Natale con i tuoi

 

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Lo squillo del telefonino è una fastidiosa presenza tra il nulla dell’incoscienza e la realtà che penetra violentemente in un sonno senza sogni.

Faccio fatica a muovermi e aspetto che i battiti del cuore rallentino, nel frattempo quel maledetto rumore cesserà: speranza inutile.

Cerco di indovinare l’ora: il postino non ha ancora suonato i campanelli del condominio e Betta la gatta dorme tranquilla ai miei piedi, segni che ancora è mattino presto. Almeno per me!

Spalanco gli occhi, con la schiena dolorante riesco a girarmi e a mettermi seduto, poggio i piedi sul pavimento freddo: i brividi mi scuotono fino ad arrivare al cervello, come una scossa.

Mi alzo, il divano urla tutti gli scricchiolii del mondo e in un groviglio di coperta e cuscini, finisce per terra un’altra notte d’ossa rotte, sparisce dentro anche la gatta, rimasta intrappolata nella confusione della mia vita.

A piedi nudi attraverso la stanza e dalla tasca del giaccone, poggiato sulla poltroncina all’ingresso, prendo il telefonino, non guardo il display e rispondo.

-            Chi è?

-            Sono io… merda, stavi dormendo! Scusa se ho insistito ma ho bisogno di te.

-            Carla…è successo qualcosa? È per Fede?

Sospiro!

-            A quest’ora sarei già dovuta essere in negozio e quando stamattina l’ho svegliata per portarla alla scuola materna, ha iniziato a colpirmi e a urlare e quando fa così io divento matta. Non so che fare, solo tu puoi riuscire a calmarla. Nichi… ho solo te!

-            Scommetto che ieri Federica ha trascorso il pomeriggio con Vittorio.

-            Sì, quando l’ha riaccompagnata a casa era addormentata e non me la sono sentita di svegliarla… oh senti, avevo un sacco di cose da fare e sai quanto sia difficile quella bambina.

-            No, non lo so. Federica non è difficile, lei si difende come solo una bambina di 5 anni sa fare. Avresti dovuto parlare con lei, assicurarti che stesse bene, sai quanto si stressa in compagnia di Vittorio, lui è così esigente: pretende troppo da quella bambina. Cristo Santo se penso a quella volta, avrà avuto… tre, quattro anni? Le aveva proibito di sedersi a tavola perché nella sua cameretta aveva lasciato i giocattoli in disordine: che imbecille! Come puoi essere così…così…

-            Stronza? Dillo pure, ma dimmi anche cosa cazzo devo fare perché io non lo so. Vittorio è il padre, io non posso impedirgli di stare con la figlia e poi sono sicura che non le farebbe mai del male, lui è solo un po’… severo. Io devo lavorare e devo badare a lei e a volte non la sopporto e mi sento così inadeguata, quand’è con il padre per me è un sollievo: non ce la faccio da sola!

-            Ok, calmati, calmati adesso. Mi vesto e vengo lì. Hai qualcosa per il pranzo?…Lascia stare…a dopo.

Guardo l’ora: le nove del mattino, fantastico! Ho dormito quanto? Quasi cinque ore: questa settimana ho battuto il record!

Intanto nel piccolo appartamento si espande l’aroma del caffè: Silvia è appoggiata al lavello, mi guarda entrare in cucina attraverso un paio d’occhialini tondi dalla montatura di metallo.

I folti capelli mossi, ribelli ad ogni tipo di controllo, le sfiorano i lati del viso per poi cadere in morbide ciocche sulle spalle.

La osservo mentre cerca di catturarli e fermarli sulla testa con uno spillone di legno, i gesti sono nervosi, di sicuro ha seguito la conversazione.

Verso il caffè nelle tazzine e mentre le porgo la sua le stampo un bel bacio sulla guancia.

    -   Buon giorno tesoro, qualunque sia il commento sappi fin d’ora che sono d’accordo con te.

Ieri Fede ha trascorso la serata con Vittorio e oggi fa i capricci, che poi capricci non sono: questo lo capisco solo io?

Odio quell’uomo, è uno stronzo pallone gonfiato ma non posso di certo impedirgli di vedere sua figlia.

Poi a conclusione di tutto ci sono io, quello che dovrebbe farsi i cazzi propri ma, caso strano, sono l’unico della famiglia che riesce a comunicare con una bambina in balia di due genitori fuori di testa.

-            Tua sorella non ha mai avuto il senso materno.

-            No, è vero: vuole bene alla bambina, ma non riesce a capirne le esigenze, si dimentica che Federica ha solo cinque anni e ha bisogno di sicurezze. Capisci che non posso abbandonarla? La amo troppo e ancora di più amo Federica.

Silvia mi guarda e sorride. So che mi capisce.

La sua preoccupazione, che è anche la mia, ma io non voglio pensarci, sta nel fatto che Vittorio è un tipo dai modi aggressivi e nei miei confronti ha sempre dimostrato una certa ostilità.

Lei mi vorrebbe il più lontano possibile dai guai ma ci sono responsabilità dalle quali, lo sappiamo entrambi, non possiamo esimerci:

-            Continuerò ad occuparmi di loro e nessuno potrà impedirmelo.

-            Ti voglio bene Nic.

Silvia mi rassicura con uno dei suoi sorrisi più attraenti e fingendo indifferenza si lascia andare alla curiosità. Non la conoscessi! 

     -   Com’è andata al lavoro? L’ hai visto?…

La blocco subito con un cenno della mano, finisco di bere il caffè, sciacquo bene la tazzina sotto l’acqua e dopo averla asciugata la ripongo nella credenza.

-            Ho lavorato in cucina fino alle undici, poi ho aspettato Enrico  e Paola: insistono sempre per bere qualcosa insieme dopo il lavoro, mi sembrava brutto dire ancora una volta di no, così siamo andati in un locale al centro storico. Pensa, un ex officina di biciclette, molto carino, dovresti vederlo! A proposito, questo sabato ci sarà uno scrittore emergente che presenterà il suo primo libro: potremmo andarci insieme.

-            Vedremo. Non hai risposto alla mia domanda: l’ hai visto?

Mi avvio verso il bagno: sono quasi le nove e mezza. Le domande sono state fin troppe per uno che ha dormito poco e male e che di solito appena sveglio non ama fare lunghe conversazioni.

-            Sì, l’ho visto Silvia, come potevo non vedere mio padre nel posto dove lavoro, quando è lui il proprietario? No, non ho nessun’intenzione di tornare a casa se è questa la prossima domanda alla quale vuoi che risponda. Continuerò a dormire su questo comodissimo e confortevole divano che, bontà tua, avrò a disposizione fino a quando non troverò un appartamento, cosa che mi spaventa non poco, visto gli affitti che ci sono in giro. Ora posso andare alla toilette, mia signora?

La spugna dei piatti mi manca per un soffio e faccio appena in tempo a chiudermi nel bagno prima di sentire il tonfo di qualcosa che sbatte contro la porta, forse uno degli strofinacci appesi di fianco al lavello.

Sorrido mentre mi spoglio e completamente gelato entro nella doccia. L’acqua calda attenua la tensione, la giornata non è partita benissimo; mi distraggo un attimo e traccio le linee della mia esistenza: non ho bisogno di troppo tempo.

Ventinove anni, diplomato all’Istituto Alberghiero, lavoratore dall’età di quattordici anni presso la trattoria di Lello ovvero Antonello, in altre parole mio padre.

La mia vita si può racchiudere tutta in un piccolo mondo fatto di lavoro, una famiglia incasinata, qualche amico, nessuna storia d’amore, particolare questo che richiederebbe un capitolo a parte.

Quando non svolgo la mia attività, amatissima, di cuoco faccio il baby sitter e questo occupa gran parte del mio tempo libero, perché per quanto mia sorella si finga spiacente e imbarazzata per avermi “disturbato” alle nove del mattino, sapendo benissimo quanto le mie ore di sonno siano sempre insufficienti, lei non si mette mai problemi di sorta quando il bisogno di evadere dai problemi richiede la sua presenza fuori casa e, soprattutto, lontano dalla figlia.

Parlo dei fine settimana, quando non è il lavoro a impegnarla.

Così, spesso e volentieri riempio i pomeriggi fra un’altalena e uno scivolo, buttando ogni tanto l’occhio sui corpi maschili che mentre cammino mi passano accanto e cercando di tenere a freno il desiderio di stringerne uno, anche uno a caso: per dire come sono messo!

Una bambina di cinque anni mi aspetta: è meglio che mi sbrighi.   

 

Apro il cancello e spingo la bicicletta all’interno, percorro a piedi il cortiletto prima di raggiungere l’abitazione suddivisa in due piani dove abita Carla: è una sistemazione comoda per lei e per Federica.

La casa era di proprietà di una zia, sorella di nostra madre, lei non è mai stata sposata e quando Carla è rimasta incinta, all’età di ventisette anni, zia Iole si è offerta di ospitarla e aiutarla con la bambina.

Vittorio, più grande di Carla di qualche anno, lavorava già in falegnameria, perlopiù come restauratore di mobili antichi: il migliore! A detta sua.

Lui si è subito assunto le proprie responsabilità, riconoscendo la bambina, ma di matrimonio non se n’è mai parlato: nessuno dei due era impaziente di compiere quel passo ed era solo questione di tempo, perché la convivenza, quando avveniva, degenerava immancabilmente in urla e litigi.

Dopo un anno e mezzo se n’è andato via definitivamente, anche per l’intervento di zia Iole, donna forte e decisa che non accettava quella situazione e si preoccupava soprattutto per la creatura che stava crescendo nella sua casa.

Zia Iole è spirata nel sonno un anno fa: da qualche tempo era malata di cuore.

Carla ne ha sofferto molto: ha perso un sostegno e una guida che ancora adesso, all’età di trentadue anni, le mancano.

Ha tenuto la casa e lavorando ormai da diversi anni in un negozio d’arredamento, riesce a mantenersi senza grossi problemi e in ogni caso Vittorio l’aiuta con le spese.

Ma a volte è la superficialità ad essere disarmante: le sue attenzioni vertono spesso e unicamente sull’aspetto esteriore, il proprio e di conseguenza di ciò che la circonda.

Lei non si pone mai troppe domande, difficilmente si lascia abbattere da qualcosa, salvo che quel qualcosa non sia l’aver trovato chiuso il negozio di scarpe del centro, che è normale abbassi la serranda alle otto e mezza di sera, ma non per lei e per le sue esigenze egoistiche.

Per quest’inconveniente è capace di passare il giorno successivo con un limite di sopportazione nei confronti dei clienti del negozio, così vicino alla maleducazione che il titolare alla fine la chiama in disparte, per farle notare che, o si dà una calmata o la sbatte fuori a calci nel sedere.

Se è ancora lì dopo tutto questo tempo evidentemente la minaccia funziona.

Ma io credo anche che il signor Luigi ne sia perdutamente innamorato, e al culo di mia sorella altro che calci gli darebbe, e non sarebbe neanche tanto male, Luigi, se non soffrisse di una sorta di timidezza cronica che gli impedisce di farsi avanti.

Carla sembra non accorgersi dell’effetto che ha su di lui: è una bella donna, molto attraente ed è abituata a ricevere complimenti da parte degli uomini, con Luigi fa la sostenuta e mantiene le distanze, ma credo che sia l’influenza di Vittorio ad impedirle di aspirare a qualcosa di meglio.

Per sfuggire alla gelosia possessiva di Vittorio, che nonostante faccia la sua vita, non molla la presa, manco fosse una cosa di sua proprietà, lei si rifugia dalle amiche.

Passatempo preferito: sfogliare giornali di gossip e fantasticare su corpi di modelli palestrati o sulle foto di attrici rifatte. 

Non la capisco: alle volte mi chiedo se siamo davvero fratello e sorella. 

Oh, non che io disprezzi un bel corpo, un paio d’occhi profondi mi fanno sciogliere e figurarsi se mi faccio mancare fantasie d’ogni genere, ma al contrario di Carla sono sempre stato uno con i piedi per terra e l’esperienza, seppur minima, sul campo mi ha insegnato ad apprezzare un sorriso aperto su un viso attraente, purché sia da ornamento ad una testa che funziona.

Per non parlare dell’innamoramento: come può non essere la cosa più importante?

Eh già, mi rendo conto che sono tantissime le persone intorno a me che guardano il mondo con un paio d’occhiali rosa e oltre a questo sembra quasi impossibile incontrare qualcuno con il quale si possa instaurare un rapporto sincero e che non si senta al centro dell’universo. Non uno di quelli che non degnano di uno sguardo chi non appare con tutti i cliché al punto giusto.

Forse è per questo che mi perdo negli occhi di mia nipote, mentre la osservo nel delicato lavoro di crescita.

È così difficile stare al mondo, non posso pensare di sprecare la mia vita alla ricerca di un surrogato di felicità: voglio quella vera!

 

Per entrare in casa di Carla mi basta spingere la porta d’ingresso: qualcuno l’ha lasciata aperta e Carla avrà tanti difetti ma sta molto attenta nel rispettare le regole base.

Entro di malumore ma non faccio in tempo ad aprire bocca per chiedere a mia sorella il motivo di quella distrazione, quando mi vedo davanti il faccione bestiale di Vittorio che mi sovrasta a distanza ravvicinata.

L’urlo mi viene fuori leggermente gracchiante e basta questo, oltre la mia presenza, ad accendere il disprezzo di Vittorio che con un mezzo sorriso, più un ghigno a dire il vero, che gli storce la bocca rendendolo ancora più bestia, mi afferra un braccio e strattonandomi mi spinge verso la porta dalla quale sono appena entrato.

-            Che sei venuto a fare frocetto? Perché non vai a sculettare lontano da qui, eh?

Superato lo shock della sorpresa cerco di recuperare la mia dignità.

Vittorio è un omone, grosso e dai modi rozzi, ma da un po’ di tempo ho imparato ad affrontarlo.

I primi tempi, quando quell’incosciente di mia sorella lo portava a casa dei miei, cercavo di evitarlo, isolandomi. Le conversazioni erano sempre motivo di contesa ed era snervante doversi continuamente difendere dai suoi attacchi.

