Il ponte sul Clamores

 

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Cosa c'è di più innocuo che sognare a occhi aperti? Eppure, giacché a volte i sogni si avverano, bisognerebbe adottare le dovute cautele.

Consuelo si era ormai perfettamente adattata sia alla vita di Burgos, che a prestare servizio al fianco di Rey Delgado. Vero è che il pessimo carattere del suo capo non era cambiato, così c'erano giorni in cui Consuelo sognava una vita diversa. Sognava che un giorno l'avrebbero promossa e avrebbe sostituito Delgado nella direzione della squadra. Anche se le capitava ormai di rado, doveva ammettere che quel sogno le piaceva: era liberatorio, soddisfacente e quasi divertente. Si divertì un po' meno il giorno in cui fu promossa per davvero, un po' perché non se l'aspettava, nonostante avesse partecipato al concorso per commissario, un po' perché in fondo si era abituata. E non c'è niente come l'abitudine che ti faccia vivere un cambiamento positivo con la stessa preoccupazione di un insuccesso.

Per qualche giorno Consuelo aveva fatto fatica a crederci, tanto

che, per convincersene, ripeteva tra sé e sé: Commissaria Consuelo Torres; non perché ritenesse di non meritare quella promozione, ma perché lo stupore aveva prevalso su ogni altra considerazione. Ricordava perfettamente l'espressione di Rey Delgado quando avevano ricevuto la notizia: era stata un vero spettacolo. Da una parte mostrava grandi sorrisi, si felicitava con lei, le augurava ogni bene, e dall'altra sembrava gli fosse morto il gatto, anche se lui un gatto non l'aveva mai avuto, preferendo un'iguana con l'espressione insondabile di una sfinge. Alla fine aveva dovuto ammetterlo:

– Quando sei arrivata, non ti ho accettato volentieri, ma oggi, all'idea che non potrò più avvalermi del tuo aiuto, mi sento un po' perso.

Consuelo gioì, ma le venne pure da piangere.

Anche i saluti erano stati commoventi. Rey l'aveva stretta in un forte abbraccio, dimostrandole per la prima volta un affetto che in precedenza si era sempre rifiutato di esibire. Paco le aveva fatto promettere che si sarebbe fatta viva. Fernando Gil aveva sospirato vedendola allontanarsi dopo una festicciola con cui i suoi colleghi le avevano augurato un buon lavoro nel ruolo che avrebbe ricoperto al commissariato di Segovia.

Così, in un chiaro mattino di ottobre, lasciate le valigie al deposito bagagli della stazione di Segovia, Consuelo si era diretta alla sede di Paseo Ezequiel Gonzáles. Il commissariato era ospitato in una struttura moderna a tre piani, rivestita in pietra chiara. Dal largo marciapiede si staccavano i cinque comodi gradini che l'avevano condotta davanti a un'imponente vetrata fumé. I lindi cristalli si erano aperti automaticamente al suo avvicinarsi, permettendole l'accesso alla reception, che sembrava quella di un albergo: forme arrotondate, intarsi di legno in essenze diverse, grandi piante verdi ai due angoli, persino quadri astratti, dai colori sgargianti. Non appena Consuelo si era avvicinata al bancone, un agente le aveva domandato quale fosse lo scopo della sua visita: professionale, cortese ma deciso. Consuelo aveva mostrato il tesserino. L'agente, smorzando senza riuscirci un'espressione stupita, le aveva fatto il saluto militare.

– Agli ordini, Commissario Torres, l'aspettavamo.

Consuelo l'aveva corretto all'istante, d'impulso.

– Commissaria.

– Sì, certo.

– Bene, da che parte? – domandò Consuelo per attenuare l'evidente imbarazzo dell'agente.

– La prego di attendere solo un attimo.

L'agente di guardia aveva afferrato la cornetta di un interfono e, dopo poche battute, era tornato a rivolgersi a lei.

– Ho avvisato il vice-commissario. Arriva subito.

Poco dopo, un uomo era schizzato fuori dalle scale come una palla lanciata da una catapulta. Correndole incontro, si era presentato quand'era ancora a qualche metro da lei. Infine aveva frenato, aveva fatto il saluto militare e poi le aveva offerto una più informale stretta di mano. Niente sorriso. Così aveva conosciuto Emilio Navarro.

Un altro Delgado? si era domandata Consuelo già in preda alla nostalgia.

L'ufficio, sistemato al primo piano, era impostato in modo simile a quello che aveva appena lasciato. C'erano quattro scrivanie nella sala più grande da cui si accedeva al suo ufficio, che era più spazioso di quello di Burgos, ma meno ordinato.

– Qualcosa non va?

– No, va tutto benissimo.

Non era sua intenzione imporre cambiamenti appena arrivata. Anche se il capo adesso era lei, voleva prima di tutto far digerire la sua presenza. Sapeva benissimo che se c'era una cosa che faceva venire agli uomini l'orticaria era farsi comandare da una donna. Avrebbe fatto un passo alla volta, con calma. Prima di tutto, di nuovo, doveva dimostrare di aver meritato quel ruolo. Doveva conquistarsi la fiducia e la collaborazione di Emilio Navarro e degli altri agenti, che le aveva appena presentato. Doveva, soprattutto, imparare a conoscerli. Emilio Navarro, per esempio, rispondeva a monosillabi. Molto loquace. Mi sentirò proprio come a casa mia, aveva pensato Consuelo.

Ancora una volta, si era dovuta adattare a vivere in un hostal, in attesa di trovare una sistemazione migliore. In quell'occasione, se non altro, la sua stanza aveva un bagno in camera. Si trovava a un paio di chilometri dal commissariato e le era stato consigliato dallo stesso Navarro, che era un vecchio amico del proprietario, Vidal Iglesias. L'Hostal Venta Magullo includeva anche un bar ristorante, di cui Navarro aveva decantato le meraviglie, facendole venire l'acquolina in bocca. Dopo aver preso accordi per la camera, Navarro le aveva consigliato di sedersi a un tavolo per mangiare qualcosa.

– Le dispiace se ci diamo del tu? – gli aveva domandato Consuelo.

– Per me va bene, commissaria. Sei così giovane che in effetti faccio fatica a darti del lei.

Parlando di età, Consuelo aveva scoperto che Emilio aveva 50 anni e poteva contare su un'esperienza di ben trent'anni di servizio. Aveva dovuto ammettere che la sua agilità e il volto segnato da poche rughe l'avevano ingannata. Emilio le sembrava molto più giovane. Viveva da solo con il suo cane in una casetta alla periferia est di Segovia, a due passi da lì.

– Vivere qui ti piacerà, a partire dal cochinillo.

– Ho già mangiato il maialino arrosto.

– Scusa Consuelo, ma finché non avrai assaggiato quello della Meson Candido, non potrai dirlo.

Quella prima sera, Consuelo era riuscita a farlo parlare di sé. L'esperienza vissuta con Delgado le aveva insegnato qualcosa. Anche l'uomo più silenzioso del mondo ti racconterà qualcosa di sé, se gli poni le domande giuste con cautela e diplomazia, e se, soprattutto, lo stai ad ascoltare senza interromperlo.

Emilio portava i capelli brizzolati molto corti, a spazzola, pizzetto e baffi. Dall'ombra di folte sopracciglia ancora scure, guardava il mondo con occhi così seri da incutere soggezione. Era quello che dentro di sé Consuelo avrebbe poi soprannominato il suo sguardo da guerriero masai. Un metro e ottantacinque di altezza, nerboruto, tanto da suggerire l'impressione che fosse leggermente sovrappeso; quasi ogni sera andava a correre con il suo cane Pelayo, un bel lupo a pelo lungo con gli occhi dolci, che a suo dire era buono come il pane appena sfornato.

Al contrario di Delgado, Consuelo riteneva che non fosse giusto mantenere troppo le distanze dai suoi collaboratori e sperava che Emilio l'avrebbe ben presto considerata un'amica.

 

Consuelo si sedette alla scrivania. Era capitata al commissariato di Segovia in un periodo di intenso lavoro. Mentre indagava su un probabile suicidio, la squadra era stata travolta dalle indagini su un omicidio, che stava facendo ammattire Emilio. La verità era che a Segovia non accadeva mai niente, come le spiegò lui stesso.

– La sezione omicidi esiste solo sulla carta. Di solito l'organico viene prestato alle altre sezioni. Non siamo molto allenati, quindi, lo ammetto.

– A quando risale l'ultimo omicidio di cui vi siete occupati, prima di questo?

– A tre anni fa.

– Però! Città tranquilla!

– Anche troppo, forse.

– Quindi siamo in cinque, giusto? Romero, Alonso, Vazquez e noi due.

– Bella memoria. Sì, siamo al completo.

– Qualcuno ci sa fare con i computer e le attrezzature tecniche di sorveglianza?

– Il genio del computer è Romero.

– Bene. A che punto siete?

– In mezzo al mare.

 

Consuelo aveva davanti a sé l'enorme quantità di rapporti, verbali, documenti e foto che erano stati raccolti fino a quel momento, ma nonostante li avesse ormai letti tutti e osservati con attenzione, non riusciva a trarne un filo logico. Sentiva molto la mancanza del suo muro del pianto, quel sistema che l'aiutava a concentrarsi e a ragionare, quando lavorava con Delgado. Sospirò.

– C'è qualcosa che non va?

Consuelo fissò Emilio per qualche istante, poi decise.

– Devo fare qualche piccola modifica all'arredamento.

Il punto interrogativo che si disegnò sulla fronte di Emilio Navarro scomparve solo nel pomeriggio, quando comprese a cosa servissero i pannelli di sughero, le puntine con le capocchie colorate e gli spilloni con le bandierine. Osservando la nuova parete approntata con le foto, la piantina della città e le schede dei soggetti interessati appesi come piccoli quadri naif, comprese l'utilità di tutto quel lavoro e dunque approvò.

Consuelo osservò la foto dell'uomo assassinato, un vichingo dalla chioma rutilante con il volto squadrato, i bicipiti possenti e in generale un'espressione da combattente. Il suo nome era Terciero Lopez, 52 anni, aveva vissuto in un appartamento di proprietà in calle Buena Vista. Pregiudicato, disoccupato, si era mantenuto grazie alla locazione di un altro appartamento che aveva suddiviso in due monolocali, i cui affittuari si chiamavano Letizia Morales ed Enrique Blanco. Terciero Lopez aveva intrattenuto contemporaneamente due diverse relazioni, con Ernesta Nieto e Zora Volkova, quest'ultima ignara dell'altra. Era stato ucciso nel suo appartamento tra le ventidue e trenta e la mezzanotte del 2 ottobre. Alcune foto mostravano la scena del delitto, i muri schizzati di sangue e il cadavere riverso a terra scompostamente. L'arma del delitto era una mazza da golf, trovata accanto al cadavere. Cinque colpi potenti gli avevano sfondato il cranio. Chi li aveva inferti si trovava alle spalle del Lopez, che non si era potuto difendere. Consuelo pensò che questo implicasse che l'uomo conosceva l'assassino e che non solo si fidava di lui, ma non aveva ragione per temerlo.

La mazza da golf apparteneva probabilmente allo stesso Lopez, poiché si era trovata la restante attrezzatura in un ripostiglio del suo appartamento. Su quella mazza erano state rilevate impronte che appartenevano a qualcun altro, ma il confronto sul database non aveva determinato un'identificazione, quindi appartenevano sicuramente a un incensurato. La vittima era un violento, recidivo, con un curriculum di varie condanne per rissa e lesioni. Lo studio del suo unico conto corrente alla Caja de Segovia non aveva offerto spunti: pochi movimenti per una giacenza media irrisoria. Eppure l'uomo era socio di un club del golf, sport che Consuelo immaginava piuttosto dispendioso. Le ricerche su eventuali appartenenze a bande criminali non avevano ancora portato ad alcuna conferma. Si scavava anche nell'ambiente penitenziario. Se c'era stato qualche problema con altri detenuti, durante le sue permanenze, l'avrebbero presto saputo.

– Quello che ci manca in questo caso è un movente. Se non lo troviamo, ci resteremo impantanati.

Emilio osservò il muro del pianto, torturandosi il pizzetto.

– Era un violento. In certi ambienti bisogna andarci cauti. Potrebbe aver pestato i piedi a qualcuno che gli ha presentato il conto.

– Può essere una possibilità. E che dici delle sue due donne? Se Zora Volkova, contrariamente a quello che vuol far credere, avesse scoperto l'esistenza dell'altra? Potrebbe trattarsi di un omicidio passionale?

– Potrebbe, ma ha un alibi.

– E se Lopez avesse fatto dei debiti che non riusciva a pagare?

– Anche questo potrebbe essere plausibile.

Consuelo sospirò.

– Le dichiarazioni dei testimoni non mi bastano. Sono vaghe. Non c'è una sola pista decente. Credo che dovremo ricominciare tutto da capo.

Emilio annuì.

– Facciamo a modo tuo, commissaria.

Facci vedere chi sei, era la traduzione.

– Prima di tutto, credo che sarebbe interessante scoprire se viveva al di sopra delle sue possibilità finanziarie. Per esempio, quanto spendeva per il golf? Dove andava a giocare e quanto spesso?

– E se spendeva tanto, dove trovava i soldi? Chi glieli dava? – continuò Emilio.

– Già, e dove li teneva, dal momento che in banca non risulta quasi nulla?

– Di ottocento euro al mese siamo sicuri. Li prendeva da Blanco e Morales, che tra l'altro si sono lamentati che se ritardavano il pagamento anche di un solo giorno, Lopez li minacciava.

– Mi sembra che siano due monolocali molto piccoli. Non è un po' alto come affitto?

– O così, o sotto i ponti. I due ragazzi non avevano trovato altro.

– Mi piacerebbe fare due chiacchiere con loro, a tempo debito. Adesso però mi concentrerei sul golf. Secondo te dove andava a giocare? Dalla perquisizione non sono emersi documenti, né tessere associative, né scontrini o altro, il che mi pare molto strano. È come se qualcuno avesse fatto pulizia.

– Eppure, dalla testimonianza di un frequentatore del bar di fronte a casa sua, abbiamo appreso che usciva almeno tre volte a settimana con una sacca da golf in spalla.

– E dove andava?

– Non lo sappiamo, ma l'unico campo da golf nelle vicinanze è La Faisanera, a Palazuelos de Eresma, subito fuori Segovia.

– Allora, andiamo a farci un giro.

 

Integrato nel Parco Naturale della Sierra di Guatarrama, il Golf Club La Faisanera era un complesso recente. Il palazzo di caccia, in cui si era stabilito il club, aveva le facciate di un bel giallo paglierino con i tetti spioventi in pietra grigia e si affacciava su un piccolo lago. Nell'ultima luce del tramonto, videro i campi all'inglese, curatissimi e disseminati di vasche di sabbia di forma rotonda, alberi, cespugli e laghetti. Un cartello all'entrata mostrava il percorso del campo di gioco e indicava che la sua lunghezza era di 6489 metri per 18 buche da 71 par. Consuelo si domandò cosa significasse, ma poi decise che al momento non era quello che le interessava maggiormente. Sopra un altro cartello, molto più piccolo e defilato, erano esposte le tariffe.

– Socio per cinque anni, tremila euro. Visto quanto costa giocare a golf?

Emilio annuì e continuò a leggere.

– E non è finita! Quando utilizzi il campo, se sei socio, te la cavi con cinque/nove euro, a seconda della stagione, altrimenti, come ospite, dai trentacinque ai cinquanta euro. Mica male.

– Voglio sapere se Lopez veniva qui e, in tal caso, quanto di frequente.

– Non ci resta che chiederlo.

Isabella Amenábar li accolse in amministrazione con molto garbo. Era un vero donnone, con un tono di voce squillante, di quelli che a Emilio facevano saltare i nervi. Nonostante la sua stazza, aveva movenze leggiadre, di una certa eleganza.

Consultando il suo computer, la signora Amenábar fu in grado di confermare che il socio Lopez si era iscritto tre anni prima e che frequentava il campo più o meno a giorni alterni.

Consuelo fece un rapido calcolo mentale. Lopez non poteva farcela senza entrate supplementari, a meno che non mangiasse pochissimo e non vestisse di stracci.

– Mi potrebbe parlare di lui?

– Lo vedo spesso, ma non saprei cosa dirle. Esattamente, cosa vuole sapere?

– Che tipo era?

– Era?

– Purtroppo è stato ucciso – la informò Emilio.

La donna alternò un'occhiata di sgomento dall'uno all'altra.

– Oh, mi spiace moltissimo. Ecco perché non si vedeva da un po' di tempo.

Giacché ne avevano parlato tutti i giornali locali, a Consuelo sembrò strano che non ne fosse ancora al corrente. Possibile che fingesse? E in tal caso, perché?

– Purtroppo è così. Che cosa può dirci di lui? Era stimato, qui al club? Le risulta che abbia avuto discussioni con qualcuno? Con chi giocava? Come si comportava?

– Purtroppo queste non sono domande cui possa rispondere io, che gioco molto poco. Dovreste rivolgervi ai soci.

– Allora può dirci con chi ha giocato di recente?

– Posso dare un'occhiata alle prenotazioni del campo.

– Sì, grazie.

La lista dei nomi comprendeva anche Vidal Iglesias. Emilio prese nota del suo nome insieme con gli altri e poi rimise in tasca il blocchetto, senza fiatare.

