AVVISO
  Questo  racconto, pur avendo
  una tematica e una voce narrante gay, contiene alcune scene apertamente
  allusive di erotismo etero. Se le storie e le immagini etero ti possono turbare o infastidire,
  non continuare. Lap Dance 
 Cari lettori (sempre se
  qualcuno mai mi leggerà), qualcuno di voi è mai stato in uno strip club per
  etero? Quanto sto per raccontarvi è l’incredibile storia di come un ragazzo
  chiaramente e consapevolmente gay abbia conosciuto momenti eccitanti ed
  intensi in uno di questi depravati localacci,
  assistendo ad una lap dance femminile. Non ci
  credete? Allora continuate a leggere! Comincerò dal principio. Ho conosciuto Vittorio
  all’università. Fisicamente non mi è dispiaciuto fin dalla prima volta che
  l’ho visto. Capelli neri, occhi neri, simili a due carboni ardenti, con uno
  sguardo che ti trapassava e ti bruciava, carnagione abbronzata, viso maschio,
  naso aquilino, mascella volitiva e, nella sua altezza media –un po’ più basso
  di me-, un fisico di tutto rispetto. Lo confesso, fu quello che per prima
  cosa mi colpì, i muscoli che facevano capolino sotto i vestiti, non gonfiati
  in modo ridicolo, ma notevoli. Non ha mai avuto buon gusto nel vestire, o
  piuttosto si può dire che ostentava con fierezza la propria superiorità e
  noncuranza rispetto allo stile. Ma aveva tutto l’aspetto di un uomo forte,
  insensibile al freddo, che portava maglie leggere anche d’inverno e, sotto,
  il fisico in bella mostra. Non era il classico coatto che ostenta
  intenzionalmente, anzi era sempre molto dimesso, semplicemente... i muscoli
  si vedevano perché stavano lì e non potevano non vedersi. Ma c’era molto di
  più. Quel portamento fiero da ragazzo di borgata anni ‘80/’90, quello stile
  out e un po’ trasandato, così anti-fashion ma dall’effetto così virile, la
  gestualità e il modo di fare, rude con somma naturalezza. Trasudava forza,
  irruenza, quasi aggressività, pur nel suo essere sempre tranquillo e discreto
  in pubblico, anche un po’ timido a modo suo. C’era qualcosa di intimamente
  sgraziato nella sua fisicità, sgraziato e proprio per questo conturbante con
  una forza quasi animalesca. E così la sua voce, rozza, leggermente impastata,
  possente quando l’alzava, ma con anche un’impercettibile nota infantile, un’inflessione
  romanaccia ma, inaspettatamente, un eloquio e un vocabolario forbiti, quasi
  paradossali su quella bocca. La sua figura aveva un che di ursino. Non mi riferisco all’uomo-orso nel senso corrente
  del termine, né nel fisico, in forma e muscoloso –mi ripeto, lo so-, a
  differenza del mio (non sono mai stato un efebo né un atleta), né nella
  barba, rasata, appena incolta alcuni giorni, né nella peluria che sembrava
  del tutto nella norma sulle braccia e anche sul petto, a quanto si lasciava
  intravedere tra gli ultimi bottoni, le rare volte in cui indossava una
  camicia e non una maglietta sportiva. Piuttosto ad un vero orso, l’animale,
  lasciavano pensare alcuni tratti rozzi del viso, la chioma corta, irsuta,
  pettinata all’indietro e soprattutto il carattere, il modo di fare, le
  movenze. Non mi riferisco ad un orsacchiotto cicciotto e bonaccione, ma ad un
  orso selvatico, che sta buono e ti guarda sornione, ma al quale chiunque ha
  il terrore di avvicinarsi, perché nel suo sorriso legge la ferocia sopita e sa
  che è pronto a balzare da un momento all’altro per avventartisi
  addosso, sbranarti e farti a pezzi. All’inizio l’ho visto
  schivo, taciturno. Stava spesso per conto suo o con un paio di amici. Poi,
  una volta, ho attaccato a parlarci per caso, nell’attesa di un esame. È stato
  cordiale e si è rivelato una sorpresa piacevole. E una persona interessante.
  Un ragazzo semplice ma molto colto, pieno di interessi, e anche un uomo
  d’azione. Ho apprezzato il fatto che tentasse di fare il simpatico, benché
  all’inizio mi sembrasse totalmente privo di umorismo, o forse dotato di un
  umorismo mal riuscito. O comunque incompatibile con il mio. Poi, conoscendolo
  meglio, mi sono accorto che era un po’ inibito, ma col tempo l’ho visto
  sciogliersi e ho potuto apprezzare il suo lato simpatico e vitale. Ma
  soprattutto -è un qualcosa che non saprei spiegare a parole e che
  contraddiceva ogni sua apparenza- quando parlavo con lui percepivo una bontà
  e un’apertura di cuore che mi venivano incontro e che in qualche modo mi
  riscaldavano dentro. Ho scoperto che buona
  parte del suo atteggiamento dipendeva dal fatto che non si trovava a proprio
  agio in quell’ambiente universitario. Lo diceva chiaramente e, a differenza
  che a me –che magari parlo male per divertissement
  ma alla fine sono tranquillo con tutti-, non c’erano molte persone che gli
  stessero simpatiche. Ma, per sua grazia e concessione, io credo di essere
  stato uno dei pochi a salvarsi. Così ho avuto modo di conoscerlo meglio. Non
  credo di poter dire che siamo mai diventati amici, non nel vero senso della
  parola almeno, ma abbiamo continuato a “cazzeggiare” insieme, spesso, e ho
  avuto presto modo di scoprire che simpatico e spavaldo bastardo fosse in
  realtà. Spesso facevamo due chiacchiere all’università, gli ho scroccato
  qualche sigaretta -senza che se ne mostrasse particolarmente infastidito,
  come lo era quando a scroccargliele erano altri-, abbiamo seguito dei corsi
  insieme, a volte abbiamo studiato insieme. Aveva davvero un bel cervello e
  una cultura a tutto tondo, a dispetto dell’apparenza non proprio da
  intellettuale. Qualche serata siamo usciti con altri colleghi. Ho anche
  conosciuto i suoi amici, un gruppo di energumeni rozzi, casinari
  e “cazzoni” (mi si perdoni il termine) anche più di
  lui.  Con il tempo, ogni volta
  che lo incontravo, la sua vicinanza cominciò a ispirarmi pensieri sempre più
  malandrini. Si accostava spesso quando mi parlava. Cercava il contatto
  fisico, col suo fare cameratesco. Spesso mollava pacche sulle spalle o sul
  petto, gesto che io, superata un’iniziale timidezza, iniziai a ricambiare,
  approfittandone per saggiargli il bel fisichetto.  Com’è facile intuire,
  avevo un debole per lui, anche se non credo di esserne stato consapevole sin
  dall’inizio. Ma ovviamente il tutto rimase sempre assolutamente innocente e
  soprattutto segreto, tra me e me, dacché Vittorio era inequivocabilmente e
  irremovibilmente eterosessuale e, dai discorsi che gli ho sentito fare, anche
  un po’ omofobo. Era anzi quel che la sotto-cultura maschilista definirebbe un
  “vero uomo”, assiduamente dedito, oltre ai tre giorni di palestra a settimana
  con cui si scolpiva il fisico, a partite di calcetto, arti marziali, bevute e
  bestemmie con gli amici,... risse da bar? Questo non l’ho mai saputo ma
  francamente non mi avrebbe stupito. E non dovevano mancargli le donne. Forse
  non era bello nell’accezione canonica del termine, ma sapevo che in giro
  svariate ragazze, incluse mie amiche, lo guardavano con interesse, irretite
  dal fisico palestrato e dal fascino rude, e non si esimevano dal fare di lui
  l’oggetto di sogni erotici selvaggi. Beh, forse anch’io, a parte l’aspetto,
  potevo essere annoverato tra quelle dissolute signorine dalla fantasia
  selvaggia, anche se mi sono sempre ben guardato dal dirlo in giro.  Lui era molto riservato e
  non l’ho mai sentito parlare volentieri della sua vita privata, soprattutto
  non con me che sono noto per essere una vecchia suocera pettegola. Ma dopo un
  po’ che ci conoscevamo, iniziò a lasciarsi andare a qualche commento, sempre
  abbastanza contenuto e signorile, sulle ragazze che vedeva. E io, che non
  avevo la benché minima intenzione di parlargli della mia omosessualità e che
  in ogni caso gli occhi ce li ho e il senso estetico anche, non esitavo a
  partecipare alla conversazione dicendogli la mia. Forse a volte, lo ammetto, caricavo
  un po’ su apprezzamenti erotici non realmente sentiti.  In seguito, un paio di
  volte capitò che raccontasse in mia presenza di sue avventure sessuali: era
  un tipo esigente, a quanto pareva, e dava molta importanza al lato erotico di
  una relazione. Lascio immaginare, mentre lo ascoltavo, dove la mia mente
  andasse a perdersi a volo d’uccello –mi si perdoni il gioco allusivo-.  Una volta l’ho sentito
  raccontare di un viaggio a Praga con gli amici e dei locali a luci rosse che
  vi aveva visitato: <<Abbiamo chiesto una ragazza al tavolo e... ci
  siamo fatti fare lo spettacolino! E quelle, figurati! Non gli pare vero di
  farlo per un pischello, di solito ci vanno sempre vecchi bavosi!>> Se
  il ‘pischello’ era lui, in effetti, non potevo biasimarle.  <<E dopo...?>>
  chiedeva un altro collega.  <<Dopo... niente! Io
  a pagamento non ce vado...>>  Che ragazzo di sani princìpi! <<...anche volendo
  non c’avrei i soldi! Ma tanto comunque ‘na palpata
  la dai!>> Che classe! È normale che,
  mentre lo ascoltavo, quelle immagini mi intrigassero? A volte lo vedevo parlare
  con una compagna di università, una bella ragazza bionda, e il mio sesto
  senso, che -quando si tratta delle vite altrui- non sbaglia mai, mi disse che
  se erano soltanto amici non lo sarebbero rimasti per sempre. E così fu.