Mio padre ha sempre cercato di ignorarlo e lui in genere va d’accordo con tutti. Questo ragazzo così invadente, arrogante e presuntuoso andava bene a sua figlia?

Che fosse lei a sopportarlo!

Per quanto lo riguardava non si sarebbe sforzato minimamente di farselo piacere e tentare di trovargli un aspetto positivo, semmai ne possedesse uno, non era nei suoi pensieri.

Mia madre non sopportava di vedere Vittorio nella propria casa, non le piaceva per niente ed entrambi i ragazzi erano un affronto alla sua salute, non avevano idea di quanto lei soffrisse e di sicuro la figlia lo faceva apposta, tanto non importava a nessuno se il suo mal di testa la torturava ogni giorno di più.

Morale: Vittorio se ne fregava di tutti, veniva a casa quando voleva, mangiava ciò che mia madre cucinava, e poi si chiudeva in camera con mia sorella.

Solo allora io uscivo dal rifugio per trovare mia madre con gli occhi velati dalla forte emicrania, che con aria stanca mi diceva:

-            Tua sorella mi manderà sotto terra!

Quando Carla, un giorno, è tornata a casa dicendo di essere incinta, c’è mancato poco che ci finisse davvero al cimitero, è dovuta intervenire zia Iole a sistemare le cose. Ma devo dire che, superata la sorpresa iniziale, la nascita di Federica ha intenerito il cuore di tutti noi, compreso quello di mia madre che pian pianino ha riallacciato i rapporti con la figlia. 

Ora mentre cerco lo sguardo di mia nipote il sangue mi sale alla testa: non permetterò a questo scimpanzé di rompere il legame che mi lega a questa bambina.

-            Senti Vittorio io non ho nessun’intenzione di discutere con te, fatti da parte e lasciami entrare.

Queste le parole di una persona educata che si rivolge ad un altro essere umano dotato d’intelligenza, ma in questo momento ho davanti a me un uomo che da anni non fa che rompermi i coglioni.

Improvvisamente la rabbia spinge il coraggio a farsi avanti, smetto di ragionare, lo fisso negli occhi e sputando come un cammello gli sparo in faccia un:

-            Vaffanculo!

Lo spettacolo, mi rendo conto, è dei peggiori si possa esibire davanti ad una bambina. Federica piange e s’incolla alla gamba di Carla, io faccio per raggiungerla ma Vittorio mi blocca la strada:

-            Dove credi di andare?

Carla ci guarda e si rosicchia le unghie, quando tutto sarà finito si rimprovererà per questo gesto, più del mio sguardo accigliato, più delle lacrime e le urla isteriche di sua figlia, quando Vittorio si avvicina per cercare di consolarla.

Le sue unghie non possono essere distrutte, la famiglia evidentemente sì!

Non si scompone neanche quando l’ex compagno la urta e avviandosi verso la porta le sussurra con disprezzo:

- Troia!

 Non poteva dire niente di meno adeguato alla persona prima di tutto, e nemmeno al momento e alla situazione, ma come ho già detto, Vittorio è solo uno stronzo.

Io sono ancora immobile tra la credenza e la sedia della cucina, il passaggio di Vittorio crea una corrente d’aria che mi gela, le sue parole sono una minaccia:

-            E tu, non finisce mica qui: ti insegnerò io a stare alla larga da mia figlia!

Vacillo e mi appoggio alla sedia per sostenermi, cerco di regolare il respiro ma è il pianto di Federica a scuotermi: chiudo la porta d’ingresso e corro nella sua stanza.

Federica è seduta sul letto e Carla la consola come può, ma appena mi vede entrare si butta tra le mie braccia.

Il suo viso è gonfio dal pianto, singhiozza ancora e cerco di calmarla massaggiandole la schiena e sussurrandole che è tutto passato: non deve avere paura, suo padre e suo zio hanno urlato troppo, ma in realtà si vogliono bene.

Come no, tanto bene che mi taglierebbe la gola e dopo avermi fatto a pezzi mi darebbe in pasto a quel grosso cane che si porta sempre dietro e che mia sorella gli proibisce di portare dentro casa.

Non capisco cosa ci facesse qui a quest’ora, niente di più probabile che sia stata Carla a chiamarlo: perché chiamare anche me allora?

Alle volte ho la sensazione che abbia paura a stare sola con lui.

Vabbè alla fine il coglione che è stato buttato giù dal let… sì… dal divano sono io!

Carla si riprende dalla baruffa, guarda l’orologio: ormai la mattinata è andata, il principale è stato avvisato e per oggi si prende una giornata libera.

Le propongo di uscire insieme con me e Federica dopo aver pranzato, potremmo andare ai giardini pubblici: Fede ha bisogno di prendere un po’ d’aria.

Carla mi guarda, guarda la figlia, fa la faccia dispiaciuta e… peccato, le piacerebbe tantissimo ma…

-            Capisci che una volta che mi capita una serata libera voglio  trascorrerla con le mie amiche?

“Certo, magari dall’estetista!”

Il pomeriggio ai giardini trascorre sereno: Fede gioca tranquilla con un gruppetto di bambini.

Ad un tratto la sua attenzione è catturata da un bambino più piccolo di lei che dal passeggino, sul quale sta seduto, continua a lanciare per terra una macchinina.

Il ripetersi del “lancio” non è tanto apprezzato da un giovane uomo, credo il padre che, devo ammettere con tanta pazienza, raccoglie l’oggetto e lo rimette nelle mani del piccolo.

Questo gioco, se così si può definire, va avanti da un po’ ma la cosa buffa è che l’uomo non ha mai smesso di parlare al cellulare.

Improvvisamente i nostri sguardi s’incrociano, io vorrei voltarmi e allontanarmi, ma Fede si diverte un mondo e la faccia sconsolata del giovane padre mi fa tenerezza.

Con un sorriso indico il telefonino e lui sembra capire: la conversazione viene interrotta.

-            Ha portato uno zainetto pieno di giocattoli, non capisco perché non ci giochi!

Mi avvicino per osservarlo meglio: avrà qualche anno più di me.

Dà l’idea di una persona che si è trovata a dover affrontare una situazione più grande di lui, forse mi sono sbagliato, non è il padre.

Tanto vale saperne di più!

Prendo Fede per mano e cercando di non fare troppo il saputello, faccio un cenno col capo nella sua direzione.

-            Sei tu il suo gioco preferito a quanto pare, se gli dimostri un po’ d’attenzione può essere divertente, se invece continuerai a ignorarlo temo che non ti lascerà in pace e diventerà esasperante per entrambi.

Federica osserva i due con curiosità ma tiene le distanze e per sentirsi più al sicuro si fa prendere in braccio. L’altro bambino nel frattempo ha smesso di lanciare la macchinina e ora, dopo essersi tolto una scarpa, cerca di tirar via anche il calzino.

-            Mmmh, sembri esperto in materia! Lei è tua….

-            Nipote! Federica. Io sono Nicola. Il lanciatore invece è tuo…

-            Fratello! Fabio.

-            Hai sentito Fede? Lui è Fabio e credo abbia bisogno di qualcuno che lo aiuti a rimettersi la scarpa.

-            E anche la calza. Zio Nichi, dopo mi porti sull’altalena?

-            Certo!

Mentre rimetto a terra Federica la bacio sulla guancia: la bacerei in continuazione. Lei fa finta di esserne infastidita e si sfrega la parte con la mano. Con i bambini più piccoli le piace fare la mammina e questi sbaciucchiamenti, di solito apprezzati, adesso sono fuori luogo.

Sorrido e mi rivolgo al tipo che ci guarda ammirato.

-            Non ho capito il tuo nome, scusami.

-            No scusa tu, non te l’ho detto. Mi chiamo Raffaele. Mi sento proprio fuori posto qui, è la prima volta che mi azzardo a portare fuori mio fratello, quando vado a trovarlo a casa di mio padre è più semplice: il televisore è sempre acceso e i cartoni animati sono trasmessi a tutte le ore.

Sembra contento di questa soluzione, ma io lo guardo e con tutta la serietà di cui sono capace mi mostro contrariato.

-            Non credi che sia troppo piccolo perché stia davanti alla televisione?

Tua madre è d’accordo?

-            In realtà la madre di Fabio non è mia madre. La mia è mancata quand’ero ragazzino, mio padre si è risposato e io, quando sono libero, passo a trovarli. Con loro è ok, mi sento a mio agio e Fabio mi piace molto, anche se non so minimamente cosa farci: magari quando sarà più grande… potrei portarlo al mare o in montagna, al cinema o allo stadio… ad un concerto rock!

Ride!

Inizia a piacermi questo ragazzo!

-            Posso chiederti che lavoro fai?

-            Certo, sono fisioterapista. Da un annetto circa ho iniziato a lavorare presso un Centro di riabilitazione, purtroppo però mi chiamano a periodi, quando c’è più bisogno. Diciamo che per ora faccio il tappabuchi.

Sorride e anche io gli sorrido, siamo uno di fronte all’altro e ci stiamo parlando da meno di mezz’ora ma ascolterei la sua voce per sempre. Osservo le sue mani: la destra tiene ancora stretto il telefonino.

-            Non te ne stacchi mai?

-            Scusa? Ah, questo! È che aspetto una telefonata.

Guarda quel piccolo oggetto come se dovesse squillare a comando e i tratti del viso, prima rilassati, si contraggono, creando una linea sottile fra le sopracciglia.

Tossisco e rivolgendomi a Federica interrompo questo momento d’imbarazzo.

-            Bene. Vogliamo andare un po’ sull’altalena?

-            Sììì…

I piccoli hanno fatto amicizia, ora sono entrambi seduti per terra senza le scarpe e le calze sono state sotterrate nella sabbia, Federica ha preferito seguire i giochi di Fabio e ora anche i suoi piedi sono grigi e polverosi.

Prendo i fazzolettini dalla borsa che ci portiamo sempre dietro e inizio a pulirla, poi li passo a Raffaele che fa lo stesso con Fabio, siamo proprio da vedere: i bambini si stanno divertendo da matti.

Restiamo ai giardini fino a che il custode non soffia nel suo fischietto per la chiusura dei cancelli, il cielo comincia ad imbrunire e inizio anche a sentire un po’ di fresco: è un bel mese di novembre e le giornate sono deliziose.

Raffaele e Fabio sono rimasti in nostra compagnia per tutta la serata, siamo stati molto bene insieme, loro si sono conosciuti meglio e nei momenti in cui i piccoli giocavano anche noi adulti abbiamo potuto fare conversazione.

È piacevole parlare con Raffaele, emana un rassicurante senso di calore e di calma e ha la buon’abitudine di guardare negli occhi chi gli sta davanti. Per un po’ si è anche scordato del cellulare e lo ha infilato nella tasca dei jeans: quelli che cadono morbidi su un bel sedere che non ho mancato di ammirare!

Cerco di non aggiungere niente a questa bell’atmosfera, lavorando di fantasia, mi accontento di aver trascorso un bel pomeriggio e quando porgo la mano a Raffaele per salutarci, quasi non svengo per la sorpresa.

-            Domani sera devo lavorare ma sabato sono libero, pensate di venire ancora qui?

Io il sabato lavoro tutto il giorno, sarebbe impensabile avere la giornata libera. Mi pare di scorgere un’attesa nel suo sguardo che non vorrei deludere, ma devo farlo.

-            Io sabato lavoro, mi spiace, ma se il tempo sarà ancora buono possiamo decidere con Federica di fare una passeggiata domenica mattina, prima di pranzo.

“È solo un’illusione ottica o quel luccichio negli occhi era un sì? Fa’ che sia vero!”

-            A me andrebbe benissimo, se mio padre e sua moglie non avranno preso impegni posso passare a prendere Fabio verso le undici e trovarci qui dopo una ventina di minuti: casa loro non è molto distante. Se sei d’accordo possiamo scambiarci i numeri del cellulare, così… sai… in caso di inconvenienti possiamo sentirci… sempre che tu non abbia problemi.

“Io problemi? Tesoro ti darei qualunque cosa!

Stiamo calmi, non sta succedendo niente di strano, questo ragazzo mi attrae moltissimo e forse, dico forse, non gli sono indifferente, ma ci stiamo scambiando numeri di telefono, non anelli di fidanzamento: è meglio che mi dia una calmata!”

-            Ehm, certo nessun problema. Ora noi dobbiamo proprio andare, mia sorella si starà chiedendo che fine abbiamo fatto - (dubito!). Allora a domenica e mi raccomando per qualunque cosa chiamami pure, non ti mettere problemi!

“Non esagerare Nichi”.

-            Ehm sì, ciao. Fede no, non possiamo portare Fabio con noi, andiamo brava lasciagli la manina…

Raffaele siede Fabio sul passeggino, Federica che ormai ha assunto il ruolo di assistente lo aiuta ad allacciarlo con la cintura ma tra tutt’e due rischiamo di passare la notte qui. Finirò per farmi odiare ma il mio intervento sistema le cose, Raffaele sollevandosi sospira:

-            Devo imparare un bel po’ di cose se decido di occuparmi di lui più spesso e visto che ultimamente il tempo non mi manca… Sono stato proprio fortunato ad incontrare due aiutanti come voi due. Ciao Federica. Ciao…posso chiamarti Nic? Ok, a presto allora!

Le nostre strade prendono due direzioni diverse: anche noi ci spostiamo a piedi. Raggiungere casa di Carla richiederebbe una mezz’oretta ma devo andare al lavoro e la trattoria di mio padre è proprio a due passi dai giardini.

-            Andiamo da nonno Lello?

-            Si Fede, zio deve lavorare, ma tu puoi stare un po’ con lui sino a quando tua madre non viene a prenderti. Sei stanca?

-            No, non sono stanca.

Quando mai: trotterella accanto a me che è un piacere vederla.

Sono contento che abbia scordato il casino di questa mattina e la conoscenza di due persone nuove le ha fatto bene, la vedo particolarmente felice stasera: meglio così!

Già meglio così, si vedrà anche su di me l’agitazione che mi sta sconvolgendo lo stomaco?

-            Zio Nichi?

