I lottatori

 

Quattrobb

 

      Due guardie lo spingono in mezzo allo spazio destinato alla lotta. Mesut guarda il suo avversario, che è molto giovane: non deve avere più di venti-ventidue anni. Ha un fisico robusto e diversi tatuaggi: uno, più ampio, sul braccio, rappresenta un uccello fantastico; sul petto e sulle braccia ha piccole mezzelune, nomi, date. Mesut lo guarda negli occhi e vi legge l’odio assoluto. Non capisce, non ha senso: non ha scelto lui di lottare, come non l’ha scelto quel ragazzo che avrà dieci anni in meno di lui. Devono farlo, non possono evitarlo. Devono esibirsi per il divertimento dei secondini, che vogliono dimenticare per una sera la desolazione della loro prigione. Mesut pensa che tra quei monti al confine con la Grecia, la loro vita non è molto migliore di quella dei carcerati.

      Il ragazzo ha un viso duro e Mesut si dice che per sopravvivere lì dentro bisogna diventare di ferro, dentro, non porsi domande e rispondere colpo su colpo. E allora non sarà facile per lui, perché Mesut non riesce a smettere di pensare neanche adesso e di fronte a questo ragazzo prova soltanto pena.

       - Mesut e Oran, al cinque potete incominciare.

      Il secondino inizia a contare. Oran sibila:

      - Ti fotterò, figlio di puttana.

      È assurdo, è tutto assurdo. Ma Mesut sa di non avere scelta.

      Oran si slancia su di lui prima che il secondino sia arrivato al cinque, ma Mesut non si lascia prendere di sorpresa: ha praticato a lungo la lotta, nel suo paese, ed ha partecipato a diverse gare. Gli è bastato vedere come il corpo di Oran si tendeva, per capire che stava per scattare. Non gli è difficile scansarlo, saltando di lato. Oran cade a terra e Mesut gli è subito sopra. Gli blocca il braccio destro e glielo torce dietro la schiena, mentre con il sinistro gli impedisce di girarsi. Oran si dibatte, ma per Mesut è evidente che il ragazzo, per quanto forte, è inesperto. Potrebbe immobilizzarlo subito, ma non vuole che le guardie capiscano quanto lui è abile nella lotta. Lascia che il ragazzo gli sfugga.

      Oran gli si scaglia addosso e lo fa cadere, ma Mesut approfitta dello slancio del ragazzo per sollevarlo con le gambe e liberarsene. Oran è furente. Si avvicina, più guardingo, e lo avvolge nelle sue braccia. Incomincia a dargli pugni nella schiena. Già, questo è permesso, qui la lotta non ha regole. Mesut libera un braccio, preme con il gomito sul collo del ragazzo e lo costringe a mollare la presa. Ma mentre si stacca da lui, Oran gli affibbia un calcio nei coglioni e Mesut arretra con un salto, una smorfia di dolore sul viso. I secondini ridono.

      - Poi te li fai leccare, se lo getti a terra. 

      Alla battuta di uno di loro, gli altri raddoppiano le risate ed incoraggiano i due contendenti.

      Oran si è lanciato su di lui, sperando di bloccarlo prima che Mesut si sia ripreso dal dolore e dalla sorpresa, ma l’avversario lo previene: un calcio ben assestato blocca lo slancio di Oran ed è Mesut ad afferrarlo ed a trascinarlo a terra. Mesut è sotto, di schiena e blocca le braccia di Oran, disteso su di lui, anch’egli di schiena. Il ragazzo si contorce, senza riuscire a liberarsi. Infine, con uno sforzo, si solleva, costringendo Mesut a mollare la presa.

      Poi Oran si getta di nuovo su di lui e gli afferra i pantaloncini, tirandoglieli giù. A questo Mesut non aveva pensato: prima di bloccare l’avversario, bisogna spogliarlo, altrimenti la vittoria non viene assegnata. Il secondino gli ha spiegato la regola, ma a Mesut era passata di mente.

      Mesut avvinghia l’avversario e i due rotolano a terra, cercando di spogliarsi a vicenda. I pantaloncini di Oran vengono strappati, quelli di Mesut finiscono a metà gamba ed è Mesut stesso a sfilarseli, per evitare che gli impaccino i movimenti. Ora che Mesut è nudo, i secondini fanno battute sulla sua attrezzatura.

      - Cazzo, Oran, se vince lui avrai male al culo per una settimana.

      - Forza, Oran, altrimenti questo ti infilza come un pollo allo spiedo.

      - E che spiedo!

      Oran è nervoso, commette sempre più errori. Evidentemente ha sottovalutato il nuovo prigioniero e soltanto adesso si rende conto che è un avversario temibile. Mesut approfitta di un attacco per bloccargli il braccio, sbatterlo a terra e tenerlo inchiodato al suolo.

      Gli sforzi di Oran per liberarsi sono del tutto inutili. La guardia che ha dato inizio al combattimento e che avrebbe dovuto fare da arbitro, ma non è mai intervenuta, annuncia la vittoria di Mesut.

      Mesut si rialza. Il secondino gli dice di mettersi in mezzo al cerchio tracciato per terra. Poi ordina ad Oran di mettersi in ginocchio davanti a Mesut.

      Mesut vorrebbe tornare nella sua cella. Anche se sono quattro mesi che non scopa, non ha nessuna voglia di esibirsi davanti ai secondini. Ma questa è la parte del confronto che li diverte di più, ovviamente: vedere il prigioniero sconfitto costretto a succhiare il cazzo del vincitore e poi offrirgli il culo.

      Oran si è messo in ginocchio, le mani dietro la schiena. Mesut non dice nulla. Rimane impalato, preso da un senso di nausea. Oran gli prende in bocca il cazzo e incomincia a lavorarlo con la lingua e le labbra. Avvolge la cappella, la accarezza, succhia un po’. I secondini gli dicono che è bravo a fare pompini, lo prendono in giro. Mesut sente che il suo corpo reagisce, con intensità, anche se la sua testa è altrove. L’attrezzo si riempie di sangue e cresce. Ben presto non sta più nella bocca di Oran ed ha, come sempre, la tendenza a mettersi in verticale, aderendo al ventre di Mesut. Oran passa ancora la lingue due volte sul magnifico palo di carne che ha davanti alla bocca, poi si volta e si stende sul pavimento.

      Mesut gli guarda il culo. È bello quel culo, muscoloso e giovane. Ma a Mesut non importa nulla. Sa che deve farlo e lo fa. Si mette in ginocchio tra le gambe allargate di Oran, si bagna le dita e accarezza l’apertura. Non vuole fare male al ragazzo, anche se i secondini lo aizzano e lo prendono in giro:

      - Dai, leccaglielo! Così entra meglio.

      Mesut avvicina la cappella al buco e spinge leggermente. Il ragazzo si tende.

      Mesut si ferma e gli sussurra:

      - Rilassati, sarà meno doloroso.

      Oran sibila:

      - Vaffanculo, bastardo. La prossima volta ti getto a terra e ti sfondo il culo fino a farlo sanguinare.

      Mesut riprende a spingere, muovendo in avanti il culo in modo continuo. Il ragazzo prende a gemere e Mesut si ferma. I secondini urlano oscenità:

      - Era meglio se vincevi, Oran.

      - Ma perché ti lamenti? Che cosa vuoi di più? Più grosso di così non ce l’ha nessuno.