  Stavano molto bene insieme e a quel punto la “rettitudine sessuale” di lui mi
  fu inequivocabilmente comprovata. Il che però non tratteneva la mia perversa
  immaginazione fuori dalla loro camera da letto. Nell’intimità lui era davvero
  il toro e il porcello che io immaginavo, e non solo io? Tra lui e la ragazza
  non erano tipi che si esimevano dal tubare e scambiarsi effusioni, anche
  alquanto disinvolte, in pubblico. Ma ovviamente, e giustamente, non vidi
  nulla di più.  E purtroppo non avevo mai
  neppure avuto occasione di vederlo nudo. Il fisicaccio si vedeva, ma sempre
  sotto i vestiti. Spesso attraverso la maglietta gli si intravedevano i
  capezzoli, sempre mezzi rizzati. Io impazzisco per i capezzoli. Un paio di volte
  l’ho visto che, mentre faceva conversazione, distrattamente, presumo, e
  inconsapevolmente, se li prendeva tra le dita e ci giocherellava. Per i veri
  uomini non deve essere un gesto erotico. Probabilmente molti di loro non li
  considerano neppure punti erogeni. Ma per me che gli stavo davanti... cazzo!! Quanto alle dotazioni
  basse, all’inizio non mi è venuto spontaneo guardarlo lì, forse perché sapevo
  che era un dettaglio che non mi avrebbe mai riguardato. Lui, con simpatica
  autoironia, spesso, anche assieme alla ragazza, si lamentava di avercelo
  piccolo. Ovviamente scherzava... o no? Stuzzicato nella curiosità alla fine
  il mio sguardo cadde lì per caso e... la materia prima in realtà sembrava
  esserci tutta, ma, certo, attraverso i jeans non si riusciva a vedere
  granché. E ovviamente dovevo essere molto discreto! Così gli anni di
  università passarono. Lo incontrai pochi giorni prima della mia laurea. Ero
  fuori da un aula con degli amici, ridevamo, lui chiese che succedeva. Gli
  spiegai che un’amica mi stava prendendo in giro, dicendo che per la laurea
  voleva regalarmi dei fiori, pur sapendo che li odio. <<A un uomo non si
  regalano fiori!>> obiettavo con aria fiera. <<No! ... a un uomo
  di solito si fa un’altra cosa!>> fece lui con un sorriso. <<Tipo,
  cosa?>> chiesi io, ingenuo. Lui scosse la testa, lanciando uno sguardo
  alle ragazze lì presenti: <<N’n se po’
  di’!>> Mi diede di gomito. Io aggrottai le sopracciglia a esortare un
  chiarimento. Lui si chinò e mi sussurrò all’orecchio: <<’na bella figa!>>. Poi si staccò, lasciandomi
  fluttuare nel profumo dolciastro di dopobarba che emanava sempre. Essenza
  dozzinale da supermercato, ma addosso a lui stava dannatamente bene. Per
  quanto non si curasse molto, era chiaramente attento alla pulizia e profumava
  sempre. Purtroppo a tutt’oggi non saprei dire al di sotto di quel deodorante
  che odore avesse, forse la sua stessa pelle aveva preso quell’odore. Ancora
  oggi, quando sento quel profumo non posso fare a meno di pensare a lui. Risi divertito: <<Va
  bene! Me la paghi te, allora! Ci conto!>> gli risposi.  Il giorno della laurea
  scherzosamente glielo richiesi. Lui rise, ovviamente non aveva i soldi per
  pagarmela. Non avrei immaginato, però, quanto quella promessa si sarebbe, a
  modo suo, adempiuta. 
 Da quando io finii
  l’università non ci vedemmo per un bel po’. Seppi che si era lasciato con la
  ragazza. Mi dispiacque per lui: erano una bella coppia e anche lei, a
  dispetto dell’impressione che mi aveva fatto all’inizio, era simpatica.  Fu una sorpresa quando, in
  un pomeriggio ozioso, ricevetti un sms di Vittorio. Mi diceva che la
  settimana successiva si sarebbe laureato e che gli avrebbe fatto piacere se
  ci fossi andato. Lo chiamai per dirgli di si.  <<Giovedì pomeriggio
  alle 4!>> mi fece lui <<Poi quando abbiamo fatto vi offro ‘na cosa al bar. Tanto te quando c’è da scroccà ci stai sempre, no?>>  <<E certo!>>
  gli risposi senza mezzi termini. Ci andai assieme a un
  amico e ad altri colleghi dell’università, i pochi che lui poteva soffrire.
  Ma lì era pieno di gente venuta per vederlo: un sacco di amici, parenti e
  conoscenti. Vittorio era delizioso con il suo completo color cachi. Non lo
  avevo mai visto in giacca e cravatta: soltanto lui riusciva a sembrare più un
  boss della mala che un gentleman.
  Nella mia indecenza glielo dissi, lui rise, anche se ebbi l’impressione di
  averlo leggermente ferito nell’orgoglio. Ma mi salutò calorosamente, contento
  che fossi lì. Salutai Fabrizio e Fabio, due suoi amici che già conoscevo, che
  erano lì con le rispettive fidanzate. Anche loro lo presero in giro:
  <<Ah Vittò, te manca solo il sigaro!>>  <<Mo’ me lo fumerei
  ‘n bel sigaro!>> fece lui. <<Se vuoi, ti do il mio di sigaro!>> lo apostrofò
  Fabrizio, ammiccando verso le proprie parti basse. Era il più indecente di
  tutti, un simpatico energumeno alto e rasato, di almeno 110 chili, che a
  dispetto di ogni verosimiglianza era lì insieme a una ragazza neppure troppo
  brutta.  Calò un silenzio
  imbarazzante. Evidentemente era il loro normale modo di scherzare, ma in quel
  contesto buona parte dei presenti, inclusi i miei amici, non dovevano
  reputarlo affatto consono. Non che li biasimassi, ma a me veniva solo da
  ridere.  <<Poi lo vogliamo
  anche noi, però!>> risposi alla battuta senza fare una piega, ma a voce
  abbastanza bassa da evitare di scandalizzare altri presenti ancora.  <<Attento Fabri, che Sandro apprezzerebbe...>> gli fece
  Vittorio ammiccando verso di me, probabilmente grato perché avevo salvato
  tutti dall’imbarazzo. Ovviamente era solo uno scherzo. Avevano tutti quel
  rozzo modo di giocare, forse inconsapevolmente omofobo, di chi crede che i
  gay non esistano o siano soltanto un universo parallelo.  <<Perché non hai
  visto il Vic come se dà da fa’ co’
  le donne. E in palestra pure coll’omini!>>  <<E certo perché se
  ‘n omo ce prova, è maleducazione dire di no!>>
   <<E non hai visto in
  palestra che fa Fabri>> faceva Fabio
  accennando ai pettorali un po’ abbondanti e “morbidi” dell’amico
  <<Certe spagnole!>>  <<Regà, ve prego: non me fate fa’ ‘la solita figura
  del...!>> cercò di contenerli Vittorio <<Siete pure vestiti
  precisi!>>.  <<Mo’ te faccio vedé come entro preciso alla tua laurea!>> rispose
  Fabio e si sbottonò mezza camicia ostentando fiero il petto villoso e
  muscoloso. Per fortuna eravamo nel cortile, abbastanza appartati perché non
  li vedessero tutti. Non sapevo se essere divertito, scandalizzato o... Per fortuna potei
  sottrarmi al disagio allontanandomi per salutare altri colleghi
  dell’università. C’era anche Giulia, la ex di Vittorio, con cui evidentemente
  erano rimasti in buoni rapporti, che mi venne incontro salutandomi con
  affetto. Infine fu il turno di Vittorio di discutere. Entrammo tutti
  riempiendo la sala conferenze. Ovviamente fu un 110 e Lode garantito: come ho
  detto, lui era un gran cervello!  Dopo ci invitò tutti a un
  bar lì vicino. Ci presentò altri suoi amici e qualche parente. E suo padre.
  Molti ritenevano che si somigliassero e in effetti avevano tratti del viso
  affini, ma quelli del padre erano molto più raffinati. Davvero un bell’uomo,
  alto, molto giovanile e in forma -almeno a quanto sembrava vedendolo
  vestito-. Ma dall’aria così elegante, distinta e di classe, almeno nel suo
  completo di giacca e cravatta, che sarei stato tanto curioso di strappargli
  di dosso. Forse sembrava Vittorio con venti anni di più, decisamente
  migliorato e ripulito dalla sua scorza grezza. In effetti, guardare il frutto
  del suo seme era l’unico motivo per cui non mi dispiaceva che quell’uomo
  fosse etero.       Ma inutile perdersi in fantasie destinate a restare tali.
  L’aperitivo andò avanti un bel po’, tra chiacchiere con amici ed ex-colleghi
  rincontrati dopo un po’ di tempo. Dopo aver mangiato quasi per una cena,
  alcuni ospiti, soprattutto i parenti e i più anziani, iniziarono a salutare e
  ad andarsene. Saverio, l’amico dell’Università con cui ero venuto, doveva
  andare e io pensai di salutare e andare anch’io con lui. Ma Vittorio a
  sorpresa ci trattenne: <<Coi miei amici
  adesso usciamo, andiamo a bere una cosa! Volete venire?>> <<Grazie, ma non
  posso>> si schermì Saverio <<Ho un appuntamento alle 10!>> Stavo per declinare l’invito
  anch’io, ma Vittorio insistette: <<Dai! Non potete?
  Mi farebbe piacere!>> Non era da lui caldeggiare così. Evidentemente
  teneva davvero a noi, più di quanto non dimostrasse. Sarei stato capace di
  dirgli di no?  <<Dai venite, che ce
  se diverte!>> fece Fabio con un sorrisone, allusivo non capivo bene a
  cosa.  La situazione, soprattutto
  senza Saverio come spalla, avrebbe potuto rivelarsi imbarazzante. Poi, però,
  un pensiero insano si affacciò alla mia mente. “Per  <<Ok, se per voi va
  bene e non sono di troppo!>> sentii la mia malaugurata boccaccia
  articolare, prima che il mio cervello riuscisse a fermarla. <<Grandeeee!!! Ma che! Sono contento!!>> rispose lui,
  abbracciandomi e scuotendomi.  Me l’ero proprio cercata!       Prima riaccompagnarono le ragazze a casa.
  Non entravano tutti in due macchine per cui mi ritrovai a dare un passaggio a
  Fabrizio, che sembrava avermi preso in simpatia, probabilmente perché
  assecondavo le sue uscite infelici e oltraggiose. <<Oh, senti...>>
  mi disse quando fummo da soli <<Stasera abbiamo preparato una sorpresa
  de’ laurea al Vic! Je pagamo ‘na figa pe’ ‘no spettacolino!>> <<Una...
  spogliarellista?>> chiesi io, sperando che la cosa si limitasse a
  quello. <<Sì! Sì! ‘na “lapp dance”! Non so... se voi partecipà
  pure te, tanto lo spettacolo se lo guardamo
  tutti!>> <<Sì!