– Se non le è di troppo disturbo, avremmo bisogno della lista completa delle presenze di Lopez al club. Possiamo mandarle un agente per estrapolare i dati?

– Sì, certo, fate pure.

Era ormai buio quando tornarono all'aperto.

– Che ne dici di fare un po' di conversazione con il tuo amico Vidal?

– Mi sembra un'ottima idea.

Al bar dell'hostal Venta Magullo c'era un tavolo d'angolo riparato da un paravento di listelli di legno, utilizzati come sostegno per una pianta rampicante. Consuelo, Emilio e Vidal si sedettero a quel tavolo. Il brusio del locale quasi si smorzò.

– Che facce serie! Siete qui in veste ufficiale?

Emilio annuì, ma poi sorrise, quasi a voler alleggerire l'atmosfera.

– Siamo stati alla Faisanera, dove abbiamo parlato con la signora Amenábar. Stavamo cercando notizie su Terciero Lopez. Tu lo conoscevi bene, vero?

– Ci ho fatto 54 buche in un torneo, all'incirca un mese fa. Ho letto sul giornale che ha fatto una brutta fine. Non lo frequentavo fuori dal club, ma l'ho incontrato parecchie volte.

– Ci sai dire che tipo era?

– Diciamo che era un po' rozzo. Nonostante giocasse da anni, non sempre rispettava l'etichetta, anzi, diciamo che se ne fregava allegramente la maggior parte delle volte. E infatti è capitato che fosse squalificato per le sue scorrettezze.

– Puoi spiegarti meglio?

– Sì, certo. Dovete sapere che nel golf ci sono alcune regole da rispettare, anche se non fanno esattamente parte del gioco. Ad esempio, è consuetudine che si riparino i danni provocati al campo. Se si solleva una zolla, bisogna rimetterla a posto. E Terciero spesso se ne fregava. Oppure non manteneva il massimo silenzio durante il tiro di un altro giocatore, e questa è una mancanza di rispetto. E poi c'è una pratica che è molto importante seguire: quando ci si accorge che una palla ha preso una traiettoria che la manda verso altri giocatori, bisogna avvertirli del pericolo. Una volta Lopez ha rischiato di prendere in pieno Isabella Amenábar, senza emettere un fiato. Di conseguenza è stato squalificato per un mese, anche se in un primo momento la commissione voleva addirittura sbatterlo fuori.

– E perché non l'ha fatto?

– Se ben ricordo è stata proprio Isabella Amenábar a difenderlo, sminuendo l'accaduto.

– E dimmi, secondo te al club si era fatto dei nemici?

– Non stava molto simpatico a nessuno, credo. Se era lui il primo a prenotare il campo, a volte i soci saltavano un giro pur di non trovarselo tra i piedi.

– Addirittura!

Consuelo pensò che la descrizione del suo comportamento si attagliasse perfettamente al soggetto.

– Puoi farci i nomi di questi soci? ­

– Mi ricordo di qualcuno, per esempio Carme Molinero.

Emilio cominciò a prendere nota sul suo taccuino.

– Poi c'è Tomas, i coniugi Castro, Elvécio Da Cuíca...

– Tomas come? – domandò Emilio.

Tomas Amenábar, il figlio di Isabella.

– Faremo due chiacchiere anche con loro.

– La lista si fa lunga, Consuelo.

– Prima o poi troveremo il bandolo della matassa.

Vidal si alzò.

– Intanto posso invitarvi a cena?

– Eravamo qui per questo... – rispose Emilio, sfregandosi le mani con entusiasmo.

Consuelo l'osservò sorridendo.

– Comincio a capire perché hai bisogno di andare a correre tutte le sere.

 

Fissando il muro del pianto, Consuelo si rese conto che insistere sul club del golf avrebbe potuto rivelarsi una perdita di tempo. Non rispettare l'etichetta del gioco non le sembrava un movente valido per essere uccisi. Osservò i nomi dei due inquilini che gli pagavano l'affitto ogni primo giorno del mese. Era emerso che disattendere questo impegno faceva andare Lopez su tutte le furie e che i due giovani avevano ricevuto minacce in varie occasioni. Questa le sembrava una pista più promettente. Sarebbe andata a parlare con Enrique Blanco e Letizia Morales. Ma intanto doveva mandare l'agente Vazquez alla Faisanera.

Vazquez, mi raccomando, non limitarti a raccogliere dati dal computer, guardati anche in giro, vedi come funzionano le cose, stai allerta.

– Agli ordini, commissaria.

Agli ordini, agli ordini! Ogni volta Consuelo sussultava. Certo le dovevano rispetto per il suo ruolo, ma il saluto militare, mettersi sull'attenti ogni volta, le sembravano un'esagerazione. Forse, con il tempo, abituandosi alla sua presenza, quell'enfasi si sarebbe attenuata. Consuelo ci sperava.

Interruppe quindi Emilio, che era tornato a immergersi nella lettura di alcuni verbali.

– Che ne dici di andare a parlare con gli inquilini di Lopez?

– Ma come, non li convochiamo qui?

– No, preferisco andarci io.

Navarro la guardò come se fosse una marziana, ma non ebbe il coraggio di contraddirla, né di commentare. Lasciò a malincuore la sua scrivania e l'accompagnò con espressione rassegnata.

 

Due piccioni con una fava, pensò Consuelo, trovandosi davanti, in un colpo solo, Enrique Blanco e Tomas Amenábar. Quella sua abitudine di andare a interrogare i testimoni nella loro tana si era sempre rivelata molto vantaggiosa. Consuelo riteneva che parlare con qualcuno che se ne stava sul suo territorio lo rendesse più disponibile e loquace. Inoltre, osservare l'ambiente in cui si muoveva l'aiutava a capire meglio con chi avesse a che fare. Per esempio, che Enrique Blanco e Tomas Amenábar si conoscessero era una scoperta, forse insignificante, ma non si poteva mai dire.

Quando Consuelo ed Emilio avevano bussato alla porta del monolocale, Enrique stava cucinando. Il profumino che si levava dall'angolo cottura era molto stuzzicante.

Il giovane cuoco era magro, di media statura e con un'espressione molto concentrata. Aveva i capelli scuri, tagliati a spazzola con un ciuffetto più lungo che svettava sulla cima del cranio.

Emilio Navarro si avvicinò ai fornelli buttando lo sguardo sul contenuto dei tegami, con finta indifferenza, mentre Tomas apparecchiava il piccolo tavolo quadrato appoggiato a una parete. Quest'ultimo non assomigliava per nulla alla madre. Era un bel giovane, non molto alto ma slanciato, con i capelli rossi e gli occhi verdi.

– Scusate, vi dispiace se io continuo? Non posso spegnere il fuoco proprio adesso – disse Enrique.

– No, no, fate pure. Siamo qui soltanto per chiarirci le idee su alcuni punti. Immagino che conosceste molto bene Terciero Lopez. Ecco, avremmo bisogno di sapere che tipo era.

– Come padrone di casa era una specie di incubo. Vero, Tomas?

Tomas annuì.

– Vuoi dire che anche Tomas ha assistito alle intemperanze di Lopez nei tuoi confronti?

– No, è che lui abitava qui prima di me.

– Ah. E come mai hai cambiato, Tomas?

– È stata mia madre. Poco più di un anno fa, sono caduto dalle scale e mentre ero in ospedale, piuttosto malconcio, lei ne ha approfittato per portare via le mie cose e trasferirle in un altro appartamento, a piano terra, che mi ha affittato vicino casa sua.

– Ha perso fiducia nelle tue abilità deambulatorie – sghignazzò Enrique.

– E nello stesso tempo mi tiene più a portata di mano – commentò Tomas, con evidente sconforto.

– Ma si è trattato di un colpo di fortuna per me, che stavo finendo a vivere in uno scatolone sotto il ponte del Clamores. Però diglielo perché sei caduto dalle scale.

– È stato un incidente.

– Non è vero, è stato Terciero. Ti stava minacciando perché eri in ritardo sull'affitto.

– Ti sbagli, e comunque sono stato io a indietreggiare senza guardare dove mettevo i piedi.

– Lopez quindi vi minacciava.

– Solo quando non pagavamo il giorno stabilito, il primo del mese. Ci teneva molto alla puntualità. Comunque non ci ha mai picchiati, anche se ci terrorizzava. Diventava un toro infuriato, si deformava in viso, urlava. Mancava solo che gli uscissero fiamme e fumo dal naso. Faceva lo stesso anche con Letizia. Vero Letizia? – terminò Enrique, alzando la voce.

– Sì – si udì urlare dall'altra parte della parete.

Emilio andò a saggiarla, bussando.

– Cartongesso?

– Sì, di spessore minimo. Se bussa troppo forte lo sfonda. Non ci possiamo appendere nemmeno un quadro.

– È Letizia Morales, giusto?

– Già. Se volete parlare anche con lei, posso farla venire di qua.

– Giacché ci siamo.

Letizia si presentò senza ulteriori inviti. Aveva sentito tutto, naturalmente. Anche lei era una giovane magra e slanciata, con lunghissimi capelli neri e una carnagione incredibilmente chiara. Consuelo si domandò come mai quei ragazzi fossero tutti così magri. Gli occhi grandi e scuri di Letizia facevano apparire il suo volto minuto come quello di una ragazzina.

– Aggiungerei che era un gran cafone, un incivile, un ignorante, violento, egoista e per finire un dongiovanni da strapazzo. Ho dimenticato niente?

Letizia interpellò Enrique e Tomas con uno sguardo.

– Sì, che era pessimo anche nelle attività sportive. A golf faceva pena.

Dal suo tono Consuelo dedusse che Tomas aveva giocato con lui e probabilmente aveva vinto.

– Sapete se Lopez faceva qualche lavoretto in nero, o se aveva altre entrate oltre alle vostre pigioni?

– Che io sappia non muoveva un dito, neppure in casa sua.

Questa volta era Enrique a essere sicuro di quel che diceva. Ma anche Letizia volle aggiungere la sua.

– Non ne aveva bisogno. C'erano due tizie che lo frequentavano assiduamente e sono sicura che gli facessero pure le pulizie. Dalla mia finestra le ho viste portare fuori la spazzatura e portare dentro la spesa.

– Già, è possibile che lo mantenessero loro – commentò Tomas, come se quel pensiero gli avesse attraversato la mente per la prima volta solo in quel momento.

– Volete restare a cena? – domandò Enrique spegnendo i fornelli sotto i tegami.

– No, grazie. Io sono nella mia giornata di digiuno settimanale – rispose Letizia.

– Grazie per l'invito, ma siamo in servizio. Vero, Emilio?

Emilio annuì, ma per nulla convinto.

– Beh, penso che sia tutto, per ora. Se avremo altre curiosità da soddisfare, torneremo a farvi visita.

Detto ciò, lasciarono i due ragazzi alla loro cena, defluendo in fila indiana attraverso la porta.

Prima di andare via, Consuelo si voltò verso la giovane.

– C'è qualcosa che vorresti dirmi ancora?

Letizia si passò una mano tra i capelli, riflettendo.

– So che sembra una cosa terribile da dirsi, ma non si può provocare il resto del mondo sperando di passarla liscia per sempre. È normale che Terciero abbia fatto una brutta fine. Da un certo punto di vista lo trovo confortante, perché questo soddisfa il mio senso della giustizia. Naturalmente, se non avessi un alibi per quella sera, non ve lo direi.

Emilio Navarro le sorrise e la ringraziò con uno slancio che Consuelo trovò esagerato.

Una volta in macchina, Consuelo decise che potevano approfittarne per andare a parlare con Zora Volkova. Emilio si stupì.

– Ma si è fatto tardi.

– Ho letto nelle vostre note che la signora Volkova torna a casa tardi, la sera. Se andiamo adesso la troviamo, no?

– È vero. Rischiamo di essere anche in anticipo, credo.

– Pensavi di andare subito a cena? O ti stai preoccupando di lasciare troppo da solo Pelayo?

– Entrambe le cose. Qui a Segovia non siamo abituati a questi orari tanto elastici. Lavorate così a Burgos? Senza orario?

– In effetti sì. Per svolgere certe indagini non si possono seguire orari d'ufficio.

– Indubbiamente. Ma per interrogare i sospettati noi abbiamo la stravagante abitudine di convocarli al commissariato.

– Beh, come vedi, facendo a modo mio abbiamo scoperto che Enrique e Tomas sono amici e che Tomas è stato anche lui inquilino del Lopez. Forse l'avremmo scoperto lo stesso, ma non è detto.

– E a che ci serve?

– Al momento a nulla, ma domani chi lo sa? Comunque questi ragazzi sono proprio ingenui. A parte Letizia che possiede un buon alibi, gli altri due si sono dati la zappa sui piedi raccontandoci come andavano le cose con Lopez.

– In effetti i sospetti su di loro adesso mi sembrano più concreti.

– Concreti è una parola grossa, ma sì, sono da tenere d'occhio. E per questa sera chiudiamo qui. A trovare la Volkova ci andremo domani sera, così non scombino i tuoi programmi. Va bene?

– Perfetto.

 

Affacciati al ponte sul Clamores, con i gomiti appoggiati alla larga balaustra di pietra, Emilio Navarro e Consuelo Torres si lasciavano pervadere dal naccherare delle cicogne, che avevano fatto il nido sopra una sporgenza del pilone. Il cielo incendiato da un cupo tramonto sembrava incurvarsi in una cupola sfilacciata, mentre alcune stelle già bucavano il blu trasparente sopra di loro.

– Fa un bel freddo tonificante, stasera. Come mai le cicogne sono ancora qui?

– Non ne ho idea.

– Forse hanno deciso di suicidarsi.

Per associazione d'idee Consuelo pensò all'altro caso di cui si stava occupando la squadra. Guardò di sotto, seguendo la corrente che formava minuscoli vortici.

– È qui che si è suicidato quell'uomo? Come si chiamava?

Emilio rabbrividì e si sollevò il bavero della giacca.

– Adrian Garrido. Sì, si è lanciato da questo ponte.

Poi guardò l'orologio.

– Credo che a quest'ora Zora Volkova sia tornata a casa.

Consuelo si soffiò calore sulle mani gelide.

– Sì, andiamo.

Mentre si staccavano dal ponte, Consuelo si accorse di una vecchina che li stava osservando da un bovindo del palazzo all'angolo. Le sorrise.

 

Zora Volkova era una bionda avvenente, russa, faceva la tassista e aveva una passione per gli sport, eccetto il golf.

Osservando il soggiorno della donna, Consuelo approvò mentalmente la scelta dei colori, poi esordì:

– Come ha conosciuto Terciero Lopez?

– Frequentava la mia palestra. Siamo diventati subito amici e poi, dopo pochi giorni, l'ho invitato qui a cena. Ma in effetti l'ho conquistato con la vodka.

– Beveva molto? – le domandò Emilio.

Zora Volkova assunse immediatamente un'espressione tesa.

– Reggeva bene. Gli piaceva mangiare e bere, per questo doveva smaltire in palestra, anche se non gli era sufficiente.

Emilio si sentì colpito personalmente da quell'affermazione.

– Che tipo era? – incalzò Consuelo.

– Forse non dovreste chiederlo a me. Io l'amavo e non credo di poter essere imparziale.

– Appunto perché l'amava vorrei anche il suo punto di vista.

La donna si rilassò.

– Prima di conoscerlo, non ero mai riuscita a trovare quello giusto. Mi sembrava di vivere nel posto sbagliato. Sapete come si dice, era come aspettare un treno all'aeroporto. Poi ho conosciuto Terciero e mi sono detta: finalmente ecco un uomo! Un uomo vero, forse un po' rude e un po' selvaggio, ma pieno di vita. Per lui l'amore era amore e l'odio era odio, senza mezze misure. A volte la rabbia lo trascinava senza che riuscisse a calmarsi, o forse non gli interessava: doveva sfogarla. Era assolutamente schietto, quello che ti diceva era esattamente quello che pensava, senza girarci intorno. Insomma, era diretto, come un pugno allo stomaco. I benpensanti e gli ipocriti non potevano sopportarlo, non seguiva certo le regole del bon ton. Era libero e solo come può esserlo un uomo che viaggia sempre controcorrente. Sono fiera di essere stata la sua donna, anche se dopo la sua morte ho scoperto che mi tradiva. Ma lo capisco. Era un uomo dagli appetiti robusti. Sono stata un'ingenua a illudermi che io gli potessi bastare. Com'era capace di ricominciare a mangiare dopo aver finito un pasto completo, così aveva le energie per stare con due donne contemporaneamente. Scoprirlo mi ha addolorata, ma in fondo non mi ha stupita. Era proprio da lui. La vita non gli bastava mai. Era come se sapesse di doversi sbrigare ad assaporare tutto, a mangiare in quantità, a godere il più possibile, perché il suo tempo sarebbe stato breve.

– La ringrazio, Zora. Lei mi ha mostrato un Terciero diverso da quello che mi avevano raccontato. Ancora una cosa. In qualche modo lei lo aiutava economicamente?

– Non direi, anche se a volte passavo al supermercato a fare un po' di spesa quando volevo cucinargli qualcosa di speciale.

– L'ha mai picchiata? – s'intromise Emilio.

Zora ci restò male, ma poi rispose.

– Picchiata proprio, no. Un paio di volte mi ha schiaffeggiata.