      Mesut incomincia un lento lavorio, muovendo il culo avanti e indietro, senza interrompere un minuto. Metodico e instancabile, come in tutte le cose. Non spinge mai fino in fondo, non vuole fare male al ragazzo, che adesso è più rilassato e ha smesso di gemere.

      - Forza, spaccagli il culo! Tanto gli piace…

      - Che resistenza! Questo è capace di scopare fino a domani!

      Ma Mesut è indifferente. Il piacere sale, lentamente, ma tocca solo il suo corpo, non la sua testa, né il suo cuore. Continua a spingere, con un movimento continuo, come se segasse una trave. E poi sente la tensione divenire insopportabile e sciogliersi in ondate che lo percorrono tutto, trasformandosi in spinte più violente, ed infine dissolversi.

      Mesut ha finito. Senza dire una parola si alza e aspetta, in piedi, che lo riportino in cella.

      Qualche secondino applaude. Oran si rialza. Lo guarda e sputa per terra.

      - Rivestitevi.

      All’ordine della guardia, Mesut va nell’angolo dove ha posato l’abito da carcerato e se lo mette. È contento che sia finita. Si sente umiliato, più ancora che se avesse perso ed Oran lo avesse posseduto.

      Il secondino che lo accompagna in cella gli dice:

      - Sei bravo, tra qualche giorno facciamo un altro incontro, con qualcuno di più forte.       

      Mesut non dice niente. Non può scegliere.

      Appena torna in cella, i compagni gli chiedono com’è andata. Mesut dice di aver vinto, ma non tutti gli credono.

      - A guardarti in faccia, si direbbe che hai perso, invece.

      Omar, che lo conosce un po’ meglio, dice:

      - Mesut non è uno che mente. Se dice che ha vinto, ha vinto.

      Mesut vorrebbe solo essere lasciato in pace. Deve scontare due anni, ma sarà un calvario.

 

*

 

      Selim guarda la finestra della sua cella. Tra poco lo verranno a prendere per affrontare un nuovo prigioniero. O per giustiziarlo.

      Selim è stato condannato a morte, anche se ha ucciso il soldato per legittima difesa. Ma quale tribunale di questo paese darebbe ragione a un curdo contro un turco? E a un civile contro un soldato?

      Lo impiccheranno, presto. Come al solito, non gli diranno prima quando avverrà l’esecuzione. Selim sa che ogni pasto potrebbe essere l’ultimo. Uno di questi giorni lo verranno a prendere con qualche scusa, magari quella di un combattimento, e lo porteranno nella camera delle esecuzioni. Fanno sempre così.

      Magari questa sera. Ma non è probabile. Vogliono davvero che combatta con questo tizio di Edirne che ha vinto tutti i più forti lottatori della prigione. Rimane solo lui, Selim, che nessuno ha mai sconfitto.

      Selim è curioso. Non ha mai visto questo Mesut, che sta in un altro braccio. Anche nelle ore d’aria i prigionieri dei diversi bracci stanno in cortili separati. Ma alcuni ogni tanto vengono spostati e gli hanno parlato di Mesut.

      Tariq gli ha detto che è un tipo strano, incapace di adattarsi al carcere. Vive secondo le sue regole e non secondo il codice non scritto che governa i rapporti tra detenuti. Quelli così vivono poco e male. Ma Mesut sembra cavarsela.

      Il Vecchio gli ha detto altre cose, che Selim rimugina. Il Vecchio ha un nome, ma tutti lo chiamano così. È anziano ed è quasi cieco e allora molti credono che veda meglio di quelli che hanno occhi buoni.

      Le parole del Vecchio riecheggiano nella testa di Selim. Come spesso accade, il loro significato non gli è chiaro.

      - Selim, tu sei una spada d’acciaio, che il fuoco e l’acqua hanno temprato. Ma una spada immersa nel fango si ricopre di sporcizia e occorre pulire la lama per vederla tornare fulgida come prima. Mesut è il piumaggio dell’anatra, su cui l’acqua scorre, senza fermarsi: può immergersi nella palude, ma ne esce senza macchia.

      Mentre Selim riflette su quelle parole, la porta si apre.

      - Pronto per il combattimento, Selim? Questa sera hai un avversario non facile. Anche lui non è mai stato sconfitto.

      Huseyin, il secondino, è un uomo cordiale. Selim risponde:

      - Sarà Dio a scegliere il vincitore.

      Il secondino annuisce e risponde:

      - Come Dio vuole.

     Raggiungono lo stanzone in cui i lottatori si affrontano. È pieno di guardie: nessuno vuole perdersi lo spettacolo. Uno dei due campioni questa sera perderà e se lo prenderà in culo. Chi? Selim vede che diversi stanno scommettendo. A quanto pare, scommettono più su di lui che su Mesut, ma non è strano: lui combatte da più tempo, ha affrontato anche lottatori che adesso sono usciti dal carcere o sono stati giustiziati.

      Come al solito, Selim si spoglia e infila i pantaloncini. Poi prende il suo posto, al centro dello spazio dove combatteranno. Mesut arriva poco dopo. Si cambia e lo raggiunge. Lo guarda. Ha la sua età, più o meno, come gli avevano detto. E pressappoco la stessa altezza e stazza. Capelli cortissimi, barba cortissima, un viso non bello, un corpo ben tornito.

      Mesut lo fissa tranquillo. Non c’è traccia di sfida, di arroganza, di boria. Lo guarda come si guarda una persona con cui si deve fare un lavoro. E Selim si rende conto, di colpo, che nessuno degli altri lottatori lo ha mai guardato così. Negli sguardi degli altri Selim ha spesso letto rabbia, odio, paura. Non ha mai incontrato qualcuno che lo guardasse come un compagno di avventura. O forse di sventura. Perché questo sono, loro due. 

      Selim ricambia lo sguardo e si accorge di aver sorriso. Un mezzo sorriso, forse, ma inequivocabile, perché anche Mesut sorride. Non c’è scherno o iattanza, come non c’era nei suoi occhi. Selim vorrebbe dire che è quasi un sorriso fraterno.

      Selim si sente rilassato, come mai prima di una lotta impegnativa. E questa lo sarà. Sono troppo simili per corporatura e statura ed è evidente che Mesut è un uomo forte. Ma l’idea di perdere contro Mesut non lo spaventa.

      Una delle guardie li invita a prepararsi e Selim spazza via i pensieri. Quando viene dato il segnale, non si gettano l’uno contro l’altro, ma si studiano, muovendosi in circolo. Mantengono la distanza, cercando di cogliere nell’avversario un punto debole che sanno non esistere.

      E poi Mesut si scaglia su di lui e, benché Selim abbia cercato di evitarlo, finiscono entrambi a terra. Selim però riesce a impedire a Mesut di bloccarlo e lo manda invece a gambe all’aria. Mesut non si fa intimidire e si getta di nuovo su di lui. Rotolano insieme e quasi Selim riesce a immobilizzarlo, ma Mesut si sottrae alla stretta e scivola di lato, poi si getta su di lui e Selim, alzando le gambe, lo fa volare via.

      Sono di nuovo uno di fronte all’altro, chinati in avanti. Mesut sorride e mormora, così piano che solo Selim può sentirlo:

      - Bel colpo!

      Selim usa lo stesso tono di voce per dirgli:

      - Anche tu sei in gamba.

