| La foto 
 
 
 Figaro qua, Figaro là  
   Figaro su, Figaro giù 
   Figaro su, Figaro giù…     Purtroppo ho frequentato assiduamente un nonno
  che dell’Opera aveva fatto la sua ragione di vita. Questo mi ha… traviato. Pedinare i Bersagli non è di mia
  competenza, ma il mio collega Giulio Sorrentini,
  alias Osram, si è ammalato. Lo chiamo Osram perché è come una lampadina a risparmio energetico,
  ci mette un certo tempo ad illuminarsi quel tanto da far luce, e tuttavia non
  ne fa mai abbastanza.  Io mi occupo della documentazione, ma se
  capita non sono contrario ad un po’ di movimento.  Quando ho iniziato a fare questo mestiere
  è stato quasi per sbaglio. In realtà, cercavo soltanto un lavoro d’ufficio,
  perché sapevo usare bene il computer. Non ho mai detto quanto, però col tempo
  i miei capi lo hanno capito ed apprezzato. L’agenzia Pink Panther
  Investigazioni, mi ha tenuto ben stretto; uno come me è un tesoro da
  custodire. Hanno continuato ad aumentarmi lo stipendio per timore che
  passassi alla concorrenza. Io non lo avrei mai fatto, ma i titolari non lo
  sapevano. Un po’ di cinismo ed una certa dose di sarcasmo li ho appresi da
  loro. Prima mi ritenevo un bravo bambino. Sin dall’inizio, questo contratto mi ha
  dato da riflettere. Come se fossimo nel medioevo, il signor Lamberini ha richiesto espressamente ed esclusivamente il
  servizio fotografico. Niente intercettazioni ambientali, niente telecamere nascoste,
  niente cimici, niente di niente. È convinto che la moglie abbia un amante, ma
  ne vuole unicamente una prova fotografica. In realtà non vuole che
  c’impicciamo degli affari suoi. Questa storia mi puzza. Oggi Nadia Mancini, la sua mogliettina,
  si è data da fare. Pellegrinaggio ai negozi di lusso (di quello sfrenato) e
  parrucchiere. Ci ho fatto il muschio qua fuori. Ma possibile che a rendere
  perfetta la perfezione ci si metta tanto? Aspetta un attimo, aspetta. Chiamo Osram al cellulare. - Ciao, sono Danilo. Come stai? - Come ieri. Quest’influenza mi sta
  uccidendo. - Mi dispiace. Senti, Nadia Mancini è
  stata dal parrucchiere molto spesso? - Nelle ultime due settimane, un giorno
  sì e uno no. Perché?  - E quanto ci sta di solito? - Tre ore, ci sta, che poi lì non c’è un
  cazzo di bar dove infilarsi. È una gran rottura di palle. - Non ti sembra strano?  - No, perché? - Mia sorella dal parrucchiere ci andava
  ogni dieci giorni. E mia madre diceva che era esagerata. - Dici che ci va per qualcos’altro? - Vado a dare un’occhiata. - Ecco, bravo, così almeno ti siedi. - Guarisci in fretta, Giulio, che mi
  manchi. Non so vivere senza di te. - Vaffanculo.  - Vado. Coiffeur Antoine Uomo Donna. Entro
  anch’io. La ragazza con i capelli viola che mi accoglie, mi dice che devo
  aspettare venti minuti. Ci sto. Tra le clienti non c’è traccia di Nadia. Mi
  siedo sul divanetto che guarda verso il retro. Sul corridoio che ho di fianco
  ci sono varie porte. Ogni tanto una delle ragazze entra ed esce da una di quelle
  stanze. Ci tengono carrelli, asciugamani, mantelline. Ad un tratto una porta
  si apre. Li vedo. Si salutano sulla porta con un lunghissimo bacio, senza
  neppure badare a chi possa guardarli. Si staccano e si parlano ancora. Mi
  studio Antoine a sufficienza, poi mi alzo. All’ingresso dico che mi sono
  ricordato di un impegno. Tornerò.  Ti ho beccato! Ti ho beccato! Adesso
  fotografarti è l’ultimo lavoretto che mi è rimasto, caro Antoine. Diciamo
  pure che ho avuto una botta di culo. Neanche appostarmi davanti ad un portone,
  in attesa di sorprendere il Bersaglio mentre esce da casa dell’amante, è di
  mia competenza, ma Osram è ancora fuori
  combattimento, e poi io l’ho visto e lui no. Oggi però è giovedì, il giorno
  in cui il cliente è impegnato fino a notte fonda, il giorno in cui, a suo
  dire, la mogliettina si prende un po’ di libertà. Per questo sono qui, per
  risparmiare una settimana. Sennò questa storia rischia di durare
  all’infinito. Prima gli forniamo una prova visiva, prima ce lo leviamo dalle
  scatole.  È strano. Sono le 3:00 e del parrucchiere
  non si è vista l’ombra. Sono qui da tre ore. Non vorrei essere arrivato
  troppo tardi. Sopraggiunge un’auto. Vedo i fari che si
  avvicinano e il veicolo che si accosta al marciapiede. Sono due uomini. Si
  baciano nell’abitacolo buio, ma io li vedo benissimo, attraverso l’obiettivo
  della reflex. Scatto una foto. Perché lo sto facendo? Noia. Solo per noia. Il
  passeggero scende. Click click. L’auto riparte. Il
  tizio sta aprendo il portone.. Click click.
  Dall’andatura non eccessivamente lineare mi sembra un po’ ubriaco.  Basta. Sono le 4:00. Dal portone non è
  uscito nessuno e anche il cliente tarda a rientrare. Me ne torno a casa. Non mi fa bene lavorare di notte. Adesso
  non riesco a dormire. Vado al computer per scaricare le tre stupide foto che
  ho scattato.  Questa è bella, il tizio ubriaco
  assomiglia al nostro cliente. Ingrandisco. No, non gli assomiglia. È lui,
  accidenti. È proprio lui. Il signor Perfettino
  che vuole le prove che la moglie lo tradisca, mentre lui fa quel cazzo che
  vuole. Magnifico esemplare di stronzo. Pomeriggio. Mi sento uno zombi, ma sono
  venuto in ufficio per parlare di questa storia con Armando Fiorini, alias Toroseduto. È uno dei soci, ex-poliziotto, mentre l’altro
  è Paolo Carraro, ex-guardia giurata, che io chiamo il Tovaglia. Entro nella stanza di Toroseduto
  senza bussare allo stipite della porta aperta. In silenzio appoggio gli
  ingrandimenti sull’unico rettangolo sgombro della sua immensa scrivania,
  invasa di strumenti altamente tecnologici. Lui li afferra, li guarda, li valuta. Si
  mette gli occhiali e ripete da capo l’intera manovra. Poi solleva gli occhi
  grigi su di me con un punto interrogativo stampato in mezzo alle
  sopracciglia. - Che diavolo significa? - Lo riconosci?  - Certo, è Lamberini,
  il cliente che vuole incastrare la moglie.  - Indovinato. Quelle le ho fatte stanotte
  alle 3:00.  - So leggere. Ce l’hai stampato sopra. Ma
  che ci dovrei fare con ‘sta roba?  - Fa’ tu. Io te le ho date. Cosa vuoi
  farne sono affari tuoi.  - Io ti ci ho mandato per fotografare
  l’amante, non il cliente.  - L’amante della moglie non si è visto.
  In compenso si è visto il suo, che l’ha accompagnato fin sotto casa.  - Facciamo finta che non abbiamo visto
  niente. Andiamo avanti per la nostra strada. Sei entrato nella sua posta
  elettronica?  - Mi avevi detto di entrare in quella
  della signora, non nella sua.  - Infatti, era a quella della moglie che
  mi riferivo. - Vabbè, non
  sei stato molto chiaro, stavamo parlando di lui.  - Di lui, di lei, chi se ne fotte. Ci sei
  entrato o no?  - Sì, certo.  - E allora?  Tiro fuori un foglio dalla tasca. - La sorella sta bene. Luigino, il
  nipote, ha preso otto al compito in classe di matematica. La sua amica Milvia non può andare a una cena importante perché non ha
  niente da mettersi, un suo amico…  - … Moretti!  Mi chiama per cognome, quando si incazza. - Sì?  - Che cazzo me ne frega? Hai trovato
  qualcosa?  - Quello che ti stavo leggendo.  - No, porcomondo!