– Perché? Se non le dispiace parlarcene.

– No, non mi dispiace. La prima volta era ubriaco. Mi ha chiesto di portargli altro vino, ma io mi sono rifiutata, dicendogli che aveva bevuto abbastanza. Allora lui mi ha dato uno schiaffo e poi mi ha urlato che era lui che doveva decidere cosa era abbastanza e cosa no. Nessuno doveva dirgli cosa fare. Non lo tollerava.

– E la seconda volta?

Terciero parlava nel sonno. Soprattutto quando aveva bevuto molto. Mi capitò più volte di sentirgli parlare di un figlio. È mio figlio! urlava nel bel mezzo della notte. All'inizio pensai che quel sogno ricorrente fosse generato dal suo desiderio di averne uno, ma quando gliene accennai, me lo fece subito togliere dalla testa con uno schiaffo, urlandomi che non dovevo mai più azzardarmi a dire una stronzata simile.

– Quindi erano brutti sogni.

– Penso di sì. Gli dava tanta avversione il pensiero di avere un figlio, che se lo sognava anche di notte. Era il suo incubo. A me invece sarebbe piaciuto.

Consuelo non commentò.

– Le ha mai proposto di vivere insieme?

– No, io l'ho proposto a lui, ma non era d'accordo. Col senno di poi capisco che era ovvio, non voleva rinunciare all'altra.

Poco dopo, tornando verso l'hostal, Consuelo pensò che stavano finalmente ricostruendo la personalità di Lopez, ma questo non li portava ancora da nessuna parte. Come seguendo perfettamente il filo dei suoi pensieri, Emilio si voltò a guardarla, mentre guidava.

– Ci manca solo Ernesta Nievo e avremo un quadro più completo della vittima.

– Già. Per ora abbiamo l'immagine di un tipo sanguigno, un duro, un violento. Eppure era un uomo che sapeva farsi amare, nonostante tutto. In fondo l'amore è proprio cieco, come dicono i poeti e i proverbi.

– Amore? Ma non diciamo stronzate! Quella cercava disperatamente qualcuno se la scopasse regolarmente e quando l'ha trovato, non le è parso vero, e fa niente se le mollava qualche ceffone ogni tanto. L'amore è un'altra cosa. E comunque le filosofie sull'amore non aiutano a viverlo, quindi lasciamo da parte i proverbi, per favore, e cerchiamo di fare il punto della situazione.

Consuelo lo guardò di sbieco.

– Che cos'è che ti rende così acido? La castità?

Subito dopo averlo detto, Consuelo si rese conto di aver decisamente esagerato. Non c'era ancora abbastanza confidenza tra loro e in ogni caso la vita sessuale di Emilio non era di sua competenza.

– Scusa, fai finta che non abbia parlato – aggiunse in fretta Consuelo.

Emilio restò in silenzio per qualche secondo.

– Un po' difficile, non credi? Comunque, sì, forse hai ragione. L'astinenza mi peggiora il carattere. D'altra parte, io sono come Zora Volkova. Mi sembra di vivere nel posto sbagliato. O magari sono io che sono sbagliato, ma non vedo come potrei cambiare. Sono come sono e mi accetto così.

Consuelo, che si sarebbe volentieri rimangiata quello che aveva detto, cercò un modo di attenuare la sua malaugurata uscita.

– Accettarsi è uno dei traguardi più difficili da raggiungere, ma da quel punto in poi, sappiamo cosa vogliamo e diventa più facile ottenerlo.

– Di che cosa stai parlando, Consuelo? Conoscersi e accettarsi non ti garantiscono né di trovare la persona giusta, né, se ce l'hai, di non perderla. Quasi mai dipende da noi.

La conversazione non aveva preso una buona piega, ma Consuelo cercò di riparare buttandola sulle confidenze.

– Hai smesso di cercare?

– Ho altro da fare, che perdere tempo dietro a queste sciocchezze.

– A Zora è bastato andare in palestra – ribatté Consuelo, con ironia.

– Io odio le palestre. Non sopporto tutti quei fusti gonfiati di anabolizzanti, che non fanno che mettersi in mostra come manzi alle fiere taurine, e poi ti ripagano col disprezzo se ti provi a osservarli con ammirazione.

Consuelo comprese all'improvviso quali fossero le preferenze di Emilio e si trovò a rielaborare sotto una nuova luce la loro conversazione.

– Ti capisco. Io sto bene anche da sola.

– Anch'io.

– Domani mattina andiamo dalla Nieto.

– Ti vengo a prendere alle otto.

 

Rintanarsi nel rifugio della sua camera, aiutò Consuelo a superare il profondo imbarazzo che le aveva provocato la chiacchierata con Emilio. Ma come le era potuto venire in mente di fare quella battuta sfrontata e indelicata? E dire che ci teneva tanto a costruire un buon rapporto con lui. Era il suo vice, il suo appoggio, il suo aiuto, l'uomo di cui doveva fidarsi nelle più impreviste circostanze. Ma forse il problema non era tanto fidarsi di lui, quanto che fosse Emilio a fidarsi di lei. E Consuelo era cosciente che da questo traguardo erano ben lontani. Del resto che cosa aveva combinato in quei pochi giorni? Niente. Niente di niente. Le sembrava di dover svuotare il mare con un secchiello. Quello che la preoccupava di più era l'eventualità di non riuscire a risolvere il caso. Avrebbe iniziato molto male. Non se lo poteva permettere. Un fallimento al primo incarico significava dare ragione a quanti storcevano il naso davanti a quel ruolo affidato a una donna; significava risatine di scherno alle spalle, da parte degli agenti che lei definiva già "i suoi uomini"; significava scarsa considerazione nell'ambiente, e, nel peggiore dei casi, un veloce trasferimento in chissà quale buco di paese sperduto e dimenticato da dio. Ricordò com'era agguerrita quando era entrata in servizio a Burgos, trovandosi nelle vesti di vice del commissario Rey Delgado, che non la considerava nemmeno per sbaglio. Aveva lottato con determinazione per farsi valere, per costringere Rey ad apprezzarla, per arrivare al punto di essere trattata alla pari. Ci aveva impiegato del tempo, ma ci era riuscita. Adesso aveva bisogno di attingere a quella stessa determinazione. Sentiva la necessità di dimostrare, prima di tutto a se stessa, di essere all'altezza di quel compito, di quel ruolo e di quell'indagine. E non doveva dimenticarsi neppure delle altre. I suoi uomini erano impegnati su altri fronti e lei se n'era completamente disinteressata, totalmente concentrata com'era sul caso Lopez. Li aveva lasciati allo sbando, senza una guida, senza una vera direzione da seguire. Si ripromise subito di porre rimedio a quella catastrofe. Non era così che si dirigeva una squadra.

E poi telefonò a Rey. Le mancava. Per la barba del Cid, se le mancava!

 

Giungendo nella sala grande, per prima cosa, quel mattino, notò che Emilio assegnava compiti agli agenti e chiedeva a Julian Romero se non fosse giunto il momento di archiviare il caso Garrido. Dunque, in realtà, la sua squadra non era totalmente abbandonata a se stessa come aveva temuto. Emilio aveva semplicemente continuato a dirigerla come aveva sempre fatto per tutto il tempo in cui aveva sostituito il titolare. Questo da una parte la rincuorò, ma dall'altra le rese evidente che doveva cambiare ritmo, tono e registro, se non voleva apparire inadeguata. Per prima cosa bisognava andare a trovare l'altra donna di Terciero Lopez, poi si sarebbe intrattenuta con gli agenti, interessandosi all'altro caso che stavano seguendo. Quando Emilio si accorse che lo stava osservando, s'interruppe e le chiese:

– Andiamo a trovare la Nieto?

Il tono era quasi quello di un ordine. Per smorzare questa impressione, Consuelo rispose con decisione:

– Certo. Rispettiamo il programma.

Quel mattino, in macchina, oltre a rispettare il programma, Emilio e Consuelo rispettarono anche uno scrupoloso silenzio.

Ernesta Nieto era una donna ben fatta, con i capelli di un nero profondo, il volto felino, scavato, con gli zigomi sporgenti. Gli occhi allungati le conferivano un aspetto vagamente orientale. Era stata una ballerina di flamenco, ma ora faceva la segretaria nello studio di un architetto.

La conversazione con lei non offrì nuovi spunti. La differenza tra lei e Zora era la sua consapevolezza di essere l'altra donna.

– E non era gelosa di Zora?

– Ero gelosa in generale, del passato di Terciero. Di Zora no. Semmai lei avrebbe dovuto o potuto essere gelosa di me, se avesse saputo che esistevo.

– In che senso era gelosa del suo passato?

– Ero gelosa delle altre donne che aveva avuto e di cui non voleva parlare. Non puoi battere il tuo nemico, se nemmeno lo conosci.

– Ma se facevano parte del suo passato, perché esserne gelosa?

– Perché c'era qualcuna che aveva ancora importanza per lui. Me lo sentivo. Zora era niente. Quella che contava era un'altra. Era lei che dovevo strappargli dal cuore, ma non ho mai scoperto chi fosse.

– Come fa a esserne così sicura?

– Perché quando gliel'ho detto si è infuriato. Se non fosse stato vero si sarebbe limitato a farsi beffe di me, come faceva sempre.

– L'ha mai picchiata?

– A volte mi ha dato qualche sberla. Ma io gliela facevo pagare, ogni volta.

– Come?

– Lo abbandonavo a se stesso, per qualche giorno. Non gli pulivo la casa, non gli facevo la spesa, non cucinavo per lui. Sparivo. Oppure lo minacciavo che gli sarei piombata in casa quando c'era Zora. Lui allora si metteva a ridere. Non gl'importava niente che Zora sapesse di me. Anzi, se l'augurava, per vedere che bella lotta ne sarebbe nata. Non l'ho mai fatto, solo per non dargli questa soddisfazione.

Ernesta guardò l'orologio.

– Adesso devo proprio andare, altrimenti faccio tardi allo studio. Spero troviate presto l'assassino. Purtroppo io non vi posso aiutare.

– Solo un'ultima domanda. Che le risulti, Terciero aveva amici?

– No, nemmeno uno.

– Grazie. Togliamo il disturbo.

Mentre viaggiavano verso il commissariato, Consuelo infranse il silenzio dell'abitacolo.

– Non hai detto nemmeno una parola.

– Te la cavavi benissimo da sola.

– Ma non mi sembra che abbiamo fatto molti passi avanti.

– No. Direi di no.

 

Poco dopo Consuelo si ritrovò davanti al muro del pianto, con la sensazione di essere sempre allo stesso punto. Si erano aggiunte le dichiarazioni di Ernesta e Zora, ma non portavano in nessuna direzione.

Emilio mangiava un tartufo di cioccolata. Ne aveva sempre qualcuno di scorta nel cassetto della sua scrivania.

– Non fare quella faccia, Consuelo. Consolati con un cioccolatino.

– Ti ringrazio, ma non posso. Ho già un'alimentazione fin troppo disordinata. Però hai ragione a cercare consolazione: questo caso crea depressione.

– Il vecchio commissario, quando non sapeva dove sbattere la testa, si fissava tre linee guida. Soldi, sesso e onore. E poi qualcosa saltava fuori.

– Sì, è un modo di procedere che hanno in molti. E in fondo è quello che abbiamo fatto anche noi, finora. Ci siamo dedicati ai soldi e al sesso. Anzi, a proposito di soldi, che cosa ha trovato l'agente Romero?

– Lo chiamo subito.

Julian Romero si presentò con un fascio di fogli.

– Non ho finito di scrivere la relazione.

– Non importa. Riassumici le tue conclusioni.

– Dai miei calcoli risulta che la vittima viveva al di sopra delle sue possibilità.

– Fin lì c'ero arrivata anch'io, ma hai quantificato?

– Diciamo che spendeva più o meno il doppio delle sue entrate conosciute.

– Dove prendeva quei soldi? – si domandò Consuelo.

– Non riesco a capirlo.

– Mettiamo tutta la squadra a indagare su questo – decise Consuelo.

– E noi intanto che facciamo?

– Credo che quella dei soldi sia la strada giusta, ma intanto possiamo valutare anche gli altri elementi, se ci tieni.

– Dopo aver parlato con Ernesta e Zora, lascerei da parte il sesso. Zora non sapeva nulla di Ernesta, e quest'ultima sapeva ma non era gelosa di lei.

– Questo è ciò che vogliono farci credere.

– Ti ricordo che hanno un alibi entrambe.

– In questa indagine tutti hanno un alibi – disse Consuelo, irritata.

– Veramente no. Enrique Blanco ha affermato di essere tornato a casa alle dieci e mezzo, quella sera, ma Letizia Morales non ha potuto confermare, perché era a cena con amici ed è rientrata alle due. Ha dichiarato di non aver sentito rumori provenire dall'appartamento di Blanco, che a quell'ora dormiva da un pezzo, sostiene lui.

– Che motivi abbiamo per sospettare di Enrique Blanco?

– Le minacce? Il timore di essere buttato giù dalle scale come è successo al suo amico Tomas?

– Tomas invece un alibi ce l'ha, più o meno, però è quello che è stato buttato giù dalle scale, anche se lui ha minimizzato. E se invece fosse stato proprio Tomas a vendicarsi? Tomas è abituato a usare le mazze da golf.

– In effetti, non siamo nemmeno sicuri che quella utilizzata per l'omicidio appartenesse a Lopez.

– Ma sull'impugnatura c'erano le sue impronte.

– E sull'asta ce n'erano altre.

– Prendiamo le impronte sia a Blanco che al suo amico Amenábar.

– Approvo. Convochiamoli qui.

Questa volta Consuelo non obbiettò.

– E per quanto riguarda l'onore?

– Credo che Lopez se ne fregasse altamente della sua reputazione, figurati di quella degli altri. Non gli interessava il giudizio della gente. Faceva quello che gli pareva, in barba a leggi, usi e costumi. Se questo suo comportamento ha creato problemi ad altri, non sarà facile scoprirlo. Comunque potrebbe capitare per caso, ma su questa pista per il momento non perderei tempo.

– Hai ragione. Per ora tralasciamo. Eventualmente ci torneremo in seguito.

 

Nel pomeriggio, Consuelo s'intrattenne nella sala grande con gli agenti che erano al lavoro. Julian Romero, nonostante l'invito di Emilio, proseguiva una specie d'indagine personale sul caso Garrido.

– Cosa ha stabilito il medico legale?

– Decesso per annegamento.

– Ci sono testimoni del suicidio?

– Diciamo sì e no. È per questo che sto studiando di nuovo le dinamiche, i tempi e altri particolari irrilevanti. E poi non ha lasciato la solita lettera d'addio. Normalmente contengono messaggi confusi, ma comunque sia, rappresentano una certezza che l'atto è deliberato. In questo caso, invece, non abbiamo niente a cui aggrapparci e allora sbucano fuori dubbi da ogni particolare. Questo caso non mi lascia tranquillo.

Consuelo gli sorrise con comprensione. Conosceva bene quella sensazione che ti coglie quando i dubbi sembrano una nebbia che ti avvolge, eppure non hai motivi solidi e reali per dubitare.

Julian Romero era contento di quel cambio di testimone. A parte il fatto che obbedire agli ordini di Emilio Navarro gli suscitava un'avversione che non sapeva nemmeno spiegarsi, trovava la presenza della commissaria Torres rassicurante, perché sin dal primo momento aveva intuito che sapeva ascoltare.

– Sono stato in un bar vicino al negozio di Garrido a fare qualche domanda e un ragazzo mi ha detto che Adrian aveva un compagno. Purtroppo non ha saputo dirmi altro. Mi domando perché questo suo compagno non si sia mai fatto avanti, anche solo per chiedere notizie.

– Qualcuno è stato al suo funerale, per vedere chi c'era?

– Ci sono andato io, di mia iniziativa. Navarro era troppo preso dal caso di omicidio per pensarci. Ma è stato un buco nell'acqua. Non ho notato nulla di strano e non sono riuscito a individuare il suo compagno. Forse ha evitato di venirci. Ma allora mi domando perché. Non sarà per caso che l'ha aiutato a buttarsi?

– Navarro pensa che indagare ancora sia una perdita di tempo.

– Vuole che archivi il caso, commissaria?

– No, se ti rimane ancora qualche dubbio. Lo archivieremo solo quando ne saremo sicuri.

– Grazie per la fiducia, commissaria Torres.

 

Ogni mattina, Emilio passava a prendere Consuelo. Così aveva preso l'abitudine di fare colazione con Vidal, in attesa che lei scendesse, sempre puntualissima, alle otto.

Vidal ne era ben felice, perché questo gli dava l'occasione di vedere il suo amico tutti i giorni.

– Come vanno le indagini sull'assassinio di Lopez?

– Vanno.

– E la commissaria?

– Va.

– Sei più abbottonato del solito. Che succede?

– Niente. Per ora è tutto sotto controllo, ma non voglio ancora sbilanciarmi. Mi capisci, no?

– Se c'è qualcosa che non va, è bene che me ne parli.

– Non c'è problema. Rilassati.

– Sei tu che non mi sembri rilassato.

E stava per aggiungere altro, quando vide Consuelo che si stava avvicinando. Le rivolse un cenno di saluto.

– Buongiorno. C'è un po' di caffè anche per me?

– Non fai colazione, stamattina?