      E poi pensa che in un anno di lotte, non gli è mai successo. Parecchi hanno insultato lui e la sua famiglia, altri lo hanno minacciato, dichiarandosi sicuri di sconfiggerlo. Nessuno gli ha mai detto che è stato bravo. E lui non l’ha mai detto a nessuno. Quest’uomo non solo si comporta in modo diverso dagli altri, ma provoca anche reazioni differenti negli altri, o almeno in lui.

      E ora Selim si avvinghia a Mesut e gli cala i pantaloncini, mentre Mesut fa altrettanto. E le sue mani che scorrono sulle cosce di Mesut sono quasi una carezza, a cui risponde quella del suo avversario.

      Si staccano e si guardano. Entrambi sono ben dotati e lo stringersi dei loro corpi ha attizzato il desiderio: i loro uccelli hanno sollevato la testa e, pur non essendo completamente rigidi, si mostrano pronti a partecipare al seguito.

      La lotta prosegue, a lungo. Nessuno dei due sembra avere fretta. Si stringono e si separano, si avviluppano l’uno all’altro per poi lanciarsi lontano.

      Selim sente il desiderio montare. Più volte gli è capitato di desiderare uno dei lottatori, ma mai con questa intensità.

      Ed allora si lancia su Mesut e quando rotolano a terra, riesce a bloccarlo a pancia in giù. Con le ginocchia puntate a terra, gli tiene un braccio dietro la schiena e con la mano gli preme la testa contro il suolo. Mesut cerca di liberarsi, ma la presa è troppo salda. Cede.

      L’arbitro decreta la vittoria di Selim.

      Selim desidera con forza il corpo su cui preme e il suo uccello, perfettamente teso, ne è la prova inequivocabile. Ma non vorrebbe imporre ciò che desidera.

      Non è lui a dettare le condizioni, lo sa benissimo, come lo sa Mesut.

     E solo in questo momento Selim si rende conto di non aver sentito le urla dei secondini. Come se la loro lotta non si fosse svolta davanti ad una cinquantina di persone, ma in un luogo isolato.

 

*

 

      Per la prima volta Mesut è stato sconfitto. Ma dentro di lui c’è una grande pace. A vincerlo non è stato un nemico, ma un uomo. E allora quello che sta per avvenire non ha importanza, è assai meno umiliante di tutte le volte in cui in questi due mesi ha dovuto possedere i suoi rivali.

      Si inginocchia davanti a Selim. Ne guarda il cazzo, grande e duro. Non è la prima volta che ne succhia uno. Da ragazzo l’ha fatto alcune volte, i giovani del paese lo facevano spesso uno con l’altro, in quell’età in cui il desiderio è tanto forte da superare ogni remora.

      Mette le mani dietro la schiena e prende in bocca l’asta voluminosa. Non ce ne sarebbe bisogno, è già pronta per l’uso, ma i secondini vogliono vedere l’umiliazione del prigioniero. Urlano, alcuni rabbiosi per aver perso la scommessa, altri felici per la vittoria di Selim, tutti contenti di vedere per la prima volta Mesut umiliato e presto inculato.

      Mesut accoglie in bocca la cappella e la percorre con la lingua. Gli piace. In quel momento sente che Selim gli appoggia la mano sulla testa, come se volesse forzarlo a inghiottire meglio, ma è una carezza. Poi dice:

      - Basta, altrimenti vengo.

      Mesut si ritrae. Si stende a pancia in giù sul pavimento, allargando le gambe, il busto leggermente sollevato sulle braccia ripiegate mentre la stanza esplode in un boato di risate e battute, che Mesut non ascolta.

      Sono anni che Mesut non viene penetrato, ma non ha paura. E non si sente umiliato, perché a farlo è quest’uomo che non conosce, ma che non è come gli altri prigionieri. Che è un uomo davvero.  

      Selim gli bagna l’apertura con le dita umide di saliva, la dilata leggermente e la sua mano accende il desiderio di Mesut.

      Poi Mesut sente l’uccello di Selim premere contro l’apertura. Si abbandona completamente, senza cercare di opporsi all’ingresso di quell’arma possente, che ora si fa strada dentro di lui. La carne cede con fatica e la sofferenza è forte, ma non c’è solo dolore in quell’ingresso. Ora Selim si è steso su di lui, la testa di fianco alla sua, e gli sussurra.

      - Come va? Non voglio farti male.

      A Mesut viene da sorridere, ma si controlla: è meglio che le guardie non si accorgano che ciò che sta avvenendo non è violenza e umiliazione, ma piacere per entrambi. Risponde, pianissimo.

      - È bello e non fa davvero male. Sono contento che sia tu a farlo.

      Selim gli morde l’orecchio. È un morso leggero, che suscita risate tra i secondini, convinti che Selim morda con forza. Lo incoraggiano a mozzare l’orecchio al suo avversario, ma nessuno dei due ci bada.

      Selim avanza ancora e ora il grande uccello è tutto dentro di lui. Mesut sente il sussurro del suo avversario.

      - Tutto bene?

      - Sì, sei bravo. Ed è bello stare così.

      È davvero bello. Mesut solleva gli occhi e guarda i secondini che ridono e urlano. Non capiscono, non possono capire. Lo vedono con la testa chinata e suppongono che soffra per l’umiliazione e il dolore fisico. Non sanno che per lui sentire il corpo di Selim su di sé è bello, come è bello sentire il cazzo di Selim dentro di sé.

      - Ora incomincio.

      Mesut china ancora di più la testa e Selim prende a muoversi, ritirando il cazzo e poi spingendolo fino in fondo. Lo fa con lentezza, mentre il corpo di Mesut si abitua alla potenza dell’arma che dopo averlo infilzato ora si muove dentro di lui.

      Ogni tanto le dita di Selim accarezzano le braccia di Mesut, con movimenti leggeri, che gli spettatori non colgono. Le spinte crescono di intensità e Mesut sente che dal dolore che ora cresce dentro di lui si sta sprigionando un piacere che si amplifica a ogni spinta. Gli sembra che il suo corpo vibri all’unisono con quello di Selim e stringe i denti per non gemere di piacere.

      Selim si dà da fare con vigore e man mano che le spinte diventano più frequenti e più intense, Mesut avverte che anche il suo piacere acquista forza. Capisce che sta per venire. Non gli era mai successo di venire mentre qualcuno lo possedeva.

      Selim imprime un’ultima serie di spinte e Mesut sente il seme dell’avversario riempirgli le viscere, mentre il proprio si sparge al suolo. Il piacere è intensissimo e Mesut chiude gli occhi. Sente la voce di Selim che sussurra:

      - Mesut, sei venuto anche tu?

      - Sì, è stato bellissimo, Selim.

      Poi Selim si alza e appoggia un piede sulla schiena di Mesut. Alza la mano chiusa a pugno, in segno di vittoria, ma entrambi sanno che quel gesto è privo di significato.

 

*

 

      Una settimana dopo c’è un secondo incontro tra di loro. Mesut ha dovuto affrontare un’altra volta Karim, uno dei lottatori più forti, e l’ha vinto. Ora incontrerà nuovamente Selim.

      Ha pensato spesso all’uomo che l’ha battuto, in questa settimana. Adesso che deve affrontarlo, in lui ci sono sentimenti contrastanti. Gli fa piacere rivederlo, ma vorrebbe trovarsi in un’altra situazione, potergli parlare e non semplicemente lottare. L’idea che i loro corpi entreranno di nuovo in contatto lo eccita e l’uccello già solleva il capo, ma il modo in cui avverrà il loro rapporto è mille miglia lontano da ciò che vorrebbe.