  Qualcosa dell’amante! E non fare finta di non capire. Quando fai così mi
  verrebbe voglia di mandarti a…  - … No, non ho trovato niente.  Toroseduto si rilassa. Appoggia la schiena alla
  poltrona, mettendo in evidenza la sua grossa pancia.  - Vaffanculo. –
  mi dice. Tradotto, levati dalle palle e torna a
  lavorare. Devo ammettere che le mie conversazioni
  con Toroseduto sono sempre fonte d’ispirazione.
  Voglio proprio entrarci nella posta elettronica di Roberto Lamberini. D’accordo, Lamberini
  vuole solo le foto, ma io posso permettermi di ficcare un po’ il naso negli affari
  suoi. O no? Armeggio un po’. E voilà. A prima vista
  sembra non ci sia molto di interessante.  Aspetta. Aspetta, cos’è questo?  “Non mi sembra una buona idea coinvolgere
  un investigatore privato. È un rischio troppo grosso. Finisce che ci sarà
  d’impaccio al momento buono. A che serve?” Risposta del Lamberini
  “È un ottimo alibi.” Merda! Che cazzo hanno intenzione di
  fare, ‘sti due? Sarà meglio che segua a ritroso.  Innanzitutto chi è questo? Alessandro
  Barbaro. Vediamo cos’altro si dicono. Niente di importante. Indietro.
  Indietro. Ecco. “L’unica sarebbe levartela dalle palle.”
  Così. Senza una progressione logica. Forse ne hanno parlato al telefono. Ma
  di che? Un’auto che si guasta continuamente, una carie, un’assicurazione
  troppo cara, ecc. ecc. Perché allora mi viene subito in mente la povera
  signora Nadia Mancini? Povera, poi! È un bel pezzo di figliola, come direbbe
  Paolo, che ha un debole per le bionde. Questa è pure benestante di suo. L’ho
  appurato il primo giorno.  Lui invece è
  un broker, che fa affari con i soldi degli altri.  Indietro, indietro. Siamo a gennaio.  “Ci ho ripensato a lungo. Potremmo
  vederci a cena, per discutere di quell’affare... ” E il Barbaro gli risponde:
  “Sì, l’affare si sta già ingrossando… Vediamoci
  stasera. Non ne posso più.” Carini. Ho una vaga idea di che cosa
  fosse l’affare che si stava già ingrossando…  Non c’è altro. Ma il vizio della
  curiosità non mi è mai venuto meno, perciò armeggio un po’ per studiarmi
  anche Alessandro Barbaro. Come hacker non sarò forse il massimo, ma questa è
  pura routine. Eccoci. Ha un bel po’ di amici, questo
  tizio. Le mail sono piene di allegati. Cristosanto!
  E che allegati! Qua è meglio che entrare in un sito porno…
   - Danilo!  Sobbalzo come un ragazzino sorpreso con
  le dita nella marmellata.  - Dimmi, Paolo.  - A che punto sei con Lamberini?
   Vorrei dirgli che sono nel pieno di una
  ricerca molto piacevole, eccitante, arrapante… Ma
  so che odia queste cose, come io odio le sue camicie a grossi quadri
  sgargianti, che sembrano ritagliate dalle tovaglie delle vecchie trattorie di
  campagna. - Ho trovato l’amante, ma ancora niente
  foto. Di lui invece ho notizie interessanti, ma non ancora confermate. Sto
  approfondendo.  - Di lui non ci interessa, non perdere
  tempo. Il nostro compito è solo quello di beccare lei con le mani nel sacco.  - Nel pacco, volevi dire.  Bella immagine. Molto suggestiva. Il Tovaglia ride.  - Sei sempre il solito. - Non credo che sarà facile fotografarla
  in dolce e fedifraga compagnia. Ieri sera non è successo niente. E comunque la
  foto di un tizio che esce da un portone non significa granché. Finora la
  signora non si è mai fatta vedere in giro con lui. Giulio l’ha seguita per
  due intere settimane.  - Ma Lamberini
  vuole quelle foto. Fatele.  - E se non escono mai insieme? - A lui bastano quelle del tizio che esce
  dal portone. - Comunque è inutile che parli al
  plurale. Giulio si è ammalato. Ci sono solo io, qui. - Beh, allora pensaci tu! E se ne va. Trovarla con le mani nel pacco non sarà
  facile. Ritorno a Lamberini
  e agli allegati che gli ha inviato il Barbaro. Ah, ecco, volevo ben dire. Non
  male il signor Barbaro. È proprio quello che si scambiava effusioni con il
  cliente. Beh, almeno adesso ha un nome e un cognome. Quanta bella gente. E
  questo chi sarebbe? Che tipo serio! Non sembra entrarci niente con questi
  qua, anche perché è l’unico vestito. Camicia bianca sbottonata, da cui si
  affaccia appena un capezzolo. Jeans sbottonati da cui appare un triangolo di
  slip neri. Maturo ma molto sexy. Si chiama Mauro. Sarà il suo vero nome? Ravanare in mezzo a tutta questa gente non è facile.
  Indietro, indietro. No, prima di gennaio non c’è niente. Concentrati, Danilo,
  non sei in pausa pranzo. Mauro. Non posso farne a meno. Me lo piazzo sulla
  chiavetta. Torniamo a Barbaro. Avanti avanti avanti. Qui non c’è niente. Peccato. Ritorno a Nadia.
  Avanti e indietro. Qui non si cava un ragno dal buco. Tante belle
  informazioni, che non mi servono a un cazzo.   Si parla del Lamberini.
  Mi torna in mente Mauro. Chissà se è il suo vero nome? Da quando me lo sono
  piazzato sul desktop di casa, ci sogno sopra come un cretino.  - Come hai fatto a pensarci? – mi chiede Osram, che è tornato al lavoro, anche se non sembra
  troppo in forma. - Te l’ho detto. Troppo parrucchiere.
  Doveva esserci sotto dell’altro. O sopra. - Che tipo è? - Niente di speciale.  - Insomma non è il tuo tipo. - Mi stupisce che possa essere il tipo di
  qualcuno. Pensavo che questa Nadia avesse gusti più raffinati. Lamberini non è male. - E quella storia delle sue foto? - Chi te l’ha detto?  - Armando. Me le ha fatte vedere. - Non le terrei in archivio, se fossi in
  lui. Sono fuori tema. - Le ha date a me, infatti.  - Bruciale. - Vacci piano. Ho aperto un dossier
  “Trasversali”. Le ho già messe insieme ad alcune altre di casi simili. Magari
  ci potrebbero tornare utili in futuro. Non pensi che sarebbe giusto avvertire
  la signora? - L’influenza ti ha infettato anche il
  cervello? - No, è solo che mi sembra un’ingiustizia
  che lui passi per una povera vittima, mentre è uno stronzo coi fiocchi. Anche questa è una bella immagine. Un po’
  logora, forse, ma… - Giulio, toglitelo immediatamente dalla
  testa. C’è un’etica… - … e mettiamoci pure una morale. E
  allora?  - Giulio, Giulio…
  non è che a forza di seguirla ti sei innamorato di… - …Non dire
  stronzate. - E tu non farle. Osram si innamora facilmente. Le sue cotte
  durano poco, ma sono molto intense. Io, al contrario di lui, non m’innamoro
  mai, ma se mi accade, sono marchiato a vita. Ho già due belle cicatrici che
  vorrei poter cancellare. Ma ho giurato di non cascarci più. - Ragazzi, vi devo parlare. – annuncia Toroseduto, irrompendo nella stanza come un treno, senza
  fermarsi finché il suo grosso sedere non incontra la poltrona. - Parla, capo. - Ha chiamato Lamberini:
  è sicuro che giovedì il tizio andrà a trovare la moglie. Vuole le foto del
  parrucchiere che entra ed esce dal suo portone. Gliele dobbiamo procurare.
