Forse

 

 

-    Ehi Paolo, l’architetto ti vuole, è su al primo piano...

-    Eccazzooo... non adesso..! non posso muovermi ora, dài, digli di scendere lui se vuole...

Continuo a testare le prese verificando, a corrente inserita, il giusto allaccio dei cavi. Però... ‘sto architetto... prima o poi gli devo mettere una mano sul culo per vedere se ci sta, carino è carino anche se non è proprio il mio tipo: mi piacciono muscoli scuri e peli neri e lui mi pare proprio un po’ l’incontrario, coi suoi capelli biondi a piccole onde perfette sempre in ordine e sicuramente col petto glabro. Però è anche tanto carino, una botta e via gliela daresti comunque volentieri e in più l’ho beccato un par di volte a guardare i muratori che lavoravano a torso nudo, forse osservava i lavori, ma... eheheh... l’occhio mi pareva un po' liquido e il respiro un po’ affannato... A proposito, aspetta mo’ che mi tolgo la canottiera, così se arriva mi può lumare ben bene il sudore che mi bagna la schiena e tutto il resto e così vediamo se sbava come... (non mi rendo conto, ma finisco il pensiero a mezza voce): - …una troia..!!!

- Come dice..?!

-    Ah... scusi architetto... mi son beccato un colpo di corrente... – Scusa giusta, ma devo rigirarmi qualche secondo fingendo di finire il lavoro sulla presa perché mi scappa da ridere... poi mi alzo in piedi verso di lui a esibirgli tutto il mio torace e il sudore che cola lento tra i peli: - Mi dica, architetto, son tutto suo... – ma non posso fare a meno di un sorriso mezzo ironico e mezzo ruffiano, mentre osservo in lui un po’ di sconcerto che non so bene come interpretare...

- Sì... io... devo vedere con lei le ultime modifiche all’impianto delle camere al primo piano, può... può salire ora per vedere insieme le tracce da... da aprire nei tavolati..?

- Ora non posso muovermi, architetto, qui non posso lasciare tutti i fili scoperti... Perché non ci vediamo stasera nel suo studio? Possiamo vedere sul progetto le modifiche e per le tracce m’arrangio io domani col muratore...

- Sì... forse...però nel pomeriggio ho un appuntamento fuori città e arriverei un po’ tardi...

- Ah meglio ancora..! così ho il tempo per una doccia, mi cambio e magari mangiamo una pizza insieme... Se le fa piacere...

Non posso non notare il leggero rossore che lo avvampa, provocandogli subito la necessità di un tossicchio insistito per coprirsi mezzo volto...  – Eh... sì... forse... sì... direi di sì...

- Benissimo, allora ci sentiamo più tardi al cellulare e la raggiungo, lì vicino c’è un locale che conosco, andiamo lì a mangiare qualcosa poi saliamo in ufficio e vediamo le modifiche, buona giornata!

Lo pianto lì quasi di colpo, girandomi e accucciandomi verso gli attrezzi, consapevole che i pantaloncini resteranno un po’ incollati alle cosce e si abbasseranno sul retro a mostrare un bel pezzo delle natiche con il filo scuro dei peli che ci si inabissano nel mezzo.

La giornata scivola via lenta e calda come un brodino denso, ma nel pomeriggio un rapido temporale riesce quanto meno a togliere l’afa opprimente. Non abbiamo un appuntamento preciso, gli ho detto “ci sentiamo al telefono” ma non voglio fare tardi se dovesse chiamarmi; così termino in anticipo di una mezz’ora e a casa mi rilasso con un’immersione nella vasca di acqua profumata, anziché la solita doccia svelta. Il cazzo comincia a stuzzicarmi, ma non voglio segarmi altrimenti mi cade la tensione l’eccitazione e la voglia... nessuno può sapere come andrà a finire, stasera, meglio tenersi una bella riserva di energia e pazienza se le mutande ruggiranno di tanto in tanto... Un buon profumo asciutto e maschile (ma senza esagerare nella quantità), pantaloni in tela blu e una camicia leggera in quel tessuto di lino a trama tanto larga da mostrare qualcosa in semitrasparenza. I piedi pressoché scalzi, nei sottilissimi sandali infradito in cuoio scuro con esili ed essenziali cinturini che li lasciano quasi del tutto nudi: lo so bene che i miei piedi non sono niente male, magri ma forti e nervosi con un accenno di peluria scura che promette ben altre oscurità, ben fatti e ben curati perché – ben sapendo che possono essere un punto forte – mi concedo spesso la debolezza di una pedicure.