-            Sì? Dimmi Fe’.

-            Hai la febbre?

-            Noo, perché me lo chiedi?

-            Sei tutto rosso!

“Ecco!”

-            No, non ho la febbre, sta’ tranquilla, è solo che fa un caldo!

Federica mi guarda con un sorrisetto buffo. Perché i bambini d’oggi sono così svegli?

 

Lello è il primo che incontro appena entro in trattoria. I ragazzi addetti ai tavoli stanno sistemando la sala, Enrico e Paola saranno già in cucina, in settimana bastiamo noi tre, il sabato si unisce anche Andrea e la domenica siamo chiusi: alleluia!

-            Ciao Nicola. Ehi, c’è anche Federica! Vieni dal nonno tesoro, hai fame? Certo che ce l’ hai, devi mettere un po’ di polpa su queste ossicine.

Nicola non trovi anche tu che mia nipote sia troppo gracilina?

-            No, non credo, sta bene così. Vado in cucina.

Faccio per allontanarmi quando la voce di mio padre mi raggiunge alle spalle - Tua madre ti vorrebbe vedere a casa qualche volta: le manchi. Non fa che ripetermelo e lo sai quanto la sua salute risenta di questa situazione.

Non mi volto nemmeno.

-            Dille che domenica sarò a casa per pranzo.

-            Bene! Hai qualche preferenza?

-            Lascia che decida lei: per me è lo stesso.

Entro nella stanzetta di servizio e mentre mi cambio, con la testa avvolta in una nuvola di pensieri, entra Enrico.

-            Si può sapere cos’è successo con tuo padre?

Non sono uno che ama tanto parlare di sé, i miei amici lo sanno, ma stasera mi sento euforico: potrei raccontare tutta la mia vita!

 

Ho sempre avuto la sensazione di essere nato e cresciuto in una famiglia “speciale”. Mio padre ha ereditato la trattoria da suo padre e da quando ho memoria non l’ho mai visto mancare un giorno da questo posto. Lui afferma che ha avuto tutto ciò che desiderava dalla vita e non la cambierebbe con nessun’altra.

Mia madre ha lavorato anche lei alla trattoria per tanti anni ma, al contrario del marito, la sua vita l’avrebbe voluta diversa: più uscite con la famiglia, più viaggi, più vita insomma.

I figli non sono stati di gran consolazione per lei, anzi, la sua insoddisfazione è sempre stata proporzionale alla nostra crescita: da piccoli eravamo troppo irrequieti e rumorosi, da ragazzi troppo esigenti e indisciplinati, ma ciò che mi ha sempre spiazzato è il cambio repentino d’umore in determinate situazioni.

I compleanni o il Natale e in generale i periodi festivi, in queste occasioni mia madre si trasforma: l’emicrania non la tormenta più e tutta la casa, messa sottosopra, si riempie di profumi e allegria.

Posso dire che nella mia vita di bambino e poi di ragazzino ho festeggiato i compleanni e le feste più fantastiche che un figlio possa desiderare e ancora adesso è inconcepibile per me pensare ad un giorno di festa lontano dai miei.

Ma anche le feste finiscono ed è con la normalità di tutti i giorni che mia madre ha problemi: la quotidianità la mette a dura prova e tutta la famiglia per lei diventa motivo di ansia.

È difficile capire cosa le passi per la testa e ogni volta è sempre più complicato farla ragionare. Provo a parlarle, la tengo informata sulla mia vita, i sogni e le delusioni: è una brava ascoltatrice.

Alla fine, quando termino di parlare, mi guarda e con aria affranta mi dice:

-            Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non sono stata una buona madre!

Lei è così: alla fine deve farsi carico di tutto e per ogni cosa ha un buon motivo per preoccuparsi e dispiacersi.  

-            Cosa dici, che colpe avresti? Io ho sempre vissuto la vita che ho desiderato, sono stato libero di scegliere la mia strada e anzi devo ringraziarti per avermi insegnato a credere in me stesso e a non nascondere la mia natura. Sei una mamma in gamba e non ti devi dispiacere di niente: io sto benissimo!

A questo punto ci abbracciamo e io lo so che non smetterà di preoccuparsi, ma so anche che posso contare su un affetto sincero e che saprebbe difendere suo figlio con le unghie, se ce ne fosse bisogno.

-            Nic, ho paura che qualcuno ti faccia del male: stai attento!

La stringo ancora più forte.

-            Devi stare tranquilla, non mi succederà nulla. 

Mio padre non si è mai lasciato andare elargendo abbracci e smancerie: si è sempre rivolto a noi figli in maniera semplice e diretta. 

Una volta intorno ai dodici, tredici anni ha iniziato a farmi un discorso serio e impegnato, alla fine guardandomi in faccia mi ha chiesto:

-            Qualcuno t’infastidisce? No? Bene, se dovesse succedere devi imparare a difenderti Nic. Sei un ragazzo intelligente, credi in te stesso, nelle tue capacità, e non lasciare che qualcuno confonda la sensibilità con la debolezza: la vita può essere dura ragazzo mio, lo è per tanti, ma in qualunque momento, per qualunque cosa tu abbia bisogno, conta su di me, io ci sarò sempre!

Naturalmente l’orgoglio e la riservatezza hanno fatto sì che la mia vita sociale, bella o brutta che fosse, la vivessi proteggendola il più possibile dal suo controllo, ma è anche vero che, seppur con discrezione, non mi ha mai perso del tutto di vista.

Le tante volte che lo intravedevo nell’aula professori, quando frequentavo la scuola media ad esempio, non mi hanno mai sorpreso, ma ho sempre fatto finta di nulla.

Per mia sorella ero il fratello ideale: faceva di me quello che voleva e non era raro da bambini vederci in giro per casa vestiti e truccati da signora con tanto di tacchi e borsette.

In cucina eravamo diventati bravissimi con i piatti freddi: l’uso dei fornelli c’era stato proibito e siccome i divieti non erano tanti quei pochi sapevamo rispettarli.

Quando ero io a decidere i giochi pomeridiani, preferivo sempre quelli dove facevo il maestro e lei l’alunna, avevamo anche una lavagna e tantissimi gessetti colorati, a Carla non piaceva tanto, ma riuscivo ad essere convincente e ricordo con piacere le letture e i dettati, i disegni su quaderni ordinatissimi, i miei, e i fogli stropicciati pieni di macchie di cioccolata, i suoi.

Da ragazzi spesso uscivamo insieme per andare al cinema o per incontrarci con un gruppetto d’amici, di solito più grandi di me e di certo più interessanti dei miei compagni di scuola.

Ascoltavamo tanta musica: in quel periodo il gruppo che più amavamo erano le Spice Girls. Con il volume al massimo ci chiudevamo nella casetta di legno che nostro padre aveva fatto costruire nel giardino, proprio di fianco alla casa grande, e lì eravamo liberi di urlare a squarciagola e ballare come matti.

Ora che ci penso non ci siamo mai sentiti soli, Carla ed io: ci siamo presi cura uno dell’altra e l’assenza dei genitori è sempre stata la normalità per noi.

Era normale vedere nostra madre depressa, ma anche euforica e piena di premure per i figli, distratta e assente, ma anche creativa, divertente e piena d’idee.

Siamo sempre stati così, a cavallo tra l’imprevedibilità di una e la fermezza dell’altro e non so cosa sia una famiglia “normale”, la nostra è sempre stata speciale e non l’ho mai desiderata diversa.

Quando Carla si è trasferita dalla zia, io ho preso possesso della casetta e lì c’è tutto il mio mondo, tutto quello che ho amato, dai dischi in vinile con le sigle dei cartoni animati, ai dischi dei gruppi che hanno segnato la crescita, le pile dei libri che sono stati determinanti per la mia formazione, le videocassette prima e i DVD in seguito.

I poster appesi alle pareti, i disegni fatti a matita e tanti piccoli oggetti preziosi.

Oggi però non ci sono io!

Non ci sono già da diversi giorni, da quando per la prima volta sono entrato nella vita intima dei miei genitori e sono stati loro che mi ci hanno portato dentro, contro la mia volontà.

Non riesco a capire mio padre: che bisogno c’era di sbattermi in faccia il tradimento, la separazione in casa e, di recente, il perdono da parte di mia madre e la riconciliazione?

Non voglio entrarci, accidenti, non ne voglio sapere nulla!

Sì, lo so, è un atteggiamento infantile, ma improvvisamente vivere con loro è diventato un peso: mi sento un estraneo.

Sono cresciuto amando e rispettando due persone che hanno fatto i genitori separatamente, senza una vera unione, ognuno con la propria visione della vita e dell’educazione dei figli.

Per ricordare qualcosa che ci abbia coinvolti tutti insieme, devo tornare indietro ai tempi in cui eravamo molto piccoli, ma nonostante tutto, non so come, sono riusciti a non farci mancare nulla e ad indicarci il cammino giusto da seguire.

Da quando, ragazzino, mio padre ha iniziato a portarmi con sé alla trattoria, durante le vacanze estive e ogni volta che ero libero dalla scuola, metà del mio tempo lo trascorrevo lontano da casa e se ci sono state discussioni e risentimenti, io non mi sono mai accorto di niente e ho continuato a vivere la mia vita.

Preferivo essere lasciato all’oscuro di tutto e invece no, sono un adulto e devo sapere: mio padre ha deciso che devo conoscere la verità sui suoi errori e le sue mancanze.

Cavolo, chi ti ha detto che voglio saperla!

Lascerei anche subito questo posto, se solo non lo amassi tanto e se non amassi quelle due fragili persone che mi hanno messo al mondo!

-            Nicola! Mi senti? Ti ho chiesto cos’è successo con tuo padre? Dove ti sei perso?

-            Chi? Oh…. mio padre…no niente. Non è successo niente!

 

Sabato notte: sono stanco e nervoso, non riesco a godermi la serata con gli amici.

Guardo spesso il cellulare, non lo faccio mai, ma da giovedì non faccio altro. Ho anche pensato di inviare un SMS con una frase spiritosa, ma lo spirito finisce quasi sempre per trasformarsi in stupidità e non vorrei sprofondare nell’imbarazzo!

Il locale è il solito e solite sono le persone che incontro.

Scambio le prime parole con un ragazzo che per un periodo mi ha fatto sognare a distanza: amore a prima vista!

Lui mi ha sempre evitato, non so perché ora me lo sono ritrovato vicino, forse perché non l’ho degnato di uno sguardo dall’inizio della serata.

Forse perché si è già scopato tutti quelli più fighi e ora passa in rassegna i meno peggio.

Mi annoio: l’avessi saputo prima, avrei evitato di perdere ore di sonno pensando a uno che mentre gli parlo si guarda intorno e fa girare gli occhi manco fossero dischi volanti al luna park, e poi se ne esce con dei - Sì, sì, certo, sì, sì - e non ha ascoltato mezza parola di quello che ho detto.

Bevo troppo: non so cosa mi manca oggi, ma è tutto il giorno che sono preso in un vortice di pensieri e agitazione, alle tre di notte non ce la faccio più e chiedo a Matteo di riaccompagnarmi a casa di Silvia.

Saremmo dovuti uscire insieme stanotte, ma poi lei ha deciso di restare a casa: il suo ragazzo è partito in Svizzera per lavoro e non è dell’umore adatto per un’uscita serale. La capisco, sarei tornato volentieri da lei finito il lavoro, forse mi avrebbe fatto bene e in ogni caso non mi sarei perso niente: inizio ad averne abbastanza di queste serate vuote e noiose.

Quando Matteo è passato in trattoria con gli altri ragazzi non potevo tirarmi indietro, ma ora ho raggiunto il limite e se continuo a bere finirò per sentirmi male.

Domani mattina, per la precisione, fra sette ore, dovrò andare a prendere Federica per portarla ai giardini e lì… Raffaele, che cosa ci fa lui qui!?

Probabilmente non l’avrei individuato nella penombra del locale se non fossi stato già sulla porta d’uscita e quasi gli sbatto contro.

-            Nicola! Ciao, come va?

-            Ciao, bene… va bene, per me è un po’ tardi, stavo per andar via. Sai, domani mattina… i bambini… i giardini… ricordi?

-            A dire la verità non ci pensavo proprio, ma poi figurati, Fabio se ne sarà di certo dimenticato!

Ride! Lui ride!

Mi accorgo di avere la bocca spalancata e quando vengo spinto da un ragazzo che si fa spazio nel gruppetto messo a tappo del passaggio, la realtà mi riporta nel posto che pochi istanti prima stavamo per lasciare.

Quest’uomo che mi ha salutato, che ha parlato, non è Raffaele!

Non riesco più a metterlo a fuoco, gli occhi si sono velati e non distinguo tanto bene neanche la figura che gli è accanto, capisco che è un uomo più grande di lui, molto più grande di lui: avrà quasi cinquant’anni!

Ha i capelli cortissimi e brizzolati, la faccia è tonda con due occhi troppo vicini tra loro, il suo corpo è grosso e muscoloso.

Per un attimo, tra i fumi dell’alcool, penso al buttafuori che stanotte ha deciso di sbattere in strada i cazzoni bugiardi che prendono per il culo cuochi e bambini.

Mi sbaglio, il nostro Maciste cinge con un braccio la spalla del traditore e con l’altro tiene la giacca sulla spalla, usando il dito indice come gancio. Indossa una maglietta nera talmente aderente e ben tirata che dubito ci sia bisogno di stirarla una volta lavata. Sull’avambraccio un tatuaggio del quale non riesco a capirne il disegno mi ricorda Vittorio, anche lui ne ha uno che occupa la stessa superficie di pelle e il suo è un drago.

Smetto di fissare il buttafuori e torno a guardare Raffaele.

-            Federica ci rimarrà male quando gli dirò che Fabio non sarà ai giardini, ma saprò inventarmi qualcosa da dirle e comunque è vero, i bambini dimenticano in fretta…

“Bugia: i bambini non dimenticano, sono gli adulti che hanno la memoria corta!”

-            Allora io vado… ci si vede (spero mai più)… ciao!

Lascio il locale, lascio Raffaele, lascio un pezzetto di me.