  .....Ovvio!>> risposi sforzandomi di sembrare compiaciuto. Non che
  potessi fare altrimenti dopo che gli avevo scroccato un aperitivo,
  presentandomi tra l’altro a mani vuote, perché pensavo di essere invitato
  semplicemente a vedere una laurea e non ai successivi festeggiamenti.       ...era quello, dunque, il divertimento tanto favoleggiato!
  Avrei potuto aspettarmelo in effetti, dopo la sua falsa promessa con cui
  avevo rischiato alla mia
  laurea.  Ma credevo che gli etero
  queste cose le facessero solo per gli addii al celibato. Così a spogliarsi
  non sarebbe stato lui, bensì una sgualdrinella
  prezzolata? Che palle! Pagare per vedere una donna nuda... non rientrava
  proprio tra i miei interessi. Ma... se la cosa fa felice lui... fu l’unico
  pensiero con cui riuscii a consolarmi.        Seguendo le indicazioni di Fabri,
  mi persi un paio di volte... ma alla fine giungemmo a uno dei Night Club più
  in voga della città, così mi dicono, dove ci raggiunsero gli altri. “Cazzo!
  Se certi miei amici mi vedessero adesso, riderebbero per mesi!” pensavo tra
  me e me. Sentendo parlare i ragazzi, intuii che non era la prima volta che
  venivano in quel posto, e mi chiesi quanto per Vittorio la sorpresa sarebbe stata
  tale.  L’interno del locale aveva
  una parvenza di raffinata eleganza nel suo essere trash. Luci azzurre
  soffuse, musica soffusa, tavolini neri in finto liberty, comodi divanetti,
  alcuni dei quali si chiudevano a formare quasi vani appartati e, da un lato,
  opposto al bancone del bar, l’inevitabile palco/passerella con il palo,
  proprio come si vede nei film, e dietro un paio di poltroncine. Una bella e
  un po’ discinta cameriera ci condusse a un tavolo prenotato, non senza che
  qualcuno si lasciasse scappare un aperto apprezzamento nei suoi confronti.
  Ebbi un po’ pietà di lei.  A parte il passaggio della
  nostra orda di Unni, l’atmosfera era abbastanza tranquilla e ovattata. Gruppi
  di persone intente a bere e conversare
  sommessamente ai tavoli. Per lo più uomini, ovviamente. E alcuni gruppi
  misti, con donne rigorosamente accompagnate. Dai loro discorsi, intuii che
  era ancora presto. Prendemmo posto e
  ordinammo da bere. Dopo un po’ mi rilassai. I ragazzi iniziarono ad alzare un
  po’ il gomito e continuavano a scherzare tra loro, alla loro maniera. Ma con me furono cordiali e molto rispettosi, forse
  mi vedevano un po’ teso e cercavano di mettermi a mio agio. Con i vicini di
  posto parlammo un po’ dei miei progetti dopo la laurea o di vacanze passate e
  future. Ogni tanto mi facevano apprezzamenti ammiccanti sulla sorpresa in
  arrivo. Poiché avevo contribuito economicamente adesso mi consideravano uno
  di loro. E io mi mantenni abbastanza sobrio da riuscire a ridere alle loro
  battute e ad assecondarli. Anche Vittorio era disinibito e a suo agio. Mi
  piaceva vederlo muoversi e cazzeggiare liberamente nel suo ambiente naturale.
  Iniziavo quasi a trovare divertente quell’occasionale incursione nel mondo
  dei “veri maschi” e ad immaginare il modo in cui l’avrei raccontata in seguito.
  Il locale iniziò a riempirsi. Di certo alcuni di voi vorrebbero farmi domande
  sulla qualità di quella pullulante fauna maschile, ma probabilmente ero
  abbastanza settato in modalità ‘etero’ da non farci caso. E poi, le luci si accesero
  sul palco ed uscì un uomo, o forse lo si sarebbe potuto definire una pera in
  giacca e cravatta, quasi pelato, con barbetta e faccia rubizza, e un
  microfono in mano. <<Buona sera a
  tutti!>> esordì, facendo gli onori di casa <<Benvenuti! Spero vi
  stiate divertendo qui, al nostro club! Ma immagino non siate venuti qui solo
  per bere! Questa sera festeggiamo un nostro giovane amico, che oggi si è
  laureato! Ciao Vittorio!!!!!>> Una luce puntò sul nostro tavolo. I
  ragazzi esplosero in un applauso che si estese in fretta a una discreta parte
  del locale. Vittorio, leggermente in imbarazzo, sorrise. <<Vieni,
  Vittorio>> lo invitò il presentatore con voce stentorea. I ragazzi lo
  spinsero a suon di scrolloni e pacche sulle spalle. Vittorio si alzò e, con
  aria non troppo sorpresa, si avvicinò e salì i due gradini che conducevano al
  palco. Il presentatore lo accolse calorosamente appoggiandogli una mano sulla
  spalla: <<Benvenuto!! Come è andata la tua Laurea?>>  <<Bene!>>
  rispose Vittorio superando la timidezza con aria fiera. <<Centodieci e Lodeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!>> strillarono gli
  amici dal nostro tavolo. <<Fai schifooooooo!!!!!!>> <<Ottimo!>>
  fece l’uomo-pera. In realtà sembrò guardare Vittorio un po’ stupito. E, in
  effetti, a vederlo per la prima volta, lo sarei stato anch’io <<Allora,
  nostro caro “110 e Lode”,  il meglio
  della tua giornata deve ancora venire! Stasera c’è una bella sorpresa per
  te...>>. Una risata sommessa
  serpeggiò tra il pubblico. Vittorio ostentò un sorriso sghembo su quella
  faccia da schiaffi. Non sembrava poi così sorpreso. Magari lo facevano
  davvero a tutte le lauree? <<... e per tutti
  voi!>> <<E ‘vvvvvaiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!>> <<Grande Vic!!!!!!!!!!!!!!!!>> inneggiarono i selvaggi al
  mio tavolo. <<Se ti vuoi
  accomodare...>> gli fece cenno il simpatico signore indicando il
  proscenio. Vittorio andò a sedersi su una delle due poltroncine. <<Guarda che coatto!
  Ancora colla cravatta!>> fece uno dei commensali dietro di me. In
  effetti, evidentemente accaldato, si era tolto la giacca, ma aveva ancora
  indosso la camicia abbottonata e la cravatta al collo. Forse era rimasto così
  acchittato apposta per fare scena? Se sì, era un
  mito. <<Bene!>>
  sentenziò dunque il presentatore <<Allora adesso mi tolgo dai piedi e
  vi lascio godere la vostra serata. Stasera, caro Vittorio, è qui per te, una
  delle nostre stelle! Una tra le più brave, raffinate ed esperte delle nostre
  ragazze.  Signori ecco a voi: Wanda,
         Tutti applaudirono, e anch’io eseguii per riflesso
  condizionato. Le luci si abbassarono. Il simpatico omino scese ritirandosi al
  lato del bancone, lasciando Vittorio seduto sulla poltroncina a godersi il
  suo meritato palco. Anche con le luci soffuse, riuscii a vedere che era un
  po’ colorito in viso, non so se per l’imbarazzo o per l’eccitazione di quello
  che si aspettava, ma restò seduto tranquillo, postura rilassata. Dalle casse,
  nascoste da qualche parte, partì a tutto volume You can leave your hat on da Nove
  settimane e mezzo.  ...Ma qualcosa di più
  scontato, no? E poi, nella semi-oscurità
  della sala, tutti si voltarono verso un’ ombra che avanzava sinuosa tra i
  tavoli. Non era Kim Basinger, ma sembrava qualcuno di altrettanto
  promettente, almeno da quanto era visibile. Una silhouette affusolata e
  scattante allacciata in un’elegante soprabito nero, che lasciava in mostra
  lunghe, agili gambe su un paio di vertiginosi tacchi a spillo. Un cappello
  anni trenta a falda larga, nero, decorato da una grossa piuma svolazzante,
  che faceva pendant con quelle che ondeggiavano attorno al collo del cappotto.
  Avanzava nel mezzo della sala, un passo dopo l’altro, con la grazia felina di
  un’indossatrice, i fianchi e le curve che ondeggiavano ritmicamente sotto la
  stoffa. Raggiunta la luce, alzò la testa, aveva i capelli legati sotto il
  cappello che lasciavano libero il cigneo e candido
  collo e, a completare quell’irretente effetto di mistero, un’elegante
  maschera sul viso. Una mascherina nera da ballo, finemente decorata in
  perfetto stile da carnevale veneziano e sotto di essa una veletta in pizzo.
  Fermatasi, accennò un passo di danza in stile bourlesque anni quaranta, con
  un gesto da mimo volse la testa verso il suo
  uomo, seduto sul palco e tese una mano, guantata di
  pizzo nero, puntando l’indice verso di lui. Vittorio non si mosse, mantenne
  l’espressione ferma, ma colsi l’inconfondibile sguardo del maschio predatore
  lampeggiare nei suoi occhi e sollevarsi impercettibilmente a sfidare quel
  volto mascherato.  A quel punto partì un  primo sommesso applauso. Mi aspettavo
  reazioni più eclatanti, ma l’apparizione in nero li aveva zittiti tutti. Quel
  costume, come tutta l’atmosfera del posto, rischiava di scivolare verso un
  trash senza ripresa, ma, inaspettatamente, la signora sapeva salvare
  l’apparenza interpretando il proprio ruolo con maestria, professionalità e
  gran classe. Portò a spasso le sue grazie velate in calze di pizzo nero
  attraverso la sala, fin sul palco, con passo leggero e sobrio, senza accenno
  di volgarità. Si fermò davanti a lui, che la stava già denudando con gli
  occhi. Lei gli tese la mano guantata, lui la prese
  nella propria, grande e forte, e se la portò alle labbra con gesto da
  perfetto gentiluomo. Ma continuava frattanto a divorare la signora con uno
  sguardo che era tutt’altro che da gentiluomo. Le sue labbra si erano forse
  soffermate più del dovuto? Fatto sta che lei gli prese il mento tra le dita e
  poi lo respinse, rovesciandogli la testa all’indietro con gesto deciso. Lui
  la guardò accennando un sorriso malandrino. Lei gli appoggiò un dito sul
  petto e lo lasciò scivolare su di lui, che rimase fermo e impassibile, pur
  tradendo un impercettibile sforzo. Gli carezzò le spalle sopra la camicia,
  girò attorno a lui, gli appoggiò una mano sulla testa scompigliandogli
  leggermente, per quanto possibile, la chioma ingelatinata.
