Threesome

Storia di una fantasia

 

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Le sagome dei tre uomini si profilavano come miraggi sfuocati nella polverosa calura di luglio. Forti e tenaci ansimavano correndo lungo il viale sterrato sotto il sole cocente del pomeriggio, sprezzanti dell’ombra degli alberi ai lati della strada. L’andatura sfiancata, i corpi sudati in quella sfida all’ultimo respiro, sino allo stremo. La T-shirt bianca del primo appiccicata al corpo per il sudore disegnava le linee tornite del suo torace, quella verde militare del secondo, completamente madida di sudore attorno al collo, sembrava velare un corpo di dimensioni ragguardevoli. Il terzo era a torso nudo, esibiva un bel fisico abbronzato, la maglietta appesa al girovita ballava assieme... agli addominali e ai calzoncini neri che davano l’impressione di calare di un impercettibile frazione di millimetro ogni volta che le anche si torcevano nella corsa. Nascosto dietro gli occhiali a specchio, l’occhio di Angelo li radiografò tutti e tre in simultanea. La sua mente corse verso i due con ancora la maglia addosso. Più vestiti avevano, più lo stuzzicava immaginarli senza. Con quel caldo che aspettavano a denudarsi anche loro?

      <<Ehi Angelo!>> una voce stentorea lo riscosse richiamando la sua attenzione su quello a torso nudo. Riconobbe la familiare sagoma che si profilava sotto i raggi del sole d’oro.

      <<Alessandro! >> esclamò sorpreso.

      Il giovane uomo, ansimante per la fatica, lo salutò con un’alzata di sopracciglia rallentando la corsa nella sua direzione, mentre i due compagni di jogging lo superavano e proseguivano lungo il vialetto. Come aveva fatto a non riconoscere quel profilo inconfondibile? Capelli neri sparati all’indietro, fisichetto piazzato e muscoloso, colorito mediterraneo, movenze rudi da ragazzo di borgata e quell’avvenente curva con cui il collo si innestava nelle spalle robuste. Probabilmente lo avrebbe riconosciuto con indosso la camicia, ma così...

      <<Ciao. Come va?>> proseguì Alessandro porgendogli la mano.

      ‘Da paura, adesso!’ avrebbe voluto rispondergli Angelo, ma per sua fortuna le parole gli morirono in gola. La bocca era già secca, il suo cuore stava accelerando il battito. Gli strinse la mano, che annaspò nell’umidore di quella stretta ferma e completamente sudata. Si sforzò di tenergli lo sguardo incollato negli occhi, ignorando la superba danza dei pettorali.

      <<Bene!>> balbettò <<Che fai di bello?>>

      <<Sono stato al mare. Ora sto facendo una corsetta!>>

      <<Ah già! Voi salutisti!>> accennò Angelo con un sorriso. Era la cosa più idiota che gli fosse potuta venire in mente.

      Alessandro rispose con un sorrisetto perplesso e un’alzata di spalle: «Che vuoi farci? Ognuno ha i suoi vizi!»

      «Lascialo stare: è tutta invidia!» la voce sicura di Bruno venne in soccorso di Angelo, rianimando la conversazione «Tutto il giorno col sedere incollato alla poltrona e vorrebbe averci ancora il fisico di una volta!»

      Alessandro abbassò gli occhi e sorrise, fingendo di non curarsi dell’indiretto complimento. Tipico degli eterosessuali!

      Angelo si sentì doppiamente imbarazzato, riprendendo consapevolezza della presenza di Bruno al proprio fianco.

      «Un giorno o l’altro potrei sorprendervi e mettermi a correre anch’io!» protestò, non sapendo che dire.

      «Ti prego chiamami quando lo fai!» si lasciò sfuggire Alessandro con un sorrisetto.

      «No, credici. Prova a fregargli i Ray-Ban e vedi come ti corre dietro!» sorrise Bruno. Il nuovo arrivato ricambiò il sorriso con cordialità, ma con un recondito interrogativo negli occhi.

      «Angelo non conosce le buone maniere» lo prevenne l’altro «Piacere. Sono Bruno.»

      «Ah scusate!» si riprese Angelo mentre già si stringevano la mano «Bruno, lui è Alessandro, lavora per la rivista!»

      «Stai bene?» gli chiese Alessandro, voltandosi verso di lui perplesso «Mi sembri ancora meno sveglio del solito!» Ad Angelo piaceva quel fare cameratesco, il modo in cui si prendeva confidenza.

      «Il caldo!» se ne uscì, sulla difensiva. ‘Soprattutto in questo momento’ avrebbe voluto aggiungere. Era la prima volta che vedeva il suo collega con così pochi vestiti addosso. ‘Non guardare. Fissalo negli occhi’ continuava a ripetersi. Fosse stato facile trattenere lo sguardo in due occhi come quelli. Scuri come carboni ardenti, con quello sguardo fiero e malandrino che pareva conficcarti due dardi ardenti nel cuore «Piuttosto, stai attento a stringere la mano alla gente» replicò, riprendendosi «Adesso potrei lavarmici la faccia con questa!» soggiunse sollevando il palmo ancora bagnato.

      «Certo, se vai in giro il 15 luglio con la camicia di Prada! Soltanto te!» ribatté l’altro.

      «Lui sempre!» ironizzò Bruno «Ehi, bel tatuaggio!» soggiunse accennando alla spalla dell’altro che intanto si stava stirando il braccio per non perdere calore «Pensavo di essere rimasto l’unico tardone ad amare ancora i Guns & Roses!»

      «Sono intramontabili!» replicò con fermezza l’altro, più giovane di loro di più o meno cinque anni. «Ehi Ange, è forte il tuo amico! Non dovresti frequentare soggetti come lui!» soggiunse poi rivolto a Bruno.

      «Amico... ehm sì!» replicò Bruno un po’ imbarazzato «Purtroppo. Tutti facciamo degli sbagli!»

      «Scherzo, è un mito!» soggiunse Alessandro ridendo. Sembrava non riuscisse a stare fermo, continuava a muoversi sul posto e ad accennare movimenti di stretching. Era più basso di Angelo di un po’ più di 5 cm, almeno 10 meno di Bruno, un fisichetto tutto muscoli e nervi sempre pronto a scattare.

«Hai paura che sparli di te col tuo capo?» lo rimbeccò Angelo ritornato in possesso della sua verve. ‘Non guardare giù!’ continuava a ripetersi.

      «So già che lo farai!» rispose l’altro strizzando l’occhio. Era dannatamente cordiale e sexy. Ma all’improvviso il suo sguardo sorpassò Angelo, distratto da un oggetto a quanto pare più interessante. L’altro fece appena in tempo a non voltarsi per vedere un visino da cerbiatta e una coda dorata che saltellava oltre ondeggiando a ritmo di corsa. Magliettina bianca sudata, shorts aderenti che danzavano assieme a tutta la mercanzia sottostante. Alessandro fece uno dei suoi adorabili sorrisi malandrini contraendo il labbro inferiore con espressione compiaciuta. Angelo rispose d’istinto ammiccando con un’alzata di sopracciglia.

«Scusate, non vorrei freddarmi!» soggiunse Alessandro sornione, con aria di tacita intesa.

      «A me sembri fin troppo accaldato!» lo sfotté Angelo mentre l’altro riprendeva la corsa «Vai! vai!»

      «Bruno, è stato un piacere.»

«Anche per me.»

«Alla prossima. Domani sei in redazione?»

      «No. Passo martedì» rispose Angelo.           

      «Ok, allora ci vediamo là. Ciao bello! »

      «Ciao.»

La sua sagoma atletica e abbronzata si allontanò alla ricerca di nuove conquiste.

      «Accidenti!» esclamò Bruno con tono d’apprezzamento, appena l’altro non fu più a portata d’orecchio «Se ne accorgerà, se continui a fissargli i calzoncini!»

«Eh? No! Guarda che io non...» balbettò Angelo imbarazzato «Non lo stavo fissando. È solo... un collega di lavoro... e io non...» Era stato colto sul fatto. Si sentiva colpevole e in quei casi non riusciva mai a trovare giustificazioni valide.

«Andiamo, si vedeva lontano un miglio che avevi voglia di calarglieli di dosso! Tranquillo, ti capisco, gran bei calzoncini!»

«Basta con queste metonimie!» fece Angelo con aria sprezzante mentre, rimasti soli, riprendevano la passeggiata domenicale tra gli alberi del parco.

«Meto... che?»

«È una figura retorica. Il contenente per il contenuto. Sai quando dici “il fodero” per dire “la spada”?»

«Sì, lo so io dove vorresti infoderargliela la spada!»

«Non ci credo! Sei geloso!» sorrise Angelo sorpreso.

«Ma no! Anzi. Mi sarei preoccupato per te se non lo avessi guardato! Bel fisichetto sudato, belle natiche e... bella spada... è proprio ben messo!»

«Eh? Gliel’hai guardato? Quando cavolo... ?»

«È un’arte guardare senza farsi beccare. Non siamo mica tutti imbarazzanti come te!» Angelo arrossì «Ma stai tranquillo» proseguì Bruno «Lui non se ne è accorto. Gli etero hanno il prosciutto sugli occhi!»

«Non lo stavo guardando...» si ostinò Angelo imperterrito «Ma a quanto pare tu sì!» soggiunse tentando di ribaltare le recriminazioni.

«Però potresti essere più simpatico con uno che ti piace!» lo sfotteva Bruno per nulla toccato dall’insinuazione «Sembravi una ragazzina al liceo! Eri nel pallone, ma a chi non ti conosce sembrava che lui ti stava sullo stomaco e volevi liquidarlo!»

«...ti stesse sullo stomaco e volessi liquidarlo...»

«Oh scusa Prof.! Ma intanto sembra che sia tu ad aver bisogno di lezioni! Di socializing

«Ma guarda che è etero! E poi, considerando chi ho fatto l’errore di rimorchiare l’ultima volta, mi è passata la voglia di fare il simpatico!»

«In realtà all’epoca non eri stato molto simpatico! E, per la cronaca, è il sottoscritto che ha rimorchiato te!»

«Ne sei davvero sicuro, mon cher?» lo sfidò Angelo guardandolo in tralice «Sai, anch’io ho le mie arti! Anche se non faccio il cretino come te!»

«Il cretino? Io?»

«Da quand’è che ti piacerebbero i tatuaggi?» lo sfotté con aria snob.

«Su bicipiti come quello da sempre!»

«Quindi sei tu che te lo spizzavi!»

«Li ho spizzati tutti e tre se è per questo. Ma io lo ammetto! Tu invece fai tanto la verginella. Non c’è nulla di male se ti sei preso una cotta adolescenziale per un etero» replicò ridacchiando, mentre ormai lontana dai tre fusti, la coppietta di uomini barbuti scendeva lungo il sentiero che costeggiava il laghetto.

«Vuoi dire che a te non importa? E se non fosse stato etero?»

«Andiamo, siamo uomini, sappiamo come stanno le cose!»

«Ci sarei potuto andare al letto!» lo sfidò Angelo ormai intestarditosi su quel diverbio.

«Aha!» annuì Bruno poco convinto.

«Ora te ne approfitti perché sai che non lo farei mai?»

«Se ti facesse felice,» replicò l’altro sottolineando il congiuntivo «non ti biasimerei. O meglio... con quello lì... mi incazzerei se lo facessi senza di me.»

«Quindi sei tu che te lo vorresti fare?»

«Chi è geloso?» sul suo viso da guerriero selvaggio e nei suoi begli occhi azzurri si dipinse una smorfia di trionfo «Lo vorremmo entrambi!» sentenziò facendo spallucce «Come vorremmo farci quel figo in canoa che voga in canottiera, quel toro colla maglietta verde mano nella mano colla mora lampadata o quel biondino sexy col cane. No quello tu no, vero? Non è il tuo tipo!» A volte Angelo era spaventato al pensiero di quanto il suo compagno lo conoscesse bene.

«Un ménage à trois?» lo sbeffeggiò a bassa voce mentre si allontanavano dall’area affollata attorno al laghetto.

«Perché no! Dovresti provare, sai? Potrebbe piacerti!» soggiunse con voce suadente. Sembrava serio. Inquietantemente serio.

«Vedi le tre lelle?» continuò indicando la statua di marmo che decorava una delle nicchie attorno alla fontana, nell’angolo ombroso di una radura appartata.

«Le tre Grazie?» chiese Angelo con aria pedante. Le tre antiche dee della bellezza e della venustà si ergevano su un plinto leggermente deturpato dall’edera, le mani intrecciate in una danza leggiadra, i tre corpi nudi e morbidi si sfioravano in un tenero abbraccio, i piedi levati sulle punte in un girotondo. Due si guardavano sorridendo, la terza fissava l’orizzonte con occhi sognanti, persa verso le sponde lontane delle terre del mito. Una volta un professore universitario gli aveva detto che rappresentavano il prototipo dell’amore saffico. Teoria che aveva lasciato Angelo un po’ perplesso, mentre Bruno, quando gliela aveva raccontata, ci si era fissato. Aglaia, Eufrosine e Talia...

«Sì Grazia, Graziella e Grazie al c...» replicò Bruno. Angelo scosse la testa con aria esasperata. «Immagina» continuò l’altro avvicinandosi alle sue spalle «che al loro posto ci siano il tuo amico e i suoi compagni di jogging, ignudi, sudati, abbracciati, che si strusciano... Oppure potremmo esserci noi due, con lui al centro. Che trio di bei ragazzoni, eh?!» gli sussurrò nell’orecchio, cingendogli la vita. Lo facevano impazzire quegli abbracci, il contatto di quella barba ruvida contro la guancia, nell’incavo del collo «Pensa a come potremmo spassarcela... tutti e tre insieme.»

«Basta, maiale!» protestò Angelo divincolandosi e giocando a respingerlo con una mossa di lotta. «Siamo in pubblico!» sentenziò poi tornando serio.

«Non c’è nessuno!» protestò Bruno allargando le braccia nella radura vuota. «Ti dovresti piuttosto vergognare ad andartene in giro barzotto da quando hai visto lui

«Non sono barz...» la palese menzogna gli morì in bocca.

«Sì che lo sei! Vedi che al mio occhio non sfugge nulla?» lo sfidò passandogli un braccio attorno alle spalle e abbassando lo sguardo sulla sua patta «Ma è un problema a cui si può rimediare...» ammiccò con un sorriso indicando, oltre le statue, una fitta e appartata macchia di boscaglia lungo il pendio.

«No grazie!» Angelo lo respinse di nuovo, allontanandosi seccato «Se stai pensando a lui, infrattatevi tu e la tua mano destra!»

 

      Lady Catherine fissava l’orizzonte, dove i confini della sua magione si perdevano verso i boschi selvaggi. Ancor più lontano il mare era una striscia blu appena visibile. Là,  da qualche parte, Jonathan vagava su una galea verso porti lontani. Le mancava così tanto. Nel sole d’oro che si immergeva in quel mare lontano le sembrava di rivedere il suo viso. E lei, in piedi, sul terrazzo del suo maniero, illanguidiva nella propria solitudine. Che fare? Sir Howard non avrebbe aspettato per sempre. Un uomo così distinto, un soldato pluridecorato dell’esercito di Sua Maestà, era il partito cui ogni dama dell’alta società ambiva. Notava fin troppo bene gli sguardi di invidia puntati su di lei quando avanzava al suo braccio nei salotti del bel mondo. Eppure egli voleva soltanto lei, non più giovane e con già una infelice e discussa unione alle spalle. A lui non importava. Nei suoi anni d’oro Catherine aveva saputo fin troppo bene come tenere legati a sé i suoi mille corteggiatori, ma ora la giovinezza stava volando via e ancora per un’altra sera, sul terrazzo dei suoi appartamenti, la luna nascente l’avrebbe trovata da sola.  Soltanto la sua meravigliosa pianta di ibiscus a farle compagnia. Quei fiori lussureggianti avevano petali sottili come veli, tanto che riusciva a vedere le proprie dita attraverso di essi. Ma sembravano ardere vividi come fiamme. ‘Rossi come le vostre belle chiome’ le aveva sussurrato Jonathan deponendogliene uno tra i capelli. Un ultimo ricordo dell’Africa. Un ultimo ricordo di lui. Che fare? Era così doloroso! Perché le leggi crudeli degli uomini avevano deciso che non si potessero amare due persone alla volta? Perché doverne scegliere una sola? Erano mesi che non riceveva più sue notizie. Era arrivato in Africa? Era sano e salvo? Si ricordava ancora di lei, o l’aveva dimenticata, trovando l’oblio tra le braccia di una bruna bellezza esotica?

      Forse era stato rapito da una tribù di negroni dai grossi piselloni e le loro crudeli angherie gli avevano fatto scoprire nuovi recessi del mondo da cui non era consentito il ritorno?

      Angelo selezionò e cestinò all’istante quell’ultima frase prima che la sua mente malata si persuadesse di pubblicarla davvero. Fissò i propri meravigliosi fiori di ibiscus dinanzi al davanzale del suo terrazzo, oltre il quale il sole si accingeva a inabissarsi nella porpora dell’orizzonte, sopra il viale e la collina alberata. Adorava il suo terrazzo fiorito e stracolmo di piante come una piccola giungla, l’angolo segreto di Paradiso terrestre che si era creato a proprio capriccio. Adorava starsene stravaccato sul suo lettino a sdraio e perdersi nel volo degli uccelli, ascoltare il rado rumore delle macchine di passaggio, il tintinnio della fontanella che sgorgava sulla parete di fondo. Ma niente sarebbe bastato a ispirare quel terrificante feuilleton da edicola che gli avevano commissionato. Veramente c’erano casalinghe tanto disperate da leggere una roba del genere? La bella Lady Catherine era in piedi accanto agli ibiscus e piangeva. Poverina! Sputtanata così in una storia tanto penosa.

«Signore, il suo mojito analcolico!» lo interruppe Bruno con un vassoio in mano. Wow! Era perfetto come sempre, con tanto di fettina di limone, cannuccia colorata, zucchero a velo e foglioline di menta.

«Un virgin mojito per un cliente dai gusti virginali!». Angelo chiuse desolato il laptop, lo poggiò su un tavolino da terrazzo e si lasciò sprofondare nella sua sdraio e nel suo cocktail.

«Signore, qui può anche togliersi la camicia se ha caldo!» soggiunse il barman infilandogli una mano nel colletto per stringergli la nuca.

«Lo dice a tutti i Suoi clienti?» chiese il signore sospettoso.

«Solo a quelli aitanti come Lei!» soggiunge allungando una mano a giocherellare con i suoi bottoni.

«Chef, posso essere il primo a infilarLe un pezzo da 100 nei boxer?» chiese Angelo afferrandogli l’elastico degli shorts per farglielo schioccare sulla pelle «Dovresti servire sempre ai tavoli con questo look!». In realtà erano bermudini blu fiorati, non boxer, ma con nient’altro indosso l’effetto non era molto diverso. La normale tenuta domestica estiva con cui Bruno usciva anche in terrazzo con somma nonchalance. Ormai Angelo si era abituato a quel fisicaccio monumentale e villoso, a quella panzetta sexy e a quei bei piedoni in infradito che gli si aggiravano per casa en deshabillé. I suoi ormoni non sobbalzavano più sull’attenti all’istante, ma guardarlo restava sempre un piacere per gli occhi. Un guerriero vichingo, resistente al freddo e alle intemperie, con la barba dai riflessi ramati, corta e ruvida quanto quella di Angelo era curata, e occhi selvaggi simili a due mari in tempesta.