  Quindi, appostamento e foto. Ok? - Anche giovedì scorso eravamo convinti
  che si sarebbe fatto vivo, però non si è visto. Cosa lo rende così sicuro? - 
  Non me l’ha voluto dire. - Dai, Giulio, rimboccati le maniche. –
  gli dico. - Un’altra nottata in bianco. – sospira
  lui. Toroseduto si scolla dalla nostra poltrona e prende
  la rincorsa verso quella del suo ufficio. - Danilo, puoi andarci tu? Se passo
  un’altra nottata all’addiaccio, mi becco una ricaduta. Lo guardo di sbieco. Odio fare gli
  appostamenti. - Per favore. - E va bene. Però fai tu le stampe. - Grazie, Danilo, farò tutto quello che
  vuoi. - Tutto tutto?
  – gli chiedo, con un sorrisetto ironico. - Scordatelo! La sua schiena che si allontana è una
  risposta piuttosto provocante. Il suo lato B è quello che preferisco.  Questa volta ho voluto fare le cose per
  bene. Già alle 19:30 sono nascosto tra i grossi cassonetti della
  spazzatura  e i due tronchi di platano,
  ubicati di fronte al portone del civico 8 di via delle Pigne. Dietro di me
  c’è l’alto muro di tufo che circonda un ampio parco con tanto di laghetto. Ho
  visto rientrare Nadia e subito  dopo
  anche il marito. Sono già pronto con la reflex. Ho deciso di fotografare ogni
  movimento. Alle 20:30 click click esce Roberto Lamberini, salendo su un taxi che si è appena fermato
  davanti al portone. 21:30 sbadiglio. Usciti dal portone: uomo in tuta da
  ginnastica con cane, donna con borsa gigante, famigliola in libera uscita,
  altro cane portato al guinzaglio da donna in là con gli anni, due ragazzi in
  blue-jeans e giubbotto di pelle nera. Entrati: quattro ragazzi e due ragazze
  a distanza di cinque o dieci minuti l’uno dall’altro, un uomo anziano con
  cappello e bastone, due donne con un bambino, un uomo elegante click click, un uomo con borsone in tenuta sportiva, uomo con
  cravatta fosforescente click click, fattorino con
  quattro pizze sceso da un motorino, altro uomo piuttosto anonimo. In nessuno
  ho riconosciuto il parrucchiere. Altro sbadiglio. Barretta energetica di
  emergenza. Tornano insieme i due cani rincorsi alla meglio da donna in là con
  gli anni e uomo in tenuta ginnica. I due cani si annusano, poi il portone si
  apre ed esce il fattorino senza pizze e l’uomo click click
  con cravatta fosforescente.  Mi sembra di essere qui da un’eternità. E
  il parrucchiere che fa? Mi dà buca anche stanotte? Sono già stufo. Non sono
  portato per questo mestiere. Arrivano due volanti a sirene spiegate.
  Brusche frenate, stridore di pneumatici, sbattere di portiere, affollamento
  davanti al portone. Salgono tutti insieme, chi per le scale, chi con
  l’ascensore. Arriva un furgone. Scendono quattro poliziotti intabarrati nelle
  tute di carta, con valigioni al seguito. Mi
  stupisco. Qui c’è scappato il morto. In qualche modo quei due ce l’hanno
  fatta. Hanno ammazzato la Mancini. Per ore aspetto che accada qualcosa, ma
  non c’è più nessuno da fotografare. Arriva un furgone della polizia mortuaria
  vuoto, riparte occupato. Il furgone della scientifica e le volanti se ne
  vanno. Lamberini non è rientrato. Si è fatto
  giorno. Me ne torno a casa. Nelle mie foto ci sono tutti i movimenti
  avvenuti fuori e dentro quel portone, dalle 19:30 in poi. Stampo tutte le
  foto con data e ora, in doppia copia. Qualcosa mi dice che prima o poi la
  polizia verrà a cercarle. Le metto tutte in una busta formato A4 con relativo
  Cd. La svolta degli eventi piace poco a Toroseduto. La sua agitazione si profila evidente dal
  fatto che resta in piedi, mentre finisco di raccontare. Poi gli faccio vedere
  le foto. Solo allora si siede. - Non c’è il parrucchiere, vero? - No, lui non si è visto. E non ho visto
  neppure tornare Lamberini. Se l’ha ammazzata lui,
  da dove diavolo è rientrato in casa? Poco dopo arriva il Tovaglia con i
  giornali. - Ragazzi, hanno ammazzato Roberto Lamberini. Restiamo di sasso. - Che cosa? Ero sicuro che lui avesse
  fatto fuori la Mancini. - Sbagliato. Un colpo di pistola alla
  nuca, secco. E abbiamo perso il cliente.  C’è un po’ di movimento in corridoio.
  Poi, con mio grande stupore, sbuca lui in persona, in carne ed ossa, in
  abbigliamento regolamentare, con tutti i bottoni infilati nelle asole, ma per
  me chiaramente riconoscibile. - Ispettore Della Corte. – si presenta -
  Avrei bisogno di farvi qualche domanda. - Venga pure, ispettore, si accomodi. –
  gli dice Toroseduto. Mauro si siede davanti alla sua
  scrivania. Io resto in piedi al fianco di Armando, immobilizzato come una
  statua.  Mauro lo fissa per qualche istante, poi
  guarda me. Mi  studia. Mi sento
  vagamente a disagio.  La barba di due giorni, gli occhi grandi,
  blu, i capelli mossi, scuri, con flash d’argento sulle tempie, un volto
  vissuto ma armonioso, con le rughe a sottolineare i punti giusti, e in cui le
  labbra piene fanno la loro bella figura, attirando lo sguardo. Veramente non
  so se dirigerlo sulle labbra o sugli occhi. È una bella lotta. Penso che è un
  poliziotto. Penso che ho la sua foto sul desktop e sento un insolito brivido
  scorrermi lungo la schiena. - Immagino abbiate già saputo che un
  vostro cliente è stato assassinato, stanotte. Precipito dalle nuvole, impattando
  violentemente sul terreno. - Ne stavamo parlando proprio adesso,
  ispettore. – gli dice Toroseduto. - Tra le sue carte abbiamo ritrovato una
  vostra ricevuta di pagamento. - Sì, era solo un anticipo, in realtà non
  avevamo ancora concluso il contratto. - Di cosa si trattava? - Era convinto che la moglie lo tradisse
  e ne voleva una prova documentale. Proprio stanotte abbiamo fatto un appostamento,
  con relative foto, davanti a casa sua. - A che ora? - A che ora, Danilo? – mi chiede Toroseduto. - Dalle 19:30 fino alle 7:00. Dopo che è
  andata via la polizia ci sono rimasto ancora un’ora circa. - E chi hai fotografato?  Chissà perché a me da del tu. - Tutti quelli che sono entrati o usciti
  dal civico 8 di Via delle Pigne. - Sei sicuro? Non ti sei mai distratto? - No, mai. È tutto documentato. - Benissimo. Mi servirebbero le copie di
  quelle foto. Io esco dalla stanza, tornandoci nel giro
  di un minuto. Gli metto sotto il naso la busta. - L’avevo già preparata. Oltre alle
  stampe, ci sono le foto in digitale memorizzate su CD.
   - Benissimo, grazie. - Io non capisco. – mi sfugge. - Che cosa? - Non so perché, ma mi ero convinto che Lamberini volesse far fuori la moglie. E invece hanno
  fatto secco lui. - Da dove ti è venuta quest’idea? - Non so. Una sensazione. Un
  presentimento. Non posso certo dirgli che ho frugato
  nella sua posta elettronica. - Il genere di cose che non costituiscono
  prova, insomma. - Esatto. Mauro mi guarda negli occhi. Non sembra
  troppo convinto. Poi tira fuori dal taschino un biglietto da visita,
  porgendomelo. - Chiamami, se ti viene in mente
  qualcosa. - Lo farò. Guardo il biglietto. Ispettore Mauro
  della Corte, con la d minuscola. Cellulare e mail. Lo faccio sparire in una
  tasca. Si congeda così. Si alza dalla
  poltroncina ed esce, senza neppure salutare. Neppure ciao. Neppure ci
  vediamo. Neppure un semplice vaffanculo. 