      Inutile perdersi in desideri irrealizzabili: il loro incontro avverrà come la volta scorsa.

      Al centro dello spiazzo designato, i due contendenti si guardano e poi si sorridono, apertamente. La lotta è di nuovo lunga e le guardie urlano, incoraggiando e maledicendo, ma Selim e Mesut combattono in un altro campo, lontano dalla prigione e dai secondini, le cui voci non li scalfiscono.

      Molte volte rotolano a terra, si stringono e si separano, si lanciano addosso all’avversario e si liberano dalla forte stretta. È un bel combattimento. E quando si spogliano, svelando l’eccitazione che provano entrambi, la lotta diviene ancora più intensa.

      Ora, dopo che sono rotolati avvinghiati, Mesut è sopra il corpo di Selim, accovacciato. Lo schiaccia con il suo peso, gli blocca la testa con un braccio e gli impedisce di liberarsi. Selim è prigioniero e cerca con tutte le sue forze di sciogliersi dalla stretta, ma invano. Prima che l’arbitro sanzioni la sconfitta di Selim, Mesut gli sussurra:

      - Se non te la senti, allento la presa e ti liberi.

      C’è un attimo di silenzio, poi Selim risponde:

      - No, va bene così.

      E allora Mesut preme con maggior forza e Selim cede.

      L’arbitro decreta la vittoria di Mesut, mentre la sala sembra esplodere in un grido immane, in cui si mescolano urla di giubilo e grida di scherno, bestemmie e minacce.

      Mesut si mette in piedi al centro del campo, come ha fatto al termine di tutti gli altri incontri, a parte il primo con Selim.

      Il suo avversario si inginocchia davanti a lui, le mani dietro la schiena, e prende in bocca l’arma di Mesut, perfettamente tesa. Mesut gli appoggia una mano sul capo, in una carezza appena dissimulata, poi, quasi subito, lo allontana.

      Gli fa un cenno e Selim si mette in posizione. Le urla degli spettatori diventano assordanti: per un anno hanno atteso questo momento, l’umiliazione del campione. Anche chi ha scommesso su Selim sprona Mesut a spaccargli il culo: una vendetta per i soldi persi.

      Mesut lubrifica bene con la saliva, ripetendo l’operazione più volte. Nella stanza la tensione sale ancora. Poi Mesut avanza il suo formidabile uccello e con molta lentezza infilza il culo di Selim. Le sue mani accarezzano le spalle del suo avversario, mentre la picca avanza, inesorabile.

      Il piacere che Mesut prova è violento. China la sua testa su quella di Selim e gli parla. Le guardie pensano che lo stia insultando o deridendo, ma è tutta la tenerezza che Mesut si porta dentro a riversarsi nelle orecchie di Selim.

      E poi il ritmo accelera, Mesut imprime al suo culo un movimento a stantuffo molto regolare e sente che il piacere aumenta a dismisura, fino a travolgerlo. Allora spinge con forza e infine si affloscia inerte. Morde la spalla di Selim e tutti pensano a un ultimo oltraggio, ma i due contendenti sanno che è un omaggio.

      Mesut si alza, tra le grida dei secondini. Anche Selim si alza. Non è venuto e questo a Mesut spiace: avrebbe voluto che godessero insieme, come la volta scorsa. Ma non può fare nulla per rimediare.

     

      Quella sera stessa, in cella, Larbi gli parla. Stanno organizzando una fuga, vogliono che lui sia dei loro, perché è forte. Mesut non vuole saperne: ha solo un anno e nove mesi da scontare, perché rischiare una pena maggiore e magari anche la vita? Larbi insiste: ci sono due prigionieri importanti, che devono scappare. Non ci saranno imprevisti, ci sono molti complici all’interno del carcere, gente che è stata pagata. Ma bisogna mascherare la fuga con un’azione di forza. Mercoledì sera, Mesut finga di stare male, si faccia portare in infermeria verso le nove. Mesut gli dice di no. Larbi lo invita a ripensarci. Mesut sa che non lo farà, per lui la faccenda è chiusa.

 

*

 

      Selim è seduto in un angolo. Nessuno gli si avvicina. I compagni di cella hanno capito che vuole stare da solo.

      Selim sprofonda in una sofferenza che cresce a ogni minuto. Domani mattina lo impiccheranno. La notizia gliel’ha data un altro prigioniero, che ha sentito parlare due guardie.

      La sua vita è arrivata alla fine, a trentadue anni. Selim sente l’angoscia che gli stringe lo stomaco. Domani la corda gli bloccherà il respiro. Gli sembra impossibile pensare che il corpo forte e sano che in questo momento può rispondere ai suoi comandi, domani sarà un cadavere.

      Il suo pensiero vaga nel tempo e si perde nel passato: quello lontano, fuori dalla prigione, al suo villaggio natale; quello più vicino, in cui campeggia Mesut, un uomo che lo attrae come non gli era mai successo, l’avversario che lo ha battuto e lo ha posseduto. Poi il pensiero ha uno scarto improvviso e di colpo gli appare il domani, la corda, l’inutile lotta con il cappio, la morte.

       Il secondino entra e si dirige verso Selim. Per un momento Selim pensa che abbiano deciso di anticipare l’esecuzione, ma l’uomo gli porta un’altra notizia:

      - Preparati, questa sera affronti di nuovo Mesut. Avete vinto una volta a testa, questa volta vediamo davvero chi è il più forte.

      Selim lo guarda, senza dire niente. Non se la sente di parlare. Annuisce.

      Solo quando l’uomo esce dalla cella, Selim pensa che prima di morire rivedrà ancora Mesut. Il pensiero gli dà un po’ di conforto. È assurdo, ha visto Mesut due volte in vita sua e non hanno neanche potuto parlarsi. Eppure il pensiero di Mesut calma un po’ la sua angoscia.

      Poi un dubbio l’assale. E se fosse il solito lurido trucchetto delle guardie? Magari la voce della sua esecuzione è circolata e allora hanno deciso di anticiparla. Che cosa cambia? Questa sera, domani. Una notte di angoscia in meno.

      Quello che fa davvero la differenza è Mesut. Vuole rivederlo. Vuole risentire ancora le parole che gli ha sussurrato all’orecchio mentre lo prendeva. Un uomo capace di tenerezza mentre ti incula per il divertimento delle guardie.

 

01 copia

 

      Quando vengono a prenderlo, il cuore gli martella in petto. La guardia si dirige verso il locale dove avvengono gli incontri, ma non significa nulla: potrebbero aver deciso di impiccarlo lì.

      Solo quando entra e vede Mesut che si sta cambiando, sa che ha ancora alcune ore di vita davanti.

      Si spoglia, indossa i pantaloncini ed entra in campo. Mesut lo guarda, ma Selim gli legge negli occhi un’espressione diversa, preoccupata. Non certo per l’esito della lotta, che a Mesut è del tutto indifferente, questo Selim l’ha capito. Sa già? È giunta anche a lui voce dell’esecuzione?

      La risposta gliela dà Mesut stesso, mentre ognuno dei due ha le mani poggiate sulle spalle dell’altro e cerca di rovesciarlo.

      - Che succede, Selim? Perché quella faccia?