Non ci posso credere quando le persone si trasformano a seconda delle situazioni, ci rimango malissimo e non vedo l’ora di essere a casa di Silvia, sul suo divano scomodo a piangere come un bambino tradito.

Silvia sarà la mia salvezza per il resto della notte, Federica avrà davanti a sé uno zombie domani a consolare la sua delusione e per finire in bellezza il pranzo dai miei.

Qualcuno può fermare il mondo per piacere? Voglio scendere!

 

Domenica mattina, una cosa positiva almeno e sono quasi salvo, piove: niente giardini!

Come promesso andrò a pranzare dai miei, ci saranno anche Carla con la bambina, spero di levarmi di dosso quest’ansia che mi opprime.

Forse esagero. Per Silvia sono sempre il solito sentimentale che ingigantisce ogni cosa, sia nel bene, sia nel male.

Mi sono fatto un film e ho fantasticato sui personaggi, Raffaele ha recitato la sua parte ed è sparito dalla scena, io ho sbagliato ad illudermi che sarebbe stato un successo: cerco di superare la delusione.

Prima di uscire da casa di Silvia controllo i messaggi sul cellulare, un gesto involontario, uno di quelli che da qualche giorno mi hanno reso dipendente di un oggetto verso il quale non ho mai nutrito troppo interesse.

Il cuore fa un balzo nel petto: Raffaele ha inviato un messaggio!

Sono quasi le tredici, non posso fare aspettare la mia famiglia, decido di non leggere l’SMS ed esco di casa.

Il tempo è nuovamente cambiato: le nuvole sono sparite e un vento tiepido accompagna la passeggiata in bicicletta.

A casa dei miei il pranzo si svolge nella maniera che ho conosciuto bene negli anni: allegro e colorato. Mia madre, come sua abitudine, ha pensato a tutto, dal cibo più elaborato alla tavola organizzata con cura.

Federica crollava dal sonno e dopo aver mangiato l’ho distesa sul divano della sala, Carla adesso è in cucina, la sento ridere e scherzare con nostra madre mentre caricano la lavastoviglie. Lei ci sa fare, trova sempre gli argomenti giusti per farla contenta e in questo momento gliene sono grato perché ho bisogno di stare un po’ da solo.

Mio padre vorrebbe parlarmi, non ne ho molta voglia: gli ho chiesto di darmi un paio di minuti.

Vado al bagno.

Leggere il nome di Raffaele sul display mi provoca emozioni diverse e contrastanti, rimarrei così: incantato sul suo nome e con la testa che fluttua fra i sogni più assurdi e irrealizzabili.

Click: ciao Nicola. Stasera sarò al Cristal bar.

Buon per te: io no di certo!

Chi cazzo si crede di essere?

Cerco mio padre e lo trovo seduto sul divano con Federica: mia nipote si è appena svegliata e lui la tiene fra le braccia, dondolandola dolcemente.

Basta poco per rimettermi al mondo!

Una scena come questa e sarei capace di farmi piacere anche la faccia di Vittorio o che so il grugno da macaco del buttafuori.

Penso a Raffaele e mi chiedo che cosa ho da perdere andando al locale, ci sono stato altre volte no? Non ci vado mica perché c’è lui…

La verità è che ho voglia di vederlo, e se fosse in compagnia del gigante?

-            Allora è uno stronzo!

Mio padre e Federica si voltano contemporaneamente verso di me, li guardo entrambi con la mano sulla bocca aperta, ma sarò stupido?

-            Scusate, scusate, non volevo! Senti Pa’ io dovrei andare, ti dispiace se parliamo domani? Magari vengo al lavoro un po’ prima, che dici?

-            Sì, va bene. Sta’ tranquillo, ci vediamo domani.

Fede mi guarda, è ancora mezz’addormentata e il tepore emanato dal corpo del nonno, che la tiene vicina a sé con un braccio, la dissuade dal tentativo di seguirmi.

Non stasera tesoro!

Le mando un bacio e dopo aver salutato anche mia madre e Carla, esco. Sono quasi tentato di rifugiarmi nella mia casetta, ma ho voglia di allontanarmi da qui: penso sia tempo di mettere qualche chilometro di distanza tra me e la mia famiglia.

Cercherò un appartamento: lo farò seriamente stavolta!

 

Trovo Silvia in piena crisi e lo capisco dal disordine che c’è in casa: ha in pratica smontato una libreria, svuotato i pensili della cucina e i vestiti dell’armadio sono buttati sul letto. Quando Silvia decide che è ora di dare una ripulita all’appartamento significa che “tutto” deve essere fatto nella stessa giornata, se non nello stesso momento e finisce sempre per perdersi in un casino totale.

Non è certo la giornata ideale per pensare alle pulizie di stagione, ma devo prendere atto del suo umore nero e senza fare domande riempio d’acqua una vaschetta di plastica e con spugna e sgrassatore mi do da fare con i pensili.

Silvia prende la cosa come un dato di fatto: cos’altro avrei dovuto fare se non quello che sto facendo?

Approfitto del momento, quando seduta sulla sedia di fianco al tavolo mi guarda con aria assente, ripetendomi che va tutto bene e che Alex (il suo ragazzo) non le manca affatto, per aggiornarla sulle novità: il messaggio di Raffaele.

-            Secondo me dovresti andarci, non sai niente di lui, ma io credo che la prima impressione non ti abbia ingannato, ieri notte è stato un incidente: avrà una spiegazione da darti per il suo comportamento.

Il gorilla con il quale si accompagnava ad esempio: magari Raffaele affermerà di essere figlio di un pezzo grosso e il padre non lo fa muovere senza la guardia del corpo…

-            Ma che cavolo dici! Sì, e allora l’altra sera ai giardini?

-            Nichi… era una battuta! L’ho detto così per dire, mamma mia, capisci quando qualcuno ti prende in giro?

Interrompo il lavoro per fissare Silvia attentamente negli occhi: stasera sarò lì, ho troppa voglia di vederlo!

-            Arrangiati tu qui. Io ho da fare!

-            Non mi puoi lasciare così. Te lo proibisco!

-            Lo sai. Sì, sei proprio brava con le battute: questa ti è venuta benissimo, molto meglio della prima!

 

Il Cristal bar lo conosco bene, si trova in periferia, zona di villette a schiera e di palestre nuove di zecca. La costruzione è elegante, circondata da un cortiletto con piante di buganvillee che arrivano fino al terrazzo del secondo piano. D’estate il rosso amaranto dei fiori, che contrasta sulla facciata chiara, è uno spettacolo a vedersi.

Sui gradini all’ingresso un gruppetto di persone chiacchiera e fuma, entro dentro e forse è ancora troppo presto: in giro c’è pochissima gente.

Non vengo mai a quest’ora, ma voglio essere sicuro di trovarmi già qui quando arriverà Raffaele.

Qualcuno appoggiato al bancone beve e chiacchiera, nella penombra dei salottini le coppie si scambiano baci e tenerezze, più di uno è solo come me in questo momento e mentre fa vagare lo sguardo cerca di ostentare sicurezza.

Mi avvicino al bar e chiedo da bere, scambio sorrisi con il mio vicino, poi mi giro sullo sgabello e portando il bicchiere alle labbra mi concentro sul corridoio che porta all’ingresso: se entra con il gorilla mi defilo!

Ho ancora il drink a metà e Raffaele è già davanti a me.

Ho seguito il suo arrivo passo dopo passo, la mia faccia è una maschera senza espressione. Lui ha uno sguardo contrito, aspetto che ordini qualcosa all’attraente barista che se lo mangia con gli occhi e che si sieda, non ho intenzione di incoraggiarlo: sarà lui a parlare.

-            Sono contento che tu sia qui. Come stai?  

-            Sto bene, grazie.

-            So di aver fatto una pessima figura l’altra sera e ci tenevo a vederti per scusarmi.

Continuo a tacere.

-            Il pomeriggio trascorso insieme ai giardini è stato molto piacevole e ho rovinato tutto parlando a sproposito, non sopporto l’idea di averti fatto una brutta impressione. In realtà non sarei neanche dovuto essere lì, ma Maurizio….

Raffaele ha parlato senza guardarmi e capisco che evita il mio sguardo per l’imbarazzo.

Non resisto a lungo e poi che senso avrebbe irrigidirmi, stasera potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo e lui è stato così carino a volersi scusare, poteva anche lasciar perdere.

Osservo le sue mani e mi accorgo che insieme tengono stretto il bicchiere della birra, ancora intatta.

-            Non hai sete?

Abbassa un attimo lo sguardo e poi finalmente si gira dalla mia parte: ha un sorriso tenerissimo, l’avevo già notato?

-            Ad essere sincero non so nemmeno io perché tengo in mano questo bicchiere, la birra non mi piace, ma dovevo fare qualcosa e ordinare da bere mi è sembrata quella più adatta. A quanto pare faccio ancora una volta la figura dello stupido!

Stare chiuso in questo posto rende difficile la respirazione o forse è l’emozione che mi stringe la gola, per questo propongo a Raffaele di uscire a fare una passeggiata: sembra più sollevato e in un attimo siamo in strada.

L’aria è leggera, non troppo fredda, procedendo sempre dritti da qui si arriva ad un ponte al di sotto del quale s’intravede il fiume che scorre tranquillo, il primo tratto lo attraversiamo in silenzio, poi è Raffaele a interrompere i miei pensieri, ormai senza più capo né coda.

-            Senti Nicola, lo so che non t’importa niente di sapere della mia vita e dei casini che in questo momento mi stanno travolgendo, ma se solo mi permetti di parlarti della presenza di Maurizio la scorsa notte, io sento il bisogno di farlo.

Che cosa succede dentro le persone quando ci si ritrova a voler condividere la propria intimità?

È una questione di frequenze, di simpatia? Non lo so.

So solo che adesso, in questo preciso momento, se Raffaele ha voglia di confidarsi con me, di aprire il suo cuore, da parte mia muoio dalla voglia di sentirlo parlare.

Per il resto della vita, se me lo chiedesse!

Sotto di noi sentiamo scorrere l’acqua e con i gomiti appoggiati al muro di protezione ci sporgiamo verso quella massa liquida, il buio non lascia intravedere nulla e così, fidandoci del riflesso dei lampioni, immaginiamo quello che non possiamo vedere: di sicuro più bello e pulito.

Raffaele si gira e si appoggia al muro con parte della schiena e il sedere, io rimango nella stessa posizione, solo allontanandomi leggermente all’indietro.

-            Mi importa eccome di ascoltare ciò che hai voglia di dirmi: di te, del tuo amico…

-            Non è il mio amico!

Quasi urla. Poi riprende, con calma.

-            Maurizio l’ ho conosciuto qualche mese fa, al Centro. Quando ha iniziato la terapia di riabilitazione, in seguito ad un problema alla spalla, sorto mentre sollevava pesi in palestra, era nella lista di una mia collega. Una mattina in cui ero di turno, me lo sono trovato davanti. Laura offesissima ha affermato che aveva fatto il diavolo a quattro per farsi inserire nella mia lista e che alla fine l’avevano dovuto accontentare: da quel momento era tutto mio. Non mi era piaciuto il tono della sua voce, tanto meno mi piaceva trovarmi davanti un uomo maturo, che mi metteva in quella situazione imbarazzante. Feci lo stesso il mio lavoro, con tutto il distacco possibile. Durante la prima seduta non è accaduto nulla, la seconda, tra un trattamento e l’altro ha iniziato a fissarmi e a sorridermi ogni volta che lo guardavo. L’hai visto anche tu, è un uomo che sprizza virilità da tutti i pori e sul suo corpo ci ha lavorato parecchio, se te lo trovi disteso su un lettino, a petto nudo, un certo effetto… Comunque, mi guardo bene dal mostrargli il benché minimo interesse, sennonché, dopo qualche giorno di sorrisi e battute più o meno provocatorie, il gioco iniziava a farsi eccitante. Ho accettato di incontrarci fuori del Centro e la sera stessa abbiamo bevuto un caffè in uno dei bar della piazzetta. Lui è responsabile di un’azienda, economicamente è messo bene ed ha i suoi vizi, ma con me non ha mai ostentato nessun privilegio. Capivo anche perché non voleva esporsi negli ambienti che era solito frequentare, ma non m’importava niente. Insomma fin dai primi incontri ho sempre scelto io i posti dove andare, a lui interessava solo uscire con me, e sarà stato questo a farmi stare bene, o forse il fatto che vicino a lui mi sentivo in qualche modo protetto, o semplicemente perché mi piaceva farci sesso, abbiamo finito per passare le domeniche in spiagge appartate o a casa mia tra un divano sfondato e il mio letto. Era estate, eravamo abbronzati, scoperti e il mio desiderio era sul punto di scoppiare, facile perdersi tra le sue braccia… Siamo stati amanti per cinque mesi. Qualche giorno fa mio padre mi ha chiesto di accompagnarlo in ufficio perché la sua macchina era dal carrozziere, prima però dovevamo lasciare Fabio all’asilo. L’ho accompagnato volentieri e mentre aspettavo in auto che uscisse dalla scuola, una macchina, che ho riconosciuto subito essere quella di Maurizio, si ferma proprio davanti a me. Quando la donna seduta al volante scende e dal sedile posteriore prende in braccio una bambina dell’età di Fabio per poi avviarsi verso la scalinata, il mio cuore per un secondo ha cessato di battere. -

 

Raffaele s’interrompe e mi guarda.

Non so che dire, credo di aver sentito tutto, ma in un certo senso sono rimasto fermo al momento in cui lui inizia ad andare a letto con Maurizio: immaginarlo con quell’uomo mi mette a disagio.

Così più grande di lui, ma non solo quello, così immensamente diverso da lui. Raffaele ha un bel fisico sportivo, ma sparisce vicino a quel guardaroba e non solo quello… nooo… macché gelosia!

Dopo quella visione per Raffaele inizia il periodo di tormento interiore: Maurizio è sposato e ha una figlia.

In questi casi chi è la vittima? La famiglia o l’amante?

Difficile stabilirlo, l’unica cosa certa per Raffaele è che Maurizio è uno stronzo egoista e lui non vuole più vederlo.