 Il mio mistero è chiuso in me.  No, no, sulla tua bocca lo dirò,          quando la luce splenderà…    Nonno, perché mi hai fatto questo? Ho un tarlo che mi perseguita. Come
  diavolo ha fatto Lamberini a rientrare in casa
  senza che io lo vedessi?  Sono al civico 8 di Via delle Pigne, di prima
  mattina. Un tizio sta facendo le pulizie, con il portone spalancato. - Scusi, questo palazzo ha un altro
  ingresso? – gli chiedo. - C’è quello dei box, sulla strada
  parallela, a Via delle Sequoie. Grandioso. Sono proprio un imbecille. Il
  parrucchiere può benissimo essere entrato ed uscito da lì, come pure la
  Mancini e lo stesso Lamberini. Ed io fermo qui come
  un pezzo di baccalà. Gran servizio fotografico ho fatto! - Le spiace se do un’occhiata? - No, entri pure. Liberali, questi custodi d’oggi. In fondo al corridoio laterale c’è una
  porta aperta. Una signora anziana mi guarda dalla soglia e mi assale
  chiedendomi chi sono, cosa faccio, cosa voglio, perché sono lì. Le spiego che sto facendo delle indagini.
  Pensa subito che sia un poliziotto e comincia a raccontarmi vita, morte e
  miracoli dell’intero condominio. - Io non dormo mai e vedo tutti quelli
  che entrano ed escono, dalle finestre sopra i box. - E la notte dell’omicidio ha visto
  entrare od uscire qualcuno che non aveva mai visto prima?  - No, no. Nessuno sconosciuto. La ringrazio e me ne vado. - Ha parlato con mia madre? Non le dia
  retta. È solo una vecchia pettegola. – mi dice il portiere. Chiamo Mauro per rivelargli la mia
  scoperta di un secondo ingresso. - Grazie per l’interessamento, ma lo
  sapevo già. Chi esce in macchina, lo fa dalla parallela. - Solo io non lo sapevo. - - Non te la prendere. Ti è venuto in
  mente qualcosa? - Niente che di sicuro non saprete
  presto, se non lo sapete già.  - Senti, ti va di mangiare insieme un boccone
  a pranzo, così magari ne parliamo un po’? A volte anche le notizie più banali
  possono aiutare. - Come vuoi, ma sono certo che per te
  sarà uno spreco di tempo. Comincio a sentirmi un idiota. Ho 140 di
  Q.I., ma non si direbbe. Sarà che mi sono fatto condizionare da Osram. È stato lui a dirmi che quello era il portone. Mi
  sono fidato. Se avessi investigato da me, non mi sarei limitato all’indirizzo
  fornitomi dal cliente. Avrei cercato per prima cosa le planimetrie al
  catasto, come faccio sempre. Ben mi sta. Così imparo a fidarmi.  Domenica compio 37 anni. Lo so, non li
  dimostro, ma oggi li sento tutti pesarmi addosso, uno sopra l’altro. Vorrei
  tornare al mio lavoro di routine, a scrivere banali rapporti cullato dal
  dolce ticchettio dei tasti. Perché questa storia del Lamberini
  mi sta dando il tormento? Perché la mia mente continua a dirmi che c’è
  qualcosa di enormemente sbagliato nella situazione che si è venuta a creare? Vedo arrivare Mauro. Vado in apnea. E che
  c’è in quest’uomo che mi manda in pappa il cervello? Mauro mi raggiunge. Mi sorride. Quando
  stira le labbra, scopre appena i denti, bianchissimi, perfetti. Per un attimo
  ne sono abbagliato. Nella trattoria Da Mamma Fina, a metà
  strada tra il commissariato e l’agenzia, c’è un tavolo libero. Ci sediamo.
  Qui non c’è bisogno di ordinare. Ti portano quello che c’è e se non ti sta
  bene te ne puoi anche andare a mangiare altrove. A loro non importa. Ma fatto
  sta che è sempre affollata, all’ora di pranzo. - Da quanto lavori alla Pink Panther?   Una domanda che può apparire banale, ma
  che a me fa scorrere un leggero brivido lungo la schiena, come se fosse il
  preludio ad altre domande a cui non posso rispondere. - Dieci anni. - Ti sarai fatto una bella esperienza. - Da noi il lavoro è distribuito. Diciamo
  che ognuno ha la sua specializzazione. Per esempio, Giulio fa i pedinamenti,
  Paolo si occupa di problemi nelle aziende, io di raccogliere le
  documentazioni, Armando è un tecnico superspecializzato
  in strumentazioni all’avanguardia... - E come raccogli le documentazioni? Eccola, è già arrivata la domanda a cui
  non posso rispondere. Mauro mi fissa per qualche secondo, poi sorride. - Senti, Danilo, lo so già come voi altri
  raccogliete dati e informazioni. È per questo che sono qui. Rilassati. Non ho
  alcuna intenzione di farti passare dei guai. Vorrei soltanto che tu
  condividessi con me le scoperte che hai fatto. Sento gli addominali rilassarsi. È così
  facile cedergli? - Che cosa vuoi sapere? - Mi hai detto che non capivi. Che ti
  saresti aspettato che la vittima fosse la Mancini e non il Lamberini. Perché? Cosa ti ha dato questa impressione?  - Ho letto alcuni strani messaggi nella
  posta elettronica del Lamberini. In uno scambio con
  un certo Alessandro Barbaro, c’era qualcosa che non mi convinceva. Mauro trasale impercettibilmente. Certo,
  ho nominato il Barbaro. È lui che ha mandato la foto di Mauro al Lamberini. Deve conoscerlo bene. - Cosa dicevano questi messaggi? - Te li faccio avere non appena ritorno
  in agenzia. Comunque parlavano di togliersi qualcuno dalle palle. E in uno
  scambio successivo Barbaro diceva che mettere di mezzo un’agenzia
  investigativa era un rischio e che avrebbe potuto intralciarli. Lamberini invece gli ha risposto che sarebbe stato un
  ottimo alibi. - Capisco. - Tra il Lamberini
  e il Barbaro c’era una tresca. Li ho fotografati che si baciavano. Di nuovo Mauro ha un trasalimento.
  Impallidisce leggermente. - Se vuoi ti mando anche la foto. - Sì, grazie. Potrebbe esserci utile. –
  mi risponde, tentando di nascondere il suo evidente disagio sotto una patina
  di professionalità.  - A questo punto bisognerebbe cercare il
  colpevole tra quelli che facevano affari con lui. Ho scoperto che aveva un
  sacco di debiti. - Abbiamo appurato che la Mancini è
  benestante, ma non erano in comunione di beni. - Esatto. Anche se non fosse stato
  indebitato fino al collo, lei dalla morte del marito non ci avrebbe
  guadagnato niente. - Ma neanche il contrario. A cosa sarebbe
  servita a Lamberini la morte della moglie? - Aveva stipulato un’assicurazione sulla
  sua vita. Si sarebbe intascato quella. - Però le cose sono andate in un altro
  modo. - Già.  Poi mi torna in mente un altro tassello. - Anche il Barbaro aveva debiti con Lamberini. - Ti dispiacerebbe mandarmi tutta la
  documentazione che hai raccolto? - Ma vi basta guardare nel suo computer. - Il suo computer è stato smontato e le
  schede di memoria sono state sottratte. Sono spariti anche due faldoni in cui
  Lamberini archiviava le sue transazioni. Non
  abbiamo nulla su cui lavorare. Tutto ciò che avremo sarà quello che potrai
  procurarci tu. Sono stupito. La soluzione del caso
  dipende da me. - Avete già interrogato la Mancini,
  immagino. - Ovvio, è la prima cosa che abbiamo
  fatto. - È stata convincente? - Lei era da alcuni amici quella sera. È
  tornata all’una e mezza e ha trovato il marito in formato cadavere e la casa
  sottosopra. - Ovviamente era uscita in macchina. Mauro sorride. - Ovviamente. - Il marito è uscito in taxi da Via delle
  Pigne, ma sarà tornato da Via delle Sequoie.  - Dal momento che non hai fotografato il
  suo rientro, sembra evidente. - Ci ha mandato lui a fare l’appostamento
  quella sera, dicendo di essere sicuro che avremmo potuto beccare l’amante che
  usciva dal portone. Nessuno mi toglierà dalla mente che non ci voleva lì per
  quel motivo. - E perché allora? - Perché potessimo vedere lui che usciva… - E poi? - E poi vederlo rientrare. - Stai dicendo che voleva uccidere la
  moglie? Uscire dal portone quando tu lo avresti visto, rientrare da Via delle
  Sequoie, assassinare la moglie, uscire dal retro e poi tornare più tardi a
  farsi vedere da te davanti al portone di Via delle Pigne? Ma che alibi
  sarebbe stato, scusa? Una volta appurato che c’era un’uscita secondaria, il
  suo alibi non avrebbe retto due minuti. - Doveva aver messo in mezzo qualcun
  altro. Per esempio quel Barbaro. Si sarà fatto vedere in giro con lui. Poi si
  è allontanato con l’intenzione di ritornare presto. Con un po’ di fortuna
  nessuno avrebbe notato la sua assenza.  - Sei molto fantasioso nelle tue ricostruzioni.