      Selim respira a fondo e poi risponde:

      - Domani, Mesut, mi impiccano domani mattina.

      Selim sente che Mesut perde le forze e senza volerlo si trova a rovesciarlo a terra. Gli è sopra e lottano o forse lo fanno soltanto i loro corpi, che trovano i movimenti giusti per fingere, mentre il dialogo si intreccia fitto:

      - Ne sei sicuro, Selim?

      - Sicurissimo. Domani. Mesut…

      Selim fa una pausa, poi aggiunge:

      - Sono contento che lottiamo questa sera. È un buon modo per finire.

      Mesut non dice nulla. Per un buon momento lottano, poi Mesut gli sussurra:

      - Lasciati bloccare un momento.

      Cadono a terra e Mesut lo blocca. Poi gli dice, rapidamente:

      - Ascolta bene. Tra un po’ mi prendi il polso e lo stringi, devono credere che me lo stai slogando o spezzando. Io urlo, ti colpisco e faccio lo stesso con il braccio. Tutti e due diciamo che dobbiamo andare in infermeria. Chiaro?

      Selim ha capito. Si chiede che cosa abbia in mente Mesut. Ma obbedisce.

      Ed allora nella lotta a un certo punto sembra che Selim stia spaccando il polso sinistro a Mesut, che lancia un urlo. Selim lascia la presa, Mesut lo colpisce con un calcio e poi, servendosi del destro, blocca il braccio di Selim dietro la schiena, finché Selim urla. Poi si staccano. Mesut si tocca appena il polso e cade in ginocchio, come se il male fosse intollerabile. Urla a Selim:

       - Bastardo, me l’hai rotto!

      Selim finge di avere il braccio paralizzato e grida:

      - Il mio braccio! Il mio braccio!

      I secondini sono furibondi per la conclusione inaspettata, che li priva dell’atteso divertimento. L’arbitro si avvicina, ma non appena sfiora il polso di Mesut, questi grida di nuovo.

      Poi aggiunge:

      - Portatemi in infermeria: questo bastardo mi ha rotto il polso.

      Selim rincara la dose.

      - E tu il braccio, figlio di puttana. Me l’hai slogato.

      C’è una gran confusione, poi due guardie decidono di portare i due prigionieri in infermeria.

      Mentre vanno, ancora vestiti con i soli calzoncini, Selim si chiede qual è il senso della manovra di Mesut. Potergli parlare un po’? Quando scopriranno che è stato tutto un imbroglio, Mesut la pagherà cara. Per Selim poco cambia, anche se dovessero menarlo questa notte: domani è finita.

      In infermeria ci sono altri sei prigionieri, tra cui uno privo di sensi: c’è stata una rissa, ci sono feriti e contusi. Selim guarda le facce dei feriti. Ci sono due uomini più anziani. Selim non se li vede coinvolti in una rissa. Sembrano quasi uomini d’affari. Probabilmente lo sono, anche se di un genere di affari che può portare in carcere.

      Mesut si rivolge a Larbi e gli dice:

      - Ci siamo anche io e Selim.

      Il significato della frase è chiaro a Selim, anche se non sa a che impresa intende farlo partecipare Mesut.

      Larbi annuisce e risponde forte:

      - Questa sera quei lavativi degli infermieri dovranno lavorare.

      Le due guardie che li hanno accompagnati se ne vanno.

      Larbi sussurra a Mesut:

      - Quando il primo di noi entra in infermeria, state pronti. Appena la porta si apre, addosso alle guardie e le spingiamo dentro.

      Selim si rende conto che c’è un piano, che Mesut non l’ha portato lì per potergli parlare. Di che si tratta? C’è una speranza? No, nessuna, possono catturare l’infermiere e due guardie, ma poi, che cosa cambia? Come potrebbero uscire dal carcere? Vogliono scatenare una rivolta? In questo caso Mesut rischia grosso.

      Selim non può chiedere e aspetta sui carboni ardenti. Guarda Mesut e lo vede come prima della lotta, concentrato e tranquillo. Possono ucciderlo, ma non togliergli la pace interiore. Che uomo è quello?

      I due infermieri arrivano, bestemmiando. Entrano e dicono ai prigionieri di portare dentro il primo dei feriti, quello svenuto.

      Due prigionieri trascinano il compagno ferito e chiudono la porta. Due minuti dopo la porta si riapre. I prigionieri saltano addosso alle due guardie e le immobilizzano senza fatica.

      Dentro spogliano le guardie e gli infermieri. Larbi, che dirige le operazioni, fa indossare a Selim, Mesut e altri due prigionieri gli abiti degli infermieri e delle guardie. Selim è abbastanza fortunato, gli abiti gli vanno bene. Mesut sembra avere indosso gli abiti di un fratello minore, ma le scarpe sono della misura giusta. Poi stendono uno dei prigionieri su una barella, che viene portata da due uomini vestiti da prigionieri. Gli altri, due infermieri e due guardie con in mezzo un prigioniero, accompagnano la barella. Larbi ha fatto una telefonata. Superano senza problemi un primo posto di controllo, poi il secondo e raggiungono il cortile.

      Selim si dice che certamente c’è qualche complicità interna, perché è impensabile che li abbiano lasciati passare così, senza controlli, con la scusa di un ferito da portare all’ambulanza.

      I suoi sospetti vengono confermati quando l’ambulanza arriva in cortile e tutti salgono. All’ingresso del carcere la guardia li fa passare. L’ambulanza esce a sirene spiegate. Qualcuno ha unto diverse ruote perché questa fuga avvenisse.

      Pochi chilometri dopo, l’ambulanza si ferma. Ci sono tre auto ad aspettarla. Due dei prigionieri salgono su una delle auto, che parte subito. Gli altri sei sono divisi tra le altre due. La destinazione è il confine: passeranno in Grecia.

      Selim non capisce perché li vogliono far espatriare. Per molti di loro sarebbe più facile trovare un nascondiglio a Istanbul, dove possono contare su amici. Ci sono molte cose strane in questa fuga.

 

*

 

     Ci sono molte cose strane in questa fuga. I dubbi che Mesut ha avuto fin dall’inizio vanno aumentando. Spera di non aver condotto Selim in un vicolo cieco, anche se ben difficilmente può essere peggio del cappio pronto per lui nel carcere. Dopo un po’ lasciano la strada e raggiungono in breve un’area isolata, dove le auto si fermano. Tre uomini li aspettano. Tre guide per sei prigionieri. Non è un po’ troppo?   

      Si avviano rapidamente lungo il fianco della montagna. Ormai è scesa la notte, ma c’è la luna che illumina il sentiero e nei tratti in mezzo al bosco i tre uomini accendono delle torce elettriche. Sono regolabili e le tengono sempre al minimo. Due guide camminano davanti ai prigionieri e una dietro. Uno degli evasi, quello che come Mesut si è messo gli abiti di un infermiere, si lamenta delle scarpe, di una misura troppo stretta. Una guida risponde secco:

      - Se non ti vanno, toglitele.

      Quando l’uomo rimane indietro, la guida che chiude la marcia lo spintona. L’altro sbotta:

      - Lasciami, pezzo di merda. Rimango qui.

      - Va bene, come vuoi.

      La guida dice:

      - L’ultimo si ferma. Rimane qui.