«Ah sì? Se ci tieni a mantenermi tu, ci vado nudo al ristorante e mi faccio cacciare subito! Mi vuoi come tua casalinga sexy?» proseguì facendosi posto sul bordo della sdraia accanto a lui. Appena reduce dalla doccia, aveva la pelle fresca e profumata di bagnoschiuma all’ambra. Era la sua serata libera e il più delle volte la passavano a casa insieme, a oziare e parlare di sciocchezze, mentre il sole scompariva e nell’ombra della sera si accendevano le prime stelle e le lampade ad abat-jour che illuminavano il terrazzo.

«Per una casalinga sexy che cucina come te, mi venderei il culo...»

«Beh si può dire che l’hai già fatto!» sogghignò Bruno mollandogli una pacca su una natica.

«Ehi!» lo rampognò Angelo.

«Vuoi che mi tolga i bermuda e indossi solo un grembiulino?»

«Ti converrebbe esibire le tue belle natiche per un padrone più ricco! Con gli incassi dei miei libri al massimo potresti servirmi il pasto della Caritas sotto la stazione!»

«Andiamo non ce la passiamo male. Scommetto che il tuo prossimo libro sfonderà!» iniziò a massaggiargli le spalle infilandogli le mani nel collo della camicia. Mani forti da guerriero ma delicate come quelle di un chitarrista e perennemente calde.

«Non credo! Mi sto incartando!» replicò Angelo.

«Ti serve una mano a ritrovare l’ispirazione?» sussurrò Bruno chinandosi a baciargli la guancia per farsi strada verso le labbra mentre gli sbottonava lentamente la camicia. Angelo si affrettò ad allungare una mano per spegnere le luci e far calare una delle tende da terrazzo: qualcuno avrebbe potuto non essere entusiasta di vederli.

«Sta tranquillo!» lo rassicurò il suo vichingo «Mi prenderò io cura di te finché ne avrai bisogno e poi hai sempre la collaborazione alla rivista...»

«È solo una rubrica di cultura, non rende molto...»

«Almeno incontri giovani colleghi sexy!»

«Ancora ‘sta storia?» lo freddò Angelo irrigidendosi. Gli bloccò la mano e se la scollò di dosso.

«Ehi, che c’è?» sorrise Bruno «Perché ti dà tanto fastidio?»

«Davvero non ti fregherebbe niente se mi innamorassi di un altro?» lo apostrofò Angelo fissandolo perplesso.

«Uh! Allora sei innamorato?» Non sembrava dare troppo peso alla cosa.

«Andiamo, sai cosa voglio dire...»

«Dillo...» lo sfidò l’altro a bassa voce con tono rude.

«Se facessi l’amore con un altro...»

«Facessi l’amore o facessi sesso

«...ti darebbe noia?»

«...’darebbe noia ’: che espressione da vecchio!»

«Dico sul serio!»

«Beh...» Bruno si sforzò di tornare impassibile «Onestamente non so cosa proverei. Ma se ti rendesse felice, io non vorrei mai limitare la tua libertà.»

«Sei un vigliacco. Te ne approfitti perché sai che non lo farei mai»

«È per me che non lo faresti? Se no, avresti il coraggio di farlo?»

Angelo abbassò gli occhi. E non rispose.

«Chi è il vigliacco?» lo sfidò l’altro.

«Io... ho fantasie come tutti» ammise Angelo.

«Sei un uomo. È normale!»

«Ma nella realtà non potrei mai andare con nessun altro. Sei stato la mia unica storia seria. A parte la mia ragazza all’inizio dell’università e... posso dire di aver accettato la mia omosessualità con te...»

«Non del tutto a quanto pare...» replicò Bruno accennando alla tenda.

«Oh dai...»

«Anche al tuo... collega hai fatto credere di essere etero!»

«No! Semplicemente non parlo della mia vita privata!»

«Gli hai ammiccato sulla tettona bionda che faceva jogging... e non sapevi come presentarmi... conosco bene la situazione!»

«Senti, lo sai che sono riservato!»

«Sì! E sta’ tranquillo!» lo rassicurò poggiandogli una mano sulla sua «Mi piaci così come sei! È solo che sei divertente quando fai l’uomo!»

Angelo era quasi commosso. Ma non ci cascava: «Da come lo tiri in ballo in continuazione pare che Alessandro abbia colpito più te che me!» lo rimbrottò torcendogli un capezzolo.

«Aah!» il dolore fisico gli dipingeva sul viso un’espressione quasi compiaciuta e maledettamente arrapante. La sua barba incolta sembrava polvere di ruggine sparsa sulle guance. C’era un che di sgraziato, asimmetrico e animalesco nel suo bel viso, coi capelli corti spettinati e le orecchie ursine leggermente a sventola. Qualcosa che risvegliava il lato più animale dei desideri di Angelo «Quindi ti ha colpito!» proseguì Bruno divertito «Bene! Ti ho già detto che approvo! Se lo vuoi invitare a cena, vi farei compagnia volentieri... anche per un dopocena.»

«Credo che lui non sarebbe d’accordo! Pare abbia una vera passione per la gnocca! È un gran... mangiaostrica... » Come ogni scrittore che si rispetti, andava molto fiero delle sue metafore forbite, soprattutto in tema di sesso.

«L’hai visto leccarla coi tuoi occhi?»

«Ma no! ... Magari! Me l’ha raccontato Denise! È stato con una sua amica, e questa continuava a glorificare le sue performances! E pare che prima, una volta, all’addio al celibato di Peppe, si fosse chiuso in una camera con due spogliarelliste insieme!»

«Tu stesso stai usando il congiuntivo perché ti rendi conto che è un discorso riferito di cui vagliare l’attendibilità, vero?»

«Denise pareva convinta, poi non so...»

«La segretaria “so i cazzi di tutti e mi sbatto i cazzi di tutti”? Mi sembra una fonte così attendibile!»

«È una mia amica...»

«Lo credo! Le sue perle di gossip ti avranno comprato facilmente! A me sembrava che dietro l’aria da bulletto fosse un ragazzo serio.»

«Ragione di più per escludere che possa accettare pompini da due attempate checche viziose!»

«Due avvenenti maschioni barbuti vorrai dire...» lo riprese Bruno titillandogli i peli del pizzetto.

«Credo che la barba non rientri nei suoi standard di sexy!»

«Non sa che si perde!» soggiunse Bruno attaccandosi in un bacio vorace al mento del suo uomo barbuto «Ok mi arrendo!» concluse alzando le mani «Lui è off limits! Potremo trovare altri bei maschietti disponibili a spassarsela con noi...». Ridacchiò.

«Tu... non stai scherzando, vero?» Angelo lo guardò serio negli occhi. Lo conosceva troppo bene perché gli sfuggisse quell’insolito tono di voce.

«L’idea di assaggiare nuovi cocktail non ti stuzzica nemmeno un po’?» lo sfidò Bruno prendendo la fettina di limone dal bordo del bicchiere ormai vuoto e stuzzicandogli le labbra. Angelo lo fissò perplesso senza replicare. L’iniziale rifiuto stava lasciando il posto a una nuvola di sensazioni più ingarbugliate.

«Io ti amo» affermò Bruno serio, fissandolo negli occhi.

Ahiahiahi! Non era una frase che pronunciava spesso. Angelo aveva cieca fiducia nei suoi sentimenti ma sapeva che non era da lui esprimerli tanto liberamente a parole. In pentola bolliva qualcosa di pericoloso.

«E non tradirei mai la tua fiducia» proseguì stringendogli una mano «Ma come ogni uomo ho le mie voglie! E anche tu, lo vedo.»

«Non sarebbe la prima volta per te?» Era più un’affermazione che una domanda.

«No. A vent’anni, quando ho lavorato in Inghilterra e quand’ero in tour con la band, ne ho fatte di pazzie. Ma lo sai benissimo: te le ho raccontate un sacco di volte! Magari una tantum una mattata potremmo farla insieme!»

«Un’orgia?» lo sfidò Angelo perplesso.

«Basterebbe un ‘ménage à trois ‘, come lo chiamate Voi, monsieur! Non ti piacerebbe? Io, te e un bel ragazzone muscoloso e sudato nel nostro letto?»

Angelo abbassò gli occhi e restò in silenzio. Lady Catherine lo fissava con il suo sguardo enigmatico, stringendo in mano gli steli dei suoi ibiscus.

«Quando sarai pronto, se lo vorrai!» lo rassicurò il vichingo con un sorriso e gli baciò dolcemente la fronte. Angelo si chinò a baciargli una spalla. Era forte, tornita e liscia, dannatamente appetitosa. La nuvola di peluria scura gli iniziava solo sul bordo del petto. Il suo corpo sembrava un non-finito di Michelangelo: muscoli possenti sbozzati nella roccia ma non del tutto definiti. Un corpo temprato dalle battaglie della vita. Era buio ormai. Nessuno li avrebbe visti, avrebbero potuto fare l’amore anche lì. Solo gli occhi di Bruno rilucevano anche nell’oscurità, come quelli dei gatti. Angelo avrebbe voluto perdersi in quello sguardo colmo di affetto, in quei baci al sapore di lime e menta con un tocco di rum. E nella penombra sembrò che fosse un altro paio d’occhi a fissarlo: neri, fieri e infuocati. Il cuore gli sobbalzò nel petto. E istintivamente si ritrasse.

«Scusa, stasera non mi va.»

«Cosa non ti va?» gli sussurrò Bruno giocherellando con i suoi capelli «Non vuoi che ti faccia una coccola?»

«Certo, ma non mi va... di fare sesso. Scusa.»

«Ok! Ma un bacio me lo dai? Io potrei stare solo a baciarti anche tutta la notte». Restarono abbracciati in silenzio, immersi nel velo di quella semioscurità, a contemplare le stelle che facevano capolino tra le tende e i rampicanti di buganvillea. La luna avanzava verso il tramonto. Lady Catherine li guardava di sbieco.

«Si è fatto tardi» si riscosse infine Bruno.

«Anche per un uomo di mondo come te?» sussurrò Angelo che non aveva la minima voglia di alzarsi dal petto monumentale e villoso contro cui era accoccolato.

«Una volta ero un uomo di mondo. Dopo i concerti restavamo a goderci gli applausi... »

«...e le donne...» lo imbeccò Angelo malizioso.

«Gli altri sì! Io andavo a cercarmi qualche bar per gay! O il più delle volte restavo a bocca asciutta...» si abbandonò a un’amara risata. C’era una nota di nostalgia nella sua voce «E poi ce ne stavamo a guardare le stelle aspettando l’alba... collezionando bottiglie di birra!»

«Sbronzi fradici?»

«Mediamente...»

«Ti manca quella vita?»

«A volte. Un po’. Ma anche quella che ho adesso mi piace!» soggiunse strappandogli un altro bacio.

«A me manca la tua chioma fluente!» replicò Angelo affondandogli la mano tra i capelli adesso tagliati corti a evidenziare la bella forma della sua testa, con qualche piccola ciocca ribelle che si sollevava, sparata in su, sopra l’ampia fronte. Erano ancora umidi dopo la doccia. I guerrieri barbari sono reticenti all’uso di innovazioni tecnologiche come il phon.

«Ti piaceva un sacco aggrappartici, eh?»

«Sì e tirare forte!» soggiunse con uno strattone. Bruno rispose con un ruggito. Sembrava di rivedere ancora quell’indomito cavaliere vichingo in sella alla sua Harley con la criniera sparsa al vento, riflessa d’oro rosso nel sole. Il tipico aspetto di un chitarrista sbandato con cui Angelo, la prima volta che lo aveva visto, aveva giurato che non avrebbe mai avuto niente a che fare.

«Potremmo aspettare l’alba insieme.» sussurrò «Puoi prendere la chitarra e cantarmi una serenata.»

«I condomini non sarebbero contenti, temo! E poi non ho più l’età per certe cose.» soggiunse Bruno alzandosi in piedi e stiracchiandosi «Dovresti chiederlo al tuo giovane amico dai calzoncini danzanti!» Angelo non aveva più energie per controbattere sull’argomento.

«Vieni a letto?» chiese il vichingo chinandosi ancora a baciarlo.

«Arrivo tra un attimo!» si schermì lui. Bruno gli augurò la buona notte e si allontanò, la sua sagoma alta e imponente scomparve sul fondo del terrazzo, oltre la tenda della porta che dava in camera da letto.

Angelo trasse un respiro profondo e gettò la testa all’indietro abbandonandosi su quell’improvvisato sofà. Il suo corpo bruciava, ma era incapace di trovare sollievo. L’ampia gonna di Lady Catherine stava svolazzando via. Ferma sul bordo della fontana in fondo al terrazzo gli gettò uno sguardo di sbieco. L’acqua continuava a zampillare dalla bocca del mascherone in quella polla di marmo istoriato, sotto la cascata di edera. Quelle orbite cave, di terracotta, lo fissavano minacciose e colme di mistero. Le leggi degli uomini dovevano essere per forza così crudeli? La donna era scomparsa nell’ombra lasciandolo solo con la luna e i fantasmi delle sue voglie inappagate. Scuotendo la testa si alzò. Andò a chiudere il rubinetto della fontana, esausto di quell’ininterrotto tintinnio, scostò la tenda dalle decorazioni esotiche ed entrò nel buio della camera. Si spogliò in silenzio mentre Bruno già ronfava e si infilò sotto le lenzuola. Il suo amante, immerso nel dormiveglia, lo accolse cercando spontaneamente il suo abbraccio col solito gesto affettuoso. Angelo lo strinse e restò a lungo sveglio a fissare il soffitto. Quegli occhi di brace e quel torace liscio continuavano a turbare il suo sonno.

 

«Ah!» gemette Angelo con un fremito, che spezzò l’incanto della musica ipnotica nella luce soffusa del salottino.

Enya continuava a bisbigliare la sua ninna nanna.

Cercò di tornare a rilassarsi sul divanetto, affondando la spalle nude nel velluto mentre la donna si dava da fare sopra di lui.

«Aaah!» languì di nuovo «Vacci piano baby!»

«Scusa tesoro! Sono stata troppo focosa?» si interruppe Nancy sorridendo con quel delizioso visino a forma di cuore.

«Oh no! Tu sei sempre perfetta, chérie. Sono io che sono un po’ teso!»

«Sarò più delicata, allora. Lascia andare le tue ansie da prestazione.»

Scoppiarono a ridere all’unisono. Nancy tornò solerte al lavoro, predando senza pietà la peluria sopraccigliare dell’uomo con le sue pinzette. Con quel tocco ammaliatore avrebbe potuto strapparti il cuore dal petto senza farti sentire dolore.

«È che mi hai lasciata senza parole!» ammise lei.

«Siamo in due allora! Persino tu la trovi una cosa fuori di testa, vero?»

«No, è forte! Solo che non avrei mai immaginato te a fare certe cose.»

«Già, nemmeno io! Non so che fare...»

«Fai quello che ti senti! Lasciati andare e ascolta il tuo...»

«...cuore? il tuo visino angelico non potrebbe osar dire niente di diverso...»

«Ma certo, sono una signora dopotutto!» sorrise con quei suoi occhioni verdi contornati di henné.

«Ahah!» annuì Angelo ironico.

«Non fare commenti: sono armata!» replicò lei sventolando le pinzette, senza minima traccia di cambiamento nella sua vocina delicata.

«Non nego» proseguì lui «che una parte di me sia...»

«Tentata?»

«...incuriosita» si limitò ad ammettere lui «Ma, insomma... nooo! Io non sarei in grado di gestire una situazione del genere. Sarebbe imbarazzante!» soggiunse sottovoce.

«Non sottovalutarti, ragazzaccia!»

      «Smettila di guardarmi e ridere mentre lo dici!»

      «No. Scusa. È divertente quando ti agiti così. Ma sto dicendo sul serio.»

      «Ma poi mi chiedo...» proseguì lui immerso nel flusso dei suoi pensieri «Non è che la mia curiosità è solo frutto del desiderio di compiacere lui?»

«Ed è tanto sbagliato voler far felice la persona che ami?»

«No, se fosse quello che voglio anch’io. Ma forse il mio inconscio desidera solo essere come lui. Mentre io non sarò mai lui!»

«Mi sono persa!» replicò lei pacata, aggrottando la fronte e storcendo gli occhioni.

«Sì, insomma, ho trentatre anni, sto con Bruno e solo con Bruno da una vita. Ormai sono quello che sono. Ma a volte mi chiedo: sono alla sua altezza?»

      «Cosa?»

«Sì, insomma. Lui si è goduto la sua gioventù sfrenata, si è scopato maschi in tutta Europa. Potrebbe ancora avere chi vuole. Non si annoierà con me?»

 «Tesoro! Non devi pensarlo nemmeno per scherzo! Sei tu che potresti avere chi vuoi! Un bonazzo come te, con la testa che hai tu, potrebbe incantare chiunque.»

«Che cos’ha la mia testa?»

«Il sesso è una questione di compatibilità cerebrale oltre che chimica...»

«Ti prego, ora non mi partire con i tuoi pipponi new age

«Ma è vero! E io sono certa che tu sai essere infinitamente creativo anche al letto. Tesoro sei bordeaux

«Scusa chérie, ma mi stai facendo emozionare con tutti questi complimenti!»

«Però non dovresti limitare le tue possibilità di fare esperienza. Tanto più se è il tuo stesso uomo a incoraggiarti... »

«Non vedi qualcosa di perverso in questo?»

«Non mi pare! Almeno non abbastanza per i miei standard!» soggiunse con un sorrisone sghembo.

«Lui è il mio compagno: mentre siamo per strada si mette a fare commenti sugli uomini che vorrebbe farsi. E si aspetta che io faccia lo stesso... non so... come potrei fare con te.»

      «È fantastico!»

      «Cosa? Tu e Mario fate così?»

      «Certo! Ma lui ha dei gusti davvero terrificanti: l’altro giorno guardava una... discutibile signorina con gli zatteroni, le labbra gonfiate di botulino e un’enorme tigre tatuata sul braccio. Gli ho detto “Ragazzo mio. Non so che illuminazione momentanea hai avuto quando ti sei trovato una signorina di classe come me!” Può guardare quanto vuole: non ne troverà MAI un’altra così!.»

      «Oh! E tu gli fai commenti sugli altri uomini?»

      «Certo! Ma lui non se ne intende molto di uomini... sai com’è. Tu sei fortunato! Un fidanzato e un migliore amico gay in una persona sola: è il sogno di ogni donna!»

      «Oh! Non l’avevo considerata sotto questa prospettiva!»

      «Tesoro, sei davvero confuso!»

      «Trovi?»

      «Oh sì!»

      «C’è una cosa però che disapprovo assolutamente!»

      «Sarebbe?»

      «Perché non hai ancora presentato a me l’aitante collega etero?»

      «Chérie, non gli voglio così male!»

