|
Agli Uomini della Luna
Il percorso che ho
individuato mi piace molto. Passa da un versante all’altro dell’Appennino
tosco-emiliano e mi permette di fare un anello, tornando al punto di partenza.
È piuttosto lungo e ormai le giornate si sono accorciate, ma dovrei avere il
tempo per fare tutto il giro. Ho comunque la torcia elettrica: non intendo
camminare di notte, oltre tutto su un sentiero che non conosco, ma in caso di
emergenza sono attrezzato. E questa notte c’è anche la luna piena. Parto il mattino molto
presto e poco dopo le sette lascio la macchina lungo una strada sterrata,
dove un cartello indica l’inizio del sentiero. Ci sono i segni, a intervalli
regolari, e la traccia è molto chiara: impossibile sbagliarsi. Cammino di
buon passo e in poche ore arrivo al colle, al confine con l’Emilia. Mi fermo
un momento, bevo un po’ d’acqua, mangio due biscotti e ammiro il panorama. È
una giornata bellissima, senza una nuvola, con appena un alito di vento. Le
montagne appaiono limpide, non velate dalla foschia che a volte si addensa
nelle ore più calde. Guardo le cime rocciose, i prati verdi, i pendii coperti
di boschi nel pieno rigoglio di fine estate. Mi sento bene qui, quasi mi
vorrebbe voglia di fermarmi, ma intendo portare a termine la gita prevista. Il sentiero prosegue, ben
visibile, sul versante emiliano. Sono appena le dieci e se cammino di buon
passo come ho fatto finora, a metà pomeriggio sarò già di ritorno all’auto.
Sono soddisfatto. Incomincio a scendere. In
base alla carta dovrei trovare abbastanza presto il bivio, sulla destra. In
realtà non vedo sulla destra nessun sentiero. Ce n’è uno a sinistra, ma io
devo andare in direzione opposta. Che abbia perso il bivio? Se incontrassi qualcuno,
potrei chiedere, ma non passa nessuno: io sono partito molto presto e forse
questo sentiero non è molto battuto. Mi chiedo se risalire, tornando
indietro, ma decido di procedere ancora un po’, anche se ormai temo di essere
sceso troppo. Ho quasi deciso di
rinunciare e di risalire verso il colle, anche se mi scoccia, quando vedo
infine un bivio. Non ci sono cartelli, ma sulla destra parte un sentiero che
sembra mantenersi in quota. La direzione è quella giusta e lo prendo. Procedo
deciso: ogni tanto ci sono segni e la traccia taglia lungo il fianco della
montagna, senza mai abbassarsi o guadagnare quota in modo significativo. In
realtà, stando alla mia carta, il sentiero dovrebbe incominciare a salire
abbastanza presto verso il passo, da cui potrei ritornare in Toscana. Mi dico
che forse sto valutando male le distanze sulla carta. È un’area che non
conosco, per cui è facile che mi sbagli. In Norvegia mi era successa una cosa
simile: guardando la carta avevo valutato male le distanze e soprattutto il tempo
necessario, per cui ero arrivato a destinazione molto più tardi del previsto. Procedo, senza nessun
cambio di direzione significativo. Trovo due bivi, da cui si dipartono
sentieri che scendono e che perciò non vanno bene. Mi fermo a mangiare, poi
riguardo la carta. Sicuramente non sto percorrendo il sentiero che avevo
individuato, forse ne sto facendo un altro, che prima o poi dovrebbe condurmi
a un altro passo, ma mi sembra che ci sia una grande distanza. Ormai è l’una