      Si allontanano e lasciano l’uomo seduto su una roccia. Mesut vede che una delle guide rimane indietro e rallenta un po’ il passo. Quando il sentiero fa una curva dietro un pietrone, Mesut si ferma e si sporge oltre il masso, per vedere che cosa succede. La guida sta scendendo rapidamente. Ha già raggiunto l’uomo seduto sul masso. L’uomo si solleva. C’è un rumore secco, ma lontano. La pistola ha il silenziatore. L’uomo crolla. Mesut non ha bisogno di altro per capire.

      Balza avanti e raggiunge i compagni. Selim è rimasto indietro ad aspettarlo. Gli altri sono fermi un po’ oltre. Selim gli dice, piano:

      - Che c’è Mesut?

      Mesut risponde, a voce alta.

      - Sì, devo cagare anch’io. Mettiamoci qui dietro.

      E con un cenno a Selim esce dal sentiero. La voce della guida è aspra:

      - Che cazzo fate? Andate a nascondervi per cagare!? Avete paura che qualcuno vi veda?

      Mesut ha afferrato la mano di Selim e lo trascina tra le rocce, fuori dal sentiero, cercando di rimanere all’ombra dei massi. Gli dice solo:

      - L’hanno ammazzato. Vogliono ammazzarci tutti.

      E scendono più in fretta che possono. Rischiano di rompersi l’osso del collo, lo sanno benissimo tutti e due, ma non hanno scelta: sono passati appena due minuti, quando sentono la voce di Larbi:

      - No, no, bastar… aaah!

      L’urlo gli gela il sangue nelle vene. Non hanno sentito gli spari, tutte le pistole hanno il silenziatore, ma Mesut sa benissimo che cosa è successo. Le guide hanno capito che loro due sono fuggiti e non vogliono lasciarseli scappare. Ma non possono lasciare gli altri prigionieri, che potrebbero sospettare qualche cosa. Appena è tornata la terza guida, li hanno ammazzati tutti, come avevano già intenzione di fare, probabilmente in qualche altro posto in cui avrebbero potuto far sparire i cadaveri più comodamente. Ora si metteranno alla loro ricerca. Hanno le torce.

      Mesut si dice che ha messo Selim in un bel pasticcio. Non pensa neppure per un attimo che si è ficcato lui in un bel pasticcio per salvare Selim. Mesut è fatto così.

      - Attento a non far rotolare le pietre.

      L’avvertimento di Selim è superfluo. Mesut sa benissimo che qualunque rumore li tradirebbe.

      Le luci delle torce illuminano il fianco della montagna, più in alto. Mesut vede che ci sono diversi alberi poco più avanti e si dirige in quella direzione. È un bosco abbastanza fitto, in cui non è facile muoversi, ma forse non occorre neanche allontanarsi troppo: i loro inseguitori non hanno i cani, non possono seguire le loro tracce.

      - Merda, Mesut!

      La voce di Selim è appena un sussurro.

      - Non ci troveranno facilmente, Selim.

      - Lo so, lo so benissimo. Qui, questa notte, non ci troveranno. Ma domani saranno in tanti a cercarci. Chi ha organizzato la fuga di quei due bastardi è gente potente e sono intenzionati ad eliminare i testimoni. Anche se non sanno un cazzo, come me. E te, suppongo.

      - Sì, anch’io non ne so nulla. Mi avevano proposto questa fuga, ma avevo rifiutato. Non valeva la pena.

 

*

 

      - Merda, Mesut, merda!

      - Ce la possiamo cavare, Selim.

      - Mesut, tu rischi di farti ammazzare quando potevi startene tranquillo in carcere, combattere e vincere e poi uscivi tra neanche due anni. E sei finito nella merda perché io ti ho detto che stavano per impiccarmi.

      Selim è nuovamente angosciato. Non per sé, ma per Mesut.

      - A me va bene così, Selim. Riprendiamo a muoverci.       

      Le luci percorrono il fianco della montagna, ma loro due sono più in basso e riescono ad avanzare abbastanza rapidamente. Dopo un po’ trovano un sentiero che corre a mezza costa e decidono di seguirlo. Procedono in fretta e presto non vedono più le luci. Hanno seminato i loro avversari. Ed ora?

      Selim è vestito da guardia, Mesut da infermiere: facilmente identificabili. È vero che basta che Mesut si tolga il camice, ma Selim ha un’intera divisa, anche senza giacca è riconoscibile. Domani la polizia sarà alla caccia dei prigionieri evasi. E altri, ben più pericolosi, saranno alla caccia degli unici due prigionieri sopravvissuti. A parte i due boss, naturalmente.

      Non hanno cibo, niente.

      - Senti Mesut, dobbiamo cercare di raggiungere Istanbul questa notte.

      - Questa notte? Ma siamo al confine con la Grecia!

      - Domani è troppo tardi. Cerchiamo di raggiungere la strada e di fermare un camion: se riusciamo a farci dare un passaggio, possiamo farcela. A Istanbul possiamo sparire nel nulla.

      - Va bene, Selim.

      Selim sa benissimo che i rischi sono alti. Magari a fermarsi sarà una delle auto di chi li cerca per ucciderli. Oppure la polizia. Possono esserci posti di blocco. Sanno benissimo che cercheranno di allontanarsi. Selim non sa che ora sia, ma era appena sera quando sono usciti dal carcere, non è molto tardi. Forse qualcuno si fermerà e darà loro un passaggio.

      Incominciano a scendere. Lontano ci sono delle luci. Si dirigono in quella direzione. Un’ora dopo sono ai margini di un grosso paese. Si avvicinano. C’è un furgoncino con il motore acceso. Il tizio che sta salendo alle guida ha qualche anno in più di loro. Selim si rivolge a Mesut:

      - Chiedi a lui.

      È meglio che sia Mesut a parlare, non ci sono inflessioni particolari nel suo turco, mentre quando Selim parla non è difficile capire che viene dall’est, che è curdo.

      Si avvicinano e Mesut dice all’uomo:

      - Amico, potresti mica darci un passaggio? Andiamo verso Istanbul.

      L’uomo lo guarda, un po’ diffidente.

      - Avete da pagare?

      Selim scuote la testa, ma Mesut tira fuori dalla tasca dei pantaloni un portafogli e mostra una banconota all’uomo. Selim mormora:

      - Cazzo!

      Niente di strano, l’infermiere aveva in tasca il portafogli. 

      L’uomo sorride.

      - Se ne tiri fuori un’altra, arrivate a destinazione. Avete culo, devo arrivare a Istanbul questa notte.

      Selim si augura con tutto il cuore che Mesut abbia una seconda banconota. Ce l’ha.

      Il tizio intasca e un minuto dopo sono in viaggio verso il Bosforo.

      L’uomo è un guidatore incosciente e Selim si chiede se non si schianteranno contro qualche camion. Sarebbe il colmo: essere sfuggito due volte a quelli che vogliono ammazzarlo, per poi crepare in un incidente d’auto.

      L’autista è anche un chiacchierone e un curioso. Mesut racconta che lui e Selim lavorano al carcere (quello da cui sono evasi) e che sono venuti in paese con un amico. Dovevano prendere un cugino e andare a Istanbul per due giorni. Ma l’amico ha litigato con il cugino, se n’è andato incazzato e li ha mollati lì.