«Aaaah! Ok! Scusa! Scusa! Scherzavo!» si giustificò massaggiandosi l’invisibile segno lasciato dalla pinzetta sulla fronte.

«... Mario approverebbe?» tentò di giustificarsi.

«Amore, ormai dovresti conoscermi. Ti risulta che un dettaglio del genere mi abbia mai fermata?»

«Mmmm! Un altro ménage à trois

«Oh! Ma allora è un chiodo fisso! Senti, qui abbiamo finito. Sei perfetto!» concluse schioccandogli un bacio sulla fronte «Tra dieci minuti stacco. Ora rimettiti la camicia, rambo! Io mi cambio e andiamo a farci un drink. Hai bisogno di fare terapia!»

Angelo si alzò dal lettino, mentre lei metteva a posto gli strumenti di tortura e si avviava verso il suo segreto boudoir.

«A meno che tu non voglia venire nello spogliatoio con me?» civettò voltandosi indietro sulla porta in uno sfolgorio di capelli ramati.

«Oh tesoro, ti mancano solo i peli sul petto e saresti già mia!» replicò lui. Nancy scomparve ridendo.

Riabbottonandosi la camicia Angelo si guardò allo specchio. Scorciatina ai peli del petto, pulizia del viso e sopracciglia, ora era perfettamente in ordine come sempre. La fortuna di avere un’amica estetista che ti offre servizio gratis. Sopracciglia ben disegnate ma spesse, da uomo, l’arcata metteva in risalto i suoi occhi marroni con una sfumatura di verde, favoriti e pizzetto da moschettiere erano perfettamente curati e modellati... nessuno sapeva radersi con più eleganza di lui. Il suo viso si era fatto più largo, meno etereo rispetto a dieci anni prima, per questo si era fatto crescere la barba: gli dava il tocco di serietà e virilità di cui altrimenti sarebbe stato totalmente privo. La sua chioma, di quel castano chiaro indefinito, cadeva perfettamente in quel taglio corto spettinato con il ciuffo frangia che gli svolazzava sulla fronte conferendogli un’aria da artista bohemien. Il suo fisico magro si era irrobustito negli anni, perdendo la leggerezza di un tempo, sebbene fosse ancora scarso di muscoli. Ma faceva la sua porca figura sotto la giacca estiva di sartoria che cadeva alla perfezione sulla camicia in sottilissimo gessato azzurro. Di classe ma sportivo, classico con un tocco di naïf ma senza l’eccesso di fantasia della checca. Forse Nancy aveva ragione. Aveva ancora le sue cartucce da spararsi. Allora cosa c’era di così dissonante in quell’immagine? Forse quello sguardo intimidito e debole, ora da cerbiatto, ora da flaccido eunuco pervertito, ora da apatico depresso che si accendeva flebile negli occhi e urlava “Sono gay!”? O la gestualità isterica, goffa e reticente? Altri omosessuali andavano fieri dei loro modi effeminati, di quella luce perversa nello sguardo che diceva “Sono una zoccola e me ne vanto!”. Lungi da lui discriminare chiunque, ma lo trovava assolutamente antierotico. Per questo era di gusti così difficili, non era stato semplice trovare un gay che si muovesse come un uomo, che parlasse e ti guardasse come un uomo, con quello sguardo vivo, fiero e arrogante. Avrebbe tanto voluto essere così anche lui, ma aveva smesso di provarci da un pezzo: sarebbe riuscito solo una ridicola imitazione. E sempre più spesso continuava a chiedersi se ad altri non potessero risultare attraenti proprio quei modi delicati e goffi che lui detestava.

«Andiamo, più bello del reame?» lo interruppe Nancy. Era davvero una signora di classe? I suoi capelli sfumati in rosso tiziano, scalati sulla linea della mandibola le incorniciavano il viso come le ali di avvoltoio della corona di Nefertari, parevano un cigno appollaiato sulla sua testa. E del cigno aveva anche il collo leggiadro. Trucco deciso ma sobrio, cerchioni alle orecchie coordinati con gli anelli alle dita, vestito verde scuro con scollatura profonda e gonna fluida sotto il ginocchio, tra l’elegante e lo zingaresco, sobri sandali con tacco a spillo e una leggera doratura in linea con la borsetta. Danza di anche che attirava l’attenzione restando però morbida e naturale. Sì! Nonostante il brillantino al naso che si ostinava a tenere, riusciva sempre a trattenersi al di qua dell’impercettibile china oltre la quale il creativo sconfina nel trash.

 

«A quanto pare a Bruno io non basto!» continuava Angelo seduto al tavolino del bar «Altrimenti non vorrebbe qualcun altro nel nostro letto!»

«Ma che sciocchezze! Tesoro, sei un uomo! ...più o meno. Non devo certo spiegarti io che i maschi sono in grado di amarti alla follia mentre, un attimo prima, sono andati a infilarlo in altri dieci buchi. E non devi credere che per noi femminucce sia diverso» aggiunse sottovoce con una smorfietta maliziosa «Sai che amo davvero Mario. È speciale e mi ha fatto mettere la testa a posto. Ma questo non significa che non sia tentata da quel cameriere coi pantaloni aderenti e gli occhi languidi. Garçon, un mimosa per favore e per lui un cosmopolitan. Doppio!»

«No scusa, veramente io non...» protestò Angelo.

«Non dargli retta» lo zittì lei «Ne ha bisogno!»

«Lo so, cara.» continuò lui riprendendo, come ossessionato, il discorso precedente «Non devi spiegarmelo. Anche noi siamo uomini. I gay fanno quotidianamente roba di questo genere. Per questo non posso neppure biasimarlo. Insomma, tutta quella libertà gli dovrà mancare...»

«Cosa avrà mai fatto prima che non può fare con te?» rispose lei con sguardo di sufficienza.

«Scherzi? Giocava in una squadra di rugby gay. Puoi immaginare cosa avranno potuto fare in quegli spogliatoi...»

«E tu? Te lo immagini?» lo provocò lei piegando la testa con quel fare da fèmme fatale «Non ci pensi spesso, porcellina? Non moriresti dalla curiosità di vedere cosa accadeva sotto quelle docce? Pensala così: ora hai l’occasione di entrare in quello spogliatoio. Scatena i tuoi torbidi desideri nascosti!»

«Tesoro! Mi conosci da una vita: lo sai che come meretrice non me la sono mai cavata un granché.»

«Ma c’è una sgualdrina in ognuna di noi! Lasciatelo dire da una maestra! Ora bevi!» soggiunse con un tono perentorio che non ammetteva repliche.

«Cazzo!» ansimò lui dopo averlo buttato giù tutto di un fiato.

«Garçon, un altro per favore!» squittì Nancy.

«Cosa?»

«Sta’ zitto! Offro io! Fra un po’ sarai brillo! E allora si potrà iniziare a ragionare! Vedi: io mi chiederei piuttosto se tu sei soddisfatto della tua vita sessuale!»

«Io? Non sono io che gli ho chiesto di fare sesso a tre! Probabilmente io risento della sua insoddisfazione, questo mi rende nervoso, perché ho paura che se non lo lascio divertire con me, lo farà senza di me... O magari se non si diverte abbastanza neppure senza di me...»

«Scch! Bevi!» intimò lei repentina. «Tesoro, ti senti? Stai ridiventando contorto come in quegli infelici tempi bui in cui non facevi sesso.»

Lui la fissò attonito mentre la bocca rosso fragola di lei incominciava a sfuocarsi assieme a tutto il resto.

«Se tu fossi sessualmente soddisfatto, non avresti bisogno di masturbare tanto energicamente il tuo cervellino. Non credi?»

«Oh!» fu l’unica risposta che Angelo riuscì ad articolare.

«Tu hai voglia di farlo?» chiese lei.

«Mmmmm! Sarebbe eccitante! Ma è un motivo sufficiente?»

«L’eccitazione è l’impulso fondamentale che spinge le persone a fare sesso!»

«Ma non è l’unico!» obiettò lui.

«Oh no! Ci sono anche i soldi! Ma tu non sei ancora a quello stadio di zoccolaggine!»

«E l’amore?» soggiunse Angelo con aria sognante «La prossima settimana è il suo compleanno. Forse potrei fargli una bella sorpresa. Una serata speciale...»

«È out! Fa molto imitazione di Sex & the City... ma sarebbe dolce! Voi siete così fortunati a poter condividere tutto! Noi etero non potremmo risolvere così facilmente un problema di corna o di gelosia. O meglio, la mia amica Simona frequentava locali per scambisti con il marito. Ma così si gode solo uno alla volta. A meno che  almeno uno dei due non sia bisex. Voi invece, amate gli uomini tutti e due.»

Angelo la fissava sempre più attonito.

«Sì, insomma... sai cosa intendo! Mario è l’amore della mia vita.» continuava lei imperterrita «Il cameriere con la divisa sexy è un capriccio... una scappatella... una potenziale scappatella>> si corresse di fronte allo sguardo accigliato dell’amico «Che ci sarebbe di più bello che condividere la mia avventura con la persona che amo!? Ma non posso farlo, perché a Mario gli uomini non piacciono!»

«E se fosse Mario a chiederti di fare un ménage à trois con un’altra lady?»

«Oh lo troverei così tenero da parte sua! E vorrei davvero farlo felice e condividere una sua passione con lui! Ma l’idea... di assaggiare un’ostrica mi disgusta! Non sono ancora così avanti, tesoro! Voi invece potete trovare uno che piace a tutti e due e condividere il piacere insieme, senza tradimenti e senza inganni! Zoccolette fortunate!»

«E l’amore? Conta così poco che staresti a guardare l’uomo che ami che si sbatte un’altra persona?»

«Perbenista! Se il vostro amore è così grande, che vuoi che sia il peccato di una notte? Il sesso è solo sesso! E comunque lo fareste insieme... soltanto... con una persona in più. Riflettici su! Garçon!» chiamò di nuovo con gli occhi languidi.

«Il conto per favore!» la prevenne secco Angelo «Adesso basta cosmopolitan! E ti avvicinerai al cameriere solo quando Mario sarà disponibile a un ménage à trois

«Sei crudele!»

Nancy insistette per offrire, come promesso: «Penseranno che siamo una coppia moderna!» sentenziò.

«Grazie. Ora devo andare a casa. E tu barcolli!» la rimbrottò Angelo sorreggendola sotto braccio «Ti do un passaggio. E ricordati che venerdì prossimo siete a cena da noi: è il compleanno di Bruno.»

«Ok! Comunque tranquillo! Lo so che il cameriere...»

«Cosa? Che ti sta fissando il culo?»

«Ma no, sciocchino! Non guarda il mio. Non fa che contemplare teee da quando siamo entrati.»

«Davvero?»

«Oh sì! Fallo presente a Brunone tra i possibili candidati!»

 

      Perché è un bravo ragazzo! Perché è un bravo ragazzo!

      «Se non zittisci i tuoi coreuti potrei infilare loro questo manico dove non batte mai il sole!» sospirò Sofia sbattendosi la padella vuota in mano.

      «Il problema è che a loro potrebbe piacere!» sbuffò Angelo. In cucina scoppiarono tutti a ridere. «Forse dovremmo mettere via la tequila!» soggiunse lui alludendo alle voci canterine che non davano cenno di voler desistere.

      «Lasciali divertire. Almeno sono intonati» intervenne Filippo «Comunque, Angelo, le tue fajitas hanno fatto furore!» soggiunse.

      «Grazie. Se me lo dice un cuoco, mi potrei commuovere! Ma io ho imparato dal migliore!» replicò indicando il terrazzo dove Bruno stava cogli altri a far baldoria.

      «Anche la torta sembra da paura!» soggiunse Filippo mentre Andrea la tirava fuori dal forno.

      «Grazie mille del vostro aiuto, ragazzi. Siete stati fantastici!» replicò Angelo.

      «Per il compleanno dello Chef questo ed altro! Ti ho detto che si poteva fare anche da noi al ristorante! Ma alla fine è stata una bella idea venire qui.»

      «Già la sua veranda è bellissima, vero?» soggiunse Sofia.

      «Veranda? È un giardino!» soggiunse Vittoria affacciandosi sulla porta che dava all’esterno.       

Il terrazzo era il suo regno, il posto prediletto dove invitare i suoi ospiti e in effetti l’aveva trasformato in un vero e proprio giardino pensile dove interno ed esterno si fondevano in una cosa sola. Buganvillea e passiflora si arrampicavano ovunque sulle pareti, sui davanzali e sulle arcate, giocando con il cielo stellato negli spazi lasciati liberi dalle ampie tende decorate a motivi geometrici indiani. Gli alberi di limone lussureggiavano nei loro vasi, carichi di frutti dorati, in mezzo alle azalee, alle begonie e alle piante di papiro d’acqua che davano un tocco di esotico. Altri vasi rigogliosi verdeggiavano su davanzali, mensole e tavolini laterali riempiendo tutti gli spazi vuoti, tranne la parete verso la cucina dove Bruno coltivava il rosmarino, la mentuccia e le altre erbe da cucina. Il profumo dei fiori saturava l’aria anche se a quell’ora la maggior parte reclinavano il capo addormentati e solo gelsomini e belle di notte si schiudevano alla luna. Le lampade a candelabro illuminavano a giorno il convito e in sottofondo si sentiva lo scroscio della fontana.

Sul tavolo ovale dalle sinuose linee liberty, in pendant con le lampade, si ammassavano le ricche portate della cena messicana, i piatti preferiti di Bruno: salsa rossa scintillante e piccante che sfidava il verdino del guacamole ai lati opposti di una ciotola di nachos al formaggio, i resti delle fajitas e dei burritos avevano ancora un profumo delizioso, per non parlare del chilli e dei fagioli rossi. Il festeggiato bivaccava in mezzo agli amici, sulle sedie. Un paio sorseggiavano sangria e margarita recumbenti sui lettini a sdraio. Una festa per pochi intimi, ma fin troppo rumorosi a quanto pareva. Angelo sorrise orgoglioso fissando la propria creazione dall’interno della cucina.

«Devo mettere le candeline?» chiese Filippo.

«No Fil, tranquillo! Non siamo crudeli! E in ogni caso non ne avrei così tante!»

«Tanto lo Chef è una roccia! Non dimostra l’età che ha! La porto in tavola!»

«Grazie, adesso arriviamo!» replicò Angelo.

«Allora?» ammiccò Nancy entrando in cucina con un bicchiere di sangria in mano «Fra poco è il momento dei regali. È pronta la tua sorpresa?»

«Sì!» rispose Angelo tirando un bel respiro e trattenendo il tremore.

«Sei convinto, allora?» sorrise Sofia.

Angelo la guardò sollevando le sopracciglia e scuotendo la testa come un atleta in tensione che si prepara sulla linea di partenza. Erano amici dai tempi del liceo e tra loro bastava uno sguardo: «Se in camera da letto me la faccio sotto davanti all’ospite non farà una bella impressione, vero?»

«A meno che non sia uno che ama la pioggia dorata!» sorrise Nancy. Gli altri due scoppiarono a ridere.

«Non ci avrei mai creduto! Io che faccio una proposta del genere!»

«Te l’ho detto! Resterai sorpreso di te stesso! La zia Nancy non sbaglia mai!»

«L’importante è che sia quello che vuoi anche tu, che non lo faccia solo per lui!» soggiunse Sofia.

«I tuoi occhi malandrini dicono che lo vuoi, puttanella!» lo incitò Nancy.

«E se... la situazione mi inibisse, non ce la facessi... lui restasse deluso!»

«Di questo non  ti devi preoccupare!» lo tranquillizzò Sofia con una carezza sulla spalla «Si vede che Bruno ti adora. Ti amerebbe comunque così come sei!»

«Sì» soggiunse Nancy «Voi brave ragazze innocenti avete un non so ancora che cosa che tiene legati gli uomini. Gay o etero evidentemente non fa differenza. Si divertono con le altre, ma poi tornano sempre da voi.»

«Oh, è consolante!»

«Ma tu non avrai questo problema, tesoro: voi due vi divertirete insieme!»

«Spero la cosa non complichi il rapporto! Razionalmente so che è solo una bella esperienza da condividere con lui, ma a tratti il mio stomaco dice di no. Mi sembra di dover assistere a un tradimento.»

«Hai paura ed è normale» sorrise Nancy «Ma lasciati andare oltre la soglia del peccato. Sarete insieme...»

«L’unico tradimento è quello della fiducia» lo rassicurò Sofia «E se lo fate insieme non c’è fiducia tradita! Ma se non te la senti, nessuno ti costringe.»

«Ma no! Ho trentatre anni, posso ancora concedermi qualche cazzata. E sia!»

«Ai ménages à trois» brindò Nancy sollevando il calice

«Ménage à trois?» esclamò incantato Roberto mentre saltellava in cucina «Chi è che... Voi tre? Oh per Paris Hilton! Angy! È disgustoso! Da quando hai iniziato ad assaggiare l’’ostrica?.»

«Tesoro, le persone non smettono mai di sorprenderti!» ammiccò Nancy «Ora chiudi la bocca! E cercate di cantare con più decenza!»

«No! Un momento...» strabuzzò gli occhi Roberto mentre le sue pettegole cellule neuronali attivavano i loro circuiti «...tu! Non farai mica un ménage à trois con Bruno per il suo compleanno? Come in Sex & the City? È divino!»

«Bene! Addìo sorpresa!» sbuffò Angelo disperato «Roby, caro, ti prego: saresti così gentile da non farne parola con nessuno, finché non te ne sarai andato da qui?»

«Allora è vero?»

«Tesoro, mi sono appena fatta le unghie» lo ammonì Nancy «prova a dirlo a qualcuno e te le conficco nelle parti intime!»

«Ok, croce sul cuore! Ma... posso offrirmi volontario?»

«Ehm, grazie tesoro ma...» obiettò Angelo perplesso fissando la figura bislacca di quel saltimbanco isterico.

«...preferiscono qualcuno che non conoscono già!» gli venne in soccorso Sofia.

«Ehi, che succede qui?» fece la voce profonda e monocorde di Mario affacciandosi in cucina.

«Mario» lo apostrofò Angelo «Nancy si chiedeva che ne pensi dei ménages à trois.»

«Che vor di’? È francese?»

«Niente, amore! Lascialo perdere: è matto!» Nancy lo trascinò fuori.

«Sembra ancora più stupido del precedente!» constatò Sofia sconsolata «Meno male che dice che è bravo al letto»

«È un bravo ragazzo!» replicò Angelo con un’alzata di spalle «Dobbiamo essere contenti per quella vacca flashata, ne ha bisogno!»

«Ora andiamo a mangiare la torta e tu tieni la boccuccia chiusa!» sentenziò Sofia minacciando Roby con una paletta da dolce in mano. Lui spaurito saltellò fuori.

Angelo guardò la sua amica con un’ombra di perplessità. «Che sto facendo?»

«Non posso dirti cosa decidere.» replicò Sofia «L’importante è che ne parli con lui. Che sia una scelta che fate insieme...»

 

 Era il momento dei regali. Un libro di spartiti per chitarra. Una nuova acqua di colonia. Due biglietti per un viaggio in Irlanda. Due ingressi omaggio per un trattamento S.P.A.: povero Bruno, decisamente non impazziva per le  S.P.A. Una camicia di D&G. Poveri sciocchi: Bruno era perfetto con le sue camicie a scacchi da cowboy, era inutile tentare di cambiargli look.