  C’è solo un piccolo particolare. È lui la vittima. - Ed è proprio questo che non mi quadra.
  Qualcun altro ha approfittato del suo stesso piano, per levarlo di mezzo. - Escluderei la moglie. Lo stub ha dato esito negativo. - E Barbaro? Gliel’avete fatto? - Del Barbaro sei il primo a parlarne.
  Provvederemo. – mi dice un po’ freddamente. Finiamo il pasto quasi in silenzio. Poi
  ciascuno se ne torna da dove è venuto. Sulla porta, Mauro mi fa un cenno con
  due dita sulla fronte. Un saluto. Un saluto vero. La settimana trascorre in fretta, dietro
  ad un altro caso. Osram si è ripreso perfettamente.
  Io non mi sono portato il lavoro a casa. Quando accendo il computer,
  l’immagine di Mauro mi da il benvenuto. Apro in fretta qualche file per non
  indugiare troppo su di lui. Dovrei cambiare lo sfondo del desktop, prima che
  strane idee mi comincino a girare nella testa. Da troppo tempo sono solo. Solo come un
  coglione, da quando Renato mi ha mollato. Una storia che ancora fa male. Il venerdì sera di solito esco, ma fino a
  poco fa pioveva a dirotto. Lampi improvvisi flashano
  ancora il cielo. Avrei un libro da finire, ma pare che non riesca a
  trattenere la mia attenzione. La mente vola spesso altrove, mentre gli occhi
  ripercorrono all’infinito le stesse due righe. Suonano alla porta. Spero non sia qualche
  rompicoglioni del condominio con la solita raccolta di firme. Mauro? Mauro qui? - Scusami per l’invasione di campo, ma
  alla Pink Panther non sono riuscito a passare.  Lo invito a sedersi sul divano. Lui
  esegue, scostando il libro che stavo tentando di leggere. Gli offro da bere.
  Rifiuta. - Ci sono novità sul caso? – gli chiedo. - Credo avessi ragione tu. È stata
  trovata l’auto di Lamberini posteggiata vicino ad
  un locale notturno. Abbiamo interrogato alcuni habitué. Tutti ricordano Lamberini e Barbaro al locale, quella notte. Un paio di
  loro sono concordi nell’affermare che a un certo punto sono usciti e dopo una
  mezz’ora Barbaro è tornato da solo. - Gli avete fatto lo stub?
   - Sì, è risultato negativo. - Beh, almeno sappiamo che non è stato
  lui. - Ha ammesso di aver riaccompagnato a
  casa Lamberini. - E come lo giustifica? Lamberini aveva la macchina, poteva tornare a casa da
  solo. E ci sarebbe poi da capire quando e perché ce l’ha portata… - Dice che non si sentiva di guidare, non
  stava bene. - Subito dopo sarebbe stato ancora
  peggio. Mauro mi lancia uno sguardo
  indecifrabile. - Alessandro Barbaro non c’entra. - Se lo dici tu. Lo difende. C’è qualcosa tra quei due. Me
  lo sento. - Ti ha parlato dei debiti che aveva
  contratto con lui? - Poche centinaia di euro. Li aveva già
  pronti da restituire. - Gli avrai chiesto se sapeva che Lamberini voleva uccidere la moglie. - Dice che voleva solo divorziare. Che
  cercava le prove del suo tradimento, per non rischiare di doverle pure
  passare gli alimenti. - Certo, che stupido. Ed io che ci ho
  ricamato sopra tutta un’altra storia.  Nonostante tutto, Mauro sembra depresso. - Scusami se te lo chiedo, ma Alessandro
  Barbaro lo conosci bene? - Cosa te lo fa pensare? – mi chiede
  stupito. Una foto che ho sul desktop. - Niente, è solo un’impressione. - Tu e le tue impressioni…
  Sì, lo conosco bene. Da due anni. - Non dev’essere
  facile per te. - In effetti questa storia mi ha fatto
  venire l’ulcera. - Posso offrirti un bicchiere di latte? Mauro mi lancia un’altra occhiata da
  sfinge. - Dalla Mancini non avete ricavato più
  niente? - Sembra la persona più limpida del
  mondo. Ha solo ammesso di essersi fatta un amante, perché il marito la
  trascurava da tempo. Abbiamo anche interrogato il parrucchiere, che si fa
  chiamare Antoine, all’anagrafe Antonio Beltrami. Un tipo anonimo e di poche
  parole. Diventa un artista sfrenato soltanto quando si ritrova tra le mani
  una bella capigliatura, come quella della Mancini. - Però della Mancini cura più il resto,
  che la capigliatura. - Niente di strano. La Mancini è una
  bella donna. - E pure ricca. - E pure innocente, sembrerebbe.  - Già. Silenzio. - Posso chiederti una cosa? - Che cosa? - Perché sei depresso? - Affari personali. Mi passerà.  - Non vuoi davvero niente da bere? - No, grazie, me ne vado. Si alza, mi fa quella specie di saluto
  militare e se ne va, chiudendo la porta alle sue spalle con un lieve plop. Perché è venuto? mi domando. Per fare il
  punto della situazione? Con me? Perché proprio con me? Che Osram non
  fosse una volpe, lo so da anni, ma scoprire fino a che punto possa essere
  coglione, è una rivelazione che mi stupisce ogni volta. Siamo stati dietro ad
  un caso per dieci giorni solo perché lui non ha voluto seguire il Bersaglio
  dentro un centro commerciale. E quello si è defilato da un’altra uscita. Così
  abbiamo mancato l’incontro cruciale e ci sono voluti altri otto giorni di
  appostamenti e pedinamenti.  Lo guardo bene in faccia. - La prossima volta entraci
  in un centro commerciale, anche se tu li odi. 
   - Che ne sapevo che c’era un’altra
  uscita? - Quello è grande come un paese. Ti pare
  possibile che progettino un solo ingresso? Sei, ne ha! Sei! - La prossima volta ci vai tu, così il
  caso lo risolvi in quattro e quattr’otto, come hai fatto con quello della
  Mancini. Se fosse stato per te non avrebbe saputo nemmeno che il marito
  pensava al divorzio. Mi scorre velocissimo un film davanti
  agli occhi della mente. Quell’idiota gliel’ha detto. - E quando lo ha saputo? – gli chiedo,
  con la massima calma possibile. - Il giorno prima che ammazzassero il
  marito. Le ho detto che quel giovedì saremmo stati ad aspettare il suo amante
  davanti al portone. - Ma il marito l’hanno ammazzato e così
  il problema del divorzio si è risolto da solo. - Meglio così. - Certo, meglio così. E che altro le hai
  detto? - Naturalmente che il marito se la faceva
  con un tizio. - Naturalmente. Ci penso e ci ripenso tutto il giorno. Cosa
  sapeva la Mancini? Primo, sicuramente, della polizza sulla vita. Gliel’aveva
  scritto alla sorella. Secondo, che il marito la faceva pedinare. Giulio le ha
  detto anche dove e quando avremmo aspettato al varco il parrucchiere. Terzo,
  sapeva di Alessandro Barbaro. Quarto, era sicuramente al corrente dei suoi
  debiti. Alla sorella scriveva che litigavano per questo. Rimescolo il bel
  mazzo di carte che mi ritrovo in mano e non ne viene fuori un bel gioco.
  L’unico dubbio che mi sorge è che Nadia Mancini possa aver temuto che il
  marito la volesse uccidere per intascare l’assicurazione. Ha assoldato un
  killer per ricambiare anticipatamente il favore? Ma la storia del divorzio e
  del Barbaro avrebbero dovuto tranquillizzarla. Uno non assume un occhio per
  spiare la moglie, se vuole ucciderla, no? No, Nadia non c’entra niente. A
  meno che non abbia letto anche lei la posta elettronica del marito e non le
  siano sorti gli stessi dubbi che sono venuti a me.  In ogni caso, preferisco dirlo a Mauro.