      La storia non è verosimile, ma il tizio è un credulone e il viaggio prosegue senza intoppi. Man mano che si allontanano dal carcere, Selim si rilassa. Non hanno trovato posti di blocco, difficile che ce ne siano verso Istanbul. E allora Selim ripensa alla fuga, di cui continua a non capire molte cose. Perché eliminare i testimoni? Che cosa potevano raccontare? E se invece le cose stanno al contrario? C’era qualcuno da eliminare e hanno deciso di farlo in quel modo? Qualcuno che magari poteva ricattare un personaggio potente e allora lo hanno fatto scappare, come voleva lui, ma poi lo hanno eliminato? In questo caso i cadaveri non salteranno fuori, tutti crederanno che i prigionieri siano spariti nel nulla. E allora non ci saranno posti di blocco, perché non è la polizia che deve trovare Selim e Mesut, ma qualcuno che li faccia tacere prima che possano dire ciò che sanno. Sono nella merda fino al collo, ma è sempre meglio che avere il cappio al collo. Ma Mesut? Merda! L’ha fatto per lui!

      È ancora notte quando arrivano a Istanbul.

      Il camionista li saluta dicendo:

      - Io non racconto niente, ma se vi beccano, non gli dite chi vi ha dato il passaggio.

      Alla faccia del credulone!

      Mesut sorride e dice:

      - Sta’ tranquillo, amico.

      E il camionista aggiunge:

      - Non l’ho fatto per i soldi, ma perché hai una bella faccia, la faccia di uno di cui ci si può fidare. Se era solo per il tuo amico, con il cazzo che vi davo un passaggio.

      Mesut ride e saluta, Selim grugnisce qualche cosa che dovrebbe essere un “grazie”, ma assomiglia più ad un “vaffanculo”.

      - Che facciamo, Selim? Io non conosco nessuno che ci possa aiutare.

      - Tu dammi una moneta per telefonare e ci penso io.

      Selim telefona. Omar gli darà una mano. Sono come fratelli, loro.

 

*

 

      Sono seduti su uno scalino, sotto un portone, uno di fianco all’altro. Possono vedere la strada, ma se passasse qualcuno, non potrebbe vederli, perché nessuna luce illumina l’angolo in cui sono messi. Qualcuno verrà a prenderli, Selim sa come muoversi. Mesut è nelle sue mani e gli va bene. Ha fiducia in Selim.

      Hanno scambiato due parole sulla fuga, cercando di capire che cosa è avvenuto. Adesso sono in silenzio.

      Mesut è contento di aver aiutato Selim a scappare. Non sa se gli ha regalato qualche ora di vita o decenni. Ma ha fatto quello che poteva.

      In quest’attimo di pausa si chiede che cosa ne sarà di loro. Rimarranno insieme, almeno per un po’? O Selim andrà per la sua strada?

      Selim ha poggiato una mano sul proprio ginocchio, Mesut la intravede nell’ombra fitta che li avvolge. E allora poggia la sua mano su quella di Selim. Ha bisogno di sentire la presenza dell’amico. Perché per lui Selim è un amico, anche se si sono visti tre volte in tutta la loro vita e non proprio nelle circostanze più favorevoli.

      Selim toglie la mano e quel sottrarsi per Mesut è un dolore violento, che gli fa chiudere gli occhi. E in quel momento sente le mani di Selim che gli stringono le guance e le labbra di Selim contro le sue.

      Non ha mai baciato un uomo ed è bellissimo. Abbraccia Selim, stringendolo tra le braccia.

      Il rumore di un furgoncino che arriva scioglie il loro abbraccio. Il furgoncino si ferma poco prima del portone. Ne scende un uomo che si mette davanti ad un albero, dando loro la schiena, e incomincia a pisciare.

      Selim sussurra a Mesut:

      - È Omar, andiamo!        

      Passano dietro il furgoncino, girano la maniglia, aprono la porta e salgono. Omar risale e rimette in moto, come se non si fosse accorto che loro due sono saliti. Poi dice:

      - Ci siete?

      Selim risponde:

      - Sì, puoi andare.

      Omar parte. Rimangono seduti sul fondo del furgoncino per tutto il tragitto. Selim e Omar si scambiano alcune informazioni.

      Albeggia quando arrivano a destinazione. Omar scende, alza la saracinesca di un garage e mette dentro il furgoncino. Solo allora scendono e Omar abbraccia Selim e stringe la mano a Mesut.

      Una porta interna li conduce a una scala, da cui raggiungono il secondo piano. C’è una stanza, vuota, in cui qualcuno ha steso due stuoie.

      Omar si ferma a parlare un po’ con loro, per capire bene quanto è successo. Gli chiede se vogliono mangiare, ma nessuno dei due ha molta fame: sono stanchi e vogliono riposare.

      Omar li lascia. Al piano di sotto c’è sua moglie: quando vorranno mangiare, basterà che scendano e Fatima preparerà qualche cosa.

      Dalle imposte accostate ormai filtra la luce del giorno che nasce.

      Mesut guarda Selim e gli sorride. Pensa che l’ha baciato e ne è felice. Vorrebbe baciarlo ancora, prima di stendersi a dormire, ma non osa. Selim capisce e nuovamente gli prende la testa tra le mani e lo bacia. E Mesut si sente un’altra volta in paradiso.

      Si staccano, si tolgono gli abiti, rimanendo con i pantaloncini che hanno usato per lottare. Sorridono e si stendono, uno vicino all’altro. Il sonno arriva in fretta per entrambi.

 

*

 

      Selim si sveglia, affamato. Guarda Mesut che dorme ancora e sorride. È stato bello baciarlo. Selim gli passa due dita su una guancia, leggermente. Mesut apre gli occhi e un sorriso gli illumina la faccia.

      Selim si mette a sedere, senza dire una parola.

      Mesut fa lo stesso.

      Si guardano un momento, lo stesso sorriso sulle labbra e negli occhi, poi Mesut dice:

      - Facciamo la lotta?

      - Come in carcere?

      Mesut annuisce.

      Selim ride e scatta in piedi. Toglie la stuoia su cui ha dormito. Mesut fa altrettanto con la propria. La stanza è piccola. Si guardano.

      - Pronto?

      - Pronto!

      Selim aspetta che sia Mesut ad attaccare e poi stringe il corpo che si avvinghia al suo. È una bella lotta, tra due avversari ugualmente forti e leali. Poi ognuno sfila i calzoncini dell’altro, svelando un uccello ormai teso.

      Si guardano un momento, sorridendo, poi Selim approfitta della scarsa concentrazione di Mesut per saltargli addosso e scagliarlo a terra. Mesut esclama, ridendo:

      - Mascalzone!

      Riesce a liberarsi e la lotta riprende, fino a che Selim non ha la meglio e blocca Mesut, steso sotto di lui, stringendogli i polsi.

      - Ti arrendi?

      Mesut sorride e annuisce. Selim lo lascia, ma non si alza. Scivola invece un po’ indietro e prende in bocca l’uccello di Mesut. Incomincia a leccarlo, poi si mette a succhiarlo.

     - Ehi! Questo dovevo farlo io!

      Selim lascia la sua preda solo un attimo, il tempo di replicare:

      - Ho vinto e faccio quello che voglio!

      Poi riprende a lavorare e Mesut gli accarezza la testa. Selim molla la presa e si stende sul corpo del compagno. Ne sente il cazzo, gonfio di sangue e duro, che gli preme contro il ventre. Bacia Mesut, appassionatamente, e gli spinge la lingua tra i denti. Mesut gli accarezza i capelli con una mano, mentre l’altra gli scende lungo la schiena fino a raggiungere il culo.