«Facci vedere come ti sta!» lo incitò Roby con un fischio.

Angelo dovette trattenerlo dal togliersi la maglietta di fronte a tutti gli invitati, dei quali almeno un terzo erano frocetti infoiati. «Fermo caro, siamo in pubblico! Gliela vedrete quando se la metterà per uscire!»

Due vecchi amici della band, gli unici due rimasti in Italia con cui Bruno ancora si vedeva, gli caricarono sul PC una presentazione di vecchie foto scansionate.

«Wow Chef!» esclamò Filippo incredulo «Eri fighissimo col capello lungo!»

«Erano i mitici anni ’90, ragazzo!» rispose uno dei due, ormai un quarantenne con calvizie e pancetta da birra «Bruce, prendi la chitarra e fagli risentire!»

«Ti ci vogliamo rivedere! Fatteli ricrescere, ti prego!» esclamò Andrea.

«Ormai non è più il caso. È la fronte che mi è cresciuta parecchio da allora, farei ridere.» Aveva il terrore della calvizie incipiente, sebbene in realtà sfoggiasse ancora una chioma di tutto rispetto.

«Eh Bruce, ormai anche tu ti avvicini alla soglia fatidica. Te ne mancano tre?» fecero i due quarantenni ridendo.

«Angy, tu che regalo gli hai fatto?» fece qualcuno da qualche parte. Il consorte del festeggiato scosse imbarazzato la testa.

«Una torta gigante a sorpresa da cui lui salta fuori in perizoma!» replicò Nancy.

«Oh no, ve lo risparmio: non sarebbe un bello spettacolo!» si schermì Angelo scuotendo la testa.

«Non sottovalutarti!» esclamò Roby «Saresti un bel bocconcino tutto ignudo e coperto di panna e cioccolata!»

«Ehi!» lo fermò Filippo alzando una mano e arricciando il naso «Per favore, abbiamo appena mangiato e non siamo tutti gay!» Vittoria lo abbracciò e tutti scoppiarono a ridere.

«Ora arriva la vera torta!» interruppe Andrea.

«E lo spumante!» esclamò Nancy «Bruno, esprimi un desiderio e stappa lo spumante!»

Bruno eseguì, con il consueto getto di schiuma. Poi riempì i calici di cristallo che Fil, Andrea e gli altri amici del ristorante distribuirono a tutti con fulminea rapidità.

«Un brindisi a Bruno e al suo consorte!» sentenziò Nancy sollevando il bicchiere «All’avverarsi dei loro desideri! Che queste siano per loro una serata e una notte speciale! E possano averne mille altre come questa!»

Guardò Angelo ammiccando con un  sorrisetto malizioso. Tutti alzarono i calici. Angelo, in piedi a fianco del suo compagno, gli strinse una mano sulla spalla. Bruno sollevò la propria a stringergliela. Angelo si sentì improvvisamente rassicurato e convinto della propria scelta: accanto a lui era pronto a fare tutto. La luna piena si levava alta nel cielo.

«Bacio! Bacio!» esclamarono tutti. Angelo si sentì gelare da un’improvvisa ondata di imbarazzo di fronte a tutti quegli occhi puntati su di loro. Bruno lo guardò sorridendo.

«Non adesso ragazzi! Ve lo risparmiamo!» replicò secco «Come ci avete ricordato, avete appena mangiato! E non vorrei che qualche omaccione etero mi sbrattasse a tavola!»

«Ma Chef, per il vero amore possiamo fare un’eccezione!»

«Basta Fil, se non stai zitto bacio te!»

«Poi te la vedi tu con Vittoria, però!»

Ancora una volta il cavaliere impavido aveva salvato il timido efebo. Ma se si vergognava a baciarlo davanti a un gruppo di amici, come avrebbe fatto a condividere la loro intimità con un estraneo?

«Angelo, non ci hai detto che gli regali?» domandò un ex compagno di rugby del festeggiato.

«No, non l’ho detto!» replicò secco «È una sorpresa da scartare in privato!»

«Ooooooh!» seguì un coro.

 

Infine, dopo le ultime premurose raccomandazioni, anche Nancy e Sofia se ne erano andate.

«Grande Chef, ci vediamo domani sera al lavoro!»

«Ok, grazie mille ragazzi, buona notte!»

Bruno aveva insistito perché lo lasciassero almeno sparecchiare. Angelo era rimasto solo al davanzale del terrazzo a fissare la luna piena e le nuvolette d’argento che si rincorrevano nel cielo stellato. Lady Catherine era tormentata dai dubbi accanto al suo vaso di fiori rossi, che riposavano placidamente a capo chino.

«Ehi!» lo distolse Bruno con una pacca sulla spalla e un sorrisone «Che bella serata!»

«Sei contento? Scusa se ho invitato anche i miei amici del Gospel: fanno sempre un casino imbarazzante!»

«Oh no! Sono simpatici, hanno rallegrato la serata. E quel biondino non è mica male!»

«Moreno? È una checca isterica!»

Bruno lo fissò con un sorrisetto ironico: «Sei un razzista!» si limitò a rispondere.

Appoggiò una mano sul tavolo dove era rimasto aperto il laptop. Sullo schermo campeggiava la foto di un vecchio concerto e un giovane Bruno con chitarra e lunga chioma al vento.

«Dovevano essere bei tempi, vero?»

«Aaah!» sbuffò Bruno abbassando lo schermo e chiudendo il portatile «Non ho bisogno di ripensare al passato! Tu riesci sempre a ricordarmi quanto sia bella la vita che ho adesso!» avanzò verso di lui e gli prese il viso tra le mani «Grazie!» lo baciò con una passione e una dolcezza ancora più intense del solito.

Il tempo si era fermato e in quel momento era tutto perfetto. A occhi chiusi Angelo riuscì a vedere Lady Catherine che lo guardava inquieta mentre si allontanava verso la notte stellata. Il tempo stava per riprendere il suo interminabile corso e se loro fossero stati due personaggi di un suo romanzo, la tempesta sarebbe stata in arrivo proprio dietro l’angolo. Angelo si aggrappò a quelle spalle di roccia, il suo attracco sicuro contro i marosi. Si chiese se una volta compiuto il passo che stava per compiere sarebbero più potuti tornare indietro.

«Davvero hai una sorpresa per me?» gli sussurrò Bruno

Lui abbassò gli occhi tirando un bel respiro. La fragranza fresca e limonata che usava Bruno mista all’odore della sua pelle lo mandavano fuori di testa.

«Guarda che per me è stato già un bellissimo regalo questa serata. Adesso in realtà avrei voglia di scartare te!» soggiunse infilandogli le mani sotto la camicia e accarezzandogli i fianchi. Bastava che lo sfiorasse per farlo impazzire. «Mmmmm! Sai di coriandolo e spezie messicane» soggiunse lo Chef assaggiandogli voluttuosamente una guancia «e di panna e cioccolata!»

«Una pessima accoppiata!» obiettò Angelo

«Non addosso a te!»

«Ehi! Aspetta! Non vuoi il mio regalo?»

Bruno lo guardò con un sorriso: «Che cos’è?»

«Una bella sorpresa!»

«Oooh! Ti sei messo una mutanda che si mangia?»

«Meglio!» soggiunse appoggiandogli le mani sulle spalle e fissandolo dritto negli occhi «Lo facciamo!»

«Cosa?» replicò Bruno con un risolino, ma dallo sguardo pareva aver capito perfettamente.

«Un ménage à trois

«Ohoh! Davvero?» esclamò l’uomo sorpreso.

«Certo! Non è il regalo che sognavi? Dovrai toglierti lo sfizio prima di arrivare ai quaranta. Poi non ce la faresti più!»

«Ah dici?» lo sfidò Bruno pungolato, pizzicandogli il ventre «Ok, parliamone! Cosa avevi in mente?» soggiunse prendendologli le mani tra le sue e andando a sedersi sulla sdraio.

«Non so! C’è qualcuno che ti attizza in particolare? Quel tuo amico della squadra di rugby, con le spalle da toro e il naso rotto, per esempio, mi sembra un discreto pezzo di maschio.»

«Piero? Ma no! È un mio amico. Non possiamo farlo con uno che conosciamo. Non sarebbe il caso.»

«Un’amica di Nancy conosce un locale per scambisti, ma credo sia solo per etero... ». Colse un’occhiataccia. Forse non approvava che ne avesse parlato con Nancy, ma non entrò in argomento.

«Non ce n’è bisogno!» lo rassicurò «A due bei giovanotti come noi basterà andare in un locale gay e troveremo sicuramente mercanzia disponibile.»

«Bene!» sentenziò Angelo. Probabilmente non era ancora mezzanotte, anche se la luna stava calando verso il tramonto. Era grande, pareva immensamente vicina e si era tinta del colore del sangue. La luna rossa. Gli piaceva, a volte aveva la sensazione che lo inducesse a fare pazzie «Facciamolo allora!» esclamò alzandosi in piedi.

«Così? Adesso?» Bruno sembrava quasi incredulo di fronte a tanta determinazione. Ma, di fronte a novità come quelle, l’attesa può logorare. Meglio cavarsi il dente subito, pensò Angelo.

«Perché no? È venerdì sera, la notte è giovane e, con un passato da viveur come il tuo, di certo non sarai stanco!»

«Ok!» replicò il vichingoide seguendolo «Mi metto qualcosa di presentabile e usciamo.»

«Il regalo va scartato finché è caldo!» soggiunse Angelo

«Il proverbio non era esattamente così!» obiettò Bruno aggrottando le ciglia.

«Io sono presentabile?»

«Oh! Tu sei sempre impeccabile!»

«Pensi di prendere la moto?»

«Ma no! Non va bene per caricare tre persone!»

«Ah già! È vero! Scusa, ma per me è la prima volta, non ho ben presente come funziona!»

«Tranquillo! Saremo insieme!» soggiunse Bruno stringendogli la mano «Ehi!» si interruppe voltandosi, gli strinse le mani sulle spalle fissandolo negli occhi «Sei sicuro di sentirti pronto?» Quegli occhi limpidi lo fissavano colmi di premura, Angelo non avrebbe voluto più staccare lo sguardo da quelle due schegge di cielo.

«Che c’è?» balbettò «Non ti va più?»

«Mi va se è quello che vuoi anche tu» replicò cercando il suo sguardo.

«Sì!» replicò Angelo sollevando gli occhi e sforzandosi di mantenere la voce ferma «Se ti regge ancora!» lo sfidò.

«Ehi bello, stai parlando con me!» replicò tuffandosi in camera da letto alla ricerca dei vestiti migliori che riusciva a trovare. I fiori di ibiscus di Lady Catherine si erano staccati dagli steli, trasformandosi in tante farfalle che svolazzavano nello stomaco di Angelo. L’aria era frizzante, densa di eccitazione e di una trepida attesa che si sarebbe potuta fendere con una lama. “Augurami buona fortuna” pensò tremante fissando la luna rossa il ragazzino di trentatre anni.

 

«Bevi! Ti scioglierai un po’» sentenziò Bruno allungandogli lo Scotch sopra il bancone.

Angelo lo scolò tutto d’un fiato.

«Allora?» gli chiese all’orecchio il compagno passandogli una mano lungo la schiena. La musica ansimava a palla, scatenata, e la voce rischiava di perdersi in quel roteare ipnotico di luci colorate.

«Siete insieme?»

«Sì» replicò Bruno con un sorriso ma con aria decisa.

«Da quanto?»

«Cinque anni a settembre»

«Forte! Tenete questi due, offre la casa: siete la coppia più bella della serata!»

«Grazie!»

Niente male quel barista, faccia pulita, capelli a spazzola, occhi verdi, magliettina aderente attaccata ai pettorali e un grembiulino stretto effetto vedo-non vedo. Ai due clienti bastò uno sguardo per capirsi al volo. Angelo ammiccò e l’altro partì all’attacco.

«Ehi amico, sai, oggi è il mio compleanno»

«Quanti?»

«Trentasette!»

«Complimenti, portati da dio!»

«Grazie. Volevamo festeggiare un po’ da soli. Ti va di unirti a noi?»

«Oh grazie! Sono onorato della proposta, ma il mio ragazzo è un po’ geloso!» soggiunse accennando col capo a uno dei buttafuori che dava la netta sensazione di guardarli in cagnesco. Un mastodontico energumeno con gilè di pelle borchiato e bicipiti larghi quanto le cosce di loro due messe insieme.

«Ok! Ci abbiamo provato!» replicò Bruno. Guardò Angelo e sbottarono a ridere.

«Wow! È enorme!» esclamò Angelo fissando il bestione «Ménage à quatre

«Ora non esageriamo, Superman! Un passo alla volta»

«Secondo me è una scusa...» gli sussurrò Angelo all’orecchio «Non siamo più le bombe sexy di una volta!»

«Ragione di più per darsi da fare. Quello con la camicia azzurra? Ti piace?»

«Carino! Ma mi sembra già occupato!» accennò a un altro tipo distinto che gli porgeva un drink.

«Quello col drago tatuato sul petto?»

«È truzzo da morire. Ma se ti piace... è il tuo regalo.»

«No! Scherzi? Deve piacere a tutti e due. Non ti voglio mica fermo a guardare.»

«L’orsone muscoloso, a torso nudo sul cubo?» rilanciò Angelo

«Troppi peli!» protestò l’altro. Angelo gli lanciò un’occhiata di sbieco accennando al ciuffetto che gli saltava fuori dai tre bottoni slacciati della camicia.

«E che ti devo dire? Mica mi devono piacere per forza uguali a me. E poi io non ho peli anche sulle spalle e la schiena!»

«Fossi in voi testerei la pista da ballo» suggerì il barista.

«Hai ragione! Grazie» rispose Bruno «Vieni?» soggiunse porgendo la mano alla sua dama.

Angelo si aggrappò a quella mano grande e forte mentre imponeva alle gambe di sollevarlo dallo sgabello.

«Lo sai: è strano» strillò per farsi sentire.

«Cosa?» gli chiese Bruno all’orecchio.

«Essere qui con te a fare commenti impertinenti e a scegliere una preda, come potrei fare con i miei amici»

«Tu sei il mio migliore amico» replicò Bruno sollevandogli il mento tra le dita. Angelo si irrigidì mentre l’altro lo baciava. Sentiva sempre gli sguardi della gente su di loro.

«Sta’ tranquillo! Qui sono tutti gay!» lo rassicurò il suo vichingo leggendogli nel pensiero. «Vieni!» lo esortò prendendolo per mano. Lo guidò facendogli strada in mezzo alla folla. Quella mano nella sua gli trasmetteva fermezza. Angelo si lasciò guidare. La pista da ballo era una mala bolgia dell’Inferno dantesco dove orde di peccatori, in buona parte semi-ignudi, si dimenavano sotto le luci incandescenti dei riflettori. Tutti maschi, di mille tipologie diverse: satiri barbuti con pance tornite che ostentavano con fierezza il vello scuro o brizzolato accanto a piccoli ganimedi che ancheggiavano in shorts sui cubi, eleganti Lancillotti incipriati in camicia e giacca, eunuchi mancati che sculettavano agghindati di piume di struzzo, Semiramidi imbellettate e coperte d’oro con una sorpresona di troppo eretta nel perizoma, fisici erculei che si flettevano in canottiera o a torso nudo, diavoloni minacciosi con cornicine rosse fosforescenti in testa che parevano pronti a ricacciare la folla scatenata in mezzo alle fiamme. Bruno pareva assolutamente a suo agio in quell’ambiente. Rianimato di un’adorabile luce impertinente negli occhi, iniziò a danzare nel suo stile rude da cowboy. Si muoveva con un’agilità e una coordinazione spettacolari.

«Wow! Balli da paura!» gli strillò Angelo «Mi viene duro solo a guardarti!»

Bruno ridacchiò: «Sono fuori allenamento da un sacco di tempo, ma me la cavo ancora!» Lo strinse a sé trascinandolo nel vortice della danza. Angelo si sentiva tremendamente imbranato.

«Lasciati andare!» gli fece Bruno appoggiandogli le mani sui fianchi e guidandolo «Fregatene di chi ti guarda. Sei il ragazzo più bello della sala!»

«Bugiardo!» il pugno di Angelo affondò nel ventre morbido solo per rimbalzare sui sottostanti addominali ancora ben tesi. Bruno lo baciò ancora con un fervore febbrile. E ancora. E ancora. E ancora. Poi si staccò, fece una giravolta, accennò un passo di danza irlandese con le ginocchia, trascinandolo in un entusiasmo contagioso. E poi lo baciò di nuovo. Angelo si era dimenticato quanto fosse liberatorio non doversi preoccupare degli sguardi altrui. Là dentro le occasionali attenzioni estranee parevano quasi piacevoli. Allungò l’occhio a cercare una preda interessante. Bruno aveva ragione: un sacco di occhi ammiccanti erano puntati su di loro. Sentì un fremito nel petto. Bruno gli sorrise e ringhiò strappandosi la camicia sudata con il gesto che solo lui sapeva fare, senza far saltare neppure un bottone. Se la sfilò e la fece roteare lanciandola in aria.

Un sonoro fischio lo acclamò seguito da un motteggio greve: un orso spelacchiato anche lui a torso nudo, con un panzone che strabordava dalla cintura.

«Ormai il mio pubblico è rigorosamente sopra il peso massimo!» sussurrò Bruno ridacchiando. Non era vero. Angelo sapeva che il suo uomo glielo guardavano tutti. Stavolta fu lui a baciarlo aggrappandoglisi ai pettorali sudati.

«Direi che non ho rimorchiato una preda papabile!»

«Ha due belle tette, ma no!» convenne Angelo.

«La notte è giovane. Pensiamo a divertirci e vedrai...»

Angelo seguì il consiglio e si lasciò andare alla musica e ai baci del suo vichingo sudato. Era una vita che non metteva più piede in un locale del genere. La nuova gioventù omosessuale era così trasgressiva: ragazzi poco più che adolescenti sfidavano il mondo a testa alta, già sicuri della propria sessualità. Anche se, a guardarli bene negli occhi, quello sguardo spaventato era sempre lo stesso. In quella musica ipnotica gli sembrava possibile uscire da sé, dimenticare le paure che lo attanagliavano fino a poco prima. Era con il suo compagno. Il mondo era un bel posto.