  Poi si srotolò dal collo il boa di piume nere e lo lasciò ondeggiare attorno
  al viso di lui, solleticandolo un po’. Lui voltò la testa verso di esso ma
  non fece smorfie particolari. Lei gli avvolse il boa attorno al collo e ne
  strinse le estremità strapazzandogli un po’ il viso. Lui si limitava a
  mantenere il suo sorriso sghembo e sornione. Poi, mentre  lei continuava a girargli attorno, con
  finta non-chalance allungò una mano a poggiarlesi
  sulla coscia. Ragazzaccio! Lei si scansò con un malevolo sorriso. La veletta
  sotto la maschera lasciava scoperta una bocca generosa e rosea non troppo
  truccata. Allontanatasi un po’, si portò due dita alle labbra e gli mandò un
  bacio con un soffio, Lui alzò la mano e la chiuse, facendo finta di
  raccoglierlo al volo. E infine lei iniziò a slacciare il soprabito, si voltò
  verso di lui, dando le spalle al pubblico e lo spalancò di scatto con il
  classico gesto da maniaco sessuale. Vidi gli occhi di lui vibrare, il suo
  sguardo assassino puntare e sondare la mercanzia che gli si esponeva, ma senza
  alcun cenno di cedimento. Il pubblico, frattanto, attorno a me, tratteneva il
  respiro. Lei si voltò e lasciò cadere il cappotto, rivelando finalmente un
  corpo perfetto vestito da corpetto a guepiere, perizoma, giarrettiera e
  calze, tutto di elegantissimo pizzo nero. A quel punto il silenzio esplose in
  ovazioni, lazzi e schiamazzi. Lei con un sorriso malizioso riprese la sua
  danza sinuosa.  Curve che sfidavano la
  forza di gravità, complimenti al suo personal trainer! Personalmente non sono
  molto sensibile alla presa della bellezza femminile, ma devo obiettivamente
  ammettere che meritava gli applausi che riceveva.  <<You can leave your hat on!>> intonava
  la voce di Joe Cocker in stereofonia.
  Lei si tolse il cappello,
  rivelando i capelli neri attorcigliati in volute e trattenuti dietro il capo.
  Lanciò il bizzarro copricapo in aria e lo riprese in mano con gesto da
  prestigiatore. Quindi si riavvicinò a lui ancheggiando, gli posò il cappello
  sulla testa, lui la lasciò fare, approfittandone per contemplare quel corpo,
  penetrando con lo sguardo tutti i veli di pizzo. Lei gli posò un dito sul
  cappello e gli girò tutt’attorno.  Il pubblico applaudiva.  <<Nuda!
  Nuda!>> iniziarono a intonare in coro. Mi voltai a guardare i miei
  commensali: scatenati, accaldati, fomentati. Wow! Non mi ero mai soffermato a
  pensare a quanto lo spettacolo della vista dei maschi eccitati sia piacevole,
  anche quando le cause del loro surriscaldamento non hanno nulla a che vedere
  con me. Con gesto sensuale, la
  vamp li fece impazzire tutti sfilandosi un guanto. Aveva imparato bene la
  lezione di Nove settimane e mezzo a
  quanto pareva. Lo gettò addosso a Vittorio che lo raccolse e, ammiccando a
  distanza ai suoi compari, se lo portò al viso quasi a volerne aspirare il
  “profumo di donna”. Poi la birichina si avvicinò a lui di nuovo, quasi
  sfiorandolo con il proprio corpo seminudo, sfilò l’altro guanto con
  altrettanta poesia. Stavolta lui ebbe una rapidità felina nel sollevare la
  mano possente e serrarle una natica in una carezza decisa. Sfidandola con viso
  fiero, strinse voluttuosamente quel bacino ondeggiante quasi volesse
  trattenerne il movimento ritmico. Lei per tutta risposta alzò il guanto e
  glielo sbattè in faccia in un energico schiaffo
  trapunto di pizzo. Poi saltellò via a passo di danza. Lui si tolse sprezzante
  il boa dal collo e lo gettò a terra. Lei andò vicino al palo,
  si appoggiò e iniziò ad ancheggiare stringendosi ad esso come ad un uomo che
  avesse voluto mandar fuori di testa. Sollevò le gambe, si appese, roteò in
  aria, si rivoltò a testa in giù in una giravolta, incurvando sinuosamente le
  sue grazie in un po’ di contorsioni e acrobazie. Al di là del contesto, era
  una vera ballerina! Davvero brava. I maschi di tutta la sala erano in
  delirio. E lui, lui la fissava come un cacciatore guarda la preda, un’ombra
  di fiera brama gli oscurava come porpora il viso maschio.  Frattanto la musica si
  sintonizzò sulle note di Golden Eye di Tina Turner. Forse l’amore del festeggiato per
  il retrò aveva condizionato anche le scelte musicali della serata. Ma,
  almeno, per la musica quegli anni avevano dato frutti più decenti che non per
  il suo abbigliamento. Lei si staccò dal palo e
  si riavvicinò di nuovo a lui. Gli saltò sulle ginocchia e gli si strinse al
  collo, lasciando che i loro corpi si sfiorassero. Lui stavolta fu più
  delicato nel cingerle tra le mani il vitino di vespa, serrato nel corpetto.
  Lei lo lasciò fare. Gli sfilò il cappello gettandolo via. Le mani di lei lo
  accarezzarono, iniziarono a titillargli la cravatta, la allentarono, poi
  passarono a giocherellare con i bottoni della camicia. Glieli slacciò e
  infilò le dita dalle unghie laccate ad accarezzargli la pelle. Quindi si
  staccò, si alzò in piedi e finì di sbottonarlo denudandogli il torace.  Io ebbi un tuffo al cuore,
  e il tempo si fermò.  Wow!  Wow!  Wow! Quindi nella lap dance vengono spogliati anche i clienti? La femme fatale ancheggiò dietro di lui e lasciò scendere le mani ad
  accarezzargli voluttuosamente il petto nudo. Un petto robusto, pochi peli scuri,
  tra cui le dita di lei giocherellavano, sui bei pettorali appena sporgenti.
  Un ventre sodo e muscoloso, ma senza i segni della tartaruga scolpita, con
  appena un velo di carne morbida in cui immaginavo come dovevano affondare
  deliziosamente le mani. E poi quei capezzoli, rossi contro la pelle
  abbronzata, grossi al punto giusto. Il mio sguardo saettò a contemplarli
  anche a quella distanza, nonostante la penombra, ancora morbidi ma con le
  punte già semi-rizzate come gliele avevo viste tante volte attraverso la
  maglietta. Era tutto così surreale, per un attimo, mi chiesi se non stavo
  sognando.  Lei, in piedi dietro di
  lui, gli sfilò del tutto la camicia, scoprendogli le spalle robuste e tornite
  e le braccia muscolose e lasciandolo solo con la cravatta ancora appesa sul
  petto nudo. Gli palpeggiò i muscoli.  In quel momento la odiai.  Lui, per nulla
  imbarazzato, fletté le braccia e gonfiò orgogliosamente i bicipiti,
  sollevando poi lo sguardo verso di lei con aria di invito. Tutti applaudirono
  divertiti, solidali con lui.  <<Vai Vic!>>  <<Faje vede chi sei!!!> Lei per tutta risposta gli
  serrò le unghie da tigre sui capezzoli che scattarono sull’attenti
  all’istante. Li prese tra le dita e li tirò. Lui fece una smorfia a metà tra
  dolore e piacere che deformò il suo viso. Ma sopportò con fierezza. Wow!  Mi immobilizzai in un moto
  di imbarazzo, realizzando che ero circondato di gente, gente a cui non volevo
  far sapere quale effetto il loro muscoloso ed eccitato amico mi facesse. Mi
  girai. Fabio e Fabri mi guardarono ed ebbi la
  sensazione che leggessero i segni della mia emozione in faccia. <<Te piace,
  eh?>> mi fece Fabio.  Per un attimo non seppi
  che rispondere. <<Hai visto che gnocca?>>. soggiunse E in quel momento, con un
  sospiro di sollievo, mi resi conto che erano tutti su di giri come me, e che
  non era necessario dir loro che non lo eravamo esattamente tutti per lo
  stesso motivo.  <<Da paura! È
  scatenata!>> risposi ammiccando. <<Visto che bello
  spettacolo t’abbiamo portato a vede’?>> <<Grande! Mi avete
  svoltato una serata pazzesca!>>. Non avrei potuto essere più sincero. La fanciulla frattanto, si
  tolse un fermaglio dai capelli, lasciandoli fluttuare sciolti, in una cascata
  di onde scure che riflettevano d’azzurro sotto le luci incorniciando quel
  sensuale viso mascherato. Tornò sulle ginocchia di lui, agitò i boccoli in
  aria e poi si chinò in avanti lasciando che quella cascata setosa
  accarezzasse il petto nudo di Vittorio. Credo che a lui piacesse davvero,
  perché chiuse gli occhi in una smorfia di estasi, mentre affondava le dita
  tra quelle onde. Era così bello! Doveva avere 
  quella stessa espressione durante l’amore? Lei scivolò giù sino ad
  accucciarsi tra le sue ginocchia, con gesto elegantemente allusivo. Lui le
  poggiò una mano, delicata ma ferma sulla testa, che entrava tutta tra quelle
  dita possenti. <<Vai Vic!>> lo incitò uno. <<Faje ‘na pompa!>> strillò
  a lei Fabri, che sembrava ormai completamente fuori
  controllo. Ma lei si divincolò con
  un’agile giravolta. Si alzò, si mise in piedi accanto a Vittorio. Puntò un
  tacco tra i cuscini della poltroncina, nello spazio tra le gambe aperte di
  lui, che non poté trattenere un sobbalzo al conficcarsi di quell’arma
  impropria a poca distanza dai suoi punti vitali. Sporgendogli il ginocchio
  davanti al viso, gli prese una mano e se la portò sotto al fianco, la accostò
  a una fibbia della guepiere e lasciò che lui la slacciasse. Poi iniziò a
  sfilarsi la calza carezzandosi con voluttà la coscia. La mano di lui seguì il
  percorso tracciati da quella di lei, che stavolta lo lasciò fare. Poi,
  balzata sull’altro bracciolo, ripeté l’operazione con l’altra calza. Lui non
  si tratteneva più. Mezzo nudo, la pelle che si sfiorava con quella di lei,
  lasciò avventurare le proprie mani più su, ad assaporarle il culetto sodo, a
  giocherellare con le estremità del perizoma appese alle anche, mentre lei gli
  danzava addosso. Una mano audace si avventurò all’interno del pizzo nero alla
  ricerca del segreto proibito. Non so quanto si fosse addentrato e quanto
  fosse riuscito a solleticare le profondità del piacere di lei, ma in quel
  momento non potei fare a meno di chiedermi cosa possa provare una donna
  quando viene stimolata là sotto da una mano come quella. <<Daje! Falla go-de-reeee!>>
  gridò Fabri, mentre persino i suoi amici sembravano
  guardarlo imbarazzati. Probabilmente lei non
  gradiva quanto potevo immaginare. O era al punto in cui il suo lavoro le
  imponeva di fermarsi. Fatto sta che si tolse di dosso la mano di lui con
  gesto secco. Si alzò, ma poi si rotolò addosso a lui, gli lasciò scorrere le
  mani sul petto fin sulle spalle e dalle spalle sino alla cintura.  Sì, che le piaceva, brutta
  svergognata! Quando le dita scesero
  sotto, lui ebbe un fremito visibile. Lei infilò le unghie nella fibbia della
  cintura, la slacciò, si alzò in piedi e gli sfilò la cintura dai passanti con
  gesto perentorio, quindi la fece scattare secca a terra con uno schiocco. Lui
  la guardò divertito con un lampo negli occhi. Impettita e gelida, la mistress in maschera la fece schioccare di nuovo. Lui la
  fissò con sguardo fermo e aggressivo, gonfiò orgogliosamente il petto,
  allargò le braccia e puntò le dita verso di sé con aria di sfida. <<Dai!