Maurizio cerca di calmarlo, gli dice le cose più ovvie di questo mondo: lui ama la moglie, ma ha perso la testa per Raffaele e non vuole rinunciare a vederlo.

Raffaele insiste per troncare quel rapporto, ora così assurdo, e Maurizio insiste per vedersi ancora una volta.

-            Un’ultima volta, ti prego!

-            Ieri sera era la nostra ultima volta. Quando ci siamo incontrati avrei voluto scavarmi la fossa con le mie mani. Ho pensato a mio fratello, alla figlia di Maurizio, mi sono sentito una merda e tu eri l’ultima persona che avrei voluto me lo leggesse in faccia.

Infilo le mani nelle tasche dei jeans, abbasso lo sguardo verso le scarpe da ginnastica, tiro un paio di calcetti al muro e poi guardo Raffaele: ha dei bellissimi occhi verdi con l’aureola marrone attorno alla pupilla.

Un lampione illumina proprio da sopra le nostre teste: posso vedere le sopracciglia delicate, la fronte coperta da un ciuffo di capelli in disordine e un po’ appiccicati dal sudore, nonostante il fresco della notte.

Posso vedere il naso sottile e le labbra piene.

Distolgo lo sguardo e mi volto verso la strada dalla quale siamo arrivati. D’improvviso mi rendo conto dell’isolamento in cui ci troviamo: poche macchine attraversano il ponte ma nel passaggio riservato ai pedoni non c’è un’anima.

Un attimo di panico e mi ritrovo se non proprio a correre poco ci manca: odio la sensazione di diventare facile bersaglio di qualcuno che scambiandoci per una coppia di fidanzati possa sentirsi “infastidito”!

-            Andiamo, continueremo a parlare mentre ritorniamo alle macchine!

Raffaele deve accelerare il passo per starmi dietro, ma non azzarda nessuna protesta: meglio così, prima arriveremo al parcheggio meglio sarà.

Non mi ero reso conto di quanta strada avessimo fatto, e quando finalmente arriviamo alle macchine ci fermiamo uno di fronte all’altro.

Con le parole che inciampano nel respiro affannato butto fuori quel tarlo che per tutto il tragitto mi ha martellato in testa.

-            Sei innamorato di Maurizio?

Raffaele non risponde subito, perciò inserisco la chiave nella serratura della macchina.

-            No, aspetta! Maurizio è stata una debolezza: potevo mandarlo al diavolo dopo il primo incontro, ma non l’ ho fatto. No, non sono innamorato di lui ma era ciò che desideravo in quel momento: uno con cui stare! Il fatto che lui mi desiderasse mi riempiva di soddisfazione, anche se sono sicuro che neanche per lui fosse amore: attrazione fisica e nulla più, ero il suo passatempo preferito e mi sono lasciato usare ma ho goduto delle sue attenzioni, il resto non era importante.

-            Pensi che ti cercherà ancora?

-            Non fa che inviarmi messaggi e temo che non mi lascerà in pace tanto facilmente, è un uomo abituato a prendere quello che desidera e non si è ancora stancato di me: sì, mi cercherà ancora.

Raffaele si avvicina allo sportello e lo tiene con la mano, mi guarda: non so cosa si aspetta da me.

Lo guardo anch’io e…

-            Vorrei vederti ancora!

Tanto vale buttarsi!

-            Speravo che me lo dicessi: mi aiuterebbe molto avere vicino qualcuno che non mi giudichi e mi sia amico.

Ho un sussulto: amico? Beh, certo è normale, di cos’altro avrebbe bisogno in questo momento? Sono io che ho gli ormoni impazziti, lui a quanto pare ha avuto modo di “scaricarsi”.

Cosa vado a pensare?

-            Non sono abituato a giudicare gli altri e sono sincero se ti assicuro che ho voglia di rivederti, diciamo nei prossimi… giorni?

-            Mmmh, sei un po’ avaro come amico, non so se mi potrà bastare!

-            Quello che intendo è che sono disposto a offrirti la mia amicizia per qualche giorno, ma che potrei avere qualche altra idea per il futuro, sempre che tu sia d’accordo!   

“Un bacio, solo un bacio e questo momento sarà impresso nella mia mente sino a che campo!”

Raffaele sorride e mi accarezza una guancia. Dovrò accontentarmi del ricordo del calore che le sue dita lasciano sulla mia pelle, me lo farò bastare: per ora!

-            Domani mattina ho tre clienti a domicilio, di pomeriggio andrò al  Centro: si sono decisi finalmente a farmi uno straccio di contratto a tempo, meglio di nulla, no?

Ti prometto che appena sarò libero ti chiamo. Ok?

-            Va bene. Sai, anch’io in settimana sono piuttosto occupato in trattoria: mattina e sera. I pomeriggi spesso li trascorro con Federica, bisognerà aspettare il fine settimana per avere del tempo libero, se non ci si mette di mezzo mia sorella. Allora a presto?

-            Sì, a presto Nic e grazie di tutto…

Un bacio innocente sulle labbra è tutto ciò che mi porto dietro mentre, seduto in macchina, avvio il motore per rientrare a casa.

Non tento neanche per un attimo di guardare il mio viso nello specchietto retrovisore, il sorriso me lo sento stampato in faccia e non voglio rischiare di trasformare questo momento in un fiume di lacrime.

Lacrime di felicità ma pur sempre uno sfogo alla tensione che nelle ultime ore mi ha reso peggio di una corda di violino.

Avverto Silvia: stanotte voglio tornare a casa, al mio rifugio fatto di legno.

Ho bisogno di pensare e per farlo devo avere sottocchio la mia vita, quella materiale almeno, per quella sentimentale è impossibile trovare qualcosa per fare un confronto, è la prima volta che mi trovo in una situazione simile: non mi è mai capitato d’innamorarmi di un ragazzo che cerca di venir fuori da una storia con un uomo sposato.

Ma non è questo a confondermi.

Il fatto è che non mi è mai capitato di sentirmi così consapevole di “essere” innamorato!

All’improvviso, mentre fisso la foto di David Bowie, ai piedi del mio letto da più di dieci anni, ho una certezza e vorrei condividerla con Raffaele, potrei mandargli un messaggio, ma mi vergogno ed è con questa sensazione di turbamento che gli occhi da soli decidono di chiudersi, interrompendo ogni contatto con la realtà.

  

La settimana trascorre lenta e nella confusione più completa.

Nessun messaggio da Raffaele.

Inizio a pensare troppo e non mi va: odio le deduzioni scontate!

Lavoro e mi occupo di Fede, come al solito. Non trovo il coraggio di prendere nessuna iniziativa, per cui aspetto.

Poi, sabato finalmente...

- Ciao, facciamo qualcosa insieme stasera?

Decido nello stesso momento in cui sento la sua voce.

- Certo. Se ti va vieni alle nove alla trattoria di Lello. T’invito a cena!

- Ok, poi però il dolce lo offro io.

- Se avrai la pazienza di aspettare che finisca di lavorare!

- Per te questo e altro, a stasera!

La cena di Raffaele è prenotata dentro la cucina: ho apparecchiato un tavolino, cercando una posizione che non fosse d’impiccio.

Quando mio padre lo ha visto dirigersi nella sua direzione con passo deciso, per presentarsi e toccargli la mano, gli è bastato questo per essere soddisfatto di lui e orgoglioso di me, si capisce dal sorriso che ancora gli tira su gli angoli della bocca, e avere un estraneo nella cucina non lo ha infastidito.

Gli avevo già raccontato di Raffaele, non tutto chiaramente, e lui mi ha parlato di sé, di come fosse stato frettoloso e impulsivo quella volta che per liberarsi da un peso aveva pensato bene di scaricarlo addosso a me, senza riflettere sulle conseguenze.

Gli ho assicurato che non sono arrabbiato con lui, anche se non approvo il suo comportamento, segnato da una grave leggerezza. Mi piacerebbe che s’impegnasse ad organizzare un viaggio con sua moglie, sforzandosi di rimediare a tutte le delusioni che quella donna, negli anni, ha dovuto sopportare.

Mi ha abbracciato, per la prima volta forse: auguro tutto il bene del mondo ad entrambi i miei genitori!

 

Posso vedere Raffaele mentre mangia e ogni tanto passo a riempirgli il bicchiere, rigorosamente d’acqua: con l’alcool proprio non ci va d’accordo.

Neanche con la carne, se per quello: gli ho preparato una pasta e un’insalata che sfamerebbero un reggimento!

La sala è al completo stasera e fino a mezzanotte non ho tregua, ma finalmente arriva il momento di togliere la giacca bianca per la quale Raffaele non ha mancato di farmi i complimenti per come la indosso. Grazie!

Vorrei farmi una doccia ma mi fa notare che anche lui ormai avrà assorbito tutti gli odori della cucina e così usciamo.

Prendiamo la sua macchina e sarà a causa dell’intimità creatasi improvvisamente in questo spazio piccolo che, appena partiti, l’imbarazzo ci travolge entrambi.

Provo a rompere il silenzio facendo la domanda più scontata e più temuta.

-            Hai sentito o visto Maurizio questa settimana?

-            Non l’ho visto, ma ho ricevuto dei messaggi che ho cancellato senza leggere.

-            Forse sarebbe meglio se gli parlassi.

Perché non mi mordo la lingua prima di parlare! Accidenti!

-            Tu credi? Cosa dovrei dirgli?

-            Non so, forse che sarebbe meglio per tutti se si preoccupasse della sua famiglia e la smettesse di girare attorno a uomini molto più giovani di lui?

-            Come ti ho già detto Nic, nessuno mi ha forzato: sapevo quello che facevo.

-            Questo l’ho capito. Adesso che conosci tutta la situazione cosa intendi fare?

-            Quello che sto facendo. Niente, non farò niente, mi basta che lui mi lasci in pace!

-            Ok. Senti, dove stiamo andando?

-            In un posto carino: semplice, pochi comfort, l’essenziale diciamo, ma pulito e accogliente.

Mi rilasso sul sedile e chiudo gli occhi per un attimo.

Devo ritrovare la calma: vicino a me c’è la persona che nell’ultima settimana ho desiderato rivedere con tutta l’anima, non posso rovinare tutto con il terrore che sia uno sbaglio e che potrei rimanere ferito per colpa di valutazioni affrettate e false.

Raffaele è qui adesso, prego sia sincero e che sia forte nel dimenticare la sua storia con Maurizio.

-            Che fai dormi? Siamo arrivati, andiamo?

Guardo fuori del finestrino: è buio!

Non vedo segni di locali o bar o comunque un luogo pubblico, solo una strada con una fila di condomini, mi volto e vedo che Raffaele ha perso un po’ della sua baldanza: la mia faccia non deve essere troppo incoraggiante.

-            Pulito, accogliente: di sicuro non si tratta dei bagni pubblici!

-            No, qui è dove abito io, se non vuoi…

Raffaele, che ancora non aveva spento il motore, ingrana la marcia e avanza di pochi centimetri. Lo fermo tenendogli la mano.

-            Va bene così. Non mi avevi assicurato che avresti offerto il dolce?

Capisco di aver detto una cazzata nel momento in cui finisco di pronunciare quelle parole e non mi piace che venga interpretata come una battuta maliziosa. Cavolo, che mi succede? Sto andando avanti a tentoni.

Devo prendere una decisione: - Saliamo?-

L’appartamento di Raffaele è peggio della mia casetta: una varietà d’oggetti sparsi ovunque, nell’angolo fra la libreria e la finestra c’è anche una chitarra, poggiata sul suo supporto.

Come prima cosa accende la radio, preferisce lasciare al caso la scelta dei brani musicali, lo capisco: per stasera ha preso fin troppe iniziative!

Non mi metto a curiosare tra i suoi CD e anche davanti ai libri cerco di resistere alla tentazione di sbirciarne i dorsi per leggere i titoli, decido di sedermi sul divano, ma mi pento subito pensando a lui e Maurizio distesi proprio qui e… al diavolo!

-            Vedo che ti piace leggere!

Dal salto che ho fatto per precipitarmi verso la libreria, Raffaele deve avere intuito il mio disagio e con tatto dirotta i cattivi pensieri verso il tavolo di cucina, attrezzato di due sole sedie in legno, per giunta spaiate.

-            Devi dirmi quali gusti di gelato preferisci: non sapevo se scegliere quelli alla frutta o quelli alla crema, così ho preso un po’ di tutto!

-            Ma hai riempito il freezer!

-            Non ti ho mentito quando ho affermato che al dolce ci avrei pensato io. Dai, siediti e rilassati, sembri molto stanco, mangiamo il gelato e poi ti riaccompagno alla macchina, se vuoi.

Domanda: “Dov’era tenuto nascosto un ragazzo così premuroso e carino?”

Non è giusto!

È come se sulla sua fronte si accendesse una scritta ad intermittenza: innamorati di me, innamorati di me…

È molto tardi quando decidiamo di uscire: alla fine i gelati li abbiamo assaggiati tutti e credo che per un po’ non ne mangerò più.

Siamo rimasti lì in quella piccola cucina e intorno a noi non è esistito altro, abbiamo scherzato e riso, gli ho raccontato di me, del mio lavoro e lui mi ha parlato del suo.

Tra qualche ora dovrà essere a casa di un signore anziano che è stato operato al femore e poi da altri due pazienti.

Per tutto il tempo non ho desiderato altro che di poter restare qui per il resto della notte e dormire insieme a lui, abbracciarlo e riposare con la testa sulla sua spalla: questo ho sognato per tutta la sera, ma stiamo scendendo le scale e siamo già in macchina e ora devo lasciarlo andare perché siamo arrivati, ed è il momento più difficile e non riusciamo a staccarci gli occhi di dosso.

Allora capisco. Capisco che avrebbe voluto tenermi lì a casa sua: dormire abbracciato a me, con la sua testa sulla mia spalla.

Nessuno dei due però ha avuto il coraggio di dirlo!

Prima di scendere dalla macchina, senza dargli il tempo di parlare, mi butto a capofitto sulle sue labbra morbide e lo bacio con passione, le mani perse tra i suoi capelli.