– No, non ho fame. E poi aspettiamo visite, vero Emilio?

– Ah, già, è vero. Dobbiamo andare.

Per quel giorno avevano convocato, oltre ai tre ragazzi Enrique, Tomas e Letizia, anche i coniugi Castro, Elvécio Da Cuíca, Carme Molinero e Isabella Amenábar. Sarebbe stata una lunga giornata. La decisione di prendere le impronte a tutti i convocati era dettata dalla necessità di scoprire di chi fossero quelle trovate sulla mazza da golf, oppure di escluderli.

Nell'attesa, Consuelo chiamò gli agenti Alonso e Vazquez nel suo ufficio.

– Allora, fin qui abbiamo appurato che Lopez doveva necessariamente disporre di entrate extra, anche se non sappiamo ancora come se le procurasse. Sappiamo inoltre che non le versava sul suo conto bancario, dunque mi domando dove tenesse i suoi soldi. Credo sia importante scoprirlo. Tornate a casa sua e cercate un nascondiglio. Guardate ovunque. E poi è mai possibile che non conservasse nemmeno un documento? Cercate bollette, scontrini, qualunque cosa.

– Ma commissaria, la perquisizione che abbiamo fatto è stata accuratissima.

– Non lo metto in dubbio, ma forse qualcosa vi è sfuggito. Smontate i mobili e i pavimenti, se necessario, ma voglio un appiglio, uno qualunque!

– Agli ordini, commissaria.

Quando gli agenti furono usciti, Emilio commentò:

– Probabile che i soldi se li spendesse tutti. Nelle tasche dei suoi pantaloni sono stati ritrovati quattrocento euro.

– Sei sicuro?

– Sì.

– I ragazzi pagavano l'affitto in contanti ogni primo giorno del mese. Lui è stato ucciso il 2 ottobre. Possibile che abbia speso quattrocento euro in un giorno solo?

– E se invece uno dei due non avesse pagato?

Consuelo si domandò perché un'informazione del genere non fosse emersa prima.

– Stai dicendo che uno dei due è andato a casa del Lopez per consegnargli i soldi dell'affitto, lui si è incazzato perché era in ritardo, ne è nata una lite e... E gli ha voltato le spalle?

– Forse si è voltato per prendere qualcosa, c'era la mazza a portata di mano, l'assassino l'ha afferrata e...

– Uno come Terciero non può aver voltato le spalle a qualcuno con cui stava litigando.

– Perché no, se lo riteneva incapace di reagire? Secondo te, poteva aver timore di Enrique Blanco o di Letizia Morales? Nemmeno se li avesse affrontati insieme e bendato.

– In effetti sono due ragazzi piuttosto esili. Ma per l'appunto, i colpi sono stati inferti con forza, e quei due non mi sembrano abbastanza robusti.

Navarro si arrese.

Consuelo trovò il tempo per telefonare al medico legale. Si chiamava Camelia Rato. Sentire la voce di un'altra donna la fece sentire meno sola.

Poco dopo si presentarono i coniugi Castro. Non apportarono novità nel quadro già delineato, ma Consuelo non poteva lasciarli andar via senza porre loro una domanda che le continuava a vagare nella testa.

– Sapete che Terciero Lopez fece una scorrettezza sul campo, che gli costò la squalifica per un mese?

– Sì, me ne ricordo – rispose Castro, mentre la moglie annuiva.

– Mi può dire come andarono le cose?

– Noi non eravamo presenti. Però ricordo che la commissione ascoltò le proteste di Isabella. Secondo lei non c'era stato pericolo, perché la pallina era caduta ad almeno tre metri di distanza.

– Tre metri?

– Secondo la commissione il problema non era tanto la distanza, quanto il fatto che Lopez non poteva valutarla e quindi avrebbe dovuto comunque urlare un avvertimento.

– Quindi fu la stessa Isabella Amenábar a difenderlo. Erano amici?

– Li ho visti parlare spesso, ma non so dire se fossero amici. Tutti noi le parliamo per svariati motivi. È lei che organizza i tornei, che assegna il campo, che ritira le quote e distribuisce le tessere. Insomma, è normale rivolgersi a Isabella per tutto ciò che riguarda il club.

Gli altri testimoni furono una vera perdita di tempo. Poi arrivò Enrique Blanco. Sembrava piuttosto nervoso. Consuelo gli pose alcune domande generiche, prima di quella che le interessava maggiormente.

– Ti ricordi quando è stata l'ultima volta che Lopez ha riscosso il tuo affitto?

– Il primo del mese, immancabilmente.

– Sei sicuro? Hai una ricevuta?

– Sono sicurissimo, ma non ho nessuna ricevuta. Terciero non ne ha mai rilasciata una in vita sua, credo. Non le voleva neppure dagli altri. Ne aveva proprio una speciale avversione. Quando comprava qualcosa, buttava via lo scontrino ancor prima di uscire dal negozio. L'ho visto con i miei occhi.

– Ecco perché non ne abbiamo trovate nel suo appartamento – commentò Emilio.

Dopo Enrique Blanco, entrò Tomas Amenábar, al quale, per prima cosa, domandò:

– Sappiamo che essere soci del club La Faisanera comporta possedere una tessera. Viene consegnata proprio a tutti?

– Sì, certo.

– Non abbiamo trovato quella di Lopez.

– Eppure doveva averla per forza. È come questa. – disse, tirandola fuori dal portafoglio – È una tessera magnetica. Senza questa non si può aprire l'armadietto al club, o accedere al parcheggio dei soci. Si può usare anche come carta di credito ricaricabile. Al bar del club non sono ammessi i contanti: si può pagare soltanto con questa.

– E quindi al club c'è un armadietto di Lopez?

– Certo, ogni socio ha il suo.

La decisione di Consuelo fu istantanea.

– Dobbiamo tornare subito alla Faisanera.

– Ma abbiamo convocato altri testimoni – ribatté Emilio.

– Dovranno aspettare.

 

Al golf club la Faisanera, l'assenza di Isabella rese alquanto difficile l'accesso agli armadietti. Ma con un po' d'insistenza, Consuelo ed Emilio riuscirono ad accedere a quello dell'ex socio Terciero Lopez. Al suo interno trovarono soltanto un paio di scarpe incrostate di fango e una giacca di maglia, le cui tasche dovevano aver contenuto qualcosa di voluminoso, tanto erano deformate.

– Guarda come sono ridotte le tasche di questo cardigan. Che ci teneva?

– Forse le palline da golf.

– Ma non si tengono nella sacca?

– Forse trovava più comodo tenerle in tasca.

– Può darsi. Torniamo in sede.

 

Mentre li aspettava al commissariato, Isabella Amenábar era molto nervosa. Aveva atteso il loro ritorno con grande impazienza, continuando a guardare l'orologio. Quando li vide arrivare, si alzò, andando loro incontro.

– Finalmente! Buongiorno. Scusate, ma ho molta fretta. Di che cosa volevate parlarmi?

– Buongiorno, signora Amenábar. Si accomodi nel mio ufficio – disse Consuelo.

Isabella Amenábar si sedette in fretta, nella speranza che non le facessero perdere troppo tempo.

– Vorrei sapere se Terciero Lopez possedeva una tessera del club.

– Certo. A ogni socio ne viene consegnata una.

– Lei parlava spesso con Lopez?

– Qualche volta.

– Si ricorda dove teneva le palline da gioco?

– Nella sacca, come tutti, immagino.

– Anche mentre giocava?

– Penso di sì, ma non lo so con certezza.

– Che cosa indossava di solito?

– Niente di speciale. Non era uno che avesse un abbigliamento apposito per giocare.

– Si ricorda di avergli visto qualche volta un cardigan di maglia a righe marroni di varie sfumature?

– Non ricordo, non ci ho fatto caso.

– Ancora una curiosità. Perché qualche tempo fa ha difeso Lopez dalla squalifica?

– Difeso? No, è stato squalificato, eccome.

– Ma mi risulta che lei abbia ridimensionato l'incidente davanti alla commissione.

– Ho solo raccontato come si era svolto l'episodio.

– Ma non sarebbe stata l'occasione buona per disfarsi di un socio malvisto da tutti?

– Questo non c'entra nulla. Non sarebbe stato giusto. So che radiarlo dal club era desiderio di molti soci, ma non mi sarei mai prestata a un simile giochetto.

– Capisco. E mi dica, come funziona la tessera del club? Come si fa a ricaricarla?

– Si può fare in una qualunque banca.

– E si può usare solo da voi?

– No, è una normale carta.

– D'accordo, signora Amenábar. Può andare.

Emilio la seguì con lo sguardo.

– Lei sì che è robusta.

– Per favore, telefona a Zora Volkova e a Ernesta Nieto. Chiedi anche a loro se hanno mai visto quella tessera. Forse è lì che teneva i suoi soldi.

– Forse.

– Oppure nelle tasche del suo cardigan, che però adesso sono vuote.

Consuelo uscì dal suo ufficio. Alla scrivania c'era solo Julian Romero, il genio del computer.

– Romero, ho bisogno di te.

– Bene, commissaria. Sono a sua disposizione.

– Avrei bisogno di conoscere i movimenti di una carta ricaricabile, però ho solo il nome dell'utilizzatore. Ce la puoi fare?

– Tutto si può fare. Basta volerlo. Si sa chi l'ha rilasciata?

– La Faisanera.

– La carta era di Terciero Lopez, giusto?

– Esatto.

– Allora abbiamo tutto quello che ci serve. Mi metto subito al lavoro. Le farò avere tutti i movimenti e i luoghi dove sono avvenuti.

– Grazie, Romero.

In quel momento rientrarono Vazquez e Alonso.

 

– Nessuna delle due ha mai visto quella carta – disse Emilio, chiudendo l'ultima telefonata.

– E in casa di Lopez non ci sono nascondigli. I ragazzi l'hanno passata al setaccio – lo informò Consuelo.

– Già dalla prima perquisizione si era capito che non c'era niente. È stato inutile perderci altro tempo.

– Invece no. Hanno trovato una vecchia foto nascosta dietro a un armadio, attaccata con del nastro adesivo che stava cominciando a cedere.

– Che foto?

– Quella di una giovane donna con un bambino.

– Allora aveva ragione Ernesta Nieto! C'era un'altra donna e c'era anche un bambino. Sarà suo figlio?

– La stanno studiando. Ho chiesto di passarla al simulatore d'invecchiamento.

– Ma quanto è vecchia?

L'agente Alonso entrò in quel momento con espressione trionfante.

– Ce l'abbiamo, commissaria! È Enrique Blanco.

– Che vuoi dire?

– Le impronte sulla mazza da golf coincidono con quelle di Enrique Blanco.

– Beccato! Questa proprio non me l'aspettavo – ammise Emilio.

– Era l'unico del tutto sprovvisto di un alibi – commentò Consuelo.

– Che facciamo? Andiamo ad arrestarlo? – domandò Alonso.

– Sì, andate.

Emilio si voltò verso il muro del pianto.

Blanco ha mentito. Non ha affatto pagato l'affitto di ottobre. Forse quella sera è andato da Lopez per farlo, ma poi le cose hanno preso un'altra piega. Era in ritardo di un giorno e sappiamo quanto questo facesse incazzare la vittima.

– Non lo so, Emilio.

Consuelo non era per nulla convinta, dopo la conversazione con Camelia Rato. Le caratteristiche fisiche di Enrique Blanco non collimavano per nulla con quelle che la Rato aveva tracciato per l'assassino.

 

Enrique Blanco era più pallido del solito, la sua voce più flebile e un paio di tic erano sbucati fuori dal nulla. Dopo un'ora d'interrogatorio non c'era stato verso di fargli ammettere nulla.

– Non sono stato io. Io non c'entro niente. Come ve lo devo dire?

– E come ci sono arrivate le tue impronte su quella mazza da golf?

Enrique si tirò con disperazione l'unico ciuffo di capelli ritto in cima al cranio. Continuando a scuotere la testa, sembrava cercare nella memoria una ragione plausibile. Poi s'illuminò.

– Qualche tempo fa ho avuto un problema di salute, ho dovuto fare alcuni esami molto costosi e arrivato al primo del mese non avevo tutti i soldi per pagare l'affitto. Quando sono andato da Terciero per chiedergli un po' di tempo, lui si è infuriato, mi ha minacciato con una mazza e me l'ha conficcata in mezzo alle costole, tanto che temevo me le volesse sfondare. Urlando mi ha detto che se entro il giorno successivo non gli avessi portato i soldi, con quella mi avrebbe picchiato a sangue. Io l'ho afferrata per spostarla dal torace prima che me lo sfondasse davvero. È andata così. Dev'essere stata quella volta.

– Qualcuno ha assistito a questo episodio?

– No, accidenti!

Enrique si accasciò di nuovo, ma dopo pochi secondi si riprese.

– Ma prima di rientrare sono andato a casa di Letizia, per raccontarle quello che era successo e per chiederle un prestito. Lei mi ha anche dato una pomata per il dolore e per evitare che peggiorasse il livido che già cominciava a comparire. Se lo ricorderà sicuramente.

– E te li ha prestati lei i soldi per l'affitto?

– No, è stato Tomas, che non ha problemi economici, beato lui. La sua è una famiglia benestante.

– Allora, come mai, anziché chiederli subito a Tomas, hai pensato di chiederli a Letizia?

– Con Tomas avrei voluto evitare storie di soldi. Di solito rovinano le buone amicizie.

– Quindi te li ha dati Tomas e sei andato a saldare il tuo debito con Lopez. Giusto?

Enrique annuì.

– Il giorno seguente?

– Sì, la sera seguente.

­­– Per ora resti qui. Se Letizia Morales confermerà l'accaduto, ti lascerò andare.

Emilio Navarro non apparve per nulla soddisfatto di quell'ultima opzione.

 

Dopo un paio d'ore Letizia Morales, leggera come una ballerina classica, avanzò nel corridoio della centrale, entrando nell'ufficio di Consuelo senza rumore.

– Eccoti qui. Siediti.

– Vorrei tanto che questa storia finisse in fretta. È assurdo che le vittime di Lopez siano trattate come pregiudicati.

– Letizia, ti ho invitata qui solo perché conoscevi bene l'uomo assassinato. Finora tu e i tuoi amici ci avete raccontato in modo generico che Lopez vi minacciava, ma adesso è importante che ci descriviate esattamente tutti gli episodi di cui siete stati testimoni. Quindi, parlami di tutte le volte che ti risulta abbia usato violenza o minacciato anche solo verbalmente Tomas o Enrique.

Letizia sospirò.

– Ero lì quando Tomas è caduto dalle scale. Ho visto dallo spioncino quando Terciero si è scagliato contro Tomas. Erano sul pianerottolo, davanti alla porta. Sono stata attirata dalle urla. Terciero gridava "Dove sono gli altri? Avevo detto che li volevo tutti oggi!" Ho visto Tomas indietreggiare, mentre gli diceva qualcosa a proposito della madre che non ho ben capito. Terciero allora ha urlato che Isabella se ne sarebbe pentita. È stato allora che Tomas ha indietreggiato ancora, cadendo per le scale. Ho subito chiamato un'ambulanza e poi sono uscita anch'io sul pianerottolo. Lopez era stravolto. Sembrava sinceramente pentito e la prima cosa che mi ha detto è stata che lui non c'entrava.

– Quindi, se ho ben capito, questo è accaduto perché Tomas non gli ha pagato l'intero affitto? Non poteva chiedere a sua madre i soldi che gli mancavano?

– Io credo che si riferisse a qualcos'altro, a denaro che gli doveva la signora Amenábar.

– Come fai a dirlo?

– Gliel'ho chiesto quando sono andata con lui in ambulanza. Tomas era stordito, e soffriva. Io cercavo solo di tenerlo sveglio. Così parlavo a casaccio e lui a un certo punto ha farfugliato che sua madre voleva darglieli di persona, perché quel debito era suo e non voleva che Tomas ci entrasse.

– Ho capito. Ti ricordi altri casi di violenza da parte di Lopez?

– Una volta mi ha maltrattata perché non avevo birra in casa. Era venuto a riscuotere l'affitto e si è introdotto nell'appartamento senza che io lo invitassi. Mentre cercavo i soldi nella borsa, lui ha aperto il frigo e poi ha cominciato a gridare che non c'era dentro niente di umano. Urlava: "Non mi fido di una banda di vegetariani sovversivi, mi farete perdere la pazienza, vi caccerò tutti a calci in culo". Sembrava un pazzo, lo giuro. Probabilmente era già ubriaco o sotto l'effetto di qualche sostanza. Comunque se n'è andato subito dopo aver intascato i soldi e avermi dato uno spintone.

– Ricordi altro?

– Sì, una volta ha picchiato anche Enrique, con una mazza.

– Picchiato?

– Beh, forse picchiato non è proprio esatto. Però gli ha piantato una mazza da golf tra le costole. Aveva un livido proprio qui. Gli ho dovuto dare una pomata.

– Perché Lopez ce l'aveva con Enrique?

– Perché non aveva tutti i soldi dell'affitto.

– Ed Enrique ti chiese un prestito?

– Sì, ma io non potevo, così poi glielo fece Tomas.

– La famiglia di Tomas è benestante, vero?

– Sì, per quel che ne so, i suoi nonni erano ricchi proprietari terrieri. Ma con Tomas non parliamo mai di queste cose.

– Tuttavia Isabella Amenábar lavora.