  Frustami!>> articolarono le sue labbra senza che, con la musica a tutto
  volume, noi riuscissimo a sentire la sua voce. Lei fece volare la cintura ma
  fu solo uno schiocco leggero che risuonò sulla pelle. Lui fece un piccolo
  sobbalzo ma non aprì bocca e non distolse lo sguardo. La sfidò di nuovo, lei
  frustò di nuovo, stavolta lui contrasse il viso in un’adorabile smorfia. Lei
  frustò più forte qualche colpo ancora, lui ansimò, ma sembrava farlo più per
  piacere che per dolore. Mi sembrò di vedere qualche leggero segno rosso
  contro la pelle coriacea e abbronzata, ma forse era solo la mia dissoluta
  fantasia. Lei lasciò cadere la cintura, raccolse il boa e lo carezzò con
  quello. Ebbi l’impressione che lui dicesse qualcosa del tipo: <<Sono
  stato bravo, eh?>>. Quasi per premiarlo lei girò di nuovo davanti a
  lui, prese a giocherellare con i nastri del proprio corsetto. Lui ne afferrò
  un’estremità. Lei lo lasciò fare. Quando l’ebbe sciolto, roteò su sé stessa
  allontanandosi da lui, lasciò che il corpetto slacciato restasse in mano a
  lui e si mostrò con sussiego in biancheria intima: reggiseno a balconcino che
  sosteneva i seni pieni e sodi, perizoma che lasciava ben poco
  all’immaginazione e giarrettiera slacciata. Di nuovo fischi e ovazioni
  selvagge si levarono dal pubblico.  <<Quanto sei bona!>> <<Nuda! Te volemo nuda!>> <<Faccela
  vede!>> <<Hai visto che
  culo?>> Potevo respirare e palpare
  l’eccitazione di quell’orda di maschi vogliosi intorno a me. Era quasi
  inebriante, contagiosa. Poi lei riprese a danzare
  drappeggiandosi con il boa. Infine volse le spalle al pubblico, si slacciò la
  fibbia del reggiseno e lo sfilò con gesto sinuoso, mostrando la curva
  sensuale della schiena. Non so cosa lui fosse riuscito a vedere, perché
  subito dopo lei, giocando a fare la fanciulla pudica, si avvolse nel boa e si
  volse verso il pubblico lasciando che la stola coprisse le sue grazie. Gli
  balzò di nuovo al collo sedendosi di traverso sulle sue ginocchia, lui la
  strinse e, come si vide fin troppo bene, infilò una mano sotto la stola a
  palparle un seno. Mi chiesi se lei godesse mentre quella mano la toccava e
  quelle dita giocavano con il capezzolo. Se lui fosse eccitato, cosa lei gli
  sentisse sporgere sotto i pantaloni.  Lei gli scansò la mano
  impertinente, ma poi si mise a cavalcioni su di lui e lasciò cadere la stola.
  Mi sembrò di vedere Vittorio con il viso accaldato e la bocca dischiusa.  Cazzo, lo volevo! Lo
  volevo io! Ma subito lei si girò e
  concesse la vista del seno nudo al pubblico agognante. Inevitabili commenti a
  go-go.  <<Anvedi che zinne!!!>> <<Hai visto che capezzoloni che c’ha?>> mi fece Fabri
  dandomi di gomito con aria cameratesca. Io annuii, senza parole. Non avrei
  saputo come spiegargli che non erano quelli di lei i capezzoli che non
  riuscivo a smettere di guardare. <<Ammazza, sei
  rimasto muto? Avete visto Sandro?>> fece indicandomi agli amici con
  aria giocosamente canzonatoria <<Ha visto quer
  par de zinne e non ce capisce più un tubo!>>. Io sorrisi e feci
  spallucce con aria complice.  Seduta ancora in braccio a
  lui, ma adesso rivolta verso il pubblico, lei gli prese le mani tra le
  proprie e, di fronte allo sguardo di tutti, se le poggiò sui seni, lasciando
  che li stingesse e che finalmente si abbandonasse eccitato a quel contatto.
  Ed eccitandosi così anche lei! Meretrice!! Fece un gesto al barman
  che le lanciò una bomboletta-spray. Doveva essere panna. Sottrattasi alla
  stretta di lui, lei se la spruzzò a ricoprire il seno, vi affondò un dito, si
  volse verso di lui e glielo passò voluttuosa sulle labbra. Lui trattenne il
  dito e lo assaporò con uno sguardo talmente voglioso che non potei non
  sognare di infilare il mio dito, o qualcos’altro, al posto di quello di lei.
  Quindi gli danzò ancora di fronte. Nella lotta dei loro corpi la poltrona si
  era un po’ spostata di sbieco. Adesso potevamo vederli entrambi di lato. Lei
  salì di nuovo sulle ginocchia di lui, gli affondò una mano tra i capelli, poi
  si portò il viso contro il seno, lasciando che affondasse nella panna e gli
  shakerò la faccia in mezzo a quelle procaci tette glassate.  <<Ciucciajele!>> gli gridò qualcuno, forse sempre Fabri. Con mio sommo dispiacere non ci fece vedere come
  succhiava. Si limitò a farsi sbatacchiare il viso. Quando lei si staccò, lui
  aveva la faccia appetitosamente sporca di panna e lo sguardo decisamente
  ebete. Lei gli scansò con una carezza un po’ di panna dal viso, quindi lo
  abbracciò d nuovo sfregandosi addosso a lui, i seni ballonzolanti contro il
  petto vigoroso. Forse si era chinata a sussurrargli qualcosa nell’orecchio.
  Quando si staccò, lui aveva anche il torace sporco di panna. Stavolta lei si
  chinò e gliene assaggiò un po’ dal petto, quindi scese giù. Purtroppo la cortina
  di capelli coprì tutto e non vedemmo granché. Mi domandai se fosse andata a
  ripulire un capezzolo quando vidi lui fremere e alzare gli occhi semichiusi
  al cielo in un gemito soffocato. Mi chiesi che espressione avrebbe fatto se
  avesse potuto prenderla, sbatterla al muro e scoparla brutalmente. Lei... o
  qualcun’altro! Lei si staccò da lui, si
  alzò e sorrise. Ormai lo sguardo fiero di lui era sparito, perso in una
  disperata agonia. Mi fece quasi un po’ pena. Non so se fui l’unico uomo
  presente in quella sala a rendermi conto che lei aveva vinto. Afferratolo per la
  cravatta, lo tirò con uno strattone, facendolo alzare in piedi. L’atmosfera
  si era fatta calda e l’invisibile DJ mandò in onda We will rock you
  dei Queen. Vittorio non aveva più cintura. Era rimasto coi pantaloni mezzi
  sbottonati. Con un gesto rapido e impertinente lei glieli calò, lasciandolo
  in mutande al ludibrio del pubblico e denudando in bella vista due belle
  cosce tornite da calciatore, pelose al punto giusto, e un paio di boxer briefs neri sotto ai quali non potevo non vedere l’enorme
  rigonfiamento di tutto rispetto. Posso giurare che i commenti autoironici cui
  talvolta si era lasciato andare erano tutte cazzate! Di certo le contorsioni
  della procace benefattrice avevano dato il loro contributo, ma... ero certo
  di vedere quasi la punta del prepuzio che stava lì lì
  per schizzare spasmodicamente fuori dall’elastico.  Persino i “veri uomini” se
  ne accorsero. <<Ammazza er Vic che scandalo! Sta
  arrapato fracico! Je stà a uscì de fori!!>> <<Fajelo vede!!>> Così, nudo, Vittorio
  avrebbe potuto ricordare un po’ un pupazzetto di gomma di Big Gym, ma ai miei occhi era divinamente bello. Tutti
  ridevano, ma a lui non importava nulla. Tirandolo per la cravatta, lei lo
  trascinò in ginocchio ai propri piedi. Gli girò attorno. Era praticamente
  nuda di fronte alle ovazioni del pubblico. Indossava solo il perizoma, a
  parte la giarrettiera slacciata, i tacchi a spillo e, ovviamente, la
  maschera. Lui scodinzolava adorante. Lei gli girò la testa verso il proprio pube
  e ancheggiò con le mutandine di fronte alla sua faccia. E là, prigioniero, lo
  sguardo di lui si perse davvero in preda a una malcelata estasi. Non credo di
  poter capire fino in fondo cosa provi un “vero uomo” sbattuto con la faccia a
  pochi centimentri dal pudendum muliebre, ma ciò che di certo sapevo era che guardare quella
  faccia, quell’uomo mezzo nudo, paonazzo e infoiato fradicio, infoiava da
  morire me e immaginavo molto bene
  cosa avrei fatto se fossi stato io ad avere quella faccia in estasi in mezzo
  alle gambe.  Lei si voltò, continuando
  a sculettare. Lui allungò la bocca e con gesto quasi isterico addentò il filo
  del perizoma sul fianco e lo tirò strappandoglielo con la bocca. Era soltanto
  quello che lei lo aveva invitato a fare, ma ci fu un coro generale di
  acclamazioni e di complimenti triviali. Era nuda adesso, la nuvola di peluria
  pubica in bella vista, dinanzi a tutti.  Mi chiesi cosa provasse.
  Premetto che sono a mio agio nel mio corpo e non ho mai avuto desiderio di
  cambiare sesso né fantasia di travestirmi. Ma in quel momento non potei fare
  a meno di desiderare di essere quella donna, di poter sentire ciò che lei
  sentiva. Nuda, di fronte a tutti. Qualcuno avrebbe potuto crederla un
  oggetto: era lei che si denudava per loro. Ma tutti gli occhi guardavano lei.