  Gli telefono, ma lui è impegnatissimo. Mi chiede se
  è urgente. No, non preoccuparti. Mi richiama lui. Stasera non riesco a togliermi dalla
  mente Mauro della Corte. Sono spacciato. Non doveva accadere. Non dovevo
  lasciarmi andare fino a questo punto. Sono un vero idiota. Lo guardo nel
  monitor e più lo guardo più mi sento un idiota. E intanto la tensione nei
  miei pantaloni diventa intollerabile. Finirò per farmi una sega mesta e
  solitaria, mormorando Mauro, Mauro, Mauro?  Neppure si è degnato di richiamarmi. Si
  sarà dimenticato.  Tanto per fare qualcosa, vado a dare
  un’occhiata alla posta elettronica della Mancini. Lo faccio per abitudine.
  Non si sa mai. Ah, adesso il parrucchiere è diventato
  invadente. Quanta ingratitudine c’è in certe donne. Forse non gradisce più il
  suo taglio di capelli. Presto si cercherà un altro coiffeur. E poi non riesce
  a dormire bene. Ha degli incubi in cui il marito buonanima pretende di fare
  sesso con lei, vestito di una calzamaglia nera come quella di Diabolik. Rido.
  Ci vorrebbe Freud, per dipanare questa matassa. Suonano alla porta. Sto ancora
  sorridendo, mentre apro. - Mauro! Pensavo che mi telefonassi.  - Invece ho preferito passare. - Siediti. Qualcosa da bere? - Sì, grazie. L’ultima volta si è seduto, ma non ha
  voluto nulla da bere. Stavolta beve, ma non si siede. Forse non gli riesce di
  fare le due cose contemporaneamente. 
 Libiamo, libiamo nei lieti calici,  che la bellezza infiora…     - Ti ho sentito ridere, prima. - Stavo leggendo una cosa. La Mancini… Mauro si avvicina al computer e legge
  anche lui. - Diabolik? - Mica male, vero? Lei si sentirà Eva Kant? - Già. Cosa pensi che abbia rubato? - Quella là non ha bisogno di rubare
  niente. Con tutti i soldi che ha, può comprarsi quello che vuole. - Eppure ci sono cose che non si possono
  comprare. - Lo so. Dicevo tanto per dire. - Cosa volevi dirmi al telefono? - Volevo avvertirti che Giulio ha
  informato la Mancini del nostro contratto, il giorno prima che ammazzassero
  il marito. E gli ha detto anche della storia con Barbaro. - Cazzo. Ha fatto finta di cadere dalle
  nuvole, quando glielo abbiamo detto. E per delicatezza nessuno le ha parlato
  di Barbaro. - Invece sapeva già tutto. - Questo cambia le cose. - Non credo.  - Sì, se ha un complice. E poi è una
  donna molto intelligente. Potrebbe esserle venuto lo stesso dubbio che è
  venuto a te, soprattutto se è andata a ficcare il naso nelle mail del marito.
   - Un complice? Io ho pensato che avrebbe
  potuto assoldare un killer, ma ad un complice non ho pensato. E chi potrebbe
  essere, secondo te? - Devo riguardarmi la lista dei suoi
  contatti. - Ma lei frequenta solo gente bene,
  tranne quel parrucchiere. Anzi neppure più lui tra poco. Hai letto? È
  diventato invadente. - Sì, ho letto. Ma tu come mai
  t’interessi ancora della sua posta elettronica? - È un caso che continua a non quadrarmi,
  ecco come mai. - Prima o poi imboccheremo la pista
  giusta. – dice Mauro, chiudendo la posta elettronica. Ma chi gliel’ha
  chiesto? È troppo tardi per fermarlo, troppo tardi per qualunque cosa. La sua
  foto emerge sul desktop.  Io resto paralizzato in mezzo al
  soggiorno. - Ah.  - Barbaro l’aveva mandata a Lamberini. Mi rendo conto, già mentre lo sto
  dicendo, che non può essere una giustificazione. Mauro si volta molto lentamente e
  lentamente viene verso di me. Io indietreggio impercettibilmente. I miei
  occhi sono inchiodati ai suoi. - E tu che ci fai? Ti ci spari le seghe? La sua voce è fredda come una lama di
  ghiaccio. Letale. Vorrei sprofondare. Vorrei essere altrove. Ma il suo
  sguardo non è ugualmente freddo. È una strana contraddizione, che mi lascia
  spiazzato. Mi arriva vicinissimo. Solleva il
  braccio. Spero che mi tocchi con una carezza. Invece appoggia due dita sulla
  fronte, in un saluto privo di qualunque espressione. Mi gira intorno e se ne va, tirandosi
  dietro la porta, senza quasi rumore. Avrei preferito che l’avesse sbattuta.  Mi butto sulla poltrona a peso morto. Che
  figura di merda! E poi mi piomba addosso tutto il resto.
  Non gli piaccio. Nemmeno un po’. Sono un cretino. Come ho potuto pensare che potesse
  accarezzarmi? Ha tagliato corto, pur di allontanarsi subito da me. Neppure
  una battuta di spirito, una frase ironica, un tentativo di alleggerire il mio
  imbarazzo. Mi rivedo nella mente la stessa scena cento volte e ogni volta è
  una variante diversa. E tutte finiscono in un altro modo.  Sono appena tornato in ufficio dalla
  pausa pranzo, che il Tovaglia entra con i giornali. Quando è ancora in mezzo
  al corridoio, la sua voce stentorea legge il titolo in prima pagina.  - Ancora un omicidio in Via delle Pigne. Io esco di corsa dalla stanza. - Hanno fatto fuori la Mancini. –
  annuncia. - Ecco, adesso sì che non ci capisco più
  niente. – mormoro. Afferro uno dei giornali e leggo tutto
  l’articolo. Trovata in casa strangolata con un’autoreggente. La macabra scoperta
  stamattina alle nove, quando la governante ha fatto il suo ingresso
  nell’appartamento. Il cronista si pone il dubbio che
  l’omicidio del marito sia stato un errore e che la vittima designata fosse
  invece proprio lei. E bravo. Però l’unico che la voleva morta è passato a
  miglior vita prima di portare a termine il piano. E adesso? Rifletti, Danilo, non sei in pausa
  pranzo. Perché si ammazza la gente?  a) Soldi  b) Sesso  c) Potere a) Chi ci guadagna? La sorella. Ma anche
  lei è piena di soldi. No, questo non può essere il movente. Allora quale?  b) Può mai essere che l’abbiano fatta
  fuori per gelosia? Chi? La Mancini frequentava solo quell’invadente di
  Antoine. Invadente? Cosa voleva dire con invadente? Si era trovato un altro e
  voleva mollarlo? Lui, in un impeto di rabbia, ha afferrato la prima cosa che
  gli è capitata tra le mani, una calza autoreggente, e con quella l’ha
  strangolata?  c) E il potere? Non mi risulta che avesse
  nulla a che fare con giochi di potere, di nessun tipo. Nadia Mancini raccontava tutto alla
  sorella. Se qualcuno può svelare qualche mistero, sono sicuro che è lei.  Vorrei poter chiamare Mauro, ma dopo la
  scena di ieri sera non è proprio il caso. Leggerò sui giornali le novità
  sulle indagini, se ci saranno.  Mi ammazzo di lavoro per tutto il giorno,
  senza un attimo di respiro, per impedirmi di pensare ad altro. Ma il tempo
  scade. Devo tornare a casa. E qui non ho scuse. Cazzo, che schifo di vita. Ho
  un’ottima occasione per andare a dormire presto. Ma prima cambio la foto
  dello sfondo. Una splendida spiaggia bianca, ornata di palme lussureggianti.