E poi all’improvviso lo vide. Quello sguardo assassino, fiero e senza paura, quegli occhi neri, ardenti come il fuoco, che lo sfidavano, pronti a infilzarlo. Era lui. Lo fissò per un attimo, una breve frazione di secondo che parve durare infinitamente più a lungo del dovuto. Poi abbassò lo sguardo: errore fatale. L’aveva perso. Bruno lo travolse in un’altra giravolta di danza, in un’altra giravolta di lingue. Cercò con lo sguardo in mezzo a quel caos. Eccolo là, da solo sul bordo della pista. Era di spalle, girato di tre quarti, aveva un profilo da guerriero, un’aria familiare nella sua avvenenza. Capello scuro corto, sparato all’indietro, profilo volitivo, mascella pronunciata, un fisico abbronzato di tutto rispetto, muscoli non strabordanti ma ben definiti che sbirciavano prepotenti sotto la T-shirt grigia, movimento sciolto ma mascolino, bei jeans che fasciavano una deliziosa mercanzia. Forse si era sentito gli occhi puntati sulla nuca? Fatto sta che si voltò. I suoi occhi scuri lo cercarono, uno sguardo sornione, ma pronto ad attaccare e scatenare la belva, anche se Angelo non rivide lo stesso fuoco che gli era sembrato di cogliere poco prima. Si accorse che lo scrutava, guardava proprio lui, sembrava non curarsi del fatto che fosse accompagnato. L’istinto di Angelo fu di abbassare gli occhi dallo sconosciuto, ma era proprio ciò che non doveva fare. E poi si accorse che anche Bruno stava guardando lo stesso uomo, lui sì che sapeva sfidarlo apertamente con il suo sguardo d’acciaio azzurro, mentre gonfiava il petto nudo con un movimento che a chiunque altro sarebbe sembrato involontario. Il volto malandrino dello sconosciuto sembrò sorridere. Bruno si voltò e ammiccò soddisfatto.

«Bella preda! Bravo! E con ottima dotazione nei pantaloni!»

«Ma l’hai visto? Quello non viene con due cariatidi come noi!»

«Oh come ti sbagli! Tu gli piaci!» gli sussurrò Bruno soffiandogli nell’orecchio «Continua a fissarlo e vedrai che abbocca!» Senza dargli tempo di replicare gli baciò l’orecchio attaccandosi al lobo. Angelo non riuscì a trattenere un gemito. Il suo uomo sapeva proprio come farlo andare fuori di testa. Guardò il bel moro e vide che sbirciava interessato, sorridendo.

C’era un cubo vuoto accanto a loro.

«Vieni!» gridò Bruno ammiccando. Saltò sopra con un agile balzo e gli porse la mano per tirarlo su. Angelo lo seguì e iniziò a rispondere al suo passo di danza. Oramai gli sembrava che il suo corpo si muovesse da solo. Bruno lo attirò a sé e iniziò a riempirlo di baci, totalmente privo di inibizioni come sempre. Gli fece fare un’altra giravolta, lo afferrò da dietro. Iniziò a sbottonargli la camicia e a denudarlo davanti a tutti. Tutto il pubblico era innanzi a lui. Aveva solo la camicia aperta, ma per un attimo rivide la torta alla panna e gli sembrò di esserne saltato fuori completamente nudo. Tutti lo guardavano e la loro eccitazione era contagiosa. I più grevi già schiamazzavano:

«Vai!» «Fateci vede’!» «Tiralo fori!» «E se vengo lassù e te lo ciuccio!?»

Non guardavano Bruno. Guardavano lui, volevano lui e la cosa gli piaceva tremendamente. Bruno si stringeva a lui da dietro, gli accarezzava il torace nudo, gli stuzzicava i capezzoli, mentre gli affondava le labbra nel collo, i loro corpi caldi e sudati si strusciavano separati soltanto dal sottile velo, completamente madido, di camicia ancora appiccicato alla sua schiena. Lo sconosciuto dagli occhi di fuoco li guardava. Continuava a ondeggiare in pista, lo sguardo fisso su di loro. Angelo gli sorrise. Quello ricambiò con un cenno di sopracciglia.

«Dovremmo avvicinarci?»

«No. Fra un po’ viene lui!»

Angelo non ricordava più l’ultima volta in cui si era sentito tanto eccitato. Lampi scarlatti gli offuscavano lo sguardo, l’intera sala svaniva in quella foschia rossa. Il suo corpo sembrava solo voler saltare fuori dai vestiti per dissolversi in quella vibrazione palpabile che dilagava nell’aria. Si lasciò andare alla pulsione del proprio sangue ricambiando quelle carezze e quei baci con altrettanta rudezza. Non era diverso da quello che avrebbero potuto fare nella loro camera da letto, solo che c’era un pubblico a guardare. Che si rifacesse gli occhi!

«Ehi guarda ‘sti due!» li sbeffeggiarono due avventori di passaggio «La dark room è di là!»

      Bruno lo sbatté al muro, contro lo stipite della porta succhiandogli il collo coi denti, quasi bramoso di marchiarlo con il proprio segno. Sporgendosi sopra la sua spalla, Angelo colse ancora lo sguardo del cacciatore... o della preda. Le sue mani scivolavano lungo i muscoli sudati della schiena che aveva tra le braccia, immaginando come sarebbe stato stringere lui. Giocherellarono con la cintura, calata a filo natica per l’ancheggiare nella danza. Lo sconosciuto gli sorrideva, Angelo ammiccò verso la porta. Era più alto di quanto si sarebbe aspettato. Il suo bel viso aveva un tocco un po’ più esotico. Zigomi alti, naso pronunciato ma dai contorni morbidi, labbra rosee e piene come petali di ibiscus. Sorridendo ammiccò al suo sguardo.

      Bruno si chinò ad addentargli un capezzolo, slinguandolo come quando voleva farlo godere. Angelo si strinse la sua testa al petto. La vista gli si offuscò, gettò il capo all’indietro, gemendo di nuovo. Come sarebbe stato affondare la mano tra quei capelli neri, sentire quelle altre labbra turgide scendere lungo il suo torace? Aprì gli occhi e lo vide. Era vicino a loro. Quegli occhi neri lo fissavano con aria di sfida, lo sconosciuto incrociò le mani, si afferrò il bordo inferiore della maglietta e se la sfilò sollevando le braccia sopra la testa con un gesto inconsapevolmente voluttuoso. Oh cazzo! Il suo torace pareva scolpito da Donatello, liscio e glabro quanto quello di Bruno era villoso. La sua pelle ambrata aveva una tonalità leggermente più scura di quanto Angelo avrebbe immaginato. Eccitato, si strinse più forte al suo uomo, gli infilò le mani nei jeans calandoglieli oltre il bordo delle natiche, afferrandogliele in una stretta infoiata. Non sapeva neppure lui se desiderava stringerlo più forte a sé o mettere in mostra la mercanzia per lo spettatore. Quello per tutta risposta fece roteare la maglietta sudata in aria e la lanciò verso Angelo, lui l’afferrò e se la portò al viso: la colonia fresca e fruttata di cui era intrisa mista all’afrore di quel corpo selvaggio aveva un gusto pungente che faceva ribollire il sangue.

      Lo sconosciuto avanzò con aria decisa. Era a un passo dai loro corpi avvinghiati.

      «Ciao» salutò con una sfumatura di timidezza negli occhi. Ma la sua voce bassa e vibrante era ferma, aveva un tono naturale. Angelo non sapeva neppure come avesse fatto a sentirla in quell’infernale baccano. E ferma era la mano larga e affusolata che si appoggiò sulla spalla di Bruno. Lui a quel punto si staccò dalla tetta e alzò lo sguardo sul nuovo arrivato.

«Ciao» ricambiò il saluto con sguardo omicida. I due uomini si fissarono con occhio spietato, si misurarono in silenzio. Bastò un attimo. Poi lo straniero gli strinse una guancia con mano sicura. Bruno si avventò su di lui a offrirgli un bacio di benvenuto con labbra e lingua.

La torta di compleanno esplose e uno stormo di colombe bianche saltò fuori frullando nello stomaco di Angelo. Un dibattersi di sensazioni violente e contrastanti. Erano così belli insieme. Il ghiaccio e il fuoco.

      Poi si staccarono. Il tacito sguardo del vichingo guidò la bocca dell’altro a quella di Angelo. Era il suo turno adesso. Le colombe presero a vorticare assieme alle loro lingue. Era una strana sensazione baciare un uomo senza barba, gli rievocava vecchi ricordi di esperimenti riusciti male, ma quell’eco amaro ora diveniva dolce, dolcissimo. Le labbra dello sconosciuto avevano un sapore diverso. La sua lingua una carezza diversa. Le sue spalle erano forti e tornite, senza tatuaggi. La sua mano gli si fece strada sotto la camicia, sulla pelle nuda, gli si appoggiò sulle reni bruciando come fuoco vivo. I loro tre corpi seminudi si sfioravano, le braccia intrecciate dietro le schiene, in girotondo come le tre grazie. Era incredibile il gioco che tre lingue riuscivano a fare tutte assieme. Lo sconosciuto gli sfilò via la camicia, i loro petti nudi uno contro l’altro.

      «Ah zozzi!» li dileggiò scherzando qualcuno accanto a loro.

      Lo sconosciuto tirò fuori un minuscolo involto di stagnola con un piccolo tocco di polverina, se lo portò alle narici e aspirò. Lo porse a Bruno che lo imitò. Cogliendo lo sguardo ostile di Angelo si chinò all’orecchio per rassicurarlo.

«Sta’ tranquillo, amore. È roba leggera, non è pericolosa. Ti aiuta solo a lasciarti andare. Per momenti imbarazzanti come questo. Prendi.»

«No. Grazie» replicò scostando la mano. Non avrebbe rinunciato nemmeno a un briciolo di consapevolezza. In quel momento meno che mai. Lo sconosciuto tenendoli abbracciati uno per lato li guidava dolcemente oltre la porta della camera scura, oltre la soglia della perdizione.

Angelo guardò Bruno negli occhi. Sentì una dolorosa fitta al cuore al pensiero di quanto lo amava. Bastò uno scambio di occhiate.

«Ehi!» richiamò lo sconosciuto «Ti va di venire a casa nostra?»

Il ragazzone assentì: «Ok!» Lo baciò ancora con la lingua. Poi baciò l’altro.

«Allora andiamo, bello!» sorrise Bruno passandogli un braccio attorno al collo con fare cameratesco.

      Raccolti i rispettivi vestiti si diressero abbracciati verso l’uscita, tutti e tre.

 

      Angelo aprì gli occhi sentendosi il corpo sfatto e le membra completamente illanguidite. Doveva essere passato mezzogiorno a giudicare dalla luce che filtrava dalle tende illuminando il comò, i cuscini e le linee flessuose di quel corpo possente e abbronzato che giaceva riverso nel mezzo del suo letto. Allora non era stato solo un bel sogno. In effetti altri segni dell’accaduto se li sentiva ancora addosso. E altri ancora erano tra le lenzuola appiccicose, ancora odorose di panna e cioccolata, di un gusto simile a quello che si sentiva in bocca, misto a quello di umori più acri, ma non per questo meno gradevoli. Roba da veri porci. Adesso gli veniva da ridere. Si sporse verso l’altro capo del letto alla ricerca di uno sguardo di supporto, ma con sorpresa lo trovò già vuoto. Si levò a sedere sforzandosi di emergere dai fumi del mal di testa post coitum. Non era mai stato tanto bello fare un regalo di compleanno, mai tanto piacevole fare felice l’uomo che amava. Quella mattina il suo vichingo meritava un buongiorno speciale. Sgusciò fuori dal letto e si infilò nella sua frocissima vestaglia di seta. Ne andava molto fiero e adorava il modo in cui gli carezzava la pelle. Nella penombra si guardò allo specchio sistemandosi il ciuffo.

      «Mon chère, sei una bomba!» disse a sé stesso ripensando alla notte appena trascorsa.

Gettò un’ultima occhiata al loro nuovo amico. Era uno spettacolo: perso nei suoi sogni come un bambino, quei muscolacci finalmente rilassati in mezzo ai cuscini in disordine, la schiena monumentale si sollevava ritmicamente nel respiro regolare del sonno, le natiche facevano capolino sotto il bordo delle lenzuola. Non c’era ragione di disturbarlo.

Bruno era in poltrona, intento a leggere il giornale in boxer, come ogni uomo di casa che si rispetti.

«Buongiorno!» esclamò Angelo. La risposta fu poco più di un grugnito. Ma in quel verso gutturale c’era un tono diverso dal solito, che richiamò la sua attenzione. Non leggeva il giornale, leggeva La récherche du temps perdu. Segno di una nottataccia.

«Allora amore? Piaciuto il regalo?»

«Fantastico!» rispose secco, tendendo gli zigomi in un sorrisetto. Oh! Aveva gli occhioni cerchiati di rosso. E un’aria stravolta. Il suo stesso sorriso pareva forzato.

      «Da quanto sei in piedi?» chiese Angelo perplesso.

      «Da un po’. Troppo caldo»

      «E troppo poco spazio nel letto?»

      Un altro sorriso forzato. Lasciò cadere il libro.

«Non è riuscito a farti crollare nemmeno Proust?»

«L’energumeno dorme ancora?»

«A quanto pare. Non ti sei fatto il caffè? Ci penso io! Un frullato alla banana?»

«Ora come ora penso che lo vomiterei!» sembrava una battuta, ma il tono era funereo.

«Ehi, stai bene?» chiese Angelo perplesso.

«Sì! Sto bene!» replicò Bruno quasi spazientito, alzandosi in piedi e avvicinandosi.

«È stato davvero fantastico?» insistette Angelo con un sorriso.

Bruno ricambiò il sorriso accarezzandogli una spalla «Tu sei fantastico!» rispose attirandolo a sé.

«Quando lo vogliamo rifare?» ammiccò Angelo eccitato sferrandogli una rumorosa pacca a due mani sul petto. Bruno non rispose. Lo baciò, pareva quasi volesse zittirlo. Lo fissava con uno sguardo confuso e assente, c’era qualcosa di indecifrabile nei suoi occhi.

«Il caffè!» si scostò Angelo. Bruno ritornò alla sua poltrona.

«Buongiorno» li riscosse la voce profonda sulla porta del corridoio. Quel Doriforo di Policleto se ne stava praticamente nudo in mezzo al loro salotto. Bontà sua che si era riinfilato gli slip, ma anche così la sua immensa dotazione era più che evidente. Bruno l’aveva detto subito e il suo colpo d’occhio non sbagliava mai.

«Ciao Alessandro» lo salutò Angelo

«Me jamo Mirko!» lo corresse il ragazzone con un accento latino-americano.

Calò il silenzio. Angelo non ebbe il coraggio di guardare verso la poltrona.

«Oh. Piacere! Sono Angelo» si sforzò di rispondere tendendogli la mano. Solo in quel momento aveva realizzato che non sapevano neppure come si chiamasse. Quello lo guardò esitante con un sorrisetto perplesso ma rispose con una stretta. E che stretta. Si voltò tendendo la mano a Bruno ma lo sguardo immobile di quest’ultimo bastò a far ricadere il braccio nel vuoto. Bruno si infilò una maglietta verde. Come se ci fosse stato bisogno di rendersi presentabile davanti all’ospite, adesso.

«Caffè? Frullato?» offrì Angelo.

«Frulato, grassie» sorrise quello. Prese il bicchiere che Angelo gli porgeva e tracannò assetato quel nettare bianco ristoratore. Un rivolo gli sgocciolò sul petto monumentale che si alzava e abbassava mentre deglutiva. Il cuore di Angelo incominciò ad accelerare stuzzicato da insani ricordi.

«Ehi, di dove sei, Mirko?» stava chiedendo Bruno.

«Arghentina!» Accidenti! Quella notte Angelo l’aveva scambiato per un rude maschiotto romano. Si sforzò di smettere di fissare quel torace abbronzato, i capezzoli ancora eretti e arrossati per il selvaggio trattamento ricevuto quella notte, il segno roseo del morso sopra il solco inferiore del pettorale sinistro, le tracce umide di panna e cioccolata che sembravano ancora visibili, lucide contro la pelle liscia e dorata degli addominali sbalzati nel bronzo. Aveva i capezzoli più grandi di quelli di Bruno, ma non altrettanto irti: quelli del vichingone erano sempre rizzati in mezzo al pelo.

«Posso fare ‘na doccia?» chiese l’energumeno.

«Sì certo» lo congedò Bruno «Il bagno è di là. Trovi un asciugamano pulito nell’armadietto!»

«Ok. Grassie!»

La doccia! Angelo avrebbe voluto offrirsi di aiutarlo a lavare la schiena -tutti quei muscoli da insaponare sotto il getto spietato dell’acqua- ma qualcosa nello sguardo impassibile di Bruno lo trattenne.

      «Poi ci vai tu a farti una doccia. Bella fredda!» soggiunse secco rivolto a lui. Suonava come un rimprovero. Angelo lo ignorò e aprì il frigorifero sentendo il suo stomaco brontolare smanioso di nuove energie.

      «La torta è finita?»

      «Sì!»

      «In effetti ora non avrei più il coraggio di mangiarla! Ehi senti, per... poco fa...»

      «È tutto a posto!» replicò secco Bruno. Dal tono non sembrava.

«Tutto quanto?» chiese Angelo serio.

«Posso rimettermi a leggere?» chiese l’altro esasperato.

      Il ragazzone saltò di nuovo in salotto, lavato e stavolta maledettamente vestito.

      «Cereali?» chiese Angelo

      «No, sto a posto, grassie!»

«Béne!» soggiunse dopo un attimo di esitazione «Allora ... ?»

Angelo adocchiò il proprio cellulare nella tasca dei pantaloni: erano ancora sulla sedia dove li aveva gettati la sera prima, durante quei serrati preliminari. Lo prese in mano e fece per tirarlo su.

«Ci ritrovi alla stessa disco se vuoi!» intervenne Bruno.

«Ok! Quando volete!» replicò il giovanottone ammiccando «A presto allora!»

«Ciao»

«Ciaooo» sospirò Angelo.

Lo straniero si voltò sulla porta con un enorme sorriso: «È stato VERAMENTE un piacèrre!»

«Anche per noi, amico!» lo liquidò Bruno mentre usciva. Poi fissò di sbieco la mano di Angelo che giocherellava ancora con il telefono.

«Non si chiede il numero a uno che hai scopato una notte sola. È da sfigati!»

«Davvero? Scusa! Non sono una zoccola esperta come te!»

Quella notte si sarebbe detto il contrario.

In ogni caso Bruno non sembrò divertito dalla battuta.

«Vado a fare una corsetta!» tagliò corto allontanandosi con le scarpe da jogging in mano.

«Mettiti i pantaloni prima!» lo supplicò Angelo

... l’aveva fatto incazzare?

 

      «... Il sesso a tre... non è qualcosa che si possa spiegare a chi non l’ha mai provato. È imparare a condividere e a essere condiviso, voracità e generosità al tempo stesso. È allargare e rendere più ricco ciò che già condividi con la persona che ami, sentire assieme a lui un amore ancor più grande di quello che si può fare in due. È guardare negli occhi il tuo uomo e vedere che prova lo stesso che provi tu, sentirlo tuo complice mentre rubate e regalate assieme un piacere proibito. Essere tanto orgoglioso di lui da voler mostrare ad altri quanto bello e quanto... uomo sia lui nei vostri momenti segreti e renderlo orgoglioso di te dando piacere ai suoi occhi. È un gioco ma è anche amore allo stato puro e mille altre cose ancora.»