È il bacio perfetto, quello che ho sempre desiderato, non mi posso sbagliare e per esserne ancora più sicuro lo gusto e lo rigusto, fino a sentirmi completamente prosciugato.

Quando, con un sospiro, ci allontaniamo uno dall’altro, sento le labbra bruciare ma è Raffaele a sfiorare le sue con la lingua, quasi a volersi accertare di possederle ancora.

-            Se tu lo avessi fatto prima non ti avrei lasciato andare via.

-            Lo so, e io sarei rimasto. La prossima volta la cena la prepareremo a casa tua: compresa di dolce!

Stavolta non mi pento della battuta, anche se il rossore alle guance non fa che cambiare le sue gradazioni.

Un altro bacio, uno solo e me ne vado!

Non faccio in tempo a riavvicinarmi a Raffaele e sento la temperatura all’interno della macchina farsi gelida all’improvviso, il resto accade in un attimo: gli occhi terrorizzati di Raffaele, e due mani che mi afferrano e mi trascinano fuori dall’abitacolo.

La testa sbatte prima contro lo sportello e poi contro il marciapiede, il dolore acuto mi stordisce, i calci ripetuti contro i fianchi e la schiena quelli arrivano dritti al cervello, annebbiandomi la vista. Cerco di proteggermi il volto e ringrazio il velo nero che presto offusca i miei pensieri.

L’ultima cosa che ricordo è un braccio che si alza verso di me, in quel momento l’avambraccio si scopre e riesco a distinguere una macchia più scura, forse un tatuaggio. Sento un cane che abbaia, forse un passante che porta a spasso il suo animale, vorrei urlare ma perdo conoscenza: un altro colpo è arrivato a segno!

  

Il passaggio dal buio alla luce è doloroso quanto le botte che ho ricevuto, la luce è quella circolare della sirena di un’ambulanza, qualcuno cerca di mettermi la mascherina dell’ossigeno consigliandomi di inspirare e calmarmi, il corpo è scosso dai brividi, la testa mi fa male da morire: richiudo gli occhi.

Non ho idea di quanto tempo sia passato, non voglio svegliarmi, rivivo quei momenti e ho come la sensazione di essere stato investito da un camion, il dolore fa pulsare ogni centimetro del mio corpo. Vengo trasferito su una barella del Pronto soccorso e senza aprire gli occhi piango in silenzio, mentre rivedo un braccio alzarsi verso il mio viso e quel tatuaggio così familiare…l’abbaiare del cane…

Un urlo rauco scaturisce dal petto e mentre cerco di scendere dal lettino mi accorgo di avere un tubicino nel braccio collegato ad una flebo.

Un conato di vomito mi costringe a rimettermi giù.

No, non posso credere che…

-            Nichi, mi senti?

-            Mamma! Dov’è Raffaele?

-            Sono qui Nicola!

“Grazie!”

-            Mi dispiace Nic, non ho potuto fare niente, era una furia e quando ho cercato di difenderti mi sono beccato un pugno nello stomaco, se non fosse stato per lui…

Fisso Raffaele che adesso è di fianco a me e tiene la mia mano, quella che giace inerme sul lenzuolo, mentre un ago mi penetra all’interno del braccio.

La mia testa rischia di scoppiare, troppe domande e non riesco a pensare. 

Se non fosse stato per lui? Lui chi? Il padrone del cane, quello del tatuaggio? No, ti stai sbagliando è lui che mi ha colpito e io lo conosco lui è…

-            Ehi, campione come stai?

È troppo!

Perdo di nuovo i sensi.

Dopo la lastra e la TAC i medici decidono di tenermi in osservazione e così inizia la mia notte in una stanza di ospedale.

La testa continua a ronzarmi e il dolore alle costole rende difficile il respiro, mi iniettano qualcosa nella flebo, forse un sedativo, che mi trascina ancora una volta nell’incoscienza.

Il volto di Vittorio è il primo che riconosco la mattina, al mio risveglio e non mi piace affatto, sposto lo sguardo e vedo Carla che mi sorride: sono seduti vicini di fianco al letto, non credo ci sia nessun altro, per essere sicuro giro la testa e controllo dall’altra parte.

Infatti!

Riporto lo sguardo sull’uomo.

-            Vittorio dimmi cos’è successo. Tu eri lì, ho visto il tatuaggio sul braccio e quel cane che non smetteva di abbaiare… È stato terribile e oltre al dolore la rabbia di vederti sopra di me… Senti Vittorio sappiamo entrambi quanto mal ci sopportiamo ma non saresti qui adesso, insieme a mia sorella, se ieri notte avessi attentato alla mia vita. Ma tu eri lì, questo è sicuro: cos’è successo?

-            Be’, confesso che ho sempre dovuto resistere alla tentazione di assestare due bei calci contro quel culo da frocetto e anzi ti suggerisco già che sei qui di sottoporti a qualche cura che ti renda normale e… va bene, va bene, sta’ calmo, non ti agitare…

Porc! Non vi capirò mai!

È successo tutto per caso: sono passato in macchina con Ercole a bordo.

L’ho tenuto con me tutta la sera, trascorsa insieme a degli amici e a quell’ora lo stavo riportando a casa, per poi andare in discoteca.

Sono passato davanti alla trattoria di tuo padre, quella via è completamente al buio, ma ho visto una macchina con lo sportello aperto e un pazzo grande e grosso che tirava calci contro un corpo riverso a terra.

Alle urla del ragazzo che continuava a menare colpi alle spalle di quella roccia si è aggiunto l’abbaiare del mio cane. Tu non ci crederai, ma sono una persona sensibile, la violenza non mi va giù e quella si presentava come una situazione d’evidente sopraffazione nei confronti di una persona più debole. Certo se avessi saputo che eri tu sarei sceso dalla macchina per dargli una mano e… scherzo stronzetto! Sono sceso dalla macchina e ho lasciato dentro Ercole: era troppo eccitato e avrebbe sbranato quel bestione. Ho fatto quello che ho potuto per allontanare quell’uomo e ti assicuro che non è stato facile: sembrava indemoniato. Finalmente ha smesso di tirare calci e con violenza l’ho spinto contro al muro, sarà stata la botta o non so cosa ma si è fermato e si è accasciato in terra. A quel punto la sorpresa: ti ho riconosciuto, ma mentre cercavo di tirarti su, sei svenuto, deve essere stato allora che mi hai visto. Qualcuno ha chiamato la polizia e l’ambulanza, sei stato caricato e portato al Pronto soccorso. Fine della storia! Ti ringrazio per la bella nottata, non chiedevo di meglio!

-            Hai parlato di polizia: l’hanno arrestato?

-            Di sicuro l’hanno caricato in macchina e portato via. Altri agenti hanno chiesto i documenti delle persone presenti sul posto e ognuno di noi ha rilasciato la propria dichiarazione.

Verranno presto a parlare con te, ma tu hai riconosciuto la persona che ti ha aggredito?

-            Se me lo avessero chiesto ieri notte avrei giurato che fossi stato tu e sarei stato ben lieto di spedirti in galera, ma ora direi di no, non l’ho riconosciuto, era buio ed è successo tutto all’improvviso: però ho visto che aveva un tatuaggio sull’avambraccio, come il tuo.

-            Non ti preoccupare Nic, il tuo ragazzo lo conosceva benissimo e credo abbia già raccontato tutto alle forze dell’ordine.

Raffaele ha riconosciuto chi ci ha aggredito? Ma allora… Maurizio!

È stato lui: ci ha aspettato davanti alla trattoria, sapeva che saremmo tornati alla mia macchina. Quindi ci ha controllato per tutta la sera.

Ho un sussulto che mi fa sbattere i denti.

-            Nichi stai bene?

-            No, Carla non sto bene. Raffaele. Dov’è?

-            Credo che stamattina sia stato convocato alla centrale. Io non ci ho parlato con lui, ma nostro padre sì, dopo essersi assicurato che tu stessi bene, non l’ha mollato per tutta la notte. Poverino, si vedeva che avrebbe preferito stare qui con te, ma tu dormivi e lui è stato carinissimo a sopportare Lello: sembrava si sentisse in colpa.

Dopo Vittorio e Carla, anche mia madre ha fatto la sua visita, e quella è stata un tormento: le sue lacrime non mi hanno fatto star meglio.

Dopo di lei gli uomini in divisa che da sempre mi hanno affascinato oggi mi hanno messo in apprensione: ho raccontato ciò che ricordavo e mentre uno, quello più giovane, mi ascoltava serio e dimostrava un briciolo di partecipazione l’altro, più anziano, ha tenuto per tutto il tempo un atteggiamento di sufficienza e quel sorrisetto coglione glielo avrei strappato volentieri dalla faccia.

Non so cosa succederà! Ho fatto quello che dovevo: Maurizio grazie al suo avvocato è tornato a casa sua, ma con una denuncia e un processo da affrontare, sulle spalle.

Finirà così?

Io voglio tornare a casa mia al più presto, e quando lo comunico all’infermiera mi risponde che dopo la visita sarà il medico a decidere.

La TAC alla testa è risultata negativa, le costole non sono rotte, ma due risultano incrinate: il giubbotto pesante, per fortuna, ha attutito i colpi.

I lividi, quelli fisici e quelli dell’anima continuerò a curarli a casa: posso andare via.

 

Non sono più io, questo è un fatto!

Non sono più il Nicola che usciva tenendo per mano la nipotina, nemmeno quello che scherzava con i colleghi alla trattoria o con gli amici al bar.

Non sono più l’amico e confidente di una donna alla quale rimboccavo le coperte e scaldavo i piedi, seduti sul divano blu scuro.

Non sono il figlio gentile e premuroso che comprende e perdona.

Non sono più niente di ciò che ero perché quando qualcuno ti afferra e ti sbatte su un marciapiede, senti che stai perdendo una parte di te: la stai lasciando su quello schifo di lastre di cemento.

Staccarsi dal proprio corpo per cercare di non sentire il dolore fisico non ti salva da quel dolore immenso che ti sta bruciando dentro.

Ti chiedi perché e hai dentro tutta la rabbia del mondo e nonostante tutto non servirà a niente questa tua sofferenza: altri la subiranno anche dopo di te e tu ora sei tra quelli.

Quelli che non dimenticheranno il terrore di una violenza insensata, quelli che dovranno inventarsi un buon motivo per ritrovare la fiducia nel genere umano.

No, non si può tornare ad essere come prima!

Maurizio ha perso la sua famiglia e i dirigenti dell’azienda per ora lo hanno sollevato da tutti gli incarichi, sembrerebbe un uomo distrutto e pentito di ciò che ha fatto, afferma che è stata la gelosia ad accecarlo. Raffaele ha dovuto incontrarlo insieme all’avvocato, io non mi sono presentato.

Ho fatto quello che dovevo, denuncia e tutto il resto, non ci tengo a vedere la sua faccia, mi bastano gli incubi che rivivo ogni notte, ci sarà un processo: mi sento male solo a pensarci.

Con Raffaele quel timido inizio è lontano anni luce. Inconsciamente lo ritengo responsabile di tutto e faccio fatica a guardarlo negli occhi, lui ha capito e si tiene a distanza, ma so da Carla che appena si libera dal lavoro si ferma in trattoria da Lello e per due volte è passato a prendere Federica per portarla a giocare con Fabio.

Io fisicamente sto abbastanza bene, a parte il dolore alle costole.

Sottopormi alle cure e attenzioni di mia madre è una tortura più della tortura dell’inattività ma ho accettato tutto con molta calma, forse troppa: ancora non sono riuscito a sfogarmi come dovrei, non sono riuscito a piangere, per quello c’è bisogno di solitudine e con mia madre tutto il giorno appiccicata me la scordo.

Oggi finalmente ho avuto il permesso di tornare a casa di Silvia, Alex è ancora via, rientrerà per Natale, così avrò a disposizione il lettone, ho accettato purché lo divida con me: non voglio stare solo.

E già, il Natale!

Ancora poche settimane, ma il teatrino dei buoni propositi è iniziato da tempo: luci, decorazioni, babbi con la barba finta, vetrine addobbate, tutto come previsto.

Peccato che non me ne importi un bel niente: il primo che cercherà di farmi uscire dalla mia casetta me lo mangio!

Silvia ha preparato il suo piccolo alberello, vedo le luci a intermittenza dalla posizione super imbottita di cuscini del mio vecchio divano: durante il giorno cerco di rendermi utile, ma le fitte mi costringono a stare sdraiato e anche così non è il massimo.

Sono rimasto ipnotizzato e non so da quanto tempo sono in questa posizione, quando il campanello mi fa sussultare, urlo un’imprecazione per la fitta e lentamente mi alzo per aprire la porta.

Vittorio è la prima figura che distinguo, vicino a lui ma più piccola mi appare Carla, seguo il suo braccio lungo il fianco destro fino ad arrivare alla mano, stretta ad un altra, molto più piccola: Federica urla il mio nome e mi abbraccia.

Alla sua portata trova le gambe e le stringe forte.

Le difese crollano, il fiume inonda quella che pochi istanti prima era una pianura secca e arida, non controllo più l’emozione e mi abbasso per accogliere Fede tra le braccia, nonostante il dolore, nonostante mi senta svenire, nonostante avessi giurato di non farlo mai davanti a lei.

Nonostante odi il mondo intero, ma non può durare per sempre, non con questo buon odore, non con questa morbidezza e tenerezza.

Per la seconda volta realizzo la vicinanza silenziosa e tranquilla tra mia sorella e Vittorio. La prima sensazione mi aveva sfiorato al Pronto soccorso, ma evidentemente non l’avevo registrata, ora ho il tempo di osservarli bene perché dopo il mio sfogo si sono chiusi in un silenzio imbarazzato.

Fede mi siede vicina e non vuole lasciarmi la mano, loro mi guardano e non accennano a voler aprire bocca; sono esasperanti, quasi preferivo il Vittorio rompiscatole e arrogante e comunque devo sbloccare questa situazione.

-            Perché siete venuti qui?

-            Volevamo dirti una cosa importante!

-            Sarebbe?

-            Vittorio e io ci stiamo riprovando e abbiamo deciso di tornare a vivere insieme.