  Non una forma di vita. Deserto, una singola nuvola bianca si staglia
  nell’azzurro implacabile del cielo. Forse un giorno ci andrò. Il mare mi
  tranquillizza. Ma certo, potrei fare un viaggio. Ho un sacco di ferie
  arretrate. Sono investito dall’entusiasmo. Andarmene per qualche giorno fuori
  dai coglioni… Tornare abbronzato, rilassato, forse
  persino soddisfatto da qualche sporadico incontro fortunato. In vacanza si
  può fare, lontano mille miglia da qui. Qui no. Preferisco star solo, che
  passare per storie usa e getta. Internet è ricca di buone mete e consigli di
  viaggio. Vago tra siti pieni di splendide foto. Suonano alla porta. Sobbalzo. Chi diavolo
  è a quest’ora? Guardo l’orologio, le 22:15. Non mi passa neanche per l’anticamera del
  cervello che possa essere Mauro. Invece me lo ritrovo davanti. Sono così
  stupito che resto imbalsamato davanti alla porta. - Ti disturbo?   - No. - Allora, mi faresti entrare? Mi sposto, ancora piuttosto intontito
  dallo stupore. Lui entra. Si siede, senza che io abbia ancora pronunciato più
  di un monosillabo. Mauro guarda verso il monitor del computer. Spiaggia
  deserta e mare allettante. Sembra deluso. No, sono io che me lo immagino. - Hai saputo dell’omicidio di Nadia
  Mancini? - Sì. La mia conversazione non è un granché a
  volte, lo riconosco, ma non mi viene da dire altro. Non capisco cosa ci
  faccia Mauro sul mio divano. Non capisco cosa voglia. E se davvero vuole
  qualcosa, o è solo passato ad aggiornarmi sul caso, eventualità che non avevo
  preso in considerazione. - Vuoi qualcosa da bere? – gli chiedo.  - Fai tu. Puro whisky di malto, invecchiato 20
  anni, regalo di compleanno di mio fratello. Dopo il primo assaggio, Mauro se
  ne versa dell’altro. Ha la faccia di uno intenzionato a sbronzarsi. Non ha
  più detto una parola. Forse dovrei essere io a dirne qualcuna. - Il caso si è complicato ulteriormente.
  – commento. - Anche la mia vita privata.  - Sfortunato in amore?  Beh, anch’io. Lo sono sempre stato, ma
  non posso farci niente. - Prima non mi interessava. Pensavo solo
  a divertirmi. Ma adesso, non so, adesso che mi sembra di essere più vecchio,
  niente mi soddisfa. Neppure la storia con Alessandro mi stava bene. C’era
  qualcosa che… non so… non
  mi bastava. Non c’è niente che mi basti. Sono incontentabile.  - Il vuoto che c’è dentro rimane sempre
  vuoto. Lo so. Ha appena ammesso che stava con Barbaro
  ed io non mi sono nemmeno finto stupito.  Mauro solleva gli occhi su di me. Sono
  blu, come me li sogno quando lo sogno. Sono grandi, blu, con screziature
  grigie. Lo conosco a memoria. Mi piace tutto di lui, ma adesso non devo
  pensarci. Non adesso. - Eppure sono sempre stato convinto che
  qualcosa avrebbe potuto riempirlo. - Io ormai non ci spero più.  - Hai tolto la mia foto dal desktop. Oggi
  ci ho pensato molte volte e lo sai? in fondo non mi dispiaceva che tu mi
  guardassi. - Mi era sembrato il contrario. - Volevo chiederti scusa. Ho reagito
  male. Non ne avevo il diritto. Quando Alessandro mi ha scattato quella foto,
  sapevo già che avrebbe fatto un bel giro. Solo, non mi aspettavo di trovarla
  qui, che tu… non mi aspettavo che tu avessi…   - …Va bene,
  Mauro. Non ti preoccupare. È stata solo una stronzata. Non ne parliamo più.  Ma come? Sono io che cerco di tagliar
  corto, adesso? Cosa diavolo mi ha preso? Sono davvero un imbecille. - Tu sei una persona intelligente.
  Confrontarmi con te mi fa piacere. Mi sembra che parliamo la stessa lingua.
  Era da tanto che non mi succedeva. Ti andrebbe di fare qualcosa insieme, non
  so, magari andare al cinema? Così, per conoscerci meglio. Se il tuo intento è quello di scopare,
  non c’è bisogno che ci giri intorno. - Per me… - Sei offeso con me. Posso capirti.
  Quando ti passa, chiamami o mandami una mail.  Si alza. Vorrei saltargli addosso,
  immobilizzarlo, legarlo al letto e scoparlo fino allo sfinimento. Invece lo
  guardo uscire come un sonnambulo che non ha il controllo di se stesso.  
 negli occhi suoi spuntò…    Vado alla finestra. Lo vedo attraversare
  la strada, avvicinarsi ad un’auto scura, appoggiare una mano sul tettuccio,
  l’altra sulla maniglia, e restare così, come indeciso, per un minuto. Tornerà
  indietro? Poi lo vedo scuotere la testa, aprire la portiera e salire. Quel
  momento d’indecisione mi resta ben vivo nella mente. Non so perché ho avuto quest’idea di
  andarmi davvero a tagliare i capelli da Antoine. Lui neppure c’è. Ascolto le
  sue ragazze che parlano con i clienti, che sono quasi tutte donne. Hanno voci
  squillanti, come se per farsi sentire attraverso il rumore del fon o del
  casco, fossero state costrette ad acquisire quella caratteristica. Mentre mi
  sottopongo allo shampoo, chiudo gli occhi. Le due ragazze alle mie spalle
  stanno parlando tra loro. - Allora è sicuro? Il Beauty Center non
  si fa più? - No. Il socio di Antoine si è tirato
  indietro. Deve cercare un altro finanziatore. Comunque, il progetto resta in
  piedi. - Ma dai, ormai sono sei anni che va
  avanti questa storia. Mi conviene cercare lavoro altrove, sennò resterò per
  sempre una sciampista. Io ho il diploma di estetista massaggiatrice alla
  Scuola Europea. Antoine mi ha convinto a restare perché mi aveva promesso che
  nel giro di due anni avrebbe aperto il Centro. Ma ora basta, non gli credo
  più. L’amica sospira. La sento, perché ha
  chiuso il rubinetto della doccetta.  - Mi dispiace che tu te ne vada. - Anche a me, ma non posso più aspettare. Poi un asciugamano mi avvolge la testa e
  una mano decisa mi spinge ad alzarmi. Il finanziatore si è tirato indietro o è
  semplicemente deceduto? Povero Antoine. Il suo sogno di spillare quattrini
  alla Mancini è spirato con lei. Sono parecchie le vittime di questa storia. A
  parte i due coniugi, c’è Antoine che non potrà costruire il Centro Benessere,
  Alessandro Barbaro che non ha più chi gli presta soldi, Mauro della Corte che
  ha mollato il compagno, Giulio Sorrentini che ha
  definitivamente perduto il mio rispetto, la Pink Panther
  Investigazioni che ha perso la mia assoluta devozione. Sto lavorando da cani
  in questo periodo. Sono troppo distratto. Meglio non tralasciare niente. Ho inviato
  una mail a Mauro, riportando la conversazione delle sciampiste di Antoine.
  Gli ho anche ricordato che Nadia raccontava tutto alla sorella. Di questo
  forse non gli avevo mai parlato.  Un nuovo caso sta mettendo a dura prova
  l’agenzia. I grugniti provenienti dalla poltrona di Toroseduto
  e il passo pesante del Tovaglia in corridoio ne sono il contorno. Osram si fa vedere poco, ma altrettanto combina. Di
  quando in quando, Paolo mi propone di lavorare sul campo, in appoggio di
  Giulio, ma io continuo a dirgli che non ne avrei il tempo. Chi farebbe le
  ricerche? Ho proposto invece di assumere un altro attivo, se Giulio non
  basta. Ed è evidente da tempo che non può bastare. Sono totalmente concentrato su una
  relazione, quando un colpo di tosse mi fa sollevare lo sguardo verso la
  porta. Sullo stipite bianco si appoggia una spalla di Mauro. Il resto è
  inclinato in posa plastica, mostrando un rilassato atteggiamento d’attesa. - Disturbo? Tu non disturbi mai. - No, entra. Mauro avanza col passo felino di un
  predatore. Mi si secca la gola. - Ti ho già detto che sei sprecato, qui
  dentro?  - Non me lo ricordo. Perché dici così? - Ho fatto una bella chiacchierata con la
  sorella di Nadia Mancini. Pare che avesse promesso di finanziare il progetto
  di Antoine, ma che si fosse tirata indietro, dopo la morte del marito. Era
  intenzionata a chiudere la sua relazione.  - Due buoni moventi per un omicidio. - È esattamente quello che ho pensato
  anch’io. Il problema è che non abbiamo uno straccio di prova. - E testimoni? - Li stiamo cercando. - Ci vorrebbe qualcuno con le finestre su
  Via delle Sequoie. Qualcuno che soffre d’insonnia. Qualche vecchia pettegola
  che sa tutto di tutti. - Ne conosci una? - La madre del portiere. Un punto interrogativo appare evidente
  nello sguardo di Mauro. - Come la conosci? - Ho fatto anch’io le mie piccole
  indagini. - Ci avrei scommesso. Ti va di venire con
  me? Faccio mostra di essere titubante per
  qualche secondo, ma la verità è che con lui andrei dappertutto, fosse pure
  all’inferno. Spengo il computer, afferro la giacca e
  sono già pronto. La signora Evelina ci accoglie
  sorridente, sfregandosi le mani, quasi le avessimo portato un’appetitosa
  leccornia su cui gettarsi. Mi riconosce. È contenta di poterci essere utile.