      Selim ride e dice:

      - Adesso te lo pigli in culo.

      - Ho perso, è giusto.

      Selim lo bacia di nuovo, poi si solleva e lo volta, gli divarica le gambe, preme sulle natiche e guarda il buco in cui sta per entrare.

      - Lo vuoi, Mesut? Lo vuoi?

      - Sì, lo voglio.       

      E allora Selim avvicina la bocca al culo di Mesut, gli passa la lingua sul buco, inumidisce bene. E infine avvicina la cappella al buco e preme. La pressione aumenta, la carne cede e Selim bacia la nuca di Mesut, la spalla. C’è una sensazione nuova, mai provata, che muove la sua bocca e le sue mani, mentre il suo cazzo segue un percorso ben noto, penetrando nella carne. Ci sono parole che arrivano alle labbra di Selim, ma che non riesce a dire. Lascia che parlino le sue dita, che accarezzano il corpo di Mesut, dai capelli corti al culo.

      Selim spinge, senza interrompere, e Mesut geme. Selim sa, senza bisogno di chiedere, che è un gemito di piacere. Prova una sensazione di potenza e di gioia e le sue spinte diventano più intense. Mesut geme ancora, più volte e Selim vorrebbe urlare, ma lo blocca il timore che la moglie di Omar possa sentirlo.

      Mille pensieri corrono nella testa di Selim: sta scopando Mesut, senza che ci sia nessuno a guardare, per il piacere di entrambi e non per quello di spettatori; Mesut sta godendo, come gode lui; Mesut gli ha salvato la vita e ora vivranno insieme: la sua mente va lontano, trascinata dal piacere, che ora sale impetuoso e sgorga, irresistibile. Un gemito più forte di Mesut gli fa capire che anche lui sta venendo. E Selim si dice che non c’è nulla di più bello al mondo che questo godere insieme, uno dell’altro.

      Si sciolgono, si lavano e poi scendono. La moglie di Omar offre loro da mangiare. Omar ha telefonato, arriverà più tardi.

      Guardano il telegiornale. Si parla dell’evasione di otto prigionieri, che devono essere passati in Grecia. Un contadino dice di aver visto alle prime luci dell’alba un gruppo di dieci uomini salire su un’imbarcazione ed attraversare il Meric, che segna la frontiera.

      Non è vero o forse l’uomo ha davvero visto alcuni passare il confine, ma non sono certamente i prigionieri: dei sei che si sono avviati per il sentiero, solo Mesut e Selim sono ancora vivi, i due boss hanno preso un’altra strada.

        Quando arriva, Omar non ha molti elementi nuovi da portare: i prigionieri fuggiti dal carcere risultano essere scappati in Grecia e la polizia greca è già stata avvisata perché dia la caccia ai fuggiaschi, tra cui vi è un pericoloso assassino, Selim.

      Selim sa benissimo che non scoprirà mai che cosa è successo esattamente. Ma non ha importanza.

      Parlano a lungo del futuro. In Turchia sono in pericolo: se venissero scoperti, verrebbero uccisi. Devono emigrare. Selim ha parenti ad Amburgo, ma non sarebbe saggio andare in Germania: troppi turchi. Chi ha interesse a eliminare Selim e Mesut certamente si sta già muovendo per cercare i loro parenti all’estero e mettere sotto controllo le loro case. Meglio la Francia o l’Italia, dove non vivono tanti connazionali. Non sarà difficile arrivare, con documenti falsi.

      Selim non ha denaro e Mesut ha le poche banconote che erano nel portafogli dell’infermiere.

      Omar penserà a tutto. Ha un grosso debito nei confronti di Selim, il soldato che Selim ha ucciso aveva attaccato lui, se Selim non fosse intervenuto, l’avrebbe ammazzato.

Una volta a destinazione, Selim e Mesut dovranno cavarsela per conto loro.

 

*

 

      A sera, dopo che sono ritornati in camera, Mesut guarda Selim. L’idea di lasciare la Turchia lo spaventa, ma sa che per loro non c’è futuro qui. Se ne costruiranno uno migliore da un’altra parte. Le difficoltà saranno tante, se ne rende conto, ma se Selim rimarrà con lui, le supereranno.

      Lo guarda e gli chiede:

      - Rimarrai con me, Selim?

      Non sta parlando dei prossimi giorni, Mesut, sta parlando della vita, di quella che riesce ad immaginare. Selim lo capisce benissimo, Mesut glielo legge negli occhi. Selim apre la bocca per rispondere, ma la richiude, sorride e dice:

      - Dipende.

      Mesut lo guarda. Ha capito che la risposta è sì, ma le parole di Selim aprono la strada ai dubbi.

      - Da che cosa?

      - Facciamo la lotta. Devi vincermi.

      Selim sorride e Mesut è sicuro che questa sera vincerà. Spostano le stuoie, si spogliano, tenendo solo i pantaloncini, e ancora una volta si affrontano. Mesut attacca e Selim si difende con vigore, tanto che Mesut è colto da dubbi. Rotolano a terra e si rialzano più volte, poi, avvinghiati al suolo, ognuno spoglia l’altro. Per un attimo il desiderio è più forte di tutto e si baciano. Mesut spinge la sua lingua nella bocca di Selim, che l’accoglie: la presa diventa un abbraccio.

      Poi Selim ride e dice:

      - Te lo devi guadagnare!

      Lo spinge via e la lotta riprende. Selim riesce a bloccare Mesut, ma questi si sottrae e fa volare Selim, gli salta sopra e lo blocca, pancia a terra.

      La presa di Mesut è forte e la volontà di resistenza di Selim è debole. Mesut sa benissimo che il suo avversario potrebbe cercare di respingerlo, ma avverte che ha ceduto. Gli preme la testa contro il pavimento e dice:

      - Rimarrai con me?

      Selim ghigna e dice:

      - Credo di non avere molta scelta.

      - No, nessuna.

      - Allora mi rassegno.

      Mesut gli accarezza la testa, le spalle, mentre mormora il suo nome. Selim allarga un po’ le gambe.

      Mesut stringe il culo di Selim, lo pizzica, poi china la testa e lo morde. Prepara il terreno con un po’ di saliva e passa all’attacco. Manovra la scimitarra con sapienza e trafigge l’avversario, spingendo la lama ben a fondo. Poi, quando è giunto al termine, estrae l’arma e la fa penetrare nuovamente. Ripete la manovra cinque volte. Poi si ritira e aspetta, finché non sente la voce, alterata, di Selim, che dice:

      - Non ce la faccio più, Mesut, muoviti! 

      Mesut sorride ed infilza Selim con un colpo secco. L’apertura è ben dilatata, ma Selim sussulta. Mesut preme su di lui e lo blocca in una presa che non lascia scampo. Poi gli morde una spalla, ride ed incomincia a spingere. Si muove lentamente e Selim lo incoraggia. Ma Mesut procede con metodo, senza affrettarsi.

      A lungo il pestello batte, senza lasciare tregua. E Mesut sente il corpo di Selim abbandonarsi al piacere. Allora imprime al suo movimento un ritmo più rapido. Ora è vicino alla conclusione. Si volta su un lato, trascinando con sé Selim e gli prende l’uccello con la mano. Selim geme e Mesut avverte che il piacere li travolge entrambi.

      Domani partiranno. Insieme.

 

2009

 

 

 

 

 

 

 

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