  Il palco apparteneva a lei. Tutti quei maschi volevano lei. Aveva esibito il
  suo corpo per un uomo, ma adesso quell’uomo era a sua disposizione,
  quell’uomo da sogno, l’uomo dei miei
  sogni. Lei aveva potuto spogliarselo, palpeggiarlo come carne da macello,
  strusciarsi a lui e adesso lo aveva in ginocchio ai suoi piedi. Immedesimarmi
  in quella sensazione mi galvanizzava. <<Mamma mia! Li mortacci del Vic!>> mi
  fece Fabri. <<Hai visto che
  roba?>> gli risposi io, ammiccando divertito. Prima che Vittorio
  riuscisse ad allungare la mano sulla donna, fu nuovamente tirato in piedi per
  la cravatta e trascinato indietro verso il palo. Quando si voltarono non
  potei fare a meno di squadrare le belle natiche sode e invitanti, in
  trasparenza attraverso i boxer. Lei lo trascinò accanto al palo della lap dance, lo poggiò lì davanti e prese a girargli
  attorno. Riafferrò la cintura di lui e, a tradimento, gli prese le mani e
  gliele legò dietro la schiena al palo. Lui si lasciò fare di tutto. Ora che
  lo aveva in sua balìa,   Lo fece soffrire le pene dell’inferno. Lì,
  legato, senza che potesse allungare neppure un dito a toccarla. Poi rotolò
  ancora dietro di lui, strofinandosi contro la sua schiena. Allungò le mani a
  saggiare i muscoli, a sottolineare pettorali e addominali, forse con l’intenzione
  di far gioire anche le poche donne presenti... e me, anche se questo
  probabilmente non lo sapeva.  Infine le mani scesero
  verso l’inguine e... hop!  Gli calarono le mutande, lasciando svettare
  il monumentale pisellone quasi eretto. E per qualche attimo fu davvero
  esposto a tutti. Brevi attimi che rimarranno per sempre impressi nella mia
  memoria. Quell’enorme bestione: turgido, rotondo, pulsante, appetitoso,
  pronto per essere scappellato, adornato, sotto, da due grosse palle
  ballonzolanti. Solo qualche attimo, però. Poi lei girò davanti a lui e gli
  fece scudo con il proprio corpo. Erano entrambi nudi adesso, sul palco, di
  fronte a tutti. Con la differenza che lui era esposto dalla testa ai piedi di
  fronte a uomini, donne, amici e conoscenti. Mentre lei non era che una
  sconosciuta nascosta dietro una maschera. Lei scivolò in ginocchio, raccolse
  il cappello e lo posò sulle pudenda di lui, a ripararle dagli sguardi del
  pubblico. Poi sollevò appena il cappello e ci infilò la faccia come a spiare
  con fare indiscreto. Quindi si voltò verso il pubblico e si portò ammiccante
  la mano alla bocca con aria di ammirata sorpresa. <<Fagli un bocchino!>> se ne uscì qualcuno. Mi chiedo se, per qualche
  momento, nel mio cervello il confine tra realtà e follia non si fosse
  spezzato. Ero talmente in delirio che mi chiesi se non fosse stato tutto un
  miraggio. Mi chiesi come sarebbe stato se ci fossi stato io lì, sul palco al
  posto della Dark Lady in maschera. E come per miracolo mi sentii davvero
  uscire dal mio corpo e fui là, con lui. A pochi centimetri dal suo membro, lo
  facevo impazzire sfiorandolo con il mio respiro. Poi mi alzavo, mi accostavo.
  Nudi, la nostra pelle a contatto, l’eccitazione dei corpi sudati. Gli addentavo
  il lobo dell’orecchio, la mia mano gli afferrava il membro pulsante.  <<Mi vuoi?>>
  gli sussurravo <<Ti slego e puoi scoparmi se vuoi! ...ma devi farlo
  qui, adesso, davanti a tutti!>>. Sentivo il suo respiro ansimare nel
  tormento, il suo sguardo soggiogato mi mangiava cogli occhi:  <<Siiii!>> mi supplicava. Lo slegavo, poi lo gettavo
  a terra. Lui si sdraiava supino, lì, sul palco. Io in piedi, nudo, sopra di
  lui. Poi mi chinavo, mi sedevo e mi impalavo sul suo cazzo eretto. Lo volevo,
  volevo sentirlo trovare, finalmente, refrigerio alla sua agonia dentro di me!
  Mentre nel suo sguardo si riaccendeva la scintilla selvaggia, per me e per me
  soltanto. Le mie mani appoggiate sul suo torace, aggrappate ai pettorali,
  scandivano il ritmo. Tutta quella turba di maschi arrapati ci guardava,
  acclamava, incitava ritmicamente i colpi della scopata. Poi alcuni, infoiati,
  iniziavano anche loro a denudarsi, a tirare fuori gli uccelli, a menarseli.
  Vittorio mi trivellava come una furia, mi prendeva e mi sbatteva a quattro
  zampe e continuava a ingropparmi selvaggiamente da
  dietro. Le sue mani su tutto il mo corpo, mi sculacciavano le natiche, mi
  pizzicavano i capezzoli. E intanto gli altri si avvicinavano, i loro corpaccioni nerboruti mi circondavano mentre acclamavano
  eccitati. E poi mi sbattevano in faccia i loro cazzi, tutti i loro grossi
  cazzi... Poi la musica finì.
  <<Mamma mia, che cazzo gli ha fatto!>> mi faceva Fabri. E io improvvisamente mi riscossi da quel sogno a
  occhi aperti e dovetti far appello a tutto il mio autocontrollo per
  controllare l’ebollizione nelle mie mutande.  Dopo avergli ritirato su
  le mutande e averlo slegato,  La donna in maschera, dopo
  aver salutato, si era dileguata. Qualche scapestrato non aveva esitato a
  cercare di allungare una manaccia lesta per condividere un po’ dello
  spettacolo più da vicino. Ma lei con la sua innata classe aveva saputo
  dimenare sinuosamente le anche sottraendosi agli ostacoli, per poi sparire
  nell’ombra, come un’apparizione, avvolta nel suo boa di piume.  Forse, pensai, avrei
  dovuto seguirla, per ringraziarla personalmente dello splendido spettacolo
  che mi aveva offerto. <<Ehi,
  scusa...>> <<Sììì?>> <<Volevo
  ringraziarti di persona!>> <<Questa non hai
  idea di quante volte l’ho già sentita! Mio caro, mi pagano per intrattenervi!
  E tu non puoi stare qui, è il mio camerino personale!>> <<Ok! In realtà
  volevo darti questo piccolo extra da parte mia!>> <<Oooh! Ehm.... Tesoro, lo so cosa vuoi...>> <<No! Mi dispiace se
  mi hai frainteso! Da te non voglio niente, credimi! ...ma ...non hai idea di
  quello che hai già fatto per me stasera!>> <<Non avevi... mai
  visto una donna nuda ...?>> <<Beh... in effetti
  non ne vedo spesso, ma la cosa non mi dispiace!>> <<...eh? Allora sei
  uno di quelli a cui piace solo fare i voyeur? Magari vedere una donna che
  umilia un uomo?>> <<Diciamo
  semplicemente che è una vita che desideravo vedere quell’ uomo... nudo! ...E magari anche legato e... un po’ su di
  giri! E stasera hai realizzato il mio sogno! Dunque direi che questi te li
  meriti tutti!>> <<Oooooooh! Capisco, tesoro, grazie allora! Puoi infilarmeli
  nel perizoma se vuoi...>> <<Grazie cara, ma
  penso tu possa fare anche da sola!>> <<Ah! Ah! Comunque
  credimi, se ti dico che... è stato un piacere!>> <<Oh, ti credo! Ti
  credo eccome!>> <<Non mi capita
  tutti i giorni un ragazzo con quel fisico, quella pelle e... quelle mani.
  Sentire i nostri corpi che si toccavano... A malincuore ho dovuto togliergli
  la mano da... le mie mutandine o si sarebbe accorto che anch’io...>> <<Ok, cherie, basta così, se non vuoi che inizi a detestarti
  con tutto me stesso!>> <<Credevo fossi
  curioso di sapere.... ma se non ti interessa...>> <<Prenditi questi
  bigliettoni, prima che me ne penta!>> <<Ehi bello! Non
  puoi stare qui! Lascia in pace la signora!>> <<No, tranquillo,
  Mario! Il mio amico può restare!>> <<Ufff, grazie per avermi salvato dal tuo energumeno! ...ma
  ...ok, sono curioso! Che dicevi?>> <<Mmmm! Lo sapevo...>> <<Ehi, ma che stai
  facendo?>> <<Mi sto cambiando!
  Andiamo! Tanto mi pare di capire che...>> <<Si, sono...
  inoffensivo! Almeno per te...>> <<Dicevo... quello
  sguardo assassino, la resistenza alle frustate e il pacco... lo hai visto,
  no? E il modo in cui allungava le mani... si vede che sa come prendere una
  donna, se lo avessi lasciato fare...>> Magari sarebbe andata
  davvero così. O magari mi avrebbe sputtanato? Forse non ero poi così curioso
  di scoprirlo.       Terminata la serata, ci riavviammo a casa. Dal momento che Fabri era completamente brillo e fuori controllo, gli
  amici preferirono occuparsi di lui e Vittorio mi chiese se potevo
  riaccompagnare lui. Forse voleva mettermi a mio agio non mollandomi qualcuno
  che conoscevo poco, ma non aveva idea di quanto, dopo quella serata, fosse
  lui a mettermi a disagio. Non potevo non voltarmi verso il sedile del
  passeggero senza che i suoi vestiti sparissero e tutto il ben di Dio che
  c’era sotto mi riballonzolasse davanti agli occhi.