Sono già le sette passate mentre raggiungo in auto il suo ufficio, lo chiamo per chiedergli se è già arrivato, sì, allora gli dico che fra due minuti sono lì e gli citofono così scende e andiamo a mangiare un boccone, poi saliremo da lui per le varianti al progetto. Lo sto un po’ forzando, me ne rendo conto, ma ormai tutto è partito in questo modo come se fossi io a guidare gli avvenimenti e lui non possa far altro che seguirli senza riuscire a cambiarli, o senza volerlo, forse. D’altra parte non mi pare affatto contrariato della situazione, soltanto un po’ imbarazzato o persino emozionato. Forse...

Scende velocemente, ci salutiamo con cordialità un po’ complice, c’è praticamente solo da traversare la strada e siamo già nella pizzeria ristorante. Un tavolino in un angolo discreto (“dobbiamo parlare di lavoro...”) ed eccoci lì a guardarci negli occhi fingendo di discutere dell’andamento della ristrutturazione ma è un attimo, passiamo a darci del tu e i pensieri e gli argomenti passano subito a qualcosa di più personale: l’auto, le vacanze, i piatti preferiti... Ci guardiamo bene dall’entrare, invece, in una sfera più privata, che io continuo però ad immaginarmi in un ben determinato modo pur senza alcun vero indizio, se non il mio radar che guizza fastidiosamente tra le gambe ingarbugliato dalla stoffa che lo comprime. La pizza è buona e la birra abbondante ci mette la giusta allegria, fingo malavoglia nel dover salire da lui per approfondire ancora i dettagli del lavoro, in realtà sento l’urgenza di mettergli le mani addosso e provocarlo finalmente ad uscire allo scoperto. Nell’ufficio vuoto lascia tutto in penombra e accende solo la lampada alogena sospesa sopra il tavolo grande, dove già sono aperti i disegni della costruzione. In piedi, indicando col braccio i vari punti del disegno, inizia a spiegarmi le varianti che ha previsto su richiesta del proprietario. Non lo sto ascoltando e non sto guardando i grandi fogli dispiegati, guardo lui, la sua camicia candida di ottimo taglio, la stretta fessura tra i due lembi aperti nei primi tre o forse quattro bottoncini. Pian piano scivolo e mi inserisco tra lui e il tavolo, al quale mi appoggio quasi sedendomici sopra, di fronte a lui a pochi centimetri. La sua voce si attutisce, si spegne. Alzo le mani e appoggio delicatamente le dita ai due lembi aperti della camicia, due strappi improvvisi uguali e contrari e come un sipario gli spalanco la stoffa sul torace nudo, abbronzato, scoprendo una fitta e sottile peluria bionda resa visibile e luminosa dal fascio netto di luce che piove di taglio dall’alto. I nostri respiri un po’ affannati sono l’unico rumore che è possibile percepire dopo il debole rotolare di qualche bottoncino di madreperla sul pavimento. Avvicino le labbra alla sua pelle, lascio che la senta inumidirsi del mio respiro bagnato che si liquefa in un rivolo sottile di saliva sopra i suoi capezzoli, scivolo giù lentamente verso l’ombelico sentendo sui capelli la leggerissima pressione delle sue mani che premono però inesorabilmente oltre, fino a farmi premere con la bocca sulla stoffa dei pantaloni nel punto in cui è premuta anche dall’interno, non capisco più se la chiazza di umido che sento sulle labbra arriva da fuori o da dentro la stoffa. Mi libero in malo modo della mia camicia mentre lui si apre i pantaloni e libera il suo cazzo duro e lucido che è già dentro la mia bocca a cercarmi la saliva i denti la lingua il palato la gola. Stando accosciato slaccio e mi sfilo con una manovra complicata anche i pantaloni, comincio a masturbarmi ma non per arrivare all’orgasmo. Due mani sotto le ascelle mi sollevano, mi invitano a sdraiarmi sul tavolo, dove i fogli del progetto crepitano e si spiegazzano fastidiosi sotto la schiena, tenuta premuta a forza dalle sue mani. Le stesse mani che mi aprono le gambe, le divaricano per far arrivare la sua bocca a baciare il mio buco, a leccarlo, insalivarlo, infilare la lingua quanto più è possibile, cioè sempre troppo poco per quello che vogliamo entrambi... L’alogena sospesa sopra di me mi acceca, devo chiudere gli occhi per stirare all’indietro il collo e la testa. Si rialza e uno sputo abbondante sulla mano gli serve da spalmare velocemente per infilarmi quasi di colpo, dopo avermi spinto ancora indietro le gambe piegate e allargate. Si aiuta coi miei pantaloni appallottolati e forzati sotto di me per tenermi meglio sollevato il bacino, mi tiene per le spalle e impedisce che i colpi mi spingano lontano, fa forza sulle spalle per tirarmi a sé e arrivarmi dentro per quanto possibile, per tutta la lunghezza disponibile ad entrare, ansimiamo sotto i suoi colpi pesanti e il suo ritmo a volte lento a volte spasmodico mentre continuo a segarmi e penso che non durerò a lungo, ma lui mi precede e con un lungo e sordo mugolio riversa la sua sborra dentro di me, la sento già trafilare dalle piccole fessure che si aprono e si richiudono attorno alla sua asta che intanto continua, più lenta, la sua corsa. Lui si accascia su di me, sbava e mi bacia con la sua lingua fredda, i nostri petti si sfiorano ansimando e percepiamo entrambi il mio schizzo caldo che si incolla subito ai miei peli scuri e alla sua peluria chiara, inserisco la mano fra i nostri due ventri per raccoglierne un po’ e infilo svelto due dita grondanti nell’unica e mutevole cavità formata dalle nostre due bocche non ancora sazie.