– Le piace occuparsi del club. È stata tra le promotrici del progetto e lei ne è molto orgogliosa.

– La conosci bene?

– Sono stata invitata da Tomas al club un paio di volte e sua madre è venuta al bar a salutarmi. Voleva conoscermi. Vuole conoscere tutte le ragazze che hanno a che fare con Tomas. È una donna molto protettiva nei confronti del figlio. Forse anche oppressiva, qualche volta. Ma del resto è comprensibile, visto che ha cresciuto Tomas da sola.

– Tomas è orfano?

– Sì. Il padre di Tomas è morto prima che lui nascesse e per quanto ne so, Isabella non era neanche sposata.

Consuelo guardò Emilio, notando che sollevava un sopracciglio.

– Ci basta così. Spero di non doverti disturbare più.

Letizia si alzò.

– Commissaria Torres, mi auguro che trovi presto il colpevole. Lopez ci ha reso la vita difficile da vivo e ce la sta rendendo impossibile da morto.

Emilio sghignazzò, ma quando Consuelo si voltò a guardarlo, tornò immediatamente a esibire la sua impassibile espressione da guerriero masai.

 

Julian Romero aspettò che Letizia se ne fosse andata, prima di parlare con Consuelo.

– Aveva ragione lei, commissaria. Era su quella carta che versava tutte le sue entrate. All'inizio di ogni mese c'è la registrazione di una ricarica tra i duemila e i duemilaottocento euro. Varia ogni mese. Ma non ci sono grosse uscite. Faceva benzina una volta a settimana, qualche spesa in un centro commerciale e in supermercati alimentari. C'è un saldo di circa trentamila euro.

– Bene, ma non sappiamo ancora chi glieli dava.

– La signora Amenábar, a quanto pare. Ricordi cosa ci ha raccontato Letizia? La signora aveva un debito con lui, però si è guardata bene dal parlarcene.

– Perché una benestante dovrebbe chiedere un prestito a uno come Lopez? – s'intromise Romero.

– No, Julian, la domanda è: perché una benestante foraggia uno come Lopez?

– Ricatto?

– Fammi vedere i movimenti di quella carta.

Julian Romero porse un fascio di fogli alla commissaria.

Consuelo li studiò per alcuni minuti, in silenzio.

– Il signor Lopez non era uno spendaccione. Alla Faisanera non pagava neanche il campo. È evidente che Isabella lo faceva entrare gratis. Ci sono alcune cose che ci deve spiegare.

In quel momento Vazquez attirò la sua attenzione.

– Commissaria Torres, guardi qua.

Il monitor del computer mostrava un primo piano del volto sorridente di Tomas. Non esattamente identico, ma incredibilmente somigliante. Il programma d'invecchiamento aveva fatto il suo dovere.

– Se quello è Tomas, la donna dev'essere Isabella Amenábar – suppose Alonso.

Emilio osservò bene l'immagine.

– Sì, direi che le assomiglia abbastanza. Sempre lei. Tutto gira intorno a lei. È il momento di torchiarla per bene.

– Romero, tieni d'occhio i movimenti di quella carta­. Non sappiamo ancora chi ce l'ha adesso, ma potrebbe anche essere l'assassino.

– Agli ordini, commissaria.

– E voi, Vazquez e Alonso, andate a prelevare Isabella Amenábar.

 

Tomas aveva appena finito di consolare Enrique dopo la sua brutta esperienza al commissariato, quando aveva bussato Letizia.

– Ragazzi, finirà mai questa storia?

Enrique la ringraziò.

– Senza di te sarei finito a marcire in qualche cella buia.

– Non ci pensare. Andrà tutto bene. Me lo sento.

– Sei la solita inguaribile ottimista, ma purtroppo le cose non sempre filano come vorremmo.

– A me basta che fili bene questa. Riguardatevi.

Poi se ne tornò nella sua metà di appartamento, a passo di danza.

Poco dopo Enrique sospirò tristemente. Tomas temette di dover ricominciare tutto da capo.

– Che ti prende, adesso?

– Niente. Stavo pensando ad Adrian.

Tomas guardò fuori dalla finestra.

– Poveraccio. Chissà perché l'ha fatto?!

– Io non ci credo.

Tomas inclinò la testa verso di lui.

– Si è suicidato, Enrique. C'era scritto anche sul giornale.

– Ma io non ci credo. Non aveva alcun motivo di ammazzarsi. Stava bene, era sempre allegro ed era pure innamorato.

– Già, dell'uomo invisibile. Chissà perché non ci ha mai voluto dire chi fosse.

– A me una volta ha detto che era uno che preferiva non si sapesse.

– Magari era sposato.

– Magari era uno famoso.

– Un politico?

– Ma ormai che ce ne importa? Adrian ha preferito portare il suo segreto nella tomba.

– Secondo me, i segreti fanno male alla salute.

Enrique gli lanciò un cuscino in faccia.

 

Sbattendo gli occhi come se ci fosse troppa luce, Isabella Amenábar si sedette sulla scomoda sedia davanti alla scrivania, nella saletta degli interrogatori. Consuelo camminava avanti e indietro, mentre Emilio appoggiava la schiena alla porta chiusa, incrociando le braccia, come a minacciare che da quella porta non sarebbe più uscita, sinché non avesse tirato fuori tutta la verità.

Consuelo pose una piccola foto sul tavolo, proprio sotto gli occhi di Isabella.

– Ricorda questa foto, signora Amenábar?

Isabella la osservò, stupita.

– No, non l'ho mai vista.

– Ma si riconosce?

– Sì. Sono io con mio figlio.

– L'abbiamo trovata nell'appartamento di Terciero Lopez.

La donna rimase di ghiaccio.

– Signora Amenábar, quanto versava ogni mese sulla carta di Terciero Lopez?

Isabella trasalì, ma non rispose.

– Lopez la ricattava?

La donna si strofinò il viso, come si fa pulizia di un pensiero molesto.

– Ci racconti tutto dall'inizio. Vedrà che dopo si sentirà meglio.

Isabella Amenábar teneva le labbra serrate, quasi non volesse farsi sfuggire per sbaglio neppure una parola. Consuelo appoggiò le mani sul tavolo, con forza. Fissò la donna senza insistere, aspettando che fosse pronta a parlare.

Sospirando profondamente, Isabella sollevò lo sguardo al soffitto in cerca d'ispirazione e poi sembrò rassegnarsi.

– Che vi devo raccontare? Sono stata sfortunata. Sono incappata nell'uomo sbagliato al momento sbagliato. E per quell'unico stupido errore tutta la mia vita è cambiata.

– La prego, continui.

– Ero molto giovane. Mi trovavo a una festa di laurea, una serata leggera e divertente nella villa di un amico. Oltre ai miei compagni d'università, c'erano altri giovani, parenti o amici del festeggiato. Quella sera un ragazzo mi si mise alle costole. Io ero molto diversa, allora. Non per vantarmi, ma ero davvero una bella ragazza. Anche Terciero era un bel ragazzo e inoltre sapeva toccare i punti giusti, non solo nella conversazione, ma anche con le mani. Così finimmo in una stanza del piano di sopra, con la porta chiusa a chiave. Da quella sera, di lui non ebbi più notizie, ma due mesi dopo compresi di essere incinta. Allora cominciai a cercarlo, scoprendo che nessuno l'aveva invitato alla festa, anzi, peggio, nessuno lo conosceva. Dopo qualche tempo e altre ricerche mi dissero che era in carcere. Fu allora che decisi di non fargli sapere mai nulla. Alla nascita di Tomas mi inventai che suo padre era morto. Nessuno fece commenti, tutti si fidarono delle mie parole. Fu anni dopo che incontrai di nuovo Terciero. Lui vide Tomas e capì immediatamente. Avevano gli stessi capelli rossi, le stesse fattezze. E cominciò a chiedermi di frequentare suo figlio, affermando che era suo diritto. Al mio rifiuto minacciò di portarmi in tribunale per affermare i suoi diritti di padre. Io cedetti. Gli permisi di vederlo, ma i nostri incontri dovevano sembrare casuali, al parco giochi, al lago, alla giostra, in luoghi sempre affollati, dove lui potesse passare inosservato agli occhi di mio figlio.

– E Lopez si accontentò di questo?

– Naturalmente no. Terciero voleva conoscerlo, parlargli, farlo entrare nella sua vita. Ma per nostra fortuna, finì di nuovo in prigione. E io mi rilassai. Mi sembrava che le cose avrebbero potuto sistemarsi. Questo è accaduto varie volte. Non era mai a piede libero abbastanza a lungo da darci davvero fastidio. In seguito mi impegnai nel progetto del campo di golf alla Faisanera. Alla sua inaugurazione si presentò anche Terciero, di nuovo con la richiesta di far sapere a Tomas che lui era suo padre. Non potevo accettarlo. Era un pregiudicato, un uomo volgare, violento, come potevo dire a mio figlio che quello era suo padre? Naturalmente, per l'ennesima volta rifiutai. Ma in questo caso divenne molto insistente e a me venne in mente un'unica soluzione: gli offrii del denaro, purché tacesse. Lui accettò i soldi ma pretese che Tomas andasse a vivere in un appartamento di sua proprietà, di fronte a quello in cui viveva, proprio sul lato opposto della strada. Ma i patti erano che Tomas rimanesse all'oscuro di tutto, che lo considerasse soltanto il suo padrone di casa, cui pagava regolarmente un affitto.

– E mantenne i patti?

– Sì. Ma quando Tomas cadde dalle scale, io gli trovai un altro appartamento e lo allontanai da lui. Lo accusai di avere attentato alla sua vita e minacciai di denunciarlo. Lui accettò la situazione ma pretese che continuassi a versargli un mensile.

– Immagino che non lasciò in pace suo figlio.

– No, ormai conosceva bene Tomas, continuava a vederlo al club. A volte giocava con lui.

– Lei lo faceva entrare gratis, naturalmente.

– Mi costrinse con le minacce.

– Perché ha deciso di ucciderlo? Temeva che prima o poi avrebbe rivelato la verità a suo figlio? O era stufa di pagarlo per il suo silenzio?

– Si sbaglia, io non l'ho ucciso.

– Signora Amenábar, dov'era la sera del 2 ottobre tra le 10:30 e mezzanotte?

– Ve l'ho già detto. Ero a una cena in casa di amici di famiglia, Edmundo e Adelina Calvo. Si festeggiava il loro anniversario di matrimonio.

– La stessa festa a cui ha partecipato suo figlio, giusto?

– C'era anche Tomas, sì.

– Mi ripete l'indirizzo dei suoi amici?

– Calle La Puerta de Santiago.

Emilio si staccò dalla porta e uscì.

– Signora Amenábar, perché non ha denunciato subito Lopez?

– Perché Tomas avrebbe saputo e io non volevo. Anzi, non voglio. Lui è ancora all'oscuro di tutto.

– Non posso garantirle che lo sarà ancora a lungo.

– Questo è da vedersi. Ho conoscenze in alto loco, commissaria. Fossi in lei, sarei molto cauta nella conduzione di questa indagine.

Consuelo storse il naso. Non sopportava di essere minacciata.

– Signora Amenábar, so che molti si credono al di sopra delle leggi per la loro posizione sociale, ma mi creda, non è così. Quando ti sei macchiato di una grave colpa, la giustizia ti raggiunge sempre, magari non subito, magari non da dove pensi che giungerà, ma prima o poi ti presenta il conto.

Isabella non si diede il tempo di rifletterci sopra. Domandò soltanto: – Posso andare?

– Può andare, ma non si allontani troppo.

 

Osservando il muro del pianto, Consuelo si domandava quale movente fosse più giustificato di quello che avrebbe avuto Isabella Amenábar. Chi più di lei poteva desiderare che Lopez sparisse dalla faccia della terra? Il suo alibi doveva avere qualche punto debole. Sicuramente si era allontanata per un brevissimo periodo dalla festa senza che nessuno lo notasse. Entrando, Emilio interruppe il corso dei suoi pensieri.

– Allora?

– L'alibi della Amenábar regge. La festa è finita ben oltre la mezzanotte e Isabella è stata tra gli ultimi a lasciarla.

– E sono sicuri che non si sia mai allontanata?

– Pare che intorno alle ventidue e trenta abbia riaccompagnato in macchina il figlio, che non si sentiva bene, ma è stata assente dieci minuti. Giusto il tempo di andare e tornare. Così almeno sostengono.

Consuelo si voltò a guardare negli occhi Emilio.

– Andare e tornare da dove?

Consuelo si avvicinò alla piantina della città, appesa al muro del pianto.

– Dov'era la festa?

– Qui, in calle La Puerta de Santiago – disse Emilio, piantando una puntina con la capocchia rossa.

– E qui abita Tomas – disse Consuelo, piantando una puntina gialla su calle de Penalosa.

Entrambi guardarono la bandierina verde che indicava il luogo del delitto.

– Che te ne pare?

– Impossibile. Ci vogliono ben più di dieci minuti per arrivare da casa dei Castro a calle Buena Vista e ritorno.

– In ogni caso, escludo che Isabella sarebbe tornata alla festa con i vestiti schizzati di sangue. Non può essere stata lei. Siamo sempre allo stesso punto.

– Veramente no. Isabella non può essere stata via solo dieci minuti. Per accompagnare a casa il figlio e tornare indietro, dieci minuti sono troppo pochi. I coniugi Castro hanno mentito.

– Mi domando perché.

– Per proteggerla? In fondo sono molto amici.

– Dobbiamo approfondire.

Affidò il compito alla sua squadra e poi decise che era ora di timbrare il cartellino, anche se era solo un modo di dire.

– Che fai? Mi accompagni o resti qui?

– Ti accompagno, ma prima che ne diresti di una cena speciale?

– Cosa mi stai proponendo?

 

Nella Meson Candido i maialini arrosto venivano tagliati con un piatto. Due o tre colpi ben assestati ed ecco, le porzioni erano pronte per essere servite. Ci pensava Pedro, con il suo sorriso pacifico, la divisa nera con i grandi bottoni dorati e la fascia verde in vita. Una volta Emilio Navarro le aveva promesso il maialino arrosto più buono che avesse mai mangiato. Consuelo era rimasta scettica fino all'ultimo, ma si era dovuta ricredere davanti all'evidenza. Comprese quindi la meritata fama della Meson Candido, situata all'ombra degli archi dell'acquedotto romano. Non per niente, duecento anni di tradizione ne erano testimoni.

– Ne è valsa la pena?

– Non posso negarlo. Avevi ragione.

– Ci sono venuto spesso ultimamente.

– Ho notato che ti chiamano per nome.

– Sai, quando mi sento particolarmente giù, questo è l'unico posto che riesce a risollevarmi il morale.

– Come un buon antidepressivo.

– Hai afferrato il senso.

– Meglio strafogarsi di buon cibo che imbottirsi di ansiolitici.

– L'unico problema è che poi tocca smaltire.

– Beh, tu vai a correre con Pelayo. Non ti basta?

– Da qualche tempo no. Sto mettendo su pancia.

– Ancora non si nota. Sei in tempo per fermarti.

– Non posso. Adesso non posso.

– Allora goditela e smettila di preoccuparti della pancia.

– Voi donne...

Consuelo non gli lasciò nemmeno cominciare la frase.

– Per favore, non dire "voi donne" in modo generico, non fare di tutta l'erba un fascio. È una cosa che mi fa davvero arrabbiare.

– Ah, finalmente! Allora c'è qualcosa che ti fa arrabbiare. Cominciavo a pensare che non fossi umana.

– E invece...

Dopo il dolce, che Consuelo rifiutò ed Emilio gradì anche per lei, la poliziotta tornò a fare il suo mestiere.

– Stasera non avrei voluto parlare di lavoro, ma che ne pensi di Tomas? Voglio dire, la madre l'ha accompagnato a casa, è vero, ma chi ci dice che poi non sia uscito di nuovo e non si sia presentato a casa di Lopez per qualche motivo che non conosciamo?

– Tomas? In effetti, non ci ha raccontato niente dei suoi rapporti con Lopez, a parte minimizzare la sua responsabilità nella caduta dalle scale.

– Era un po' sulla difensiva, vero?

– Adesso che mi ci fai pensare, sì, sembrava proprio sulla difensiva.

– Un'altra chiacchierata con lui me la farei.

 

Il giorno seguente, Emilio si scusò di non poterla andare a prendere, perché non si sentiva tanto bene. Consuelo stava per dirgli che a cena aveva proprio esagerato, ma si morse in tempo la lingua. Non erano affari suoi. Se Emilio trovava consolazione nel cibo, che continuasse pure a mangiare come un forsennato. Stando male, avrebbe imparato a limitarsi.

Convocò Tomas appena giunta in ufficio e lui si presentò dopo un paio d'ore con il viso imbronciato.

– Commissaria Torres, se continua a convocarci ogni cinque minuti ci farà licenziare. Già ci guardano come degli appestati. Ci vuol poco a farsi una brutta reputazione.

– Hai ragione, ci vuole poco. Parlami un po' della reputazione di Terciero Lopez.

– Ma gliel'abbiamo già detto che tipo era. Come vuole che fosse la reputazione di un tipo del genere?

– Ma tu che ne pensavi di lui? Era il tuo padrone di casa e poi ci giocavi a golf. Ti sarai fatto una tua opinione personale.

– Era un pallone gonfiato.