  Mi sforzai di respirare e stare calmo. <<Insomma, t’è
  piaciuto lo spettacolo!!>> mi faceva lui divertito. <<E direi proprio di
  si, eh?>>. Non aveva idea di quanto fossi sincero! <<Sandro!>> mi
  apostrofò a bruciapelo con l’aria un po’ imbarazzata <<Ma... mo’ mica
  andrai a raccontà n giro de me che facevo lo scemo
  colla spogliarellista?>>. Mi guardò di sottecchi con uno sguardo di
  monito, ironico ma non del tutto. Infame malfidato! Io sono leale e morirei
  per il segreto di un amico. Ma... in fondo me lo merito: è quello che succede
  a farsi la reputazione da pettegolo! <<Sei venuto in
  macchina con me per farmi ‘sta raccomandazione?>> gli risposi per le
  rime, evasivo, con un malevolo sorriso.  <<Sa’!!!?>> mi
  incalzò. Raramente si riusciva a metterlo in imbarazzo. Era una sensazione
  adorabile. <<Dovresti andarne
  fiero!>> risposi, alzando un sopracciglio malizioso. <<Avrei voluto vedé ‘tte al posto mio!>>
   <<Appunto. Io, fossi
  te, ne andrei fiero! Ma non sono te...>> <<Ah!>> fece
  lui canzonatorio <<Allora mo’ ‘n’altra volta te lo famo
  fa’ ‘ddavvero pure a te lo spettacolino!>>  Mio Dio! Mi ci mancava
  solo questa! <<Io, in realtà,, mi
  sarei vergognato un po’ a sta’ là che...>> cercai di sottrarmi alla
  minaccia, cedendo ad un imprudente eccesso di sincerità. <<Ma come te
  vergogni!>> mi rampognò lui brusco a voce grossa <<Ah Sa’, ma che
  omo sei?>> Azz!! Avevo toccato un punto dolente! Un
  disonore imperdonabile! ...e un argomento che francamente non avevo proprio
  voglia di affrontare. <<Te, me vorresti dì
  che non ti sei imbarazzato neanche ‘n po’!?>> gli chiesi cercando di
  dissimulare il mio disagio. <<Va be’!>> fece lui, addolcendo il tono, forse
  dispiaciuto di essere stato indelicato <<Guarda, l’hai vista quella,
  no? Quando te se spoglia e te sbatte quelle zizze davanti, non te ne frega
  più un cazzo!>> Questi sono i “veri
  uomini”!  Lasciai cadere la
  conversazione. Francamente non avrei saputo che dire. Accesi la radio. Troppe
  emozioni inaspettate tutte in una sera. Era notte fonda, la strada quasi
  completamente buia, in un tratto in mezzo ai campi fuori dall’abitato. Mi
  concentrai sulla guida. <<Te va de fermatte ‘n secondo, ché me fumo ‘na
  sigaretta!>> mi disse lui a un certo punto. <<Quaaà?>> gli feci interdetto <<Ma è tutto
  buio, non ce sta ‘n cane!>> <<E mbeh!? Che c’hai paura? >> mi rispose lui
  aggressivo, con aria di sfida. <<Meglio! Se guardamo
  ‘n po’ de stelle!>> mi fece accennando al firmamento terso e luccicante
  sopra di noi, non oscurato da luci umane, se non dai fari della mia macchina. Mi arresi alla sua
  insistenza perentoria e accostai. D’altra parte ho anche le mie fisime e non
  avevo voglia che mi fumasse in macchina.  C’era una fitta macchia di
  pini, che stagliavano le loro ombre alte e scure contro la notte stellata, e
  una panchina, proprio là in mezzo. Mi sedetti, spossato, come se avessi corso
  per un giorno intero. Sembrava di essere in un luogo fuori dal tempo. Lui
  restò in piedi e si accese una sigaretta. <<Ne vuoi
  una?>> mi fece. Wow! Me le aveva sempre concesse quando gliele
  chiedevo, ma era la prima volta che me ne offriva una spontaneamente. Peccato
  avessi già il respiro abbastanza rotto in quel momento. <<No, grazie! Non
  voglio scroccare troppo!>> gli risposi con una risatina. Lui non
  replicò, ma si lasciò cadere sulla panchina accanto a me.  <<Guarda che
  spettacolo!>> mi fece additando il cielo limpido e trapunto di stelle e
  la luna piena che, passata dall’argento all’oro, si avviava al tramonto,
  pronta a discendere dal suo trono. Qualcuno ha detto che la luna piena fa
  avverare i sogni? Quella sera credo avesse realizzato il mio. Cavolo! Pensai
  riscuotendomi con un sospiro. Guardare le stelle con lui... non era proprio
  ciò di cui avevo bisogno in questo momento. <<Scusa>> fece
  lui con voce pacata, quasi timida <<Tanto non penso c’hai fretta ormai,
  no?>> Risposi con un diniego e una scrollata di spalle. Da qualche
  parte, tra quegli alberi forse millenari, una cicala aveva iniziato la sua serenata
  notturna. <<È che c’avevo
  bisogno d’un po’ d’aria! Me stavo a squajà!>>
  fece allentandosi i bottoni della camicia. Aveva la faccia un po’ sconvolta,
  le guance arrossate, che lo rendevano ancora più bello. Era un po’ alticcio
  forse? Ma non tanto, aveva ancora gli occhi vigili. Dopo la performance della
  disinibita danzatrice, potevo immaginare che fosse sconvolto... e basta! <<Non c’hai più
  l’età per fare il matto colle fighe!>> feci con ironia, per non restare
  zitto. <<Cazzo!>> mi
  fece lui con quel tono di voce serio <<So’ più di sei mesi che non
  becco ‘na donna!>> proseguì fissando il
  cielo, senza guardarmi in faccia. <<Poi me ritrovo quella! Te poi immagginà quello che no’ je
  volevo fà!>> Sospirò. Era la prima volta che
  lo sentivo parlare così! Non era da lui confidarsi, aprirsi in quel modo. Non
  con me! Poverino! <<Mi
  dispiace!>> fu tutto quello che riuscii a dirgli in un impeto di
  tenerezza. Mi dispiace!? ma come cavolo me ne ero uscito? “Mi dispiace!” Da
  prendermi a pugni sulle gengive. <<Sapessi a
  me!>> rispose lui e sbottò a ridere.  <<Brutto
  periodo?>> gli chiesi con aria premurosa, e forse con non abbastanza
  celata curiosità. <<Dimenticare è
  difficile!>> rispose lui e mi fissò, senza aggiungere altro. Aveva lo
  sguardo serio, quello che ti faceva squagliare come fosse stato fuoco vivo. <<Già!>>
  risposi e mi voltai a fissare l’orizzonte, chiedendomi se per me sarebbe
  stato lo stesso. <<Insomma...>>
  ruppe lui il silenzio, riprendendo il buonumore e il suo tono giocoso
  <<Bisogna trovatte ‘na
  troia pure a te! Non va bene ‘sta storia che te vergogni! Ma che è?>> Lo guardai e sospirai una
  risata, senza rispondere. <<Te vergogni a sta’
  nudo in pubblico?>> mi chiese, con il tono dell’amico saggio che ti
  rimprovera, ma poi cerca di aiutarti. <<Beh..>> feci
  io, in imbarazzo, non sapendo cosa dire <<...davanti a tutti! Io non
  c’ho un bel fisico... come te!>> <<’Sti cazzi!>> fece lui perentorio <<Sotto la
  panza la mazza avanza!>> Trivialità romana trita e
  ritrita! Ma non potei fare a meno di sbottare a ridere. <<Fa’ vedé!>> mi fece perentorio, alzandosi in piedi di
  scatto e facendomi cenno con le mani, di togliermi i vestiti. A quell’invito
  mi bloccai. <<No! Ma che cazzo
  voi?>> mi schermii. <<Oh!>> mi
  incitò lui serio <<‘nn ce sta nessuno, solo io
  e te, de che te vergogni? Allora c’hai problemi seri!>>. Quella conversazione
  iniziava a prendere toni surreali. Lui mi fece un sorrisino e improvvisamente
  vidi il suo atteggiamento, la sua espressione cambiare alla luce della luna.
  Mi si avvicinò con passo felino, iniziò a fischiettare un motivetto da bar e
  ad ondeggiare un poco, simulando un passo di ballo appena accennato. <<Mo’ fai finta che
  io so’ la troia!>> mi sussurrò. Faceva quasi ridere. Si muoveva
  inaspettatamente bene come ballerino, ma che lui riuscisse a fare la donna andava decisamente oltre i limiti
  di ogni immaginazione. Prese a sbottonarsi la camicia. <<Mi spoglio per
  te... così!>> continuò. Se la tolse. Pelle abbronzata e sudata, spalle
  possenti, muscoli torniti, petto largo, leggera peluria sui pettorali. Noooo! Bastaaaaaaaaaa! Nulla
  per tutti quegli anni e adesso... due volte in una serata, era davvero
  troppo!!! <<Te faccio vedere
  le zizze!>> soggiunse accarezzandosi il petto. Simulando i presunti
  gesti di una femmina eccitata, prese ad accarezzarsi i capezzoli già turgidi
  con gli indici delle rispettive mani. Credo che sarei potuto scoppiare nelle
  mutande da un momento all’altro. Quand’ecco che lui venne a sedersi sulle mie
  ginocchia. La sua pelle nuda a pochi centimetri da me bruciava come fuoco.
  Luci e ombre giocavano sulle sue membra muscolose sotto la luna, supplicando
  le mie mani di allungarsi a scandagliarne i pieni e i vuoti.  <<Te le faccio toccà!>> soggiunse, mi prese una mano e se la
  poggiò sul petto. Sentivo il battito del suo cuore sotto un pettorale
  muscoloso e caldo, la punta del capezzolo duro mi solleticava il palmo della
  mano. <<Te che fai?>> mi apostrofò. Restai immobile. <<Mo’...>>
  soggiunse, passando una sua mano sul mio petto <<..te voglio spoglia’
  un po’, bel maschione!>> e iniziò a sbottonarmi la camicia.  <<E tte che dici?>> mi incalzò ancora col suo sguardo
  di sfida. Mi infilò le mani sotto la camicia, come aveva fatto la troietta con lui. Palpeggiò il torace, mi strinse un po’
  le tette, sfiorò i capezzoli. Io mantenni tutta la concentrazione di cui ero
  capace per non fargli notare quanto il suo tocco mi arrapasse. <<Ah, stai pure in
  tiro!>> mi fece lui, divertito. A quel contatto non poteva non
  accorgersene, ma io mi sentii sprofondare. <<...sto così... da
  prima!>> balbettai ripensando alla spogliarellista e non sapendo che
  altro inventarmi. <<Pure io!>>
  mi fece lui, accennando alla sua patta. Ciò detto, si alzò, si slacciò la
  cintura e ricominciò a ondeggiare, sbottonandosi i pantaloni e mostrando i
  boxer a passo di danza. Mi riguardò, io sentendomi come impazzito gli mollai
  una pacca su una chiappa. Cazzo! La mia mano rimbalzò su quella incantevole
  natica soda, anche attraverso la stoffa. <<Bravo!>> mi
  incitò lui <<Così te vojo, maiale! Dai,
  spogliati!>> <<No, ma chi te se ‘ncula!>> risposi io scocciato. <<Oh, dai, mi sto a spoglià io!>> mi incitò lui, calandosi
  completamente i calzoni e mostrando le sue cosce divine <<Poi te vojo nudo a te, però!>>. Tolse pure le scarpe.