      Angelo rivedeva gli occhi azzurri del suo compagno che lo fissavano nella penombra della camera da letto. Amore, lussuria, orgoglio e una punta remota di un qualcosa di impenetrabile. Sentiva le spinte infuocate dello sconosciuto dentro di sé, le mani bramose che stringevano la sua carne, il suo petto glabro e sudato contro la schiena, le labbra voraci che gli addentavano il collo. E lui, agonizzante, aggrappato al bordo del letto si perdeva in quegli occhi azzurri, lontani, sulla parete opposta della stanza, si consegnava nudo al proprio uomo, mostrandogli ciò che di più bello e di più abietto c’era in lui. Quel solo sguardo sembrava scoparlo mille volte più forte del membro ardente che era dentro di lui. In quegli occhi c’era il mondo intero.

«E per Lei, Bruno, come è stata questa esperienza?» domandò il dottore impassibile, composto sulla sua poltrona.

      «Oh sì. Fantastica» lo liquidò icastico «Fantastica anche per me». Nei suoi occhi lo sguardo che Angelo ricordava non c’era più. Da più di un mese ormai.

      «Bene. Dunque: perché volevate parlarne?»

      «Io in effetti non lo avrei ritenuto necessario » convenne Bruno.

      «Già! È proprio questo il punto: lui non ne vuole parlare!» spiegò Angelo «Lui non vuole mai parlare. Di niente.»

      «Che c’è? Tu invece devi renderne partecipe il mondo intero?» scattò all’improvviso l’altro, rivoltandosi esasperato verso di lui «Ti sei divertito con il giocattolino nuovo e ora lo devi condividere con tutti? Già che ci sei, puoi pure chiedere al dottore se anche lui vuol fare sesso con noi!»

      In  effetti non sarebbe stata una cattiva idea. Quel dottore era dannatamente troppo sexy per una seduta in cui Angelo avrebbe dovuto farsi passare la voglia di fare sesso con altri uomini. Un vero bear travestito da intellettuale, con il capello a spazzola e quella barbetta dagli occasionali filini brizzolati. Non tanto grigia da sconfinare nel daddy però. Avrebbe volentieri incominciato col togliergli quegli occhialetti, dietro ai quali i suoi profondi occhi verdi li fissavano impassibili, indecifrabili. Non sembrava minimamente toccato neppure dalle provocazioni di Bruno. Come sarebbe stato fargli perdere il controllo fino a far accendere tutt’altra espressione su quella bella faccia barbuta, a far uggiolare di estasi quella bocca carnosa?

      «Lo scusi, dottore» si limitò a replicare «Fa sempre così quando si sente messo alle strette.»

      «Bruno, dove vuole arrivare?» replicò impassibile lo strizzacervelli senza dare peso a quella giustificazione.

      «Lei è etero, dottore?»

      «Come? Che importanza ha adesso?»

      «Non so, tanto per parlare. Avrebbe potuto anche essere lusingato dall’offerta... »

      «Paghereste 40 euro di seduta per parlare della mia vita privata? Non credevo di essere un soggetto così interessante! In ogni caso non ho rapporti personali di nessun genere con i miei pazienti: non sarebbe professionale.»

      Se ti strappassi di dosso quella giacca e quei calzoni saresti ancora professionale, baby? Non poté fare a meno di chiedersi Angelo. Quell’omone di proporzioni colossali sembrava fin troppo a suo agio in giacca e cravatta, ma Angelo non poteva fare a meno di immaginare il fisicaccio monumentale che faceva capolino sotto la camicia. Se solo avesse voluto, quel mastodonte sarebbe stato in grado di sollevarlo di peso e sbatterlo al muro. Con Bruno forse gli sarebbe riuscito un po’ più difficile. Si sforzò di frenare quell’ondata di pensieri malefici.

      «Uhm.. effettivamente mi chiedo anch’io perché sono qui a buttare i miei soldi...» replicava intanto Bruno.

      «Pagheremo con i miei, te l’ho già detto» lo rimbeccò Angelo «Almeno potresti essere minimamente collaborativo. Io ci tengo davvero a risolvere questa crisi tra di noi. Mentre a te sembra che non freghi un cazzo!»

      «Ooh! Hai detto una parolaccia davanti al dottore!» lo canzonò l’altro.

      E pensare che quando aveva infine, faticosamente, accettato la propria omosessualità, Angelo aveva sperato almeno di risparmiarsi situazioni tristemente ‘normali’ come quella. E invece eccoli là: appollaiati su braccioli opposti del divano dello strizzacervelli a guardarsi in cagnesco, come una coppia eterosessuale sposata di mezza età in una commedia polpettone americana. Per fortuna il dottore era amico di Sofia e aveva proposto un prezzo di favore per sedute di coppia. Certo le cose sarebbero state più facili se fosse stato un cesso. Meno male che il portafogli di Angelo stava iniziando a sorridere ultimamente, con i nuovi incarichi che lo avevano pregato di accettare alla rivista, ritenendolo il più qualificato su piazza, e la recente temporanea sostituzione del capo-redattore, trattenutosi fuori sede più a lungo del previsto. Possibile che appena qualcosa nella sua vita iniziava a girare per il verso giusto, la terra dovesse franargli sotto i piedi dall’altro lato? Pensò guardando il suo uomo che continuava a fare il buffone come se niente fosse.

      «Angelo, ritiene appropriato parlare di crisi?» chiese quel vocione meravigliosamente suadente.

      «Non crede sia il termine esatto, dottore?»

      «Non lo so. Lo chiedo a Lei» lo fissava con un’aria inquisitoria che gli metteva addosso una gran voglia di afferrarlo per la cravatta pendula e infilargli la lingua in gola.

      «Beh... Abbiamo praticamente smesso di avere una qualsiasi forma di dialogo. Bruno è sempre nervoso e scontroso e non ha mai voglia di parlare... »

      «E tu non puoi che invogliarmi, ricordandomi almeno cinque volte al giorno quanto assillante e logorroico sai essere.»

      «Poi se ne è andato di casa...» continuò sforzandosi di ignorarlo.

      «Sono semplicemente partito per una settimana... il ristorante era in ristrutturazione...»

      «È scappato senza dirmi una parola.»

      «Ehi, non siamo mica sposati. Se per una volta tanto ho voglia di prendermi una vacanza da solo, sarò libero di farlo.»

      «Certo. Bastava avvisarmi!»

«Non c’eri. Anche tu ti eri defilato quando ti andava.»

«Ero fuori due giorni per lavoro» replicò Angelo secco ed esasperato «Dovevo vedere un’esposizione a Firenze per scrivere un pezzo» spiegò poi al dottore «Torno e lui non c’era più. Sarebbe bastata una telefonata o, senza che neanche si prendesse il disturbo, un SMS! Sai quanto mi sono preoccupato?» fece infine secco al suo compagno.

«Oh finalmente parli con me! Ti sei accorto che sono qui»

      «Sembra che entrambi siate reticenti nel dirvi molte cose» sottolineò il dottore con la sua aria esasperantemente neutrale.

      «Ero andato solo a trovare degli amici su al Lago di Garda» protestò Bruno.

      «Amici... Immagino cosa hai fatto con i tuoi amici!» si lasciò sfuggire Angelo. Poi si rese conto di essere andato oltre «Ma chi se ne frega. Potevi almeno farmi sapere se stavi bene». Gli sembrò di cogliere un lampo di dispiacere e di senso di colpa negli occhi di Bruno. Dietro quello sguardo fetente era l’uomo più buono che avesse mai conosciuto.

      «Di che cavolo mi stai accusando? Hai una mente perversa! Sono vecchi amici. Abbiamo solo parlato, bevuto in tranquillità, fatto un paio di gite. Non mi farei problemi a dirti se mi fossi sbattuto qualcuno: del resto mi sembri tanto entusiasta del nostro nuovo statuto di coppia aperta!»

      «Un’idea non certo mia!» lo incastrò Angelo «È assurdo! Prima mi fai pressione per fare sesso con qualcun altro e poi mi colpevolizzi perché mi è piaciuto?»

      «Cosa? Sei un gran bastardo! Non mi sarei mai sognato di farti pressione, non l’ho mai fatto su niente e lo sai. Te l’ho semplicemente proposto perché sapevo che era quello che volevi»

      «E tu no?»

      «Non l’ho mai negato!»

      «Ehm Ehm» si schiarì la voce il dottore «Si torna sempre lì. A quanto pare si tratta di un episodio che ha toccato entrambi. È da allora, Angelo, che ha iniziato a notare comportamenti che l’hanno infastidita?»

      «La prego, Doc, ora non gli metta in bocca parole ancora più assurde di quelle che ha già detto»

      «Ha ragione. Mi scusi. Riformulerò la domanda in modo che non sembri tendenziosa: Angelo, da quando ha iniziato a notare dei cambiamenti nel comportamento del suo partner?»

      «Beh. È necessario che le risponda?» confermò Angelo con sguardo d’intesa.

      «Quale è stata, se posso chiederlo, la qualità della vostra vita sessuale dopo quell’episodio?»

I suoi bei lineamenti tradivano un che di visceralmente maialesco dietro quell’aria compita. Due grossi capezzoli in erezione, a punta tonda, parevano voler sfondare la stoffa della camicia. Angelo avrebbe voluto addentare e ciucciare fino a divellerla. Si chiedeva se fossero più o meno rossi della cravatta amaranto che cadeva di traverso in mezzo a loro.

      «Non è stata» rispose «Quella è stata l’ultima volta»

      «A dire il vero l’ultima volta tra noi due è stata almeno una settimana prima. E non certo per mia scelta»

«Tutto riporta a quell’episodio» ribadì l’omone.

«Quell’episodio!» enfatizzò Bruno «Ha proprio voglia di parlare della scopata a tre?»

«Conoscevate già il terzo uomo?» chiese il dottore ignorando il suo sarcasmo.

«No. L’abbiamo avvicinato in un bar per gay» spiegò Angelo «Poi lo abbiamo invitato a casa nostra»

«Chi lo ha scelto?»

          «Lui!» sentenziò Bruno.

          «Piaceva a tutti e due» si schermì Angelo.

          «Non ho mai messo in discussione il tuo buongusto. Ne hai davanti la prova vivente.»

          «Che tipo di pratiche avete intrapreso?» chiese impassibile il dottore.

          «Che c’è Doc, si sta eccitando?» lo sfidò Bruno perdendo la pazienza «Alla faccia dei rapporti personali di nessun genere

          Il dottore lo fissò impassibile con uno sguardo fermo e glaciale che fece scendere un brivido lungo la schiena di Angelo. «Non voglio essere invadente.» si limitò a rispondere «Mi sarebbe soltanto utile sapere se avete interagito tutti e tre in simultanea o vi siete limitati a farlo in due alla volta con un terzo contemplativo...»

     

1.     Bacio alla francese a due e a tre.

2.    Masturbazione reciproca a tre.

3.    Suzione di capezzoli e pene dell’ospite in simultanea.

4.    Fellatio a due dell’ospite.

5.    Fellatio dell’ospite e del partner B in simultanea.

6.    Fellatio a catena.

7.    Doppio 69.

8.    Fellatio e anilingus dell’ospite in simultanea.

9.    Fellatio (partner A) e sodomia (partner B) dell’ospite.

10. Sodomia dell’ospite con partner A contemplativo

11.  Sodomia del partner A con partner B contemplativo

12. Sodomia (ospite) e fellatio (partner B) del partner A

13. Giochi con il cibo sul corpo dell’ospite

14. Fellatio dell’ospite e sodomia del partner A

15. Sodomia dell’ospite e anilingus del partner A

16. Giochi con il cibo sul corpo del partner B

17. Doppia sodomia

18. Sodomia (ospite) e fellatio (partner A) del partner B

19.  

      Gli sfuggiva qualcosaltro? La mente di Angelo enumerava con la sveltezza e l’icasticità di un cronista.

 

      «Entrambe le cose» si limitò a rispondere, vedendo Bruno sempre più inquieto.

      «Capisco! E nella fase contemplativa uno dei due ha provato sensazioni spiacevoli guardando il proprio partner interagire con un’altra persona?»

      Angelo ripensò a quel superbo spettacolo di gladiatori: la lotta di quei due corpaccioni avvinghiati tra le lenzuola. Il vichingo e il moicano. L’impulso di allungare la mano per sentire il fremito dei muscoli contratti, il boato dei loro gemiti era stato irresistibile.

      «Credevo potesse infastidirmi» ammise «Invece è stato bello. Incredibilmente bello. Credo di aver capito che se un giorno mi dovessi innamorare di qualcun altro, nel mio cuore potrebbe esserci abbastanza spazio per tutti e due.»

      «Come ce n’era nella tua bocca?»

      «Adesso basta!» sbottò Angelo.

      Calò un momento di plumbeo silenzio. Il ricordo di quei due omoni nudi che torreggiavano su di lui lo fece di nuovo avvampare. La voglia febbrile e l’estasi nei loro occhi, le voglie di entrambi alla sua mercé.

Scacciò quel pensiero con un respiro profondo. Purtroppo non riusciva più ad ignorare la presenza invisibile e muta (e sexy) che sedeva tra loro in mezzo al divano.

«È per Alessandro?» sbottò infine esasperato.

          «Adesso hai improvvisamente voglia di parlare di lui?» lo provocò Bruno.

«Scusatemi. Alessandro è il nome del vostro partner ospite?»

«No!» si affrettò a replicare Angelo.

«Ne sei sicuro?» ridacchiò Bruno.

«Allora, Angelo: ha avuto una relazione con un uomo di nome Alessandro?»

«Certo che no. Non ho mai avuto relazioni»

«Lui non oserebbe mai» lo schernì Bruno con una nota di crudele ironia «Si è solo preso una cotta per un compagno di scuola... ah no! volevo dire un collega di lavoro... etero. Si sente troppo in colpa ad ammetterlo, ma non avrebbe avuto problemi a fare sesso con me e con lui nel nostro letto.»

Angelo ripensava ai loro sguardi, suo e di Bruno, che si rincorrevano lungo il corpo sodo, abbronzato e appetitoso dell’ospite, le loro labbra che si cercavano e si separavano su quella carne calda.

«Ehm... il fatto che ho chiamato Mirko... il partner ospite...» spiegò al dottore «con il suo nome la mattina dopo... Se questo ti ha ferito, Bruno, ti chiedo scusa. Mi dispiace. Bastava dirlo. Non c’era bisogno di fare finta di niente e andartene. È stato un lapsus infelice, lo so» Si sentiva andare a fuoco per l’imbarazzo. Ma la cosa peggiore era che Bruno rideva.

«E anche la somiglianza lo è stata? Tra tutti i bonazzi del locale hai scelto uno che pareva la sua copia sputata, solo un po’ più alto e senza tatuaggio!» .

«E Lei, Bruno, trova la cosa divertente?» domandò il dottore.

«Beh, avrebbe divertito anche Lei se avesse sentito come abbassa il tono di voce e fa l’uomo per fare colpo su di lui. Sul vero Alessandro, intendo»

«Senti, mi spiace se ti dà fastidio che io non dichiari la mia omosessualità a tutti. Sai il mondo è pieno di gente stupida e intollerante...»

«E vuoi spiegarlo a me? Dovresti dare un po’ di fiducia al tuo prossimo, ogni tanto. Gli etero non sono tutti prevenuti come credi. Nella mia vecchia band erano tutti etero e non hanno mai avuto problemi con la mia omosessualità. Anzi, dovevi sentire quante domande mi facevano sulla mia vita sessuale!»

«Eravate una banda di hippy fuori tempo. Stiamo parlando di gente che si è fatta arrestare per atti osceni in luogo pubblico!»

Il dottore parve ridacchiare.

«Quindi sarebbe da pervertiti essere amici dei gay?» lo ridicolizzò Bruno.

Angelo scosse la testa esasperato.

«Angelo, ha mai subito discriminazioni a causa della sua omosessualità?» chiese lo strizzacervelli.

«No. Cioè, da piccolo, a scuola, fino al liceo. Non ero ancora gay. Non consapevolmente, almeno. Ma non ero proprio un modello di virilità e i ragazzi mi prendevano in giro. È successo a tanti di noi!»

«Sì, ma ora non sei più quel ragazzino insicuro. Non hai bisogno dell’approvazione degli uomini etero» lo esasperò Bruno.

«Che c’entra l’approvazione? La mia è una facies pubblica, loro non sanno neppure chi io sia davvero»

«Esatto!» assentì il dottore «Se vuole sapere chi la rispetta davvero - per quello che è - perché non glielo dice?»

«Dirlo a chi?»

«Alla tua fiamma etero!»

«Sì.» confermò il dottore «Quando si sentirà pronto, ovviamente. Potrebbe essere un passo importante per Lei»

Angelo era rimasto ammutolito. Quel bastardo, orso arrapante doveva proprio stare dalla parte di Bruno?

          «Bruno» riprese il dottore «è stato Lei a proporre ad Angelo l’esperienza sessuale alternativa?»

          «’Alternativa’? ...pervertita? Sì, sono stato io. L’ho già detto»

          «Cosa intendeva prima quando ha detto che ‘era quello che lui voleva’»

          «Beh, vede Doc., Angy ha un modo alquanto palese e a tratti imbarazzante di guardare i tipi che gli piacciono...»

          «Ah!» fece il dottore gettando uno sguardo in tralice ad Angelo. Gli sembrò che stesse mascherando un sorriso. Accidenti! Non si era mica accorto che stava fissando così anche lui.

«...e recentemente gli capita sempre più spesso di spogliarli con gli occhi»

«E la cosa La infastidisce?»

«Eh? A me? No! Solo, beh, ecco... lui ha un’esperienza di vita, come dire, diversa dalla mia. Avevo l’impressione che volesse togliersi delle curiosità che non aveva soddisfatto in passato, anche se non lo ammetteva, e non volevo che questo... »

«Diversa dalla tua... Perché questo era quello che facevi tu e che vuoi continuare a fare! E pensi che tutti debbano essere come te!»

«A quanto pare ti è piaciuto davvero, però. Anche troppo!»

«Troppo per chi? Forse a quelli come me non dovrebbero piacere certe cose? Dovrei farlo solo per compiacere te?»

«Compiacere me? Se ti avessi mai visto farlo con me nel modo in cui ti sforzavi di compiacere quel bellimbusto...» le parole gli morirono in bocca. Sembrava imbarazzato, improvvisamente consapevole della presenza del dottore.

«Signori, vi prego!» intervenne quella voce cupa e perentoria «Angelo, mi ha detto che a Lei è piaciuta la nuova esperienza. Dunque Bruno aveva ragione »

«Sì, però...»

«Però non crede che dica la verità quando sostiene di averlo fatto per Lei?»

«È lui che me l’ha chiesto. Era quello che lui voleva. Mi ha anche accusato di non avere il coraggio di farlo. Con accanto un uomo come lui, con l’esperienza che ha avuto lui, come mi sarei dovuto sentire? Non sono mai all’altezza. Ho voluto farlo felice, fargli un bel regalo, ma ora neppure è contento...»

         «Vuoi smettere di fare sempre la vittima? Mi dispiace se ti senti così, ma io non c’entro»

         «Ah no? Sa, dottore, lui non perde occasione per vantarsi delle sue avventure sessuali, per ricordarmi gli uomini con cui è stato in tutta Europa...»

        «Sì e a lui piace un sacco starmi a sentire, anzi non fa che chiedere. Tu ci sguazzi nei racconti delle mie scopate. Era tanto difficile capire che quelle avventure avresti voluto condividerle dal vivo, invece di ascoltarle soltanto?»