-            Sono contento per voi, ma non credo siate venuti per avere la mia benedizione.

Vedo Vittorio che si agita insofferente sulla sedia di plastica, la vedo male, che voglia dire qualcosa?

-            Senti Nicola, quello che ti è successo mi ha colpito, molto. Non è stata la prima volta per me di assistere ad un pestaggio, purtroppo conosco bene la strada e i suoi rischi, ma vederti lì a terra mi ha fatto male e ora sento di doverti chiedere scusa per tutte le volte che ti ho offeso, mancandoti di rispetto e se vuoi puoi non darci la tua benedizione, ma lo stesso ti prometto che avrò cura di tua sorella e della bambina e tu naturalmente sarai sempre lo zio preferito.

Dopo l’inondazione precedente ormai il fiume è inarrestabile e di nuovo rischia di sopraffarmi.

Mi sento stanco e spossato, non riesco a dire niente. Devo ammettere di essere stato preso in contropiede: io che sperimento la pazzia del genere umano sulla mia pelle e il pazzo che avevo in casa si trasforma in angelo custode, mi salva da un epilogo tragico e come se non bastasse si scusa per le sue offese e per avermi mancato di rispetto.

Dovrei alzarmi e zoppicando andargli incontro per abbracciarlo?

Rimango seduto, ma mi sistemo più comodo sul divano, prendo un lungo respiro e dopo un attimo di silenzio, mi rivolgo all’uomo seduto di fronte a me.

-            Ti ringrazio Vittorio e accetto le tue scuse. Purtroppo dovevi vedermi a terra per capire quanto sia sacra la vita delle persone: di tutte le persone! Evidentemente era così che doveva andare! Non smetterò mai di ringraziarti per quello che hai fatto, e se è stato il destino a metterti sulla mia strada, allora credo che di questa esperienza, dovremmo farne tesoro tutti e due. 

Con le dita leggermente sudate per l’emozione, riprendo la mano di Federica e mi appoggio alla spalliera del divano:

-            A quanto pare sarò lo zio dell’anno, di sicuro il più fortunato, vero tesoro?

Bacio Federica sulla fronte e la stringo a me, Vittorio si alza e quasi mi travolge con la sua mole. Con il palmo della mano alzato mi offre il cinque, negli occhi lucidi leggo un’attesa, sembra si sia commosso.

Trovarsi in una posizione di vantaggio non è una brutta sensazione e potrei rincarare la dose, ma non sarebbe da me e con soddisfazione accetto la presa e ricambio.  

A fine serata, andata via Carla con la sua famiglia ricomposta, il magone di prima si riaffaccia, tingendo di malinconia una situazione di per sé già abbastanza traumatizzata.

Cerco qualche scampolo di positività e mi attacco alla speranza d’avere anch’io, un giorno, una famiglia da proteggere.

Per ora vedo un sogno che piano piano svanisce e anche se il desiderio di rivedere Raffaele è forte, non credo possa mai funzionare tra due persone che hanno vissuto un’esperienza come la nostra.

Forse mi sbaglio, ma lui perché non si fa vivo? Saperlo in compagnia di mio padre mentre parlano di me e della mia cattiva sorte non mi aiuta per niente.

È a me che si deve parlare: perché nessuno lo fa?

Le risposte arrivano tutte, prima o poi!

Prima della risposta arriva mio padre e qui l’imbarazzo sale di brutto nella scala del mio termometro interno: lui è venuto a parlarmi d’amore!

La casa di Silvia sta diventando un luogo di pellegrinaggio e la cosa non mi piace, perciò quando mio padre, il giorno dopo la visita di Carla e Vittorio, suona il campanello, interrompo quello che sembra il prologo di un discorso preparato, per invitarlo ad uscire e a fare qualche passo a piedi: al fresco e al buio, che non guasta.

-            Sai, ho deciso di chiedere a tua madre di partire da soli e andare a trascorrere il Natale da mio fratello. Loro sarebbero felici di ospitarci e a noi farebbe bene staccare un po’, tu che ne dici? Dopo quello che è successo, lasciarti solo proprio a Natale!..

-            Dico che mi sembra una buon’idea.

Ma cosa sta succedendo alla mia famiglia? È la vicinanza al Natale o a me?

Perché in questo caso inizio ad avere la nausea di tutto questo buonismo che mi gira intorno.

Che ognuno ritorni a recitare la propria parte e la smetta di portare i suoi doni alla  mangiatoia, avete sbagliato bambino: quello che era dentro di me è stato umiliato, ferito e ucciso prima di diventare adulto e non avrà nessuna speranza di risorgere.

-            Sei venuto per questo?

-            Sì, ma non solo per questo. Ho parlato con Raffaele in questi giorni:  è in gamba, un ragazzo serio, ti vuole bene ed è molto dispiaciuto per quello che è successo. Che ne dici di parlare un po’ con lui? Non avete avuto ancora modo di farlo: lui ci terrebbe tanto!

-            Come mai non l’ha fatto allora? Siete passati tutti, a lui non avrei di certo chiuso la porta in faccia.

-            Nic, non l’ ha fatto perché tu non gliel’hai permesso: hai costruito un muro e l’hai lasciato dall’altra parte, senza dargli nessuna possibilità.

Le parole di mio padre mi gelano e mentre cerco di rispondergli mi accorgo di non avere più fiato, mi ha colpito allo stomaco e ho bisogno di respirare a fondo.

     - Eh sì, perché adesso dovrei essere io a sentirmi in colpa! Senti pa’, non t’immischiare in questa storia che io me la cavo benissimo da solo, anzi, fammi un favore, tieniti alla larga da Raffaele, come faccio io: non c’è niente tra noi ed è perfettamente inutile che tu ti dia tanto da fare.

-            Mi dispiace molto sentirti parlare così Nicola. Capisco il dolore di  questo momento, ma trovo sbagliato che tu te la prenda con lui. Farò come dici: non m’immischierò nella tua vita. Ma tu devi avere rispetto per la mia e se ho voglia di parlare con Raffaele lo farò senza doverti chiedere il permesso. Vuoi che ti riaccompagni a casa dalla tua amica?

-            No grazie, ci torno da solo.

-            Va bene, buonanotte allora.

-            Buonanotte, dai un bacio alla mamma da parte mia.

-            Lo farò!

Rientro a passo lento e con la rabbia che mi stringe la gola.

Sono confuso, mi sento abbandonato e proprio nel momento peggiore: ho bisogno di comprensione e mio padre mi volta le spalle?

Questo sarebbe il suo appoggio? Be’ tante grazie quasi, quasi stavo meglio sotto le botte di Maurizio!

Rientro a casa e trovo Silvia che mi attende sulla porta: mi ha sentito salire le scale. Mi lascio andare tra le sue braccia e così uniti raggiungiamo la sua camera. Quando si siede sul letto, poggio la testa sulle sue gambe e mi abbandono ad un pianto disperato che temo di non riuscire più a frenare.

Silvia mi accarezza i capelli e piange insieme a me.

Passiamo in questo stato non so quanto tempo e quando, esausti, con gli occhi gonfi e arrossati ci fissiamo, pronunciamo la parola magica:

-            Pizza!

Cerco i fazzoletti in mezzo al casino di oggetti che, sul tavolino di fianco al letto, sembrano avere vita propria, con delicatezza asciugo il naso e le guance della mia amica, la bacio sulle labbra e la stringo più forte che posso.

Vado al bagno e con l’acqua fredda mi sciacquo il viso, indosso il pantalone della tuta, una vecchia felpa, e raggiungo Silvia in cucina, che nel frattempo ha tolto le pizze dal congelatore e le ha messe a scaldare  dentro al forno.

Preparo la tavola: una bella bottiglia di birra stasera non ce la toglie nessuno!  

-            Come stai?

-            Non lo so. Mio padre mi rimprovera di essere ingiusto con Raffaele, di averlo allontanato, e forse ha anche ragione, ma non me la sento di affrontare il suo sguardo, le sue scuse e i sensi di colpa. No, accidenti, non è così che volevo andasse.

-            Beh, vedere Raffaele e parlargli non sarebbe male, ma non chiedere troppo a te stesso, non forzare gli eventi, se ancora non ti senti pronto lui capirà, certe cose hanno bisogno di tempo per sistemarsi. Raffaele non ha colpe, ma anche lui ha bisogno di lasciarsi alle spalle questa triste storia, e tu non puoi impedirgli di tormentarsi, quello che è successo è doloroso per entrambi, ma sono sicura che insieme e con i tempi giusti sarete capaci di superare il trauma.

Le bottiglie di birra sono diventate tre e come ho già avuto modo di appurare in altre occasioni, Silvia regge l’alcool molto meglio di me.

Dopo aver sparecchiato il tavolo ci spostiamo sul divano, nel piccolo salottino.

Prima di sedersi si avvicina al lettore CD e mette l’ultimo di Mika: sa quanto lo adoro, dice che mi assomigli anche un po’ e mentre si muove morbida e sensuale al ritmo della musica, non posso fare a meno di pensare quanto sia vitale averla vicina.

Il dolore al fianco mi sveglia nel cuore della notte, Silvia è rannicchiata su sé stessa, la copro con il plaid e mi alzo per spegnere le luci e sistemarmi nel suo letto, ma il sonno tarda a tornare e i pensieri seguono mille direzioni.

Innanzi tutto mio padre: domani per prima cosa lo chiamerò per parlare con lui e per scusarmi.

Prendo il telefonino e lo rigiro tra le dita, inviare messaggi non è nel mio stile, preferisco i contatti diretti e poi a quest’ora Raffaele starà dormendo. Domani sarò di certo più lucido rispetto al presente, per cui mi prendo ancora un po’ di tempo prima di confessargli ciò che provo.

-            Mi manchi!

 

Il processo di Maurizio si svolgerà in tempi brevi: non vedo l’ora che sia tutto finito, ma almeno in queste giornate non voglio pensarci.

Non che abbia intenzione di fare qualsiasi cosa, sono sempre dell’idea di rinchiudermi in casa, anche se mi costa dover mentire: a mia sorella e soprattutto a Federica quando dirò loro di essermi impegnato con Silvia, Alex e alcuni amici e a Silvia quando le dirò che trascorrerò le feste con la mia famiglia, quella che è rimasta in città almeno.

I miei genitori sono partiti e mia madre era entusiasta al pensiero di un Natale con sfondo neve, come vuole la tradizione.

Io ho continuato a guardare il telefonino e ad essere attraversato dagli stessi dubbi di due settimane fa, da sobrio è anche peggio decidere di prendere una qualunque iniziativa e più il tempo passa, più mi dico che forse non vale la pena mettermi troppi problemi: Raffaele continua a tenere la sua posizione a distanza, come posso pensare di cambiare io questa situazione…

Basta! Esco a comprare il regalo a Fede e al diavolo tutto il resto.

Passo a prendere mia nipote alle quattro del pomeriggio, quando c’è ancora un po’ di sole a illuminare questa giornata che precede la notte magica, quella che da bambini ci sembrava interminabile, ricca di misteri e sorprese e che da adulti cerchiamo di concentrare il più possibile dentro un evento puramente commerciale.

Con Fede per fortuna la magia rivive il suo antico sapore e per una sera riesco perfino a ignorare la solitudine che sento crescere di ora in ora.

Non sopporto di stare così male, potrei  anche cambiare idea e buttarmi tra le braccia di Vittorio, supplicandolo di non lasciarmi solo e di tenermi con sé, ma per fortuna non sono ancora arrivato a questi livelli, per cui mi godo l’eccitazione di Fede che stringe tra le braccia la sua bambola preferita.

Babbo Natale, lei lo sa, arriverà domani notte e lascerà i suoi doni sotto l’albero, questo è quello di zio Nic e arriva sempre in anticipo!

Sono affascinato dal suo candore e prima di emozionarmi troppo decido di fare una sosta alla nostra cioccolateria.

Mentre gustiamo la cioccolata calda con una montagna di panna sopra, sorprendo Fede che mi guarda da sopra il cucchiaino, quasi più grande di lei.

-            Zio Nic?

-            Mmmh? Che c’è?

-            Quando mi porti ai giardini?

-            Presto Fe’, appena posso ci andiamo.

-            Con Raffaele e Fabio?

-            No, non credo. Mi dispiace ma Raffaele lavora tanto e non può.

-            Capito!

Un'altra cucchiaiata di cioccolata e la metà finisce sulla tovaglietta di carta, prima di arrivare alla bocca.

-            Zio Nic?

-            Dimmi!

-            Raffaele è il tuo fidanzato?

-            No, non lo è. Perché me lo chiedi?

-            Perché lui mi ha detto che ti vuole bene e vuole che guarisci. Allora è il tuo fidanzato!

-            Davvero ti ha detto così? Che mi vuole bene?

-            Sì! Sì!

“Raffaele, Raffaele!”

-            Tesoro è tardi, dobbiamo andare, finisci la tua cioccolata!

Accompagno Fede a casa di Carla e dopo aver salutato entrambe prometto di essere qui per il giorno di Natale, la vigilia no, come ho già detto sarò con Silvia.

Odio mentire ma non me la sento di stare in mezzo alla gente e per il pranzo saremo solo noi quattro, molto meglio così.

Arrivato al cancello mi accorgo di non avere le chiavi della casetta, lasciate probabilmente da Silvia, ma so dove mio padre tiene nascoste le seconde chiavi di casa sua e dopo averle prese entro con l’idea di cercare il doppione delle mie.

Una volta dentro però, il calore della casa risveglia i ricordi e quando mi avvicino al grande albero, addobbato da mia madre, non posso resistere alla tentazione di inserire la spina delle luminarie e vederlo accendersi di rosso davanti ai miei occhi.

Mi avvolgo nella coperta lasciata sul divano e mi siedo sul morbido tappeto, proprio sotto l’albero. Piano piano scivolo in un sonno a occhi aperti e senza opporre resistenza mi lascio andare fino a sprofondare nella notte.

Al risveglio i dolori si sono riacutizzati, ma sono contento del silenzio e della solitudine di questa casa.