– Cioè?

– Cioè, faceva tanto il gradasso, ma sotto sotto era un tenero. Solo che non voleva mostrarlo a nessuno. Si era costruito una corazza d'acciaio e aculei, ma in fondo...

– Da dove è scaturita questa tua impressione?

– Ma, così!

– No, Tomas. Devi dirmelo.

– E va bene, ma cerchi di non farlo sapere a mia madre, che secondo me lo poteva vedere come il fumo negli occhi.

– Non le dirò niente.

– Dopo l'incidente delle scale, venne in ospedale a trovarmi e mi chiese scusa, anche se non era stata colpa sua. In fondo lui si era limitato a urlarmi contro. La colpa era mia che mi ero tanto spaventato da non pensare più a dove stessi mettendo i piedi.

– Ti chiese scusa, quindi. E poi?

– E poi ogni volta che giocavamo a golf s'interessava della mia vita. Cosa facevo, se stavo bene, se ero contento, se avevo qualche problema. E poi mi dava consigli.

– Che genere di consigli?

– Per esempio come tenere mia madre al suo posto, come fare per emanciparmi da lei.

– Cercava di metterti contro tua madre?

– Beh, non proprio. Lui assecondava le mie necessità. Ero io che gli raccontavo di quanto non potessi più sopportarla.

– E voleva sapere anche di lei?

– No, in realtà no.

– Capisco. Quindi, la conclusione è che tu non lo odiavi come la maggior parte della gente.

– Con me era sempre abbastanza amichevole, quindi non ne avevo motivo. Ciò non toglie che mi rendessi conto benissimo del comportamento che assumeva con gli altri e che di conseguenza lo giudicassi un pazzo furioso. Anzi, più di una volta mi sono chiesto il perché del suo trattamento di favore.

– E?

– E niente. Me lo sono chiesto.

– E non l'hai chiesto a lui?

– No, meglio non svegliare il can che dorme.

– E non ti sei dato una spiegazione tua?

– Forse mi preferiva perché ho i capelli rossi come li aveva lui. In fondo era una persona semplice. Viveva di istinti primari. Era, come dire? molto terra terra.

– Già.

– Che altro vuole sapere?

– Vorrei sapere se sei stato tu a fracassare il cranio a Terciero Lopez, ma immagino che non me lo diresti mai, con le buone.

Tomas scoppiò a ridere.

– Commissaria Torres, lei è una grande!

– Sì, grazie, e adesso tornatene al lavoro, prima che mi resti sulla coscienza anche il tuo licenziamento.

Consuelo si domandò insistentemente se tutto quello che Tomas le aveva raccontato non fosse un castello di menzogne. Aveva bisogno di una prova, anche una sola. E per il momento non saltava fuori.

 

Nel pomeriggio si presentò Navarro con un colorito che dava più sul verde che sul rosa. Una tonalità che gli aveva già visto altre volte.

– Come procede? – domandò.

– Alla festa dei coniugi Castro hanno scattato molte foto con una digitale. L'ora impressa sulle foto prova che Isabella Amenábar è stata assente quindici minuti. Troppo pochi per accompagnare il figlio, arrivare da Terciero, ucciderlo, cambiarsi d'abito e tornare alla festa. L'unico sospettato resta Tomas. Ci ho parlato stamattina e non mi è sembrato che avesse un buon motivo per farlo fuori. Inoltre, nemmeno grazie a un raptus di rabbia cieca avrebbe potuto infliggere a Terciero quel genere di ferite. E poi è troppo basso. Secondo il medico legale, valutando l'angolazione dei colpi inferti, l'assassino dev'essere alto almeno un metro e ottanta e con dei muscoli possenti. Non vedo nessuno con queste caratteristiche tra i nostri sospettati.

– Mi stai dicendo che siamo ripiombati nel buio?

– Purtroppo ci siamo sempre stati.

– Ci sarebbe un'altra possibilità, che qualcuno di loro abbia assoldato un killer.

– Certo. Ne avete molti da queste parti?

...

– Bene. Allentiamo un po'. Stiamo a vedere che succede. Per qualche giorno occupiamoci d'altro.

– Come? Stai lanciando la spugna?

– No, ma è suonato il gong e ci mettiamo a riprendere fiato nell'angolo. Che ne pensi? E tu hai una quantità impressionante di ferie arretrate. Sarebbe il momento ideale per sfruttarne un po', così magari ti riprendi. Hai il colorito di un'oliva che ha preso poco sole.

 

Mentre Consuelo prendeva un caffè alla macchinetta, collocata in un angolo della sala grande, le capitò di ascoltare un frammento di conversazione tra Vazquez e Alonso. I due erano seduti alla stessa scrivania, quella centrale, con le teste chine l'uno verso l'altro, come se fossero impegnati a scambiarsi delle confidenze.

– Quello che non mi convince è che fosse in camicia. Faceva già freddo il 29 settembre. Eppure, niente vestiti lasciati sul ponte, niente messaggi di addio. Non so, è uno scenario strano.

– La corrente del fiume ti può spogliare in pochissimo tempo.

– Ma i soccorsi sono stati quasi immediati. Saranno passati cinque minuti. Abbastanza per affogare, ma non sufficienti perché la corrente lo spogliasse.

– C'era una testimonianza, aspetta che la cerco.

– Sì, hai ragione. Me la ricordo.

Vazquez si mise a scavare tra i fogli di una cartella. Entrambi preferivano affidarsi più alla carta che ai file di un computer. Infine trovò quello che cercava, mentre Consuelo gettava il bicchierino in un cestino. Poi si avvicinò alla scrivania dove gli agenti erano intenti a discutere. I due la videro e s'irrigidirono istantaneamente.

– Vi prego, continuate. Non badate a me.

Alonso si rilassò e scorse con gli occhi la testimonianza, fino a trovare il passo che cercava.

– Ecco, qui dice che l'uomo portava un cardigan, blue jeans strappati e scarpe bianche.

– Se il cardigan era aperto, è possibile che la corrente gliel'abbia strappato in fretta.

– Hai ragione.

– Peccato che nessuno abbia assistito al tuffo. Quest'altro testimone è arrivato subito dopo. L'unica cosa che ha potuto vedere era il tizio che urlava: "Si è buttato! Si è buttato!" e che poi è andato di corsa a chiamare la polizia.

Consuelo non poté fare a meno d'intervenire.

– E che dice la testimonianza dell'individuo che ha gridato?

– Non ce l'abbiamo.

– Come sarebbe?

– È sparito senza lasciare traccia.

Consuelo afferrò il secondo verbale. Lo lesse da cima a fondo e poi si stupì. Era firmato Vidal Iglesias.

 

L'hostal Venta Magullo era deserto. Vidal era seduto a un tavolino con una birra in mano e un quotidiano sportivo sotto gli occhi. Consuelo era entrata con il suo abituale passo felpato e dovette arrivargli a un metro di distanza prima che Vidal, concentrato nella lettura, si accorgesse della sua presenza.

– Consuelo! Come mai così presto? Vuoi una birra?

Consuelo si sedette di fronte a lui e gli mise sotto il naso il verbale.

– No, grazie. Cercavo proprio te. Nella tua testimonianza ci sono alcune lacune su cui vorrei fare chiarezza.

Vidal non si scompose.

– Dimmi pure. Cosa manca?

– La descrizione del tizio che urlava "Si è buttato."

– Già, nessuno me l'ha chiesta. Per quello che ricordo era un tipo di media statura, magro. Era vestito di scuro, forse blu o anche nero, non saprei. Quando ha urlato, mi sono precipitato a guardare giù dal ponte, quindi non gli ho fatto molto caso. Però il ragazzo non si vedeva più.

– L'uomo era bruno, biondo, giovane, anziano?

– Era scuro, mi pare. Non tanto giovane, forse sulla quarantina.

– Quindi ti sei affacciato ma non hai visto l'uomo annaspare nell'acqua e non hai visto se per caso si era spogliato prima di lanciarsi?

– No, non ho visto niente. La corrente se l'era già portato più a valle.

...

– Cosa c'è che ti turba?

– Lo sai che non ha lasciato un biglietto d'addio? I suicidi lo fanno sempre. Devono spiegare al mondo perché odiano la loro vita. Ma Adrian Garrido se n'è andato senza spiegazioni. Un mio agente ha forti dubbi che si sia suicidato. E a me i dubbi non piacciono.

– Ma non stavi indagando su Terciero Lopez?

– Mi sono presa un momento di pausa. Intanto mi tengo allenata su questo caso di probabile suicidio.

– Potrebbe essere una perdita di tempo.

Consuelo si congedò senza replicare.

 

Non era sua consuetudine seguire due casi simultaneamente, ma quello di Adrian Garrido le aveva provocato una specie di orticaria. Era d'accordo con Alonso, ma non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Si fece consegnare il fascicolo e se lo studiò con attenzione, lasciando in pausa l'altro che incombeva dal suo muro del pianto. Intanto Emilio si era messo in ferie, come gli aveva consigliato. La sua assenza la faceva sentire improvvisamente più libera, come se il suo vice avesse rappresentato per lei fino a quel momento una specie di freno a mano, un peso da trainarsi dietro. E non se n'era mai accorta.

Vazquez e Alonso le sedevano davanti. Li aveva chiamati per fare il punto della situazione. Entrambi erano suoi coetanei, Vazquez più robusto, flemmatico, bruno, con la pelle più scura; Alonso con i capelli leggermente più lunghi del dovuto, castano, atletico, scattante, con il sorriso sempre pronto.

– Che cosa sapete di Adrian Garrido che non sia nel fascicolo?

– Niente. È tutto scritto.

– Allora questa indagine è un tantino lacunosa.

– Perché?

– Non c'è niente della sua vita, qui.

– Era un tipo riservato. Aveva un piccolo laboratorio di ceramiche e viveva da solo, nel retrobottega.

– Ci siete stati?

– Sì, c'è andato Alonso.

– Alonso, cos'hai trovato?

– Molta confusione. Nel retro c'era un cucinino, e poi ci teneva un divano letto, un tavolino e una libreria stracarica di libri e fogli, tutto in pochissimi metri quadrati. Nel patio c'era un forno per le ceramiche e un sacco di materiale ammucchiato. La parte più ordinata era il negozio, con le ceramiche esposte su ripiani di legno e qualcosa appeso alle pareti libere. Non ricordo altro.

– Ci vorrei andare. Mi accompagni?

Alonso si alzò e si mise sull'attenti, scattando nel saluto militare.

– Agli ordini, commissaria.

Consuelo sospirò.

– Rilassati, Alonso.

 

Poco prima di giungere al ponte sul Clamores, Alonso parcheggiò.

– Se non le dispiace, commissaria, proseguiamo a piedi, perché trovare un parcheggio in mezzo a questi vicoli è una lotteria.

Consuelo ne approfittò per dare uno sguardo all'acqua che scorreva sotto il ponte. Anche Alonso guardò di sotto, commentando:

– Finalmente se ne sono andate.

– Chi?

– Le cicogne. Vuol dire che sta davvero iniziando l'inverno.

– Mi piace l'inverno.

– Io preferisco l'estate.

– Non avevo dubbi. Andiamo.

Consuelo sollevò gli occhi al palazzo d'angolo, che sembrava sostenere la campata del ponte. Vide di nuovo la stessa vecchina che osservava il panorama dietro i vetri del bovindo. Lei le sorrise. La vecchina la salutò agitando una mano.

– Alonso, sono stati interrogati gli inquilini di quel palazzo?

– No, commissaria. Abbiamo solo le due testimonianze dei passanti.

Imboccarono un vicolo che tagliava in direzione perpendicolare e poi un altro e un altro ancora.

– Se mi lasci qui sono persa.

– Non la lascerò, commissaria, non si preoccupi. E comunque basta seguire sempre la discesa per ritrovarsi al ponte.

In effetti, Consuelo aveva già il fiato corto per tutta la strada in salita che avevano percorso a passo svelto. Era decisamente fuori allenamento. Avrebbe dovuto iscriversi in palestra. Gli esercizi che faceva in camera non le bastavano più.

Per entrare nel laboratorio, Alonso si era ricordato di prendere le chiavi che tenevano in custodia.

– Come mai abbiamo le chiavi, Alonso?

– Non lo so, commissaria.

La vetrina del laboratorio era molto impolverata e aveva già iniziato ad assumere quell'aria che hanno i locali abbandonati, anche se erano passati appena due mesi dal giorno del suicidio.

Consuelo entrò in silenzio, con l'impressione di violare un luogo sacro. Tutti quei vasi, quei calici, quei piatti dai colori allegri stonavano intensamente con l'idea che il loro autore avesse deciso di abbandonare la vita. Dalle mensole di legno giungevano soltanto colori vibranti che infondevano buonumore: gialli, rossi, azzurri, arancioni, turchesi, che squillavano come trombe. Una tenda di perline altrettanto colorate divideva il locale dal retro. Consuelo passò oltre quella cascata arcobaleno seguita da Alonso.

– Ah, ma c'è anche un armadio.

– È vero, me n'ero dimenticato. Ma dentro ci sono solo vestiti.

Consuelo indossò i guanti di lattice che teneva sempre in tasca. Aprì le ante, che cigolarono sui cardini. Era un vecchio armadio di noce a due ante, incassato in una nicchia nel muro. All'interno erano appesi un giaccone in piumino, quattro paia di jeans, due giubbotti e tre cardigan con le tasche. Le tasche erano tutte slabbrate. Consuelo si ricordò improvvisamente del cardigan nell'armadietto di Terciero Lopez. Era un cardigan dello stesso tipo e con le tasche conciate allo stesso modo. Impilate sul ripiano c'erano un mucchio di magliette di cotone di tutti i colori. In un cassettone sottostante era sistemata la biancheria intima, altre magliette, calzettoni e scarpe custodite in sacchetti di plastica ben chiusi.

– Era più ordinato di me.

Consuelo sorrise.

– Hai cercato in quella libreria?

– Che cosa dovevo cercare?

– Non lo so. Finché non si trova non si sa.

– Capisco. Cerchiamo adesso.

– Sì, ma indossa prima i guanti.

– Ci comportiamo come se fosse un caso di omicidio?

– Ci comportiamo con cautela perché non si sa mai.

Alonso si avvicinò alle mensole. C'erano libri, qualche agenda degli anni passati, un paio di cornici in ceramica prive di foto, un acchiappasogni di legno, macramè e piume, appeso a un chiodo; una montagna di fogli con disegni e misure, circondati da spiegazioni, indicazioni a matita, sottolineature e frecce; progetti su carta a quadretti, fogli a righe grandi, pieni di una scrittura minuta e illeggibile; una sveglia, un cofanetto di legno.

– Lo apro?

Consuelo si avvicinò a lui per vedere di che cosa si trattasse.

– Sì, aprilo.

– Non si apre. È chiuso a chiave.

Consuelo se lo fece consegnare e se lo infilò in borsa.

– Se non troviamo la chiave, lo apriremo al commissariato.

Osservò le agende e le sfogliò una a una. Contenevano per lo più conti delle vendite, prenotazioni, qualche appuntamento, numeri di telefono.

– Era uno che scriveva parecchio. Perché non ha lasciato un biglietto d'addio?

Alonso sollevò le spalle, sconsolato.

– Qui non c'è niente. Ho guardato anche dentro il forno.

– E quella porticina?

– C'è un bagno microscopico.

Consuelo andò a sbirciare anche lì.

A un piccolo specchio con la cornice di ceramica era appeso un cuore di stoffa imbottita, che sembrava una presina da cucina. Consuelo se lo rigirò tra le mani.

– Imbarazzante.

– Sarà un regalo di San Valentino. Una volta ne ho regalato uno uguale.

– Davvero?

– Sì. Veramente era attaccato a una scatola di tartufi di cioccolato. Li fa una pasticceria del centro. A San Valentino li confeziona in scatole a forma di cuore e sul coperchio c'è attaccato quel cuore di stoffa.

– Interessante.

Prima di uscire, Consuelo osservò con attenzione il tavolo da lavoro sistemato nel patio riparato da una vetrata. C'erano una decina di vasi d'argilla grezza, già cotti, pronti da dipingere e tre piatti dipinti a metà. I barattoli del colore si erano seccati, con i pennelli ancora immersi. Uno straccio imbrattato era stato abbandonato vicino a quei barattoli.

– Sembra quasi che sia stato interrotto.

– È strano, vero?

– Sì, Alonso, è piuttosto strano.

Consuelo non riusciva a convincersi che Adrian Garrido avesse abbandonato a metà quel lavoro per andare a suicidarsi.

– Portiamoci in commissariato le agende. Voglio parlare con qualcuno dei suoi conoscenti.

La strada di ritorno era tutta in discesa e Consuelo riuscì a seguire il passo svelto di Alonso senza fatica. Giunti di nuovo al ponte, quasi per abitudine sollevò lo sguardo e la vecchina era sempre lì.

– Aspetta un attimo.

– Sì, commissaria, agli ordini.

– Alonso, rilassati. Voglio scambiare due chiacchiere con quella signora.

Consuelo le fece dei gesti per farle capire che voleva salire da lei.