Restiamo così, pesanti, riversi l’uno sull’altro ad aspettare forse di rientrare ognuno in sé stesso, poi ci stacchiamo lentamente, svogliati: solo ora mi rendo conto che lui è rimasto con la camicia spalancata ma ancora indossata, come i pantaloni, solo abbassati e precipitati sulle scarpe.

Abbiamo ricominciato nel suo letto, tre piani sopra l’ufficio. Troppo poche le ore di sonno, ma mi sono alzato prima di lui per tornare al cantiere (fortunatamente in auto tengo sempre un cambio di abiti da lavoro e non ho dovuto perdere tempo per passare da casa). Non ho avuto il coraggio di svegliarlo, uscendo mi sono soffermato a guardare il suo corpo nudo con un angolo del lenzuolo ad avvolgergli parzialmente il bacino, di traverso, quasi un improvvisato perizoma per il suo corpo in apparenza così dolce e invece così forte nel fare sesso, quasi violento, da non ammettere cedimenti o debolezze né abbandoni troppo languidi. Non lo credevo così, forse la sua riservatezza o presunta timidezza nell’approccio era solo una schermaglia, un modo per farmi uscire allo scoperto? Forse. Ero convinto di essere io a condurre il gioco e invece non me ne ha lasciato la possibilità, da seduttore sono stato sedotto, da scopatore sono stato scopato, da mentalmente attivo ho dovuto piegarmi ai suoi desideri e assumere praticamente il solo ruolo passivo, eppure mi è piaciuto, anche sotto i suoi colpi più duri e feroci, quasi che dovesse vendicarsi della bella camicia strappata. E ci rivedremo stasera stessa, me lo ha chiesto lui, me l’ha imposto, anzi. E io... che dire? non ho più l’intento di una botta e via, c’è già qualcos’altro che mi attira irresistibilmente verso di lui, forse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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