  Aveva dei piedi grossi e tremendamente appetitosi e... infine gettò via le
  mutande... Noooooooooooooooo! Per favore! Due volte in una notte, no! Turgido, rotondo,
  pulsante, appetitoso, pronto per essere scappellato, rinforzato da due grosse
  palle ballonzolanti. Ritto a novanta gradi contro ogni legge di gravità.
  Vedere che anche lui ce l’aveva duro.... ..mi faceva venir voglia
  di morire... ..la bava alla bocca... e
  voglia di morire... ..ma mi faceva anche
  sentire un po’ meno a disagio. Vittorio mi fissò con quel
  suo sguardo da predatore. Lo sguardo di sfida. <<Ok!>> feci
  esasperato <<Se mi spoglio, la smetti?>> Lui non rispose nulla, si
  limitò a fissarmi, ancora. Io obbedii e mi denudai. Rimossi giacca e camicia,
  mettendo a nudo il petto villoso. Il mio fisico manteneva ancora la forma,
  grazie alle regolari benché non eccessivamente frequenti (e spesso perse in
  chiacchiere e cazzeggio) sedute di palestra, ma non senza che la pancetta
  iniziasse a scivolare verso una generosa rotondità. Poi mi calai i pantaloni.
  E infine tolsi gli slip, rendendomi conto all’improvviso di quanto il mio
  figliolo fosse intrepido e bramoso di libertà e di aria fresca.  <<Ammazza!>>
  mi fece Vittorio <<Non stai messo per niente male! Come vedi, siamo
  tutt’e due nudi e non è morto nessuno!>>. Eravamo da soli, al
  limitare di quel boschetto, entrambi arrapati e con le palle al vento. Lui,
  del tutto rilassato e totalmente a suo agio, si risedette sulla panchina
  colle chiappe al fresco. Lo imitai. Quella sensazione mi dette un improvviso
  senso di libertà. La brezza fresca sui corpi nudi. I raggi della luna
  tremolavano come fossero stati rifratti nell’acqua. E mi venne da ridere. Non
  riuscivo a non guardargli il pisellone eretto. E a quanto pareva lui non
  riusciva a non toccarselo. Anzi, a prenderselo in mano e iniziare a spararsi
  una bella pippa come Dio comanda, al ritmo del
  canto delle cicale in stereofonia, che saturava il silenzio di quella notte
  di tarda primavera. <<Che c’è?>>
  mi apostrofò con aria seccata <<Non hai mai visto uno che se fà ‘na sega? Te manco queste te fai?>> <<Preferisco fare
  certe cose in privato!>> mi schermii deciso. <<Cazzo!>>
  fece lui socchiudendo gli occhi e continuando a menarselo <<T’ho detto
  che no’ jela faccio più! Te da quant’è che non
  scopi?>>  <<Cazzi
  miei!>> lo freddai. <<Un bel po’,
  eh?>> ammiccò con un sorrisetto malizioso. Continuava a menarselo e
  iniziò a mugolare dando tutta l’impressione di godere davvero. Colla mano
  libera si prese tra le dita un capezzolo e iniziò a tirarlo e titillarlo come
  se la cosa aumentasse il suo piacere. <<Dai, famme vedé come te
  seghi!>> mi fece cenno. Come un automa obbedii. Me lo presi in mano e
  iniziai a scappellarlo e stantuffarlo con gesto deciso. Era proprio quello di
  cui avevo voglia quella sera. Lui mi guardava e si segava con me. Mi piaceva
  che mi guardasse. D’un tratto si alzò in
  piedi e si avvicinò. <<Vuoi farmela
  tu?>> mi fece divertito, facendo il gesto di porgermi il cazzo. Lo
  guardai e non risposi. <<Dai, lo so che ti
  va! È da quando ci conosciamo che mi guardi in quel modo! L’ho visto come me
  guardavi pure stasera!>> Prese a giocarci e ad avvicinarmelo alla
  faccia. Era un sogno! Un sogno improbabile che diveniva realtà tutto
  all’improvviso. O magari ero impazzito! Ma lui e il suo bel batacchio erano
  davvero là.  <<Lo vuoi,
  eh?>> mi faceva lui. Turgido, rotondo,
  pulsante, appetitoso, pronto per essere scappellato, rinforzato da due grossi
  coglioni ballonzolanti. Lo afferrai. Caldo e pulsante nella mia mano. Gli
  accostai la bocca. Lui mi rivolse il suo sguardo di sfida. E anch’io lo
  guardai come una troia e lo sfidai. <<Giulia te lo
  ciucciava così?>> lo apostrofai col più bastardo dei miei sorrisi. Colsi un lampo nei suoi
  occhi. Mi mollò un ceffone in piena faccia. <<Sta’ zitta,
  troia!>> mi gridò infuriato <<Fammi vedere come ciucci
  te!>> imperò. Per tutta risposta, gli afferrai le palle e le strinsi
  forte, desiderando solo che strillasse. <<Ehi, che cazzo,
  fai?>> urlò <<Oooooooooh! Che cazzo fai!!!!!?>> la sua manata
  sulla spalla mi riscosse di scatto. Porcaaa... !!!!
  E poi il fischio del clacson del tir che mi stava venendo incontro, coi fari
  puntati,  sulla mia corsia... o
  meglio... sulla sua corsia, da cui
  mi scansai appena in tempo. Stavo allegramente sbarellando in mezzo alla
  strada! Accidenti a me e a ‘sti maledetti sogni
  erotici ad occhi aperti! <<Scusa!>> mi
  affrettai a tranquillizzare Vittorio, che, sul sedile del passeggero mi
  fissava ancora interdetto <<è che sto ‘n po’...>> <<No, tranquillo!
  ‘Li mort...>> fece lui con aria preoccupata
  <<Ma stai bene? Tutt’a posto?>> <<Sì! Sì! È la
  serata che è un po’....>> blaterai senza sapere più cosa dire. <<Stai ancora a pensà alla zoccoletta
  eh?>> fece lui con un sorriso, riprendendo la calma <<Pensa io
  allora!>> fece riassestandosi sul sedile <<Dai!>> cercò di
  tirarmi su <<Mo’ che iniziamo a lavorà, a guadagnà... te ne pagamo una
  pure a te!>> Fosse stato di quello che
  avevo bisogno!  Ci riavvicinammo al centro
  abitato del sobborgo di periferia dove abitava. Alberi sparsi, le luci delle
  case. <<Ecco, è
  qua!>> mi fermò. Mi accostai <<Grazie!>> mi
  fece lui, slacciandosi la cintura di sicurezza <<Ma ‘nn’è che sei ‘n po’ brillo? Ce la fai a tornà a casa?>> <<Sì! Sì!
  Tranquillo!>> feci io. <<Me fai ‘no squillo
  quann’arivi?>> si
  preoccupava. Che caro! <<Va bene,
  papà!>> gli risposi accondiscendente. Con un sorriso, si accostò a me,
  si chinò, mi strinse la mano e mi baciò sulle guance, per salutarmi. Cercai
  di assaporare il pizzicore di quella barba e quel profumo dolciastro da
  supermercato, che di solito non riuscivo a sentire, se non quando mi
  restavano addosso dopo che lui se n’era andato.  <<Ok,  allora...>>  ...non potevo più dirgli
  “ci rivediamo in facoltà”! Era un addìo? <<Se sentimo!>> mi fece lui con un sorriso. <<Si, non
  sparire!>> fu tutto quello che riuscii a dirgli. <<No, ce
  mancherebbe!>> fece lui, quasi risentito <<Ma pure te ‘l telefono
  lo poi alzà, eh?>> <<Sì certo!>>
  risposi, imbarazzato <<Però... sentiamoci, pure adesso che non se vedemo più all’università!>> <<Certo! Usciamo
  pure, organizzamo qualche serata, anche cogli
  altri!>> <<Come questa
  eh?>> feci io, puntandogli il dito con un sorrisetto <<Ci
  conto!>> <<Ovvio!>>
  rispose al sorriso con aria malandrina <<Ok! Ciao, bello! Se beccamo, allora?>> <<Certo, ciao,
  ciao!>> Sbatté lo sportello e si
  allontanò. La sua sagoma, con quella camminata inconfondibile, disperatamente
  coatto anche in camicia e giacca, si dissolse in lontananza lungo il
  vialetto, oltre il cancello del suo comprensorio. Misi in moto e mi riavviai
  verso casa. Lo avrei più rivisto? La
  domanda continuava a frullarmi per la testa. Non avrei mai smesso di
  ringraziare il cielo per l’insperato regalo che mi aveva fatto quella sera.
  Wow! Wow! Wow! Ma sarebbe stato anche l’ultimo regalo che avrei avuto da lui?
  A volte certe persone sono importanti nella nostra vita, eppure non glielo
  diciamo, le circostanze non ce lo consentono. Non che fosse stato una
  presenza costante in quegli anni. Ma ogni tanto riappariva sempre. C’era come
  un filo invisibile che lo riportava davanti ai miei occhi ogni volta che non
  pensavo più a lui. A volte, guardando lui, avevo la sensazione di vedere
  dentro di me cose di cui prima non immaginavo l’esistenza. Ad esempio...
  interessi voyeuristici di cui non conoscevo l’esistenza fino a quella sera...
  o quasi. E adesso era finita? La domanda attraversò il mio cervello come i
  fari di una macchina sulla corsia opposta. Come la nuvola che oscurava e poi
  liberava la luna piena al tramonto. Beh, almeno, se quello era l’ultimo
  ricordo che avrei avuto di lui, ignudo e legato a un palo, potevo dire che
  era davvero un bel ricordo!  Ma adesso continuavo ad
  avere in mente tutte quelle immagini convulse. Avevo caldo, sudavo, avevo i
  nervi tesi e la bocca secca.  Quando tornai a casa, non
  dimenticai lo squillo al suo cellulare. Era quasi l’alba, ma ero troppo teso
  per andare a dormire. E avevo troppe immagini per la testa. Gettai via i
  vestiti fradici di sudore, come avevo fatto nel mio sogno a occhi aperti.
  Entrai in bagno, chiusi la porta a chiave e... beh! Credo che il resto non
  siano affari vostri! Come ho detto, preferisco fare certe cose in privato! Quanto a Vittorio, finita
  entrambi l’università, come previsto, ci perdemmo un po’ di vista. Ma ogni
  tanto ci siamo sentiti e qualche volta anche riincrociati.
  So che adesso sta con un’altra ragazza. Stanno insieme da parecchio ormai e
  spero che durino. Sono contento perché quel mascalzone, in fondo in fondo, se
  lo merita.  Certo, nudo, ahimè, non
  l’ho mai più rivisto!  |