, ma Mathurin si rialza e ancora una volta sfugge alla stretta, per tornare su Henri e, approfittando del momento in cui sta alzandosi, spingerlo nuovamente a terra e cercare di bloccarlo. Gli piega un braccio dietro la schiena, ma con l’altra mano gli accarezza il culo. Henri riesce a divincolarsi e la lotta riprende, ma ormai il desiderio è incontenibile, si stringono, si separano a fatica, le loro mani si incontrano, ognuno cerca di forzare l’altro a cedere, i loro corpi aderiscono e il desiderio sale in entrambi e finalmente esplode, mentre scivolano al suolo. Vengono così, uno contro l’altro, ed è splendido sentire la vibrazione dei loro corpi e dei loro cazzi.

      Mentre sono stesi a terra, esausti, Mathurin ride:

      - Chi ha vinto?

      Henri lo guarda.

      - Io ho vinto di sicuro, Mathurin.

      Mathurin non ride più. Accarezza le guance di Henri e dice:

      - Anch’io ho vinto, Henri.

      E allora, quando riprendono fiato, sul tappeto ognuno dei due ottiene il premio della lotta.

 

*

 

      Sono passati alcuni anni. Le voci che circolavano su Mathurin hanno perso forza. Mathurin guida l’auto, va al cinema, va spesso in viaggio con il suo amministratore: sono stati a Parigi, in Italia, in Spagna, negli Stati Uniti. Circolano altre voci, adesso: in paese si dice che il conte e l’amministratore sono amanti. Forse è per quello che Mathurin era tenuto isolato, magari aveva manifestato fin da piccolo certe tendenze.

      C’è spesso un fondo di verità nelle chiacchiere di paese.

 

2009

 

 

 

 

 

 

 

 

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