       «Forse per non essere sempre costretto a sentirmi inferiore a te?»

       «Inferiore? Tu sei il compagno della mia vita. Non siamo mica due ragazzini etero che fanno a gara a chi ce l’ha più lun...»

       «Va bene, il concetto è chiaro!» lo fermò il dottore prima che iniziasse a gesticolare in maniera troppo didascalica.

       «E chissà quante altre cose non mi hai detto!» continuò Angelo imperterrito «Credi che non sappia cosa facevate negli spogliatoi voi rugbisti gay?»

       «Ci lavavamo il fango di dosso e ci cambiavamo. A questo servono gli spogliatoi! Credi che dei gay dichiarati abbiano bisogno di nascondersi nelle docce per fare i loro comodi? Tu vedi perversione ovunque perché sei represso!»

       «Già. E tu vorresti che non lo fossi? A quanto pare però non sei stato contento di vedermi liberare i miei desideri. Non era quello che volevi? Sai, non sei soltanto tu che puoi stancarti di me, magari anch’io un giorno avrò voglia di andarmene e prendermi i miei sfizi come tu mi inciti tanto a fare. Forse poi tu non mi basterai più e allora che ne sarà di noi? Te lo sei chiesto?»

          Lo aveva zittito.

      Con gesto inaspettato Bruno si avvicinò oltre il muro invisibile che tagliava in due il divano e poggiò una mano sulle sue: «Forse ho sbagliato: non avevo capito che ti stavo spingendo oltre il limite. Per me era solo un gioco. Io ti amo. Mi basti tu e nessun altro.»

      Angelo si sentì improvvisamente imbestialito da quel repentino cambiamento di tono, senza capire neppure lui il perché.

«Tempismo interessante» lo freddò «Non dichiaravi i tuoi sentimenti a voce alta da anni, fino a quando non hai cercato di convincermi a fare sesso a tre. E ora usi le stesse parole per convincermi a non farlo più?»

Bruno si ritrasse. I suoi occhi blu divennero di fuoco: «Si può sapere che accidenti vuoi da me?»

«Non Le piace dichiarare i propri sentimenti, Bruno?» chiese pacato il dottore.

«Non sono un uomo che ama le smancerie. Non ne vedo lo necessità»

«Tranne che per ottenere quello che vuoi»

«Che c’è: hai bisogno di un biglietto coi cuoricini? Non te lo dimostro abbastanza, quello che provo per te? Non ti sto vicino? Non mi preoccupo per te? Ho sempre cercato di incoraggiarti in tutto, ho sopportato le tue infinite depressioni, ho anche accettato il fatto che ti vergogni di stare con un uomo. Ho accettato di venire da uno strizzacervelli per te! E sai cosa penso di queste cose... senza offesa, Doc!» Il dottore si limitò a scuotere la testa con aria condiscendente «Ma l’unica cosa che sai fare è lamentarti se per una volta mi prendo una pausa perché sono stanco?»

«Sei stanco di me? Perché se è così nessuno ti ha costretto a tornare... »

«Sai, a volte non ce la faccio più. Io non posso sempre farti da padre!»

«Ma chi te l’ha chiesto!»

«Interessante scelta di parole» commentò il dottore «Bruno, che rapporti ha con suo padre?»

«Questo che diavolo c’entra?» ringhiò il vichingo senza neppure cambiare tono.

«Dottore» lo trattenne Angelo «Non credo che questo abbia importanza adesso!»

«Non ho bisogno che tu mi difenda!» lo zittì Bruno «Mio padre non ne ha più voluto sapere di me quando ha scoperto che ero omosessuale, va bene? Ma io me ne sono andato e ho tirato per la mia strada, con le mie forze, senza guardare indietro. Io non chiedo scusa per quello che sono. È facile giudicare per chi ha avuto una famiglia perfetta!»

«Nessuno La giudica»

«Bruno, io...»

«Che cazzo vuoi che ti dica?» tuonò all’improvviso alzandosi in piedi «Che sono stato geloso? Che il tuo giochetto ha funzionato? Sì, va bene! Mi si è rivoltato lo stomaco! Dopo averti visto godere con quell’energumeno avrei voluto spaccargli la testa al muro!»

«Davvero?» trasalì Angelo esterrefatto.

«Sei soddisfatto? Adesso la smetterai? Se continuiamo così la prossima volta che farai per provocarmi: te ne andrai via con un altro e ti aspetterai che io sia contento? Vuoi che mi scusi anche per questo? Devo sentirmi in colpa perché mi fa incazzare vedere l’uomo che amo con un altro?»

«Signori! La vostra ora è terminata!» la voce dell’imperturbabilità troncò il caos come una spada «Devo salutarvi e  darvi appuntamento a giovedì prossimo.»

«D’accordo, grazie dottore!»

«Vado a fare un giro! Non aspettarmi!» sentenziò Bruno uscendo ancora furioso.

 

      Solo, lungo la strada deserta, Bruno rincorreva l’orizzonte. Desiderava soltanto scappare. Lontano dalle mura opprimenti di quella stanza, dalle domande inquisitorie, dallo sguardo impertinente di quello strizzacervelli frustrato. Verso la libertà, verso il nulla. Sfrecciava lungo la Via dei Laghi, come un cavaliere, in sella ai suoi 130 cavalli di potenza ruggente, sfidando la velocità stessa del vento che gli rimbalzava contro la visiera. Ma c’era ben poco del cavaliere in lui, al massimo era stato un picaro, un eroe pezzente, e adesso era un vile, sconfitto, che scappava. Non c’era onore nella sua gelosia da maritino borghese. Shakespeare avrebbe potuto glorificare Otello finché voleva, ma erano  solo vuoti versi altisonanti che si perdevano nel vento. Lo sguardo deluso del suo Angelo invece era reale, talmente reale che continuava a fissarlo anche là, mentre era solo, per quanto lontano fuggisse. Angelo sì che aveva l’eleganza di un cavaliere, bello come un gentiluomo d’altri tempi, aveva paura di tante cose, ma aveva dimostrato il coraggio di aprire il proprio cuore alle richieste del suo amato, di affrontare sentimenti forti, mentre l’animo di Bruno, a quanto pareva, era troppo meschino. Scacciò il ricordo degli ansiti ritmici del sesso, dell’aria asfissiante di quella camera da letto, prima di sentirsi mancare l’aria.

 

Guardava il cielo, oltre le colline, e continuava a vedere lo sguardo indomito del suo amante che lo sfidava, aveva gli occhi adoranti, retroversi in quell’adorabile espressione di estasi dipinta in faccia, frementi sotto le spinte del sesso, fissava lui, ma non era lui che lo stava facendo godere. C’era quell’energumeno muscoloso dietro di lui, dentro di lui, lo teneva serrato a sé, le sue braccia lo imprigionavano, le sue mani strattonavano quella bella chioma, le spinte ritmiche dei loro corpi erano una sola. Bruno avrebbe voluto mangiare di baci quel bel viso colorito di dolce agonia, ma non poteva. Era rimasto fermo in piedi oltre il bordo del letto, a guardare la mano dello stallone che afferrava quel viso, lo rivoltava indietro, a sé e zittiva i gemiti di quella dolce bocca violentandola con la propria.

‘Io gli avrei spaccato la faccia!’ le parole di Fil continuavano a risuonare nella sua testa.

Era così sbagliato il modo in cui si sentiva? Era questa la cruda verità che il dottorino cercava di intortargli nei suoi discorsi melliflui? Quel fottuto strizzacervelli! Per tutto il tempo avrebbe avuto soltanto voglia di sbatterlo al muro e zittire quella bocca scopandolo fino in gola contro la parete. Dietro quei modi affettati il porcello aveva tutta l’aria di uno che avrebbe gradito, avrebbe gradito eccome. Per quanto Bruno lo detestasse, aveva un che di irrimediabilmente arrapante. Ma, a quanto pareva, quel genere di pensieri non poteva più permetterseli. Non si addicevano a un marito appena reduce da una scenata di gelosia.

 

      Era stato qualche settimana prima. Serata piena al ristorante. Un gran da fare tra i fornelli a coordinare tutti. Amatriciane, tiramisù, penne alla vodka, pagliate, orate, mousse, faraone, ostriche, timballi, controfiletti, fettuccine al porto, specialità della casa, quelle serate risvegliavano il meglio della sua creatività culinaria: si gettava a capofitto nel lavoro, lasciandosi pervadere da quell’estro che ti fa dimenticare tutto il resto. E alla fine ti ritrovi spompato, nel tuo camice bianco sudato fradicio, a fissare inebetito le stelle nel cortile sul retro, con l’odore degli avanzi che fanno capolino dal secchione della spazzatura stracolma. Ma un altro lumicino, si era acceso poco lontano da lui e un altro odore, foriero del ricordo di vecchi vizi abbandonati.

      «Oh scusa Chef, non volevo disturbare. ...Abbiamo finito. Anche la coppietta nottambula al tavolo sei se n’è andata. Sai che non fumerei mai in servizio.»

      «No, tranquillo Fil. Non è che ce ne hai una anche per me?»

      «Per te?»

      «No. Lascia stare»

      «Certo capo, tieni. Credevo solo che avessi smesso»

      «Sì, hai ragione, è solo che...»

      Come spiegare la familiarità rassicurante del gesto dell’accendino, della rotella  sotto il callo del pollice, del gusto della sigaretta con quel letale prurito che ti pervade sino ai polmoni. Quello che ci voleva per calmare i nervi.

      «Giornataccia?» Fil ruppe il silenzio.

      «Mmm» annuì Bruno con un’alzata di spalle.

      «Dai, anche oggi è finita. Hai visto che luna?»

      «Che fai il romantico? Non sono proprio in vena. E poi tu non sei il mio tipo, Fil»

      «Peccato Chef, dopo averti visto col capello da Bon Jovi anni ‘80 mi stavo per innamorare di te!» scoppiò a ridere. Bruno si forzò di ricambiare almeno un sorriso.

      «Ok! Vado!» rispose buttando a terra la sigaretta e rientrando in cucina. Evidentemente aveva capito che quella sera Bruno sarebbe stato ancora meno di compagnia del solito.

      Povero Fil! Poveri tutti! Che al ristorante dovevano sopportarlo. Pensò Bruno. Ora più che mai. Quel peso sullo stomaco lo stava corrodendo. Era quasi peggio dell’imbarazzo che chi gli era intorno capisse.

      «Ehi Fil!» lo trattenne.

      «Chef scherzavo! Sai che Viki ci ammazzerebbe tutti e due.»

      «Ti è mai capitato di essere geloso, Fil?»

      «Come?» sembrava guardarlo attonito di fronte a quell’improvviso accesso di confidenza.

      «In amore intendo. Ok. Scusa, non volevo essere indiscreto! Come non detto»

      «No! Tranquillo Chef. A volte sì. Con una ragazza bella come Vittoria, puoi immaginarlo. Per quanto lei non me ne dia spesso motivo. Non dico che mi infastidisca quando me la guardano: sono orgoglioso di lei. Ma se vedo palesemente che ci provano... Perché: hai problemi di gelosia?»

      Bruno si limitò a scuotere la testa.

      «Non voglio farmi i fatti tuoi, capo. Ma se posso aiutarti... Angelo ha un altro?»

      «Voi uomini etero sapete tenere la bocca chiusa, vero? Non siete pettegoli come noi checche?»

«Alcuni sì, eccome! Non le senti le nostre chiacchiere da bar? Ma per te, Chef, lo sai che mi porterei qualsiasi segreto nella tomba.»

«Beh, ecco...» Credeva sarebbe stato più imbarazzante, invece il nocciolo della storia venne fuori di getto, quasi non riuscisse più a restargli nello stomaco. L’unico problema era lo sguardo interdetto del suo amico.

«Voi altri fate spesso queste cose?»

«A volte. Noi non l’avevamo mai fatto prima. Perché? Non è anche il sogno di ogni maschio etero: una bionda e una mora nel letto?»

«Quando guardavo i porno da ragazzino, forse. Oggi la mia bionda è tutto ciò di cui ho bisogno.»

«Ti risparmio i dettagli, lo so che hai lo stomaco debole...»

«No, non li voglio sapere, ma fammi capire: tu sei voluto stare a guardare il tuo uomo che si scopava o veniva scop... ehm scusa Chef... ora non so cosa faccia... o facciate esattamente e non sono affari miei. Ma sì insomma, il tuo fidanzato che ‘stava’ con un altro?»

«Più o meno!»

«Oh! Beh! Non so come funziona tra voi. Ma io, se avessi visto un altro che mette le mani addosso alla mia donna, gli avrei spaccato la faccia!»

«Oh! In pratica lei ti aspetta ubbidiente nella caverna e chi entra nel tuo territorio lo prendi a mazzate con la tua clava?»

«No Chef! Non sono un cavernicolo! Vittoria fa tutto quello che vuole: ha il suo appartamento, i suoi amici e io mi fido ciecamente di lei. Ma... vederla insieme a un altro, no! Gli spaccherei la faccia!»

«Sai, Fil, anch’io ho cercato di non essere un cavernicolo! Vedevo che guardava... altri uomini, come faccio anch’io del resto. Tranquillo, non te, Fil. Mi sono detto: siamo uomini, è normale, sappiamo come vanno le cose. Se dobbiamo divertirci in giro, meglio che lo facciamo insieme. Mi sento così coglione. Sono stato io a proporglielo, ma quando me lo sono visto davanti, con un altro, non vorrei mai dirglielo ma... mi ha dato fastidio...» si vergognava soltanto a dirlo.

«Vorrei vedere!» rispose secco Fil «Io gli avrei spaccato la faccia! E anche Vittoria se mi trovasse con un’altra spaccherebbe la faccia a tutti e due!»

«Non posso dire che non vi capisca!»

«Magari per due uomini è diverso, ma io credo che... se ami qualcuno, vuoi che sia solo tuo. Io almeno sono fatto così: gli avrei spaccato la faccia!»

«Grazie Fil. Hai chiarito il concetto.»

«Vuoi una mano a spaccargli la faccia?»

«No, grazie amico! È tutto a posto. E mi raccomando: qualsiasi segreto nella tomba!»

      «Croce sul cuore! Buona fortuna Chef!»

«Notte Fil, grazie!»

 

Sarebbe stato facile essere come Fil, vivere i propri sentimenti in maniera così istintiva e semplice. Ma se quella era la reazione normale di un uomo normale, perché lui si vergognava tanto solo ad ammettere ciò che aveva provato? Perché si sentiva andare a fuoco la faccia solo al pensiero di ciò che aveva visto e del modo in cui lo aveva fatto sentire?

«Si vergogni!» gli gridava il dottore.

Bruno era completamente nudo davanti a lui, non osava neppure alzare le mani a coprirsi le pudenda. Il dottore si era sfilato la cinghia dei pantaloni, portava dei boxer briefs neri sotto la camicia ancora abbottonata, con tanto di cravatta amaranto. Un’accattivante erezione chiaramente in vista.

«Mi dispiace!» berciava lui in imbarazzo.

«Silenzio! Si vergogni!»

Era prono sul lettino del paziente mentre sentiva la cinta abbattersi e colpirgli la schiena, sferzare le natiche. Sentiva la propria bocca gemere e urlare.

«Si vergogni!» ripeteva il dottore.

Scacciò quell’infelice sogno a occhi aperti.

Perché si sentiva così? Era per la sfida che Angelo gli aveva lanciato? O in realtà l’aveva lanciata lui per primo e il suo uomo l’aveva raccolta e inaspettatamente aveva saputo giocarla meglio di lui? Perché doveva essere tutto una sfida? Loro due si amavano. Non avrebbe dovuto contare solo quello? Erano le ultime parole di Fil che lui non aveva ascoltato: ‘Chef, so che non sono affari miei, ma non ci pensare più e torna da lui! Voi due, si vede che siete così felici insieme da commuovere persino un troglodita mezzo omofobo come me!’. Ma Bruno non ci era riuscito. La cosa migliore gli era sembrata allontanarsi e riflettere. E così se ne era andato una settimana al nord.

      Tutti quei pensieri rombavano nella sua testa, come le nubi nel cielo, mentre, lasciatosi ormai l’eterna frenesia della città alle spalle, parcheggiava la moto e, incurante del temporale in arrivo, scendeva a piedi sulla riva del lago. Quel luogo gli dava pace. S’inerpicò su un lato della collina, in mezzo al boschetto. Era il suo luogo, quello dove veniva quando aveva voglia di stare solo. Soltanto una volta ci aveva portato Angelo, una delle loro prime uscite. Non sapeva cosa avesse colpito esattamente quello strano ragazzo. Forse era stato quando gli aveva raccontato che sotto il colle -così aveva sentito dire- un tempo era sorto un santuario della dea Diana. In realtà Angelo lo sapeva già. Sapeva sempre tutto. Fatto sta che, complice la primavera, il riflesso del tramonto e del cielo azzurro sull’acqua, l’intimità delle confidenze all’ombra degli alberi, o la calura che aveva spinto Bruno a togliersi la camicia, sotto la protezione del boschetto sacro, il bel giovane gli aveva finalmente concesso le primizie a lungo sospirate. Era stato qualcosa di insolitamente dolce per le abitudini di Bruno, ma inaspettatamente piacevole: ancora adesso non riusciva a toglierselo dalla mente. Anche ora che il lago era plumbeo nel riflesso della tempesta.  Il vento gli tagliava la faccia, danzava nella lunga chioma che ora non c’era più, recisa e deposta assieme alla spada e all’arpa del bardo giramondo, nel momento in cui aveva deciso di prendere moglie e ritirarsi a vita privata nel suo castello. Le gocce di pioggia sulla testa, sulla pelle, si addicevano al suo umore. Aveva voglia di togliersi i vestiti e gettarsi nell’acqua fredda sotto il temporale, guadagnare il largo ad ampie bracciate, sfidare l’abisso. L’abisso del suo cuore, che ogni tanto si riapriva ancora una volta in una voragine senza fondo. Valeva la pena soffrire tanto per una persona sola? Per qualcuno che un giorno non ci sarebbe stato più? Come tutti quanti, come tutto quanto. Cos’era alla fine un rapporto a due se non un consolarsi a vicenda delle ferite della vita, fingere di trovare un senso uno nell’altro, finché non arrivava l’ora di crepare? Alla fine, in un modo o nell’altro, c’era solo l’abisso. Un tempo, quand’era rimasto solo al mondo, quando lo assalivano pensieri come quello, li soffocava in una bottiglia di vodka o prendeva il suo basso e cominciava a suonare. Suonava per non piangere. A volte lasciava che fossero la carne e i muscoli di uno sconosciuto a dargli la scarica di elettricità che gli permetteva di non pensare. Era sopravvissuto contando sulle sue sole forze e si era costruito una vita. E poi era arrivato il suo Angelo biondo, nomen omen. Con quella testa piena di sogni, di idee incontrollabili, così spaventato dalla vita, nonostante questa fosse stata tanto generosa con lui. Da quando lo conosceva aveva fatto di tutto perché quel ragazzo non dovesse mai sentirsi come si era sentito lui, per proteggerlo dall’abisso. Ma da quell’ultima notte si era reso conto che Angelo non aveva affatto bisogno di essere protetto: il passerotto implume aveva spiccato il volo, ora sembrava così sicuro di sé, gli aveva tenuto testa in modo tanto sublime nello studio del dottore. Era così bello, con quella chioma alla moda dai riflessi dorati, quello sguardo altero, quella barbetta da moschettiere che incorniciava la bocca dal sorriso innocente e malizioso al tempo stesso, che Bruno avrebbe voluto divorare di baci: E quella camicia elegante e sexy, da strappare via senza pietà, che gli fasciava i fianchi dalla curva sinuosa, quei fianchi che lo supplicavano di essere afferrati e fatti dimenare in una danza isterica di piacere. Neanche la pioggia offriva refrigerio ai suoi pensieri fumanti. Lo spettacolo sublime della natura in tempesta.