  Ci mostra la finestra da cui segue gli andirivieni del condominio, come
  volesse dimostrarci che quello che ci dirà è tutto vero, l’ha potuto
  constatare con i suoi occhi. La signora ha anche una memoria di ferro.
  Rabbrividisco. Io, se non mi scrivo tutto, non so nemmeno che cosa ho
  mangiato ieri. Mauro mi lancia qualche occhiata, mentre trascrive le sue
  risposte su un taccuino. Ne ricaviamo una succulenta informazione. - Se Nadia Mancini era da amici, la sera
  in cui hanno ucciso il marito, perché Antoine è venuto qui? – chiedo a Mauro,
  mentre in realtà sto chiedendolo a me stesso. - C’era anche la notte in cui hanno
  ucciso Nadia. - Che te ne pare? Ha fatto ambo su questa
  ruota? - Ricapitoliamo. – dice Mauro, seduto al
  volante della sua auto. Io, di fianco a lui, non gli lascio modo di
  riflettere e mi lancio, bruciandolo sul tempo. - Il mercoledì Giulio avvisa la Mancini.
  Lei capisce che c’è sotto qualcosa. Probabilmente non sa cosa, ma si spaventa.
  Ne parla con Antoine. Lo convince che il 
  marito vuole farla fuori e gli chiede il suo aiuto. Nadia magari gli
  promette anche quei famosi soldi per aprire il Centro Benessere. Antoine
  prende la pistola (ma ce l’ha una pistola?) e il giovedì la toglie dall’impaccio.
  Però, tolto di mezzo il marito, Nadia si tira indietro. Può farlo. Non sarà
  certo Antoine a denunciarla, né la può ricattare, dal momento che l’assassino
  è lui. Poi, dopo qualche giorno, Nadia gli dice anche che può togliersi dai
  piedi, che la loro storia è finita. A quel punto Antoine non ci vede più,
  afferra una calza e la strangola. Fine della storia. - Bella ricostruzione. - Plausibile? - Non c’è lo straccio di una prova. - Non posso mica fare tutto io! Mauro scoppia a ridere. Mi si stringe lo
  stomaco. Vorrei saltargli addosso e baciarlo fino a lasciarlo senza fiato. Lui mette in moto e mi riporta a casa.
  Quando si ferma in doppia fila gli chiedo - Non sali? - Devo tornare in commissariato. Se non
  faccio troppo tardi, magari passo dopo. Passa pure quando vuoi. Non c’è fretta.
  Del resto anch’io ho bisogno di tempo. Tempo. 
   Mi scavo dentro. Una pratica che sovente
  respingo come un pericolo mortale. Ma devo farlo, ormai. Mi trovo con le
  spalle al muro. Un pugno d’acciaio mi sta stritolando il cuore. Cazzo, ho
  ancora un cuore. Chi l’avrebbe mai detto? Devo arrendermi all’evidenza. Mi
  sono innamorato come un cretino. Innamorato? Ma è possibile? Perché sfuggo a
  questa possibilità? Perché non so accettarla? Non voglio soffrire, ecco
  perché. Non di nuovo. Ancora altre cicatrici a scavarmi la carne.  Tagliare di netto, adesso. Fuggire alla
  velocità della luce. È un’opzione possibile? Ce la farei? Sì, ce la posso
  fare. Farebbe male per un po’, ma poco. Potrei sopportarlo. Suonano alla porta. Vado ad aprire con il
  cuore in gola. - Buonasera, signor Moretti. Stiamo
  raccogliendo le firme per chiedere che quella serratura scassata del portone
  d’ingresso sia sostituita. Sono otto mesi che telefoniamo all’amministratore
  e finora non ci ha degnato di attenzione. Con le firme di tutto il
  condominio, speriamo che si svegli. - Certo, è una scocciatura che possa
  entrare chiunque a qualsiasi ora. Firmo.  Credo che in questo momento potrei
  firmare qualsiasi cosa. Antoine doveva avere le chiavi del cancello dei box.
  Non c’è citofono da quel lato. Trovargli le chiavi non sarebbe comunque una
  prova sufficiente. Bisognerebbe trovargli la pistola. Mauro non si è visto. Meglio così. È
  l’ora dei fantasmi, quella in cui di solito mi addormento distrutto. Una
  melodia continua a ronzarmi nel cervello.  
 Il povero ragazzo voleva raccontarla e s’addormì.
   C’è nel sonno l’oblio. Come l’invidio!  Anch’io vorrei dormir così,                  nel sonno almen l’oblio
  trovar!   Ha confessato l’omicida dei coniugi di
  Via delle Pigne. È sul giornale di stamattina. Antonio
  Beltrami ha ceduto dopo diciotto ore di interrogatorio. Dietro sue precise
  indicazioni, una squadra sta cercando in una discarica i documenti e i componenti
  del computer, mentre un’altra sta dragando un canale alla ricerca della
  pistola.  La mia ricostruzione doveva
  avvicinarsi al vero. Mauro non si è fatto vivo. Risolto il
  caso, non ha certo più bisogno di me. Torno placido e solingo alla mia routine
  quotidiana. Sto meditando seriamente di partire. Ho bisogno di cambiare aria.
   - Danilo, è pronta quella relazione? - Quasi. Appena finita te la porto. - Cos’hai Danilo? Ti vedo strano. – mi
  dice il Tovaglia.  - Sono un po’ stanco, ho bisogno di
  prendermi qualche giorno di ferie. - Adesso? Ma siamo su tre casi!  - C’è sempre qualche caso. È per questo
  che ho tante ferie arretrate. Paolo sospira. - E va bene, tanto prima o poi dovrai
  farle. Quando vuoi iniziare? - Domani. - Facciamo così. Quando mi finisci ‘ste benedette relazioni, te ne puoi andare a casa. Lo dice perché pensa che mi ci vorrà fino
  a venerdì. - Ci sto. - Vado ad avvisare Armando. I grugniti si sentono dalla mia stanza,
  ma me ne fotto. Le relazioni sono già tutte pronte, tranne l’ultima che sto
  per completare. Metto il turbo e tra mezz’ora sono fuori. Toroseduto si trascina fino alla mia poltrona. Non
  ci credo, ha il fiatone. - E quanto vorresti stare via? – mi fa,
  continuando la conversazione che ho iniziato con Paolo. - Due settimane. Toroseduto mi guarda fisso.  - Cazzo. E se ne va strascicando i piedi, come
  l’uomo più infelice del mondo. Avevo proprio bisogno di staccare, di
  fare il punto della situazione e di rientrare in me. Al mio ritorno in agenzia, abbronzato,
  rilassato e persino lievemente felice, mi avvisano che l’ispettore della
  Corte mi ha cercato. Mi ha inviato anche una mail. Non voglio neanche
  leggerla. Sono pragmatico, testardo, determinato.
  Le melodie che mi assalgono all’improvviso, a qualcuno potrebbero apparire anacronistiche.
  Vivo solo. Ho chiuso il cuore con un lucchetto e ho buttato le chiavi. Se a
  volte mi piace qualcuno, vivo un bel sogno per qualche settimana, poi mi
  sveglio e cancello tutto.  
 in una smorfia il singhiozzo e il dolor, ridi pagliaccio                                               
   sul tuo amor infranto, ridi per quel che t'avvelena il cor!      |