La vecchina annuì e sparì dal bovindo. Consuelo e Alonso si avvicinarono al robusto portone e poco dopo udirono lo scatto della serratura. Non c'era ascensore. Si arrampicarono quindi per le scale dei due piani con passo spedito e si ritrovarono di fronte all'anziana signora che li attendeva sull'uscio. Li accolse con calore, come se fossero vecchi amici e dopo le presentazioni li fece entrare in casa, conducendoli proprio al bovindo, dove era sistemato un divano circolare fatto su misura. Era da lì che la vecchina guardava il mondo fuori.

Consuelo arrivò al punto girandoci un po' intorno, con cautela. La vecchina si fece meno allegra.

– Sì, ho visto tutto. Mentre il ragazzo attraversava il ponte, gli è andato incontro correndo un uomo tutto muscoli con una gran massa di capelli rossi. Sembrava un leone. Hanno discusso per un attimo, poi il ragazzo ha tentato di scappare, ma l'altro l'ha afferrato per la giacca, tanto da sfilargliela, ma poi l'ha rincorso ancora e l'ha ripreso subito. A quel punto l'ha spinto verso la balaustra così forte che il ragazzo ha fatto una specie di capriola ed è cascato di sotto. Il leone si è affacciato a guardare in acqua, poi si è girato e ha urlato qualcosa a un altro tizio che stava arrivando. Subito dopo ha raccolto la giacca che era finita per terra ed è corso via. Non l'ho più visto.

– E l'altro signore?

– Si è affacciato anche lui al ponte e poi è corso di sotto. Poco dopo è arrivata anche la polizia. Tutto qua.

– La ringrazio, signora Alba. È stata molto utile. Grazie davvero.

Alonso, che era rimasto in piedi, azzardò una domanda.

– Signora, aveva mai visto prima quel ragazzo?

– Sì, passava tutti i giorni dal ponte. Credo che abitasse qui vicino.

– E l'altro? Il leone?

– Quello lo vedevo raramente.

– Ma saprebbe riconoscerlo se le mostrassi una foto?

– Certo.

Consuelo riprese in mano la situazione.

– Metteremo per iscritto la sua testimonianza e domani il mio collega tornerà per fargliela firmare. Va bene?

– Va bene. Mi fa piacere che qualcuno si sia deciso a venirmi a trovare. Ormai non ci speravo più.

– Che vuol dire? Aveva già avvisato qualcuno di aver visto l'accaduto?

– Certo. Ho chiamato la polizia e ho raccontato tutto. Non siete venuti per questo?

Uno sguardo imbarazzato passò tra Consuelo e Alonso.

– Sì, certo. Ma a volte abbiamo così tanti casi da seguire. Ci scusi per il ritardo.

L'assenza delle cicogne rendeva silenzioso il ponte sul Clamores. Consuelo si affacciò appoggiando i gomiti al parapetto. L'agente si affacciò accanto a lei.

– Che ne pensi, Alonso?

– Posso dirglielo sinceramente, commissaria Torres? Questo è un caso in cui preferirei non dover pensare niente.

– Ti capisco.

– E lei che ne pensa?

– Penso che il racconto della signora Alba mi ha fatto venire in mente Terciero Lopez. Quanti uomini ci saranno in giro per Segovia che rispondono a quella descrizione?

– Non molti, credo. E infatti ho pensato subito a lui anch'io.

– Già.

– E adesso che facciamo?

– Ci sono un paio di cose che dobbiamo fare. Domani porti con te una foto di Terciero Lopez, così vediamo se lo riconosce. Quando arriviamo in ufficio, tu scrivi il verbale in due versioni, una in cui lo riconosce nella foto e l'altra senza. Così risparmiamo tempo. Un'altra cosa da fare è aprire questo cofanetto. Poi vediamo.

Si staccarono dalla balaustra in perfetta sincronia.

Consuelo continuava a pensare al cardigan.

– E io devo tornare alla Faisanera. Voglio confrontare il cardigan che abbiamo trovato nell'armadietto di Terciero Lopez con quelli appesi nell'armadio di Adrian Garrido. Poi passeremo tutto alla scientifica.

Intanto si domandava perché nella testimonianza di Vidal la descrizione dell'uomo sul ponte fosse tanto diversa da quella della signora Alba.

 

Pioveva. Vidal si offrì di dare un passaggio a Consuelo, quella mattina, ma lei preferì andare da sola. Prese l'autobus e non si bagnò nemmeno tanto. Una volta al commissariato, si avvicinò a Vazquez, che era già seduto alla scrivania.

– Hai visto Alonso?

– Sì, ma è già andato via. Posso fare qualcosa anch'io?

– Ti ha detto dove andava?

– Sì, da quella nuova testimone che avete trovato ieri.

– Bene. Ti ha messo al corrente anche della telefonata che la signora ha fatto qui al commissariato?

– Sì. Non capisco chi possa aver lasciato correre su una testimonianza così importante. Comunque le telefonate sono tutte registrate. Stavo proprio cercando tra quelle di quel giorno.

– No, lascia perdere. Invece vieni con me. Devo tornare alla Faisanera. Anzi, vai a preparare la macchina. Io faccio una telefonata e arrivo.

Aspettò che Vazquez si allontanasse e iniziò ad armeggiare con i file. Non c'era nessuna chiamata della signora Alba, né quel giorno, né quello dopo. L'avevano già cancellata. Cominciò a sospettare di Vazquez. In fondo l'aveva trovato con le mani nel barattolo della marmellata. Per un attimo Consuelo si sentì inadeguata. Per colpa della sua negligenza avevano mancato di trattare quel caso con la dovuta cura. E quali erano state le conseguenze? Consuelo era certa che a uccidere Adrian Garrido fosse stato Terciero Lopez. La descrizione era troppo precisa. Già, ma quella di Vidal era totalmente diversa. Secondo lui l'uomo era di media statura, magro e bruno. Niente a che vedere con Lopez. D'altra parte, che motivo aveva la signora Alba di raccontare una panzana? Grazie a quella testimonianza, avrebbero potuto arrestare Lopez molto in fretta, e se l'avessero arrestato probabilmente sarebbe stato ancora vivo. Ma forse stava andando troppo in fretta. Non era detto che la signora Alba riconoscesse il leone nella foto di Terciero. Eppure per lei era ormai una certezza. Intanto sarebbe andata a riprendersi il cardigan alla Faisanera. Se lo ricordava troppo simile agli altri visti nell'armadio di Adrian. Con ogni probabilità si trattava del cardigan che Lopez gli aveva sfilato durante il loro breve scontro.

In un primo momento, Vazquez l'aveva aspettata col motore acceso e i tergicristalli in funzione, ma poi aveva spento e si era rassegnato all'attesa, meditando sulla strana situazione che si era creata. Quando Consuelo lo raggiunse, sedendosi al posto del passeggero, Vazquez avviò di nuovo il motore e uscì dal cortile.

– Commissaria Torres, secondo lei, il caso Garrido e il caso Lopez non potrebbero essere collegati?

– Spiegati meglio.

– Ecco, se ammettiamo che l'uomo che ha buttato giù dal ponte Garrido era Lopez, e lui guarda caso è stato ucciso pochi giorni dopo, non potrebbe essere che l'abbiano fatto fuori per vendetta? Una specie di regolamento di conti, intendo. Che ne pensa?

– La penso esattamente come te. E della telefonata della signora Alba che ne pensi?

– Non so che dire. Mi sono così incazzato quando Alonso me l'ha detto, che mi sono subito messo a cercare la registrazione per capire chi era stato quel coglione. Scusi il termine. Ma di quella chiamata non c'è traccia. Non potrebbe darsi che la signora Alba invece di chiamare la polizia abbia chiamato qualcun altro? In fondo è una vecchia signora, potrebbe aver fatto confusione. Anche la descrizione dell'uomo è totalmente diversa da quella che ha fornito l'altro testimone.

– Lo so, lo so. Ma tu cerca ugualmente di scoprire se qualcuno ha ricevuto quella chiamata. Va bene?

Vazquez annuì. Consuelo sospirò. Vazquez stava tentando di delegittimare la sua testimone? Secondo lui era una vecchia signora un po' svanita, che s'inventava le cose per passare il tempo, che stava tutto il giorno dietro i vetri del suo bovindo a guardare quelli che passavano sul ponte. Poteva aver fatto confusione, certo. Ma nonostante tutto, in lei il dubbio era stato sostituito dalla certezza. Però non sapeva più di chi fidarsi, e non c'era condizione peggiore nella quale lavorare.

La giornata, del resto, era appena iniziata e le doveva ancora esibire le sue sorprese migliori. Poco dopo, Isabella Amenábar accolse la sua richiesta con una risatina nervosa.

– Ma le pare che possiamo tenere un armadietto inutilizzato per tutto questo tempo? È stato assegnato a un nuovo socio, naturalmente.

– E il contenuto adesso dov'è?

– E lo chiede a me? L'avete sequestrato voi e non sapete dove l'avete messo?

Lo stupore aiutò Consuelo a trattenersi dal rispondere in modo scortese.

– Mi sa descrivere l'agente che ha compiuto il sequestro?

– Mi dispiace, io non c'ero.

– Mi può far parlare con il suo collaboratore che gli ha aperto l'armadietto?

Isabella Amenábar li condusse al bar. Scambiò un paio di frasi con la ragazza che era dietro il bancone e se ne andò salutandoli appena.

– Io veramente non ho visto nessuno.

La ragazza li guardò, indecisa se continuare.

– La signora Amenábar sostiene che il contenuto dell'armadietto di Lopez è stato sequestrato e che quel giorno lei era presente, signorina. Se è vero, come ha fatto a non vedere?

– Io ho solo risposto al telefono. Un agente mi ha detto che sarebbe venuto, ma poi non ho visto nessuno. Però il giorno dopo abbiamo trovato l'armadietto aperto e vuoto.

– Le ha detto il suo nome?

– Non me lo ricordo, o non l'ho capito.

– Peccato. Ma se non l'ha visto lei e la signora Amenábar non era presente, chi può averlo accompagnato?

– Nessuno. Quel giorno c'ero solo io e per coprire tutta la giornata ho fatto due ore di pausa al mattino e due ore al pomeriggio. Può darsi che sia venuto quando non c'ero.

– E come avrebbe fatto ad aprire l'armadietto?

– Non saprei. Forse era già aperto.

Consuelo non riuscì a ricordare se dopo l'ispezione che aveva compiuto con Emilio l'avessero richiuso.

Una volta in macchina, osservò Vazquez.

– Sei venuto tu a spulciare nel computer dell'amministrazione, vero?

– Sì, commissaria.

– Non è che hai avuto la possibilità di curiosare nell'armadietto di Lopez?

– No. Che Lopez avesse un armadietto qui l'avete scoperto solo dopo, si ricorda? Siete venuti a ispezionarlo proprio lei e il vice commissario. E quel giorno io e Alonso eravamo a casa di Lopez per ripetere la perquisizione, anche se già la prima era stata approfondita come mai ne avevamo fatte. È stato quando abbiamo trovato la foto della signora Amenábar da giovane, con il figlio piccolo.

– Sì. Mi ricordo perfettamente.

Vazquez avviò il motore.

– Merda!

Vazquez sobbalzò.

– Che succede?

– Niente!

– Commissaria, che ha?

Il ronzio del suo cellulare risparmiò a Consuelo di rispondergli.

Alonso aveva appena lasciato l'appartamento della signora Alba, che aveva riconosciuto il leone. Siccome quel giorno si sentiva un po' Sherlock Holmes, aveva preso l'iniziativa di bussare a tutte le porte del palazzo e aveva trovato un altro inquilino che aveva assistito alla scena, ma siccome era uno che si faceva gli affari suoi, non l'aveva comunicato a nessuno. La versione della signora Alba adesso era sostenuta da un altro testimone oculare. Consuelo chiuse la telefonata, lasciandosi sommergere da una consapevolezza che la metteva sottosopra.

– Ok. Ragioniamo con calma.

Vazquez la osservò un attimo con la coda dell'occhio.

– Dunque è stato Lopez?

– Sì, il caso Garrido è ufficialmente un caso di omicidio, e conosciamo l'assassino. Adesso non ci resta che scoprire l'assassino dell'assassino.

Ormai non si trattava più di mettere a tacere qualche dubbio, si trattava di convivere con un tarlo che le aveva iniziato a trapanare il cervello. Consuelo sapeva però che le servivano prove, e intuiva dove avrebbe potuto trovarle. Ma era un incredibile azzardo. E se si fosse sbagliata? Sarebbe stata una vera catastrofe. Anzi, lo sarebbe stata in ogni caso.

Appena rimesso piede nel suo ufficio, mise in moto la scientifica, mandandoli nel laboratorio di Adrian.

A Julian Romero, appena rientrato da un paio di giorni di ferie, chiese di scassinare il cofanetto di Adrian. Mentre Consuelo ne studiava finalmente il contenuto, delusa alla vista delle banconote, lui li guardò spaesato.

– Ma che è successo qui?

Consuelo richiuse il coperchio del piccolo forziere con un gesto di stizza.

Vazquez, aggiornalo. E tu, Alonso, vieni con me.

– Agli ordini, commissaria.

– Alonso, per favore, rilassati.

Consuelo chiuse la porta del suo ufficio. Non lo faceva mai.

– Adesso io e te spulciamo i numeri di telefono di queste agende, li mettiamo sul computer con i nomi dei contatti e poi telefoniamo a tutti. Voglio conoscere ogni aspetto della vita di Adrian.

– Agli ordini, commissaria.

Consuelo lo guardò di traverso.

– La prossima volta che lo dici ti condanno a una multa pecuniaria.

– È la forza dell'abitudine, commissaria. Che ci posso fare?

– Vedi di farci qualcosa, perché mi urta i nervi.

– Va bene. Ci starò attento.

– Grazie. Io detto e tu scrivi.

Lavorarono con metodo, in ordine alfabetico, e quando giunsero in fondo alla B, Consuelo trovò un nome fin troppo conosciuto, quello di Enrique Blanco.

– Però! Il giovane Enrique e Adrian si conoscevano. Voglio chiamarlo subito.

Ma il telefono suonò a vuoto.

Consuelo e Alonso trascorsero alcune ore al telefono, finché non ebbero un quadro lievemente più chiaro. Adrian riportava sulle agende tutti i contatti telefonici dei suoi clienti, anche di quelli che si erano limitati a comprare un portachiavi. Nessuno di loro sapeva un granché di lui, tranne un paio di clienti che gli avevano commissionato dei lavori su misura e che per questo l'avevano frequentato un poco più a lungo. Ma le informazioni acquisite erano generiche e inutili. Consuelo desistette. In quelle agende non c'era traccia degli amici di Adrian. Sicuramente i suoi contatti più importanti erano registrati altrove.

– Sarebbe stato bello trovare il suo cellulare.

– Sarà in fondo al fiume.

– Non ho più chiamato Enrique Blanco. Vediamo se adesso mi risponde.

Enrique Blanco rispose. E fu l'unica telefonata illuminante.

 

Come a volte accade, dopo un lungo periodo di acqua stagnante, ecco arrivare un vento di tempesta che solleva onde e spruzzi.

Consuelo trovò il Covo dei Pirati particolarmente accattivante. Era il genere di locale che preferiva. Defilato, nascosto in mezzo ai vicoli, tutto legno, barili e luci soffuse, l'odore di birra come una nebbia invisibile che avvolgeva tutto. C'erano gli amici di Adrian. Si era fatta accompagnare da Enrique, che glieli presentò. E finalmente fece la conoscenza di Adrian, o meglio del ricordo che i suoi amici avevano di lui. Nessuno di loro aveva mai creduto alla teoria del suicidio, perché lo conoscevano troppo bene. Nessuno di loro aveva mai visto il suo compagno segreto, ma riferirono la descrizione che ne aveva fatto lui stesso e questo le bastò.

Poi arrivarono anche le conclusioni della scientifica, che oltre alle impronte digitali di Adrian ne aveva trovate altre di sicura appartenenza. Il resto degli esami avrebbe dato risultati nei giorni seguenti. Il suo tarlo si acquietò, ma solo per lasciare il posto a un insopportabile disagio.

 

La stanza dell'hostal quella sera le sembrava stretta e soffocante: vi si aggirava come una belva in gabbia. Consuelo sentiva la necessità impellente di parlare con qualcuno che fosse completamente al di fuori di quell'incubo in cui si sentiva calata a forza. Pensò all'unico che potesse capirla e aiutarla, Rey Delgado.

Si aggrappò al telefono come a un'ancora di salvezza. La voce di Delgado non tradì alcuna sorpresa.

– Ho bisogno di un consiglio.

– Di già?

La risata di Rey, quella canzonatoria ma affettuosa, le giunse all'orecchio forte e chiara, come se lui si trovasse nella stanza accanto.

– In quale guaio sei riuscita a ficcarti in così poco tempo?

– Un guaio grosso, Rey. Ho bisogno di una parola di conforto.

 

Per la prima volta da che era arrivata, Consuelo uscì con la sua squadra al completo.

A metà mattina il sole faceva capolino da una coltre di nuvole color grigio topo. Sembrava volesse scatenarsi da un momento all'altro uno di quegli acquazzoni che ci si ricorda per anni.

Pelayo scodinzolò fino alla porta un attimo prima che suonasse il campanello e abbaiò all'unisono.

Emilio guardò dallo spioncino e fischiò per la sorpresa.

Consuelo gli sorrise.

– Ti disturbo?

– Ma che dici? Entra. Mi sto annoiando a morte.