Quel luogo gli ricordava paesaggi nordici che aveva visto una vita fa. Le colline della Cornovaglia, le coste dell’Oceano, le maree della Bretagna. Ricordava una volta che con un paio di amici spiantati si era ritrovato in uno di quei vecchi borghi medievali fortificati sul mare. Un gruppo folk del luogo suonava rock celtico cantando in una lingua sconosciuta, capelli e barbe non molto diversi da quelli che portava lui all’epoca. La gente in costume medievale per un festival. Un paio di caraffe di sidro locale al tavolo di un’antica osteria dalle mura di pietra. E una vecchia strega gli aveva letto il futuro nelle conchiglie biascicando parole prive di senso: «Il tre, mio cavaliere, non sempre è un numero fortunato!» aveva blaterato con voce enfatica in un francese stentato «Non sottovalutare mai il tuo avversario. E quando incontrerai un cavaliere più forte di te, arrenditi. Solo nella resa troverai la felicità!». Allora si era chiesto cosa mai avesse voluto dire.

Adesso un raggio di sole indorò l’acqua del lago, le nuvole si diradavano. Era stato solo un temporale estivo. E Bruno sapeva fin troppo bene cosa avrebbe dovuto fare.

 

      Il sole stava calando quando rientrò in casa. Angelo era seduto al suo scrittoio, in soggiorno, a scrivere al suo laptop, accanto a un vaso di ficus da appartamento.

«Ah sei tu!» fece lui alzando gli occhi, allarmato solo per un attimo. Il sole calante filtrava dal finestrone accendendo d’oro i suoi capelli biondo scuro, i suoi occhi verde-bruno e il contorno della sua guancia barbata.

«Chi ti aspettavi?» replicò Bruno. Era strano riconoscere nel bel volto di uomo che lo fissava l’imberbe efebo biondo per cui aveva perso la testa anni prima. Del ragazzo aveva ancora la gestualità aerea e la dolcezza dello sguardo, mista al piglio della sicurezza che aveva trovato in sé stesso con il tempo. Era nudo, fatta eccezione per un paio di calzoncini bianchi da spiaggia. La sua pelle aveva un appetitoso colorito ambrato: doveva aver preso il sole nel periodo in cui Bruno non c’era stato. Le sue spalle e il suo fisico si erano irrobustiti, mineralizzati rispetto a quelli del ragazzo magro e longilineo, ma mantenevano ancora qualcosa di diafano. Aveva solo pochi peli sul petto e sulle gambe, un po’ di più sotto quei calzoncini che Bruno già sognava di strappargli di dosso.

      «Quanto sei bello!» fu la prima cosa che gli uscì dalla bocca.

      «Continui la storia della vedova allegra vittoriana?» continuò scherzando dopo un momento di silenzio.

      «No! Ho rinunciato a quel capolavoro per casalinghe-minchia.» replicò Angelo secco «Non faceva proprio per me! Ho deciso di scrivere quello che avrei sempre voluto. Una storia reale, qualcosa di contemporaneo, di introspettivo.»

      «E di cosa parla?»

      «Di un giovane omosessuale, che scopre la vita, la propria natura...»

      «E trova l’amore?»

      «Forse sì.» replicò lui, guardandolo negli occhi con un sorriso amaro «Ma alla fine non puoi mai sapere se è quello giusto o se tutto è destinato a finire...»

      «Non dirmi che ha trovato un emerito idiota che ha rovinato tutto per una cazzata?»

      Angelo sorrise, si alzò in piedi di scatto. Aveva le movenze leggere di un danzatore, abbastanza delicate da risultare eleganti e da farti venire voglia di avvinghiarlo tra le braccia e coprirlo di baci, ma mai tanto da risultare ridicole. Stavolta però fu lui ad avventarsi su Bruno e appiccicarlo al muro.

      «Sì, sei un idiota!» ringhiò a bassa voce «Ma qualunque cosa accada, voglio almeno un altro ricordo che sia soltanto di noi due». Lo afferrò per la collottola trascinandolo in un veemente bacio che pareva quasi un morso.

      La finestra era aperta. Il rumore del traffico, il cinguettio degli uccelli e il vociare dei passanti erano tutti là, nella stanza assieme a loro. Ma ad Angelo sembrava non importare e Bruno si lasciò trascinare dalla foga del desiderio, mentre l’altro gli strappava di dosso i vestiti. Si arrese mentre lo sbatteva nudo sul tavolo della cucina e montava infuriato sopra di lui.

Quando ebbero finito, ebri e mezzi morti, restarono sdraiati sul freddo asse di legno in mezzo ai centrotavola rovesciati. Ma i loro corpi erano ancora ardenti, intrecciati uno all’altro in improbabili contorsioni. Bruno si sentiva sottosopra e sottosopra vedeva il mondo intero, con la testa sporta all’ingiù oltre il bordo del tavolo.

«Uuh! Ehi, che fai?»

Risollevò la testa sopra il ripiano su cui le sue membra erano distese, scomposte e sfatte. Angelo lo guardò in silenzio. Era seduto a gambe incrociate sul lato opposto del tavolo e gli stava massaggiando i piedi, tenendoseli in grembo. Finalmente Bruno aveva capito: per tutti quegli anni aveva tentato di dare tutto sé stesso per prendersi cura di Angelo, ma in realtà era stato lui l’ancora che l’aveva tenuto a galla. Era così dolce arrendersi adesso. Il suo bel cavaliere ce l’aveva. E quanto fosse forte in fondo lo aveva sempre saputo. Lo doveva solo a lui se, dopo tanti anni, aveva ritrovato la propria famiglia, se aveva potuto stare vicino a suo padre poco prima che si spegnesse. E adesso non avrebbe certo gettato via tutto quello che avevano perché aveva scoperto una propria debolezza, per una scopata, a due o a tre che fosse.

«Aaah! Piano! Il solletico no!» lo trattenne. L’altro non rispose, si limitò a sporgersi in avanti e baciargli la punta dell’alluce. I pettorali gli si contraevano in modo adorabile quando si piegava così. Bruno gli stuzzicò un capezzolo eretto con la punta dell’alluce libero. Finalmente riuscì a strappargli un sorriso.

«Mi dispiace per le cose che ti ho detto oggi pomeriggio» sussurrò.

      Angelo sorrise di nuovo: «Anch’io ho esagerato. E mi dispiace che tu ti sia sentito così. Ma c’è una cosa che proprio non riesco a capire...» soggiunse alzando gli occhi a guardarlo.

      «Oh!» Bruno era spaventato all’idea di un’altra, ennesima discussione.

      «Quella notte sembravi così a tuo agio, eri preso, focoso, sembrava davvero che ti piacesse. Come hai potuto fare l’amore in quel modo, quando invece non ti è piaciuto affatto? Come hai potuto fingere così con me?»

      Confuso Bruno si sollevò su un gomito. Non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere e neppure lui era certo di sapere la risposta.

      «Ma non ho finto.» cercò di rispondere a sé stesso prima ancora che all’altro «Sai, il sesso non funziona per tutti come per te. Non tutti siamo così... adorabilmente cerebrali. Lì per lì il mio istinto ha reagito e mi sono lasciato trascinare. E non dico che non mi sia piaciuto, fisicamente intendo. Ma alla fine, quando ti sei sdraiato nel nostro letto con lui, lui in mezzo a noi due, mentre vi guardavo, sfinito, dopo quattro orgasmi -ogni traccia di desiderio svanita-, ripensavo a quello che avevo fatto e mi sembrava di non essere stato io. È stato orribile. Ripensavo a te con lui e faceva male! Ma tu eri felice e non volevo deluderti». Si sentiva stupido come un bambino. Angelo si sporse verso di lui e gli passò una mano tra i capelli.

      «Sss! Basta così! Perdonami! Ma avresti dovuto dirmelo. Non voglio mai più che tu ti senta così per colpa mia, ok?»

«Vorrei essere un uomo migliore. Essere stato orgoglioso di te. E basta»

«Sei umano. Non puoi sempre essere forte per me». Angelo se lo strinse contro una spalla e gli pose un bacio sulla fronte.

      «Sai» fece Bruno, quando si sciolsero dall’abbraccio, sollevandosi a sedere sul bordo del tavolo «Oggi mentre girovagavo in moto da solo, ho ripensato a che razza di sbandato ero prima di incontrarti, ai viaggi che ho fatto alla ricerca di me stesso. Hai mai visto la Bretagna?»

      «No, mai»

      «Penso che dovrei tornare là, rivedere come sono quei luoghi adesso, capire cos’ero e cosa sono diventato.»

      «Vuoi partire di nuovo?» chiese Angelo perplesso, con uno sguardo triste negli occhi.

      «Vorrei tornarci con te, se ti va.»

      «Un viaggio insieme? Certo che mi va. Sei troppo vecchio per fare l’hippy girovago solitario. Appena riuscirò a mettermi in ferie...»

      «Già. La tua vita è a un punto di svolta adesso. Ho sempre saputo che prima o poi avresti avuto successo. E voglio essere fiero di stare accanto a te.»

      Angelo lo cinse da dietro con le braccia e lo baciò: «Ti amo. Ma non parlare mai più di successo a voce alta: porta iella!»

      «Ma che intendevi quando hai detto ‘qualunque cosa succeda’: non pensavi mica che ci saremmo lasciati per una cazzata del genere!?»

      «Beh, ultimamente sei stato talmente strano che non sapevo più cosa pensare»

      «Scusami, in realtà ho temuto che te ne andassi tu e ho giocato d’anticipo. ...davvero un giorno avrai voglia di andartene a prenderti i tuoi sfizi e io non ti basterò più?»

      «Ti piacerebbe? Ma io non vado da nessuna parte. E nemmeno tu» replicò puntandogli un dito contro il petto «o ti stacco gli attributi!»

      «Aaaaah!» calò la mano a proteggersi da quella stretta un po’ troppo feroce sulle sue parti basse. «Ok, messaggio ricevuto. Finché sarò certo di averti vicino a me, posso fare qualsiasi cosa.»

«Ti ricordi quel mitico appuntamento al tuo ristorante?» chiese Angelo sorridendo «Quando l’abbiamo fatto sul ripiano della cucina pieno di farina e di sugo e...» 

«Come dimenticarlo? Volevo fare colpo cucinando per te, ma non abbiamo resistito due minuti.»

«Lo credo: eri troppo arrapante con il grembiule e il cappello da Chef»

«E tu eri una prelibatezza che aspettava solo di essere cucinata a puntino!»

«E tu ci sapevi fare. E con tutti quei sapori mischiati...»

«Ti amo» lo zittì Bruno con un sorriso «E stavolta non lo dico perché voglio qualcosa. Lo giuro»

 

«Buongiorno!» questa volta il dottore pareva più cordiale del solito. E più colorato del solito. Camicia lilla, intonata con il foulard che gli fuoriusciva appena dal taschino della giacca. Molto fashion, forse un po’ più gay del solito? Bruno aveva questa impressione, ma si chiese cosa ne pensasse Angelo: sul look era lui l’esperto. Ma, la cosa più incredibile, niente cravatta. La camicia discretamente sbottonata lasciava intravedere la linea di demarcazione di due pettorali ben torniti e una nuvola di peluria scura e animalescamente conturbante. Bruno gettò uno sguardo di sbieco ad Angelo, certo che l’avesse notata: lui adorava i petti villosi. Angelo si limitò a guardarlo e sorridere, allungò una mano a stringere una delle sue, Bruno ricambiò la stretta.

«Mi sembra che le cose vadano molto meglio!» osservò il dottore rompendo appena la sua glaciale impassibilità con un sorriso.

«Decisamente» rispose Angelo.

«Mi dica Angelo: ha riflettuto su ciò di cui avevamo parlato l’altra settimana?»

«Ci ho riflettuto e ho agito, dottore! Gliel’ho detto!»

«Al suo collega etero?»

Angelo annuì.

«Come ha reagito?»

«Bene. In realtà lo sapeva già, anche se non lo ha detto apertamente»

Non c’era di che stupirsi. Bruno non riuscì a trattenere una scrollata di sopracciglia, Angelo rise.

«Però è rimasto sorpreso quando gli ho detto che eri il mio compagno: non credeva che anche tu fossi gay.»

«Troverà inverosimile che un gay possa essere fan dei Guns & Roses!»

«E non è tutto, dottore, ci ha anche invitato al suo matrimonio il prossimo autunno, tutti e due»

«Si sposa!» esclamò Bruno con aria trionfante.

«Sì, dopo tre anni di fidanzamento. Anche se, a quanto pare, è piuttosto riservato e non ne aveva parlato molto in giro»

«Ti avevo detto che era un ragazzo serio. Ma tu credevi alle... stupidaggini della vostra segretaria. Non gli hai detto che hai una cotta per lui?»

«Ora non esagererei a testare la sua apertura mentale. Anche se... non escluderei che si fosse accorto anche di quello!». Era adorabile quando arrossiva da solo.

«E Lei, Bruno» lo sfidò il dottore con il suo sguardo spietato da Master «Ha riflettuto su quanto emerso le ultime volte?»

«Aye Doc! Purtroppo devo accettare i miei limiti. Sono umano e a tutti gli uomini capita di avere paura»

«Lei ha paura, Bruno?»

Angelo gli strinse la mano e Bruno capì di aver imparato la lezione: qualche volta poteva ammettere di avere paura, a volte poteva essere anche lui ad avere bisogno di aiuto.

«Ho avuto paura che quando il mio Angelo si fosse accorto di che uomo bellissimo e incredibile è diventato, capisse di non avere più bisogno di me e...»

«Crede che il suo partner stia con Lei perché ha bisogno di Lei?»

La stretta della mano di Angelo nella sua valse più di mille parole.

«No, Doc, so bene che non è così. Ma vedere con i miei occhi che non ne aveva è stato un colpo. Un momento di debolezza. Credevo di essere un esperto in materia di avventure sessuali, di sapere come avrei reagito, ma in realtà è stata la prima volta anche per me. Condividere l’uomo con cui voglio passare il resto della mia vita è tutt’altra cosa.»

«E Lei, Angelo, dopo la scoperta che Le ha cambiato la vita,» soggiunse con quel ghigno impertinente che Bruno avrebbe voluto togliergli dalla faccia a suon di sculacciate sulle natiche. Nude. «è disposto a rinunciare al sesso a tre nella vostra routine sessuale?»

«Ma certo. È solo un gioco. A me basta il mio uomo!» soggiunse guardando Bruno.

«Un momento, ma io non ho detto questo» li interruppe Bruno. Il suo sguardo sfidava gli occhi del dottorone. Il giullare che era in lui era tornato.

«Ah no?» chiese il bear storcendo quella bocca carnosa che sembrava fatta apposta per infilarci dentro una lingua, o qualcosaltro. In sottofondo lo stereo passava il vecchio successo commerciale degli Hooverphonic Mad about you. Non certo la musica più virile su piazza. C’era una strana espressione negli occhi dell’orsone, nel modo in cui li studiava come se cercasse di guardarli nudi sotto i vestiti mentre cantava ‘sono pazzo di voi!’. Si era tolto la giacca. La sua camicia era più aderente di quelle che portava di solito e metteva in luce un corpaccione di tutto rispetto. Bruno lo sondò senza remore con lo sguardo, andandosi a posare sul gran bel pesciolone intrappolato nella stoffa dei calzoni.

«Si vive una volta sola, dottore. Il fatto che la prima mi abbia spiazzato non significa che rinuncerò a tentare ancora, occasionalmente. Il fatto che riconosca i miei limiti non significa che, al fianco del mio uomo, non tenterò di oltrepassarli.»

Angelo si voltò verso di lui con uno sguardo incredulo. Bruno gli strizzò un occhio divertito e improvvisamente la vecchia intesa dei loro sguardi e dei loro pensieri tornò a fluttuare nell’aria che li divideva, come fosse stata palpabile.

 

Trouble is your middle name
But in the end you're not too bad
Can someone tell me if it's wrong to be
So mad about you
Mad about you

 

«La prossima volta però ti tirerai indietro subito, se non ti andrà» lo rassicurò Angelo.

«Se non mi andrà» replicò Bruno.

«Bene!» concluse il dottore «Per quanto mi riguarda non c’è altro da aggiungere. Sapevo che c’erano tutti i presupposti perché superaste questa piccola crisi da soli. È bastato farvi parlare tra voi»

«Niente altro da aggiungere, Doc?» si lasciò sfuggire Bruno. Per un attimo si sentì un pazzo visionario, un ragazzino delle scuole medie che si perde in sogni d’amore privi di fondamento. Ma poi guardò Angelo e vide il proprio stesso sorriso malandrino sulla sua faccia. E capì che ancora una volta pensavano esattamente la stessa cosa.

«Naturalmente avete i miei contatti se avrete ancora bisogno di me» soggiunse «A meno che...» sillabò con quello sguardo colmo delle fiamme dell’inferno «Non abbiate altro da chiedermi.»

«Dottore, non ci ha detto cosa pensa Lei del sesso a tre» replicò Angelo con il suo sguardo innocente da lolita di fronte al quale Bruno non sapeva se nelle sue mutande fosse più forte l’impulso di un’erezione o di pisciarsi sotto dal ridere.

Il dottore scattò in piedi fissando entrambi con uno sguardo autoritario e omicida che poteva significare tanto ‘Voglio ucciderti!’ quanto ‘Voglio scoparti!’.

 

Give me all your true hate
And I wil translate it in our bed
Into never seen passion, never seen passion
That it’s why I am so mad about you
Mad about you

 

«Infatti! Non ve l’ho detto!» si limitò a rispondere.

«Beh, Doc, adesso non siamo più suoi pazienti, giusto?» cercò di giustificarsi Bruno.

Il dottore voltò loro le spalle. Si sparava proprio un bel paio di chiappe sotto i pantaloni del completo.

«No! Non lo siete più!» replicò.

La coppia restò un attimo con il fiato sospeso. Il dottore avanzò serrato verso la porta al suono della musica, pronto a tirare la maniglia, aprire e prendere a calci le loro di belle chiappe per buttarli una volta per tutte fuori di lì. Oppure avrebbe potuto far scattare la serratura perché nessuno li disturbasse?

      Click!


That is why I am so mad about you
Mad about you

Mad about you

Mad about you

Mad about you

Mad about you

Mad about you

 

 

 

 

 

 

 

 

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