Lascio il salone e raggiungo la mia camera, qui dentro ritrovo tutti i ricordi fino all’adolescenza: non è cambiato nulla.

Nel cassetto della scrivania gli album da disegno, nello scaffale dei libri i racconti che leggevo la notte, prima di addormentarmi e i giocattoli, tantissimi, tutti dentro la cassapanca ai piedi del letto.

La malinconia rischia di sopraffarmi e così decido di lasciare la stanza e cercare in cucina qualcosa per fare colazione.

Mia madre è stata previdente, come sempre, trovo tutto quello di cui ho bisogno e già mi faccio un’idea di quella che sarà la mia cena di Natale.

Sarà divertente cucinare solo per me e siccome c’è una prima volta in tutto, questa diventerà la prima cena natalizia in solitaria, e farò in modo che sia perfetta e indimenticabile: chi ha detto che dovrà essere triste!

Sì, ho deciso di stare qui, la casetta è troppo piccola e poi è fatica inutile trasferire il cibo da una parte all’altra.

La giornata che sembrava lunghissima alla fine si è rivelata più breve del previsto, prima di apparecchiare la tavola faccio una doccia e mi cambio i vestiti.

Elegante per me è una parola forte, mi basta una camicia bianca sui jeans, i piedi li lascio scoperti, il tepore della casa non mi costringe a coprirmi troppo, altro buon motivo per stare qui.

La televisione naturalmente è spenta, preferisco prendere un CD a caso tra quelli di mio padre, mi fido delle sue scelte e i suoi gusti hanno sempre spaziato dal classico al rock, al blues sino al cantautorato italiano, ed è proprio su questo genere che mi soffermo: De Gregori apre il sipario su questa notte e poi si vedrà.

Sto per mettermi a tavola con tanto di candele accese quando il suono del campanello fa fare uno scarto alla mia mano, facendomi rovesciare il vino che stavo versando nel bicchiere.

-            Chi cavolo…

-            Sorpresa!!!

-            Carla, ma…?

Mia sorella non mi è mai parsa così bella, mentre davanti alla porta, con un cappello improponibile in testa, il cappotto lungo fino alle caviglie e con in mano un involucro che ha tutta l’aria d’essere una teglia enorme, mi sorride come non la vedevo da anni.

-            Non avrai davvero pensato che me la bevevo la balla dell’invito di  Silvia, Alex e gli amici? Ti conosco troppo bene fratellino e le bugie non sai proprio raccontarle.

Carla entra in casa portando dentro il freddo del giardino che avevo dimenticato di illuminare e che ora grazie a lei è tutto un lampeggiare di luci colorate.

Vittorio e Federica arrivano subito appresso e non ho parole davanti a questo spettacolo, non so se essere contento o incazzato per l’invasione, ma il dubbio lascia presto il posto alla certezza.

“A chi vuoi darla a bere, con la storia della solitudine e tutte le stronzate che ti sei raccontato?”

Prendo in braccio mia nipote e la faccio girare, saluto De Gregori e lo ripongo nella sua custodia: Fede ha con se il CD con tutte le sue canzoni preferite e non vede l’ora di ascoltarle insieme a me.

L’atmosfera è senz’altro cambiata, ma mentre il tavolo si trasforma, noto che il servizio che mia sorella preleva dalla credenza, consta di un numero di piatti nettamente superiore a quello dei convitati. Non faccio a tempo a esprimere il mio disappunto quando il campanello suona per la seconda volta: e adesso?

-            Brrr, che freddo, non mi sorprenderebbe veder scendere la neve prima della mezzanotte….

-            Silvia?

-            Ciao Nichi. Non fissarmi con quella faccia, ci vuole ben altro per prendermi in giro tesoro, davvero hai creduto che ti lasciassimo qui da solo ad aspettare Babbo Natale?

Diglielo Fede…

-            Noooooo!

-            Sentito? Ora lasciami fare che c’è tanto da preparare, prima che…

-            Prima che…cosa?

-            Niente… prima che arrivi… la mezzanotte!

Federica mi travolge con la sua eccitazione e non posso sottrarmi ai suoi slanci, per un attimo un pensiero languido si affaccia alla mia mente, e Raffaele la attraversa di corsa, non faccio in tempo a fermarlo che già mi trovo coinvolto in un delirio di insalate e antipasti e contorni di ogni genere e non so neanche da dove arrivi tutta questa roba.

Silvia e Carla sono straordinarie e il pensiero che abbiano organizzato tutto questo a mia insaputa mi commuove, anche se poi mi basta guardare Vittorio per asciugare le lacrime: stravaccato sul divano con un bicchiere di vino in mano, la barba lunga e il maglione rosso, di sicuro un regalo di Carla, con un po’ di fantasia potrebbe assomigliare ad un Babbo Natale: in pensione però.

Quando lo sguardo mi cade nuovamente sul numero sbagliato dei piatti inizio a guardarmi in giro e ad osservare le persone che occupano il salone.

Oltre a mia sorella a Fede e Vittorio ci sono Silvia con Alex e un’altra coppia di amici, molto simpatici, il caos regna sovrano e tra le chiacchiere e i rumori della cucina nessuno di loro inizialmente si accorge del momento in cui si apre la porta di casa.

Resto di sasso e fisso i miei genitori come se fossero estranei entrati nella casa sbagliata.

Mentre tra i presenti si alzano i fischi e gli applausi per l’arrivo dei padroni di casa, inizia a farsi strada nella mia mente il sospetto di essere rimasto vittima di me stesso: volevo fregare tutti e invece…

-            Ciao, tesoro!

-            Mamma, non dovreste essere dagli zii, in montagna…finalmente in vacanza: perché siete tornati?  

-            Non me la sono sentita Nic, la montagna è bellissima, la neve stupenda, ma non ho resistito un giorno di più. Mi siete mancati e poi il Natale senza di voi? Come potevo stare lontana? Ma basta parlare, fammi dare un’occhiata alla cucina: oh mamma mia, che disastro!

Carla mi abbraccia e mi guarda sollevando le sopracciglia, che significa:

– È tornata! –

Finalmente siamo tutti seduti a tavola, con la coda dell’occhio sbircio la bottiglia del vino che appena aperta è stata abbandonata sopra un mobile, insieme alle candele ormai consumate, penso a cosa avrei fatto a quest’ora, forse già dormivo.

Sto bene: la mia famiglia, gli amici…..basta così!      

Prima della mezzanotte, com’è nostra tradizione, sveglio Federica per farle scartare i regali e tra le sua urla di felicità, i brindisi e gli auguri, mi concedo un attimo di riposo sdraiandomi sulla poltrona con i piedi ben allungati a terra e nel cuore la speranza di un futuro senza odio.

Devo essermi addormentato perché quando riapro gli occhi le luci sono spente e attorno a me è tornato il silenzio, solo una musica di sottofondo che non riconosco.

Stiracchio le gambe indolenzite e quando sto per alzarmi due braccia mi circondano da dietro e dita esperte mi massaggiano dolcemente le spalle. Chiudo gli occhi e resto immobile, le mani arrivano al petto e si insinuano sotto la camicia, un gemito di piacere esce involontario dal profondo della gola, ma quando il respiro caldo mi solletica l’orecchio destro e il profumo, forte e penetrante, arriva alle narici, non resisto più e mi volto ad incontrare quegli occhi che ho sognato per settimane.

-            Non dirmi che sei Babbo Natale?

-            Non dirmi che credi ancora a Babbo Natale?

-            No, infatti, non ci credo. Anche tu fai parte degli organizzatori della serata: “Prendiamo per il culo Nicola?”.

Il tono acido è da cafoni, ne sono consapevole, ma la sorpresa e l’emozione di rivedere Raffaele fa reagire la parte di me che contrasta con il vero sentimento.

Accidenti, è tutto troppo romantico e non voglio diventi stucchevole con qualche frase esageratamente sdolcinata.

Sì, è vero, sono piuttosto impacciato in questo genere di situazioni!

-            Nessuno ti ha preso in giro, erano tutti preoccupati per te, non puoi biasimarli per questo anzi, devi essere contento di avere una famiglia così.

-            Lo sono contento, e tu? Che cosa devo pensare di te? Perché sei qui?

-            Tuo padre mi ha raccontato della vostra conversazione e di quanto ci sia rimasto male, poi mi ha consigliato di avere pazienza e di aspettare il momento giusto prima di riavvicinarmi a te. Ho dovuto farmi forza, e resistere alla tentazione di cercarti…non sai quanto mi sia costato. Quando poi lui mi ha chiamato per dirmi che sarebbero rientrati per la sera della vigilia e che sarebbero stati tutti qui, mi ha anche detto che questo sarebbe stato il momento giusto, di provarci almeno. Ci sto provando, come sto andando? Una frana come al solito, perché ancora non t’ ho detto niente di ciò che avevo in mente.

-            Vieni qua!

Raffaele si solleva, e porgendomi la mano mi aiuta ad alzarmi, ci ritroviamo avvolti in un abbraccio che toglie il fiato, ci baciamo e mentre sento salire l’urgenza di una più profonda intimità mi rendo conto del posto dove siamo.

Mi stacco da Raffaele e con lentezza mi giro con il terrore di vederli tutti lì a guardarci e oddio no, ad applaudire questa romantica scenetta, ma per fortuna siamo soli.

Non mi pongo altre domande, prendo per mano Raffaele e insieme raggiungiamo la mia stanza, ma solo per mettere ai piedi un paio di scarpe e indossare un giaccone.

Le chiavi della casetta sono nel cassetto del mobile, all’ingresso, le prendo e mi precipito fuori, con Raffaele che mi cinge il fianco.

Il freddo della notte mi afferra e mi stampa addosso un sorriso che se ne rimane lì congelato sulle labbra. Attraversiamo il breve tratto di giardino che ci separa dal mio rifugio, corriamo e una volta entrati iniziamo a spogliarci, i primi capi con foga, poi un lungo bacio e quando riapriamo gli occhi proseguiamo l’esplorazione dei nostri corpi con più calma, accarezzandoci man mano che la pelle si scopre e poi baci e ancora baci e poi…

Semplicemente il poi di tutte le coppie che si amano!

 

Due cose percepisco al risveglio: il silenzio ovattato e l’assenza di Raffaele.

Rimango disteso, con le braccia piegate dietro la testa, a guardare il soffitto, mentre il pensiero delle ore trascorse con Raffaele rivive nella mia mente, provocando un’ondata di calore che dallo stomaco si diffonde per tutto il corpo.

Mi giro verso quella parte di letto che ancora mantiene la forma del corpo del mio amore, passo la mano sul lenzuolo stropicciato e quando accarezzo il cuscino mi ritrovo in mano un simpatico cappello a punta, di panno rosso con il bordo di pelliccia bianca.

Sorrido e mentre mi alzo dal letto, per il bisogno impellente di andare al bagno, la porta si apre e una ventata d’aria gelida, accompagnata da un proiettile freddo e compatto, mi colpisce in pieno petto.

Urlo per il dolore e per lo shock, Raffaele mi viene incontro ed è talmente imbacuccato da essere irriconoscibile, perfino gli occhi sono scoperti quel tanto che basta per vedere dove mette i piedi .

I guanti di lana, bianchi di neve, iniziano a gocciolare l’acqua sul pavimento.

Mi fissa serio e cerca di decifrare il mio stato d’animo, non ottimo per uno che riceve una palla di neve sul corpo nudo, ma l’espressione della sua faccia una volta tolti sciarpa e cappello di lana mi fa scoppiare a ridere di cuore.

I suoi tratti si rilassano e mentre ad uno ad uno gli indumenti finiscono per terra il sorriso, che inizia sempre da una parte sola, si distende mettendo in mostra denti perfetti.

La palla di neve si scioglie lentamente e scivola sul mio corpo, Raffaele segue quel percorso liquido e freddo e freme al pensiero di potersene dissetare.   

Lo fisso, cercando di mantenermi serio.

-            Cosa diavolo ti è saltato in testa?

-            Scusa, non ho resistito, non pensavo di sorprenderti così. Volevo farti vedere la neve, ma quando ti ho visto in piedi, nudo davanti a me non ho saputo resistere, è stato un gesto impulsivo. Su, fatti abbracciare adesso, sei viola!

Il tremore è incontrollabile e anche i denti battono senza che io riesca a farci nulla, ma presto al freddo si frappone l’eccitazione che il corpo di Raffaele stretto al mio rinnova. Il desiderio rende più fluido il sangue che riprende a scorrere caldo, irrorando quelle zone del corpo divenute quasi insensibili.

In un attimo siamo di nuovo avvolti dal tepore del piumone: Raffaele mi fissa con negli occhi ancora il timore di essere rimproverato, ma non ne ho nessun’intenzione e quando le carezze si fanno più intense e decise, sento i suoi muscoli rilassarsi per poi, subito dopo, lasciarsi andare a ben più piacevoli tensioni.

 

Bacio le labbra socchiuse di Raffaele, che dopo l’amore sono turgide e sensuali. Non intendo pensare a niente e lascio intenzionalmente in sospeso qualunque tentativo di chiarimenti: per quelli ci sarà tempo. In questo momento mi sento incredibilmente innamorato e pervaso da una dolcezza che non avrei mai creduto di provare.

-            Così alla fine è nevicato?

-            Sì, e anche parecchio. Tua sorella è rimasta a dormire qui insieme  con Vittorio e Federica. Silvia invece è riuscita ad andar via con Alex e gli amici. Fede ti sta aspettando per uscire in giardino a fare il pupazzo di neve: quando sono entrato in casa l’ho trovata che giocava con Vittorio, seduta sul tappeto della sala. Tua madre mi ha detto che ci aspetta per pranzo: è rimasta tanta di quella roba da mangiare… Che cosa vuoi fare?

“Restare qui per i prossimi cento anni!”

È ora di interrompere l’incantesimo, ma per fortuna lui non sparirà e io sarò pronto a riceverlo tra le mie braccia ogni volta che lo vorrà!

-            Andiamo!

-            Aspetta un attimo, un bacio ancora!

-            Zio Nichiiii!

-            Arrivo Fede!

-            Buon Natale, Nicola!

-            Buon Natale!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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