– Pensavo che ti saresti fatto un viaggio da qualche parte – disse, chiudendosi la porta alle spalle.

– No, odio viaggiare. Ma odio anche ciondolare per casa tutto il giorno. Vado a passeggio con Pelayo mattina, pomeriggio e sera, ma per il resto, mi annoio. Siediti.

– Non leggi?

– In questo periodo non mi va. Non mi va di fare niente. Dormirei e basta. Ma dimmi, come vanno le cose al commissariato?

– Ce la caviamo.

– Ti va un caffè?

– No, grazie. Sono passata solo perché ho un paio di curiosità da soddisfare. Ti ricordi l'armadietto di Lopez alla Faisanera?

– Sì, certo.

– Sai per caso dove abbiamo depositato il contenuto sequestrato?

– Abbiamo sequestrato il contenuto? Davvero? Non mi risulta.

– Beh, così sostiene Isabella Amenabár. Dunque, se non l'abbiamo sequestrato noi, è sparito.

– Che importanza ha? Non c'era dentro niente di utile.

– Invece sì. Ci serve il cardigan, te lo ricordi? Quello con le tasche deformate.

– Ma non c'era niente nelle tasche.

– Lo so, ma quel cardigan apparteneva a Adrian Garrido.

Emilio sprofondò nella poltrona su cui era seduto.

– Come fai a dirlo?

– Ce n'erano altri nel suo armadio, esattamente uguali. Adrian aveva l'abitudine di andarsene in giro con le mani sprofondate nelle tasche e le viziava sempre allo stesso modo.

– E se anche fosse, che diavolo ci faceva un cardigan di Garrido nell'armadietto di Lopez?

– Forse non sapeva dove metterlo, dopo averglielo sfilato durante lo scontro fisico che l'ha indotto a spingerlo giù dal ponte.

– Cosa?!

Emilio si sporse dalla poltrona.

– Mi stai dicendo che Lopez ha ucciso Garrido?

– Sì.

– Hai le prove?

– Ho due testimoni.

– C'è qualcosa che non mi convince. Vidal è stato uno dei testimoni e non ricordo che...

Consuelo lo interruppe.

– Abbiamo altri due testimoni. Vidal ha visto un uomo che dava l'allarme, ma non era lo stesso che l'ha buttato giù dal ponte. Oppure l'ha visto, ma ha dichiarato il falso. E allora mi domanderei perché. Forse Vidal era complice di Lopez?

– Vuoi scherzare? Lo escludo. Probabilmente è arrivato dopo il fatto e quindi ha visto solo un passante che dava l'allarme.

– Sì, preferisco questa versione. Anche se poi ce ne sarebbe un'altra.

– Quale?

Lo sguardo di Emilio era entrato in modalità guerriero masai. Consuelo si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro.

– Quella che Vidal abbia visto tutto. Sì, ha visto passare Adrian Garrido, che anzi, l'ha sorpassato, perché aveva fretta di tornare al laboratorio, dove aveva lasciato un lavoro a metà. Vidal lo conosceva. Conosceva anche l'uomo che si è precipitato su Adrian, perché ci giocava a golf. Ti ha chiamato immediatamente e tu sei arrivato in meno di cinque minuti. Devi aver passato molti semafori col rosso.

– Sei davvero fantasiosa.

– Non sai quanto! Non mi chiedi perché secondo me Vidal lo conosceva? No? Te lo dico lo stesso. Perché Adrian era il tuo compagno. E Terciero era un delinquente incallito: l'idea di arrestarlo e di farlo finire in prigione per qualche altro anno, non ti poteva bastare. Volevi che pagasse il suo conto con gl'interessi, che sparisse una volta per tutte. E così ci hai pensato tu. Ti è bastato insabbiare la telefonata di una donna che diceva di aver visto tutto e far sparire il cardigan di Adrian che avevi già cercato nell'appartamento di Lopez, senza trovarlo. La testimonianza di Vidal, il tuo più caro amico, ha fatto il resto. Caso di suicidio da archiviare. Quante volte l'hai ripetuto all'agente Romero? Tante che poi l'hai mandato in ferie per togliertelo di torno e affidare finalmente questo compito a qualcuno che ti avrebbe obbedito. E l'hai ordinato ad Alonso, ma anche lui non è riuscito ad archiviarlo immediatamente, perché aveva dubbi che non lo lasciavano tranquillo e purtroppo per te mi ha contagiato. Mi dispiace sinceramente per quello che ti è successo. Davvero. Posso capire la tua disperazione e anche la tua rabbia, persino la tua sete di vendetta, ma tu non sei al di sopra della legge. E adesso devo arrestarti.

– Davvero?

Emilio si gettò con uno scatto improvviso su Consuelo, proprio mentre Alonso e Vazquez, che avevano aspettato fuori, irrompevano in casa con le armi spianate per darle manforte. Ma lei era pronta alla lotta, che durò solo pochi secondi. Gli agenti dovettero limitarsi a seguire lo scontro, fino a che Emilio non fu a terra con le mani ammanettate dietro la schiena. Pelayo abbaiò appena. Alonso e Vazquez la guardarono stupiti. Non aveva nemmeno un capello fuori posto.

Fu in quel momento che Alonso s'innamorò di lei.

Vazquez mormorò:

– Ma come ha fatto?

Consuelo fece finta di non sentire. Indossò i guanti di lattice e cominciò ad aprire cassetti e armadi, mentre Vazquez portava via Emilio Navarro. Alonso restò accanto a lei. Trovarono il cardigan di Adrian nel guardaroba dell'ingresso. In una tasca, non più vuota, c'era un cuore di stoffa imbottita, gemello di quello appeso allo specchio nel piccolo bagno di Adrian. Consuelo e Alonso si scambiarono uno sguardo senza fiatare. Quel cardigan era appartenuto certamente ad Adrian. Emilio aveva capito che se qualcuno avesse associato il caso Lopez al caso Garrido, prima o poi sarebbe arrivato a lui, per questo l'aveva fatto sparire. In un cassetto in soggiorno trovarono quattrocento euro. Consuelo avrebbe voluto sapere se li aveva prelevati dalle tasche di Lopez per far ricadere i sospetti su Enrique o Letizia. Ma perché li teneva nel cassetto? Avrebbe anche potuto spenderli. Nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma forse era solo una sua congettura. La famosa carta ricaricabile di Lopez era accanto alle banconote. Emilio l'aveva sottratta sicuramente durante la perquisizione, ma a che scopo? Solo per confondere le acque? Ma di sicuro era stato grazie a quella tessera che aveva potuto aprire l'armadietto alla Faisanera, in un momento in cui non c'era nessuno. Nel cassetto c'era anche una foto impreziosita da una cornice di ceramica arcobaleno, dai colori inconfondibili. Il sorriso di Adrian e quello di Emilio erano molto simili. Il sorriso di due persone che si amano. Perdere Adrian in quel modo assurdo doveva essere stato incredibilmente doloroso per Emilio. Consuelo comprendeva come ci si potesse trasformare in giustizieri, ma non aveva potuto comportarsi diversamente. Le leggi esistevano per questo. Anche quando sembravano stupide, blande, o astruse, dovevano guidare i loro passi. Eppure, pensandolo, non si sentiva del tutto sicura. Consuelo sospirò.

– Chiamo la scientifica?

– Sì, Alonso. E poi dobbiamo arrestare anche Vidal Iglesias e trovare una sistemazione per Pelayo.

Il cane guaiva dietro la porta.

 

Il magistrato fu subito del parere di trasferire altrove il caso di Emilio Navarro. Era troppo delicato per darlo in pasto alla stampa locale. Consuelo concordò pienamente con la sua decisione. Nel frattempo Navarro sarebbe dovuto rimanere in una cella del commissariato di Segovia e non dovevano trapelare indiscrezioni. Quando Consuelo lo riferì alla sua squadra, non ci fu bisogno d'insistere sulla necessità di mantenere il riserbo sull'intera vicenda. I suoi uomini avevano il morale sotto i piedi e lei più o meno alla stessa altezza. Avrebbe di gran lunga preferito non risolvere quel maledetto caso. Perché era capitato proprio a lei?

 

Quasi contemporaneamente Emilio si poneva la stessa domanda. Perché era capitato proprio a lui? Era tutto perfetto. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla. Le sue indagini sarebbero apparse accurate eppure non avrebbero condotto a niente. Un suicidio e un omicidio senza colpevole. Casi archiviati nel giro di pochi mesi, e poi dimenticati. E invece Emilio aveva dovuto cedere le redini alla nuova commissaria, che non aveva alcuna intenzione di lasciar correre, era ovvio, era la sua prima indagine, non poteva, non doveva fallire. Emilio si sdraiò sulla cuccetta con le mani incrociate dietro la nuca, lo sguardo al soffitto, che era leggermente crepato. Trattandosi di un edificio nuovo, era davvero vergognoso. Le crepe sembravano la ragnatela tessuta da un ragno ubriaco. Emilio chiuse gli occhi. Cosa lo aspettava? Anni e anni dentro una cella come quella o più probabilmente peggiore. Ma togliere Lopez dalla faccia della terra era stata la cosa più giusta che avesse mai fatto. Non provava alcun senso di colpa, anzi. Come aveva detto quella ragazza? Risponde al mio senso della giustizia. Sì, è così. Ho fatto giustizia. Ho avuto la mia vendetta. Vendetta o giustizia? Le due cose insieme. Ci avrebbe riflettuto. Ne avrebbe avuto tutto il tempo.

Emilio sospirò. Davanti a lui l'immagine di Adrian che iniziava a sfumare. Eppure i suoi ricordi restavano nitidi, scolpiti in modo indelebile nella sua mente, con gli sfondi illuminati, gli odori, i colori, i rumori, le voci. La voce di Adrian, la sua giovane vita entusiasta, il suo incredibile amore. Quell'amore che lui aveva voluto mantenere segreto, non sapeva neanche perché. I loro incontri clandestini alle ore più impossibili, nel retrobottega del suo laboratorio, quel microcosmo in cui c'era tutto ciò di cui avesse bisogno. Adrian non sentiva la necessità del superfluo, aveva la sua arte, i suoi colori da mescolare, la sua creatività senza limiti. Era un sognatore. Lo spazio interiore è infinito, diceva. Non aveva bisogno di cercarlo fuori. Perché, allora, quella notte erano usciti? Perché si erano fermati sul ponte del Clamores? Perché si erano baciati proprio là? Un caso disgraziato. Il destino. Quanti uomini come noi si baciano agli angoli delle strade, sui ponti, davanti ai portoni? E non succede niente. Solo per loro la mannaia del boia era calata a distruggere tutto, per un misero bacio. Lopez era passato sul ponte, li aveva visti e, ubriaco com'era, si era scagliato contro di loro urlando oscenità, aggredendoli anche se erano in due. Emilio aveva dovuto estrarre la pistola, perché desistesse, ma non prima di avergli assestato un pugno alla mascella. Emilio si era illuso che quel pugno e la vista della pistola avessero riportato Lopez alla ragione. Ma Lopez gliel'aveva detto subito che l'avrebbero pagata, che si sarebbe vendicato, che non finiva lì. Gliel'aveva detto in faccia, ma Emilio l'aveva sottovalutato. Era solo un ubriaco, che il giorno seguente non si sarebbe neppure ricordato come si fosse procurato quel livido. Sì, disgraziatamente l'aveva sottovalutato. Lopez aveva incontrato Adrian da solo e Adrian non sapeva difendersi. Adrian odiava la violenza, odiava battersi. E Lopez l'aveva scaraventato nel fiume. Vidal aveva visto tutto. Vendetta, sì, si era trattato di vendetta. Ma era stata la cosa più giusta che avesse mai fatto. Non se ne sarebbe mai pentito. Era una notte che ripercorreva nella memoria ogni volta che Adrian gli mancava tanto da non poter respirare più.

...

Esistono notti che non sono uguali alle altre, perché racchiudono l'attimo che cambierà il futuro per qualcuno e lo interromperà per qualcun altro. Quella era la notte giusta.

Camminava rasentando i muri, a passo spedito nel buio, passando veloce sotto i coni luminosi dei lampioni, le mani guantate sprofondate nelle tasche, le dita strette attorno al ferro da cui traeva coraggio e determinazione. Mentre camminava verso la sua destinazione, era pervaso da un tranquillo senso d'aspettativa e persino da una gioia leggera. Quella era la notte giusta.

Aveva bussato. Aveva piantato la pistola in faccia a Lopez, che gli aveva aperto la porta. Gli aveva intimato di voltarsi di schiena, con le mani alzate e poi aveva chiuso la porta alle sue spalle.

...

 

Vedere Navarro seduto nella stanza degli interrogatori dalla parte sbagliata del tavolo, rattristò l'intera squadra. Tutti si erano ammassati nella piccola stanza rendendo l'atmosfera soffocante. Consuelo si guardò intorno e decise di reagire.

– Agenti, tutti fuori.

– Ma commissaria, uno di noi deve restare.

– Ho detto tutti.

Quando gli agenti furono usciti, Consuelo si sedette davanti a Emilio.

– Mi dispiace. Davvero.

– Non ti preoccupare. Non mi pento di quello che ho fatto. È stato un atto di giustizia.

La sicurezza di Consuelo davanti alla parola giustizia vacillò.

– Sai, Emilio, probabilmente sono tante le cose che non ho capito, ma una soprattutto mi resta oscura. Che ci facevano le chiavi del laboratorio di Adrian qui in commissariato?

– Erano le doppie chiavi che mi aveva dato Adrian, così potevo entrare anche quando lui stava già dormendo. A volte capitava che andassi a trovarlo prima dell'alba, quando di solito non c'è in giro nessuno.

– Ma perché erano qui, e gli agenti ne erano al corrente?

– Volevo andare a farci una perquisizione con la squadra, in modo da cancellare le mie impronte, anche se dovevano essere dappertutto. Però, una volta fatta la perquisizione ci sarebbe stata una buona scusa perché fossero lì.

– Ma se avevi le chiavi perché non ci sei andato prima, da solo? Avresti potuto ripulire tutto senza che nessuno ti vedesse.

– Non pensavo che ce ne fosse la necessità. Avevo già programmato la perquisizione.

– E perché non l'hai fatta?

– Perché sei arrivata tu. Con te mi sembrava più importante tenere i due casi separati e fare in modo che ti smarrissi completamente in quello di Lopez. Solo che tu non ti sei persa nel labirinto che avevo preparato.

– Se Romero o Alonso avessero archiviato il caso, come tu chiedevi insistentemente, mi sarei persa, eccome. Ma quella tua insistenza mi ha dato da pensare. Se gli agenti nutrivano tutti quei dubbi, perché anziché aiutarli nelle indagini volevi con tanta determinazione che le interrompessero? Questo mi chiedevo. E poi ho capito.

– È colpa mia. Ero convinto di gestire io tutte le indagini e di chiudere i casi senza problemi. Non sarebbero state trovate prove di colpevolezza nei confronti di nessuno. L'archiviazione e la polvere avrebbero coperto tutto. E invece sei arrivata tu a guastarmi la festa.

– Mi dispiace, Emilio.

– No, non ti dispiace. Volevi dimostrare la tua professionalità, la tua bravura. Il tuo primo incarico doveva essere un successo a tutti i costi. Non è così?

Consuelo rimase muta. Si alzò e uscì dalla stanza.

 

Nonostante il caso fosse stato immediatamente trasferito alla giurisdizione di León, Consuelo trascorse un periodo poco piacevole. In commissariato s'instaurò un'atmosfera gelida e cupa. Ciascuno se ne restava sulle sue, senza quasi scambiare parola. Per qualche giorno lei si sentì perseguitata da sguardi accusatori. Poi decise che doveva parlare ai suoi agenti. Probabilmente se l'aspettavano fin dal giorno dell'arresto di Navarro. Uscì dal rifugio del suo ufficio e si piantò in piedi davanti alle loro scrivanie.

Romero, Alonso e Vazquez, uno alla volta, si accorsero della sua presenza e sollevarono lo sguardo su di lei. Era uno sguardo fiducioso e non vi lesse alcuna accusa.

– Sono molto soddisfatta di avervi nella mia squadra. Siete davvero in gamba. Mi dispiace per Navarro. Immagino che dispiaccia anche a voi, che lo conoscete da molto più tempo di me. Ma ditemi, avremmo potuto comportarci diversamente?

– No, commissaria. Abbiamo fatto quello che dovevamo.

– Allora perché ci sentiamo in colpa?

Alonso rispose per tutti.

– Perché Emilio Navarro era uno di noi e forse al suo posto avremmo fatto lo stesso.

...

– Ma adesso la vita continua. Ci sono altri casi che ci aspettano. Faremo sempre del nostro meglio, vero?

– Sì, commissaria Torres. Può contare su di noi.

 

Il mattino seguente, Alonso aspettò con ansia l'arrivo di Consuelo. Spiò il suo ingresso nell'ufficio e lo sguardo che dedicò ai fiori che avevano messo in bella mostra sulla sua scrivania. Alonso considerò il sorriso che le sbocciò sulle labbra come un regalo strettamente personale. Sul biglietto avevano scritto "Benvenuta al commissariato di Segovia". Il benvenuto era tardivo, ma significava che l'accettavano senza riserve a capo della squadra. La soddisfazione di Consuelo si tradusse in una telefonata al commissariato di Burgos. Doveva subito raccontarlo a Delgado.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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