e mi sono allontanato molto dal passo. Ha ancora senso tornare indietro, dopo
tutte queste ore di marcia? Arriverei prima di notte, questo sì. Se invece
proseguo e non trovo un sentiero che salga e mi riporti in Toscana, non potrò
tornare a casa di oggi. Rinunciare all’escursione
mi scoccia. Mi rendo conto che sarebbe la cosa più saggia, ma sono testardo,
lo so. Mal che vada mi fermerò a dormire in qualche alberghetto, sperando che
non siano tutti pieni: siamo alla fine di agosto, ancora in piena stagione
turistica, anche se non c’è più l’affollamento di ferragosto. Potrei anche scendere a
valle da questa parte: prima o poi arriverei a un paese, da cui però non
credo di poter trovare mezzi pubblici per raggiungere una cittadina. In ogni
caso escludo di riuscir a tornare sul versante toscano in giornata e, anche
se riuscissi ad arrivare prima del buio a Lucca, dovrei farmi accompagnare da
qualcuno per recuperare l’auto. Decido di proseguire, ma
mi pongo due limiti: torno indietro se la traccia non si vede bene o se entro
un’ora il sentiero non incomincia a salire. L’anno scorso un escursionista è
scomparso durante una gita tra i monti della Garfagnana e non se n’è più
saputo nulla. Procedo lungo questo
sentiero, che presenta sempre dislivelli minimi, mentre le ore passano ed è
chiaro che ormai mi conviene prendere il primo bivio che scende e sperare di
trovare un posto per la notte: anche se siamo ancora in estate ed è sereno,
non ho voglia di dormire all’aperto. Non ho con me nulla del necessario. Di colpo il sentiero
finisce su un altro, che a destra sale e a sinistra scende. Ormai è tardi per
riuscire a raggiungere l’auto, ma preferisco tornare in Garfagnana e cercare
lì un posto per dormire: domani mi sarà più semplice recuperare l’auto. Prendo il sentiero che
sale e mi avvio con un’andatura sostenuta. Per fortuna la traccia è molto ben
visibile e raggiungo un passo, quando ormai il sole sta per tramontare. Non
so dove sono esattamente, ma ho di nuovo superato lo spartiacque. Cercherò di
scendere il più possibile prima che diventi buio. Procedo molto in fretta,
senza problemi: si vede ancora bene. A una svolta vedo un edificio, isolato,
a forse un chilometro di distanza. Ci sono alcune finestre illuminate.
Ottimo. Avrò modo di capire dove sono e di ottenere le indicazioni necessarie
per raggiungere un paese. Il sentiero sembra andare
proprio in direzione dell’edificio e scendendo mi accorgo che c’è una strada
che vi arriva. Di lato sono parcheggiate alcune auto: direi che finalmente le
cose girano per il verso giusto. Magari otterrò un passaggio verso valle.
Escludo di riuscire a recuperare l’auto di oggi, ma se almeno arrivo a
Castelnuovo o a Lucca, in qualche modo domani mi arrangio. Il sentiero passa sopra
l’edificio che ho visto e mi chiedo se non tagliare tra i campi per
raggiungerlo, quando mi accorgo che c’è una deviazione sulla destra che
scende proprio in direzione della casa. La prendo e in pochi minuti sono
sulla strada, a nemmeno cinquanta metri dalla costruzione. Avvicinandomi vedo
l’insegna. Sopra è scritto, grande, Agli
uomini della luna e sotto, più piccolo, Locanda. Non avevo pensato che potesse essere un albergo. Se non trovo un passaggio,
magari posso dormire qui, sempre che ci sia posto. Entro e do un’occhiata.
L’ingresso è un locale non molto ampio, con una scrivania, due sedie e un
armadio. Sono mobili vecchi, direi di fine Ottocento. Alle pareti alcune
fotografie notturne, di paesaggi illuminati dalla luce lunare e, sulla parete
opposta all’armadio, una grande carta geografica della Garfagnana. Tutto
sembra ordinato e pulito. Arriva un uomo che deve
avere pochi anni in più di me. È alto, alquanto massiccio, con diversi chili
di troppo. Sembra essere molto forte: un Ercole sovrappeso. - Buonasera. - Buonasera. Mi guarda in modo interrogativo,
aspettando che io gli dica che cosa voglio. Spiego la mia situazione: - Mi sono perso
completamente durante una gita in montagna, non so dove sono, ma avrei
bisogno di raggiungere Castelnuovo o Lucca o almeno di trovare un posto per
dormire questa notte. Rendendomi conto di avere
una fame da lupo, aggiungo: - E non mi dispiacerebbe
neppure mangiare un boccone. - Da dove sei partito? - Ho lasciato l’auto su
una sterrata da Castelverde, dove parte il sentiero per il passo di Cernio. - Cazzo! Ne hai fatto di
strada. Ma come cazzo… Aspetta… sei passato in Emilia dal passo di Cernio e sei ritornato in Toscana dal passo di Sassorotto? - Sì, sono salito dal
passo di Cernio e il grosso del tragitto è
senz’altro stato in Emilia. Non so come si chiami il passo da cui sono sceso,
ma è qua sopra, dal passo che ho fatto il sentiero scende direttamente fino
alla strada qui davanti - Sì, è il passo di Sassorotto. Cazzo! Devi essere un buon camminatore. E di
certo ti sei alzato presto per fare tutta quella strada. Sarai piuttosto
stanco. Ora che me lo dice, mi
rendo conto che è così. Fino a ora ero in tensione e non avvertivo la
stanchezza, ma adesso mi stenderei volentieri. Non so se ho più fame o sonno. - Direi di sì. - Allora, senti, io ti
posso portare all’auto, in meno di un’ora ci arriviamo, ma non posso
andarmene prima delle undici. Devo dar da mangiare. Ah, a proposito, parlavi
di mangiare, non ci sono tavoli liberi e neppure camere, ho solo sei tavoli e
tre camere, ma ti posso far mangiare nel salottino. Poi puoi sonnecchiare o
leggerti qualche cosa e quando ho finito in cucina, ti porto all’auto. Una
volta che ho finito con i dolci, a portare il caffè e a chiudere ci pensano i
ragazzi. - Sei il cuoco? - Locandiere e cuoco. Non
si vede? Sorride e allarga le
braccia. Ha una bella pancia sporgente, ma è anche molto muscoloso. Esito. L’idea di
recuperare l’auto questa notte e tornare a dormire a casa mi sembra
meravigliosa, ma lui lavora e gli faccio fare molto tardi. - Sei davvero molto
gentile, ma mi spiace farti fare un viaggio dopo che hai lavorato tutto il
giorno. - Non ti preoccupare.
Domani della colazione possono occuparsi i ragazzi, tanto è solo per sei
persone, gli altri tavoli sono di gente che non dorme qui. Ma escludo che
qualcuno di loro ti possa portare a recuperare l’auto. - Magari fino a Lucca… - No, dormono in valle. Al
massimo a Castelnuovo, ma poi che fai? Ti porto io, non mi pesa. Non insisto. Arriverò a
casa verso l’una, ma va benissimo: non speravo più di poter recuperare l’auto
in giornata. - Allora, grazie! - Vieni, ti accompagno nel
salottino. Esito un momento. - Scusa, non voglio farti
perdere tempo, ma mi fai solo vedere sulla carta dove sono? Poi guardo quella
che ho nello zaino, così ricostruisco il percorso. - Certo. Si avvicina alla carta e
mi indica dove parte il sentiero che ho preso in mattinata. - Ecco, tu sei partito di
qui, sei salito al Cernio, poi hai preso questo
sentiero, fino qui. - Ma doveva esserci un
bivio prima, non l’ho visto. Sulla carta il bivio c’è. - Si vede poco, il
sentiero quasi non c’è più. Tu hai proseguito di qui, poi sei salito al Sassorotto e infine sei arrivato qui. Mi indica sulla carta il
segno di un edificio e aggiunge: - Hai fatto un bel giro,
cazzo! - Grazie. Certo che sono
proprio da tutt’altra parte rispetto a dove contavo di arrivare… - Direi di sì. Adesso ti
accompagno di là e torno in cucina. Mi fa accomodare in un
salottino, con un divano, quattro poltrone e una vecchia libreria. Un
ambiente raccolto e molto accogliente. Mi piace questo posto. - Per il bagno, quella
porta lì. La cucina è in funzione, posso portarti da mangiare tra non molto,
poi se vuoi puoi stenderti sul divano, ma secondo me si dorme meglio in
poltrona. Oppure puoi prenderti qualche cosa da leggere. - Grazie. Mi sembra una
bellissima idea. - Che cosa vuoi mangiare? - Quello che è più
semplice da preparare. Un piatto di pasta va benissimo, ma… mangio di tutto,
non c’è problema. - Va bene. Faccio un salto al bagno,
poi mi siedo su una poltrona. È comodissima. Potrei addormentarmi subito:
adesso che è calata la tensione, mi sento davvero stanchissimo. Non voglio
dormire adesso, meglio che lo faccia dopo aver mangiato, ma se rimango seduto
su questa poltrona mi sa che quando il tizio arriva con la pasta mi trova addormentato.
Mentre lo penso, mi rendo conto che non so come si chiama e che non ho
neanche detto il mio nome. Glielo dico quando torna. Prendo la carta e
controllo il percorso. Di strada ne ho fatta, le mie gambe se ne sono
accorte. Ma mi è andata di lusso. Rimetto nello zaino la
carta. Mi alzo e mi dirigo alla biblioteca. Non c’è molto, ma non sono testi
messi a caso, come spesso succede: ci sono guide turistiche di quest’area e
alcuni libri fotografici sulla Garfagnana e su Lucca. Ci sono anche alcuni romanzi.
Diversi sono opera di Vincenzo Pardini. Lui lo
conosco e so che è del Lucchese: ho letto
Il racconto della Luna, che mi era piaciuto. È una lettura di quindici
anni fa, avevo vent’anni, allora. Se non ricordo male nel romanzo si parlava
di uomini della Luna: che abbia qualche legame con il nome della locanda? Non conosco gli altri
autori. Forse sono anche loro del Lucchese. O magari sono romanzi ambientati
in Garfagnana. Questa biblioteca è stata creata scegliendo con cura i testi.
Ci sono dei libretti più piccoli. Ne prendo uno. Gli uomini della Luna, tra storia e leggenda. Il titolo mi
incuriosisce. La locanda si chiama Agli
uomini della Luna. Guardo gli altri opuscoli, ma sono tutte copie dello
stesso. Ne prendo una e vado a sedermi. Incomincio a scorrere il
testo. Scopro che quella degli Uomini della Luna è una leggenda diffusa da
queste parti. E adesso che lo leggo, mi pare di averne già sentito parlare,
ma non saprei quando e da chi. O forse è solo il ricordo del libro di Pardini? L’autore del testo riporta
quello che si diceva di loro: nelle notti di luna piena questi uomini si
riunivano nei boschi e svolgevano riti misteriosi. Alcuni li accusavano di
compiere sacrifici animali agli dei pagani, in particolare a un dio cornuto,
che secondo l’autore potrebbe essere il celtico Cernunnos. Alcuni credevano
che venissero sacrificati anche uomini adulti. Altri parlavano di
accoppiamenti contro natura o di stupri di gruppo ai danni di vergini.
Insomma, circolavano molte voci, ma non si sapeva nulla di preciso. In città
molti pensavano che si trattasse solo di voci senza fondamento, ma la
credenza era molto diffusa nelle campagne. Mi interrompo perché sento
arrivare un’auto, poi delle voci. Poco dopo sopraggiunge il locandiere con
una tovaglietta, tovagliolo e posate in una mano e un piatto fumante
nell’altra. Mi si risveglia una fame da lupi. - Ho preparato delle
fettuccine. Adesso ti porto da bere. Acqua gassata o naturale, vino bianco o
rosso? - Acqua naturale, un
bicchiere di vino bianco, non di più, poi dovrò guidare di notte per una
strada di montagna. Lui sorride, mentre lo
sguardo gli cade sul libretto che ho in mano. - In tema con la locanda. Intanto mi è tornato in
mente che devo dirgli almeno come mi chiamo. - Non mi sono presentato. Mi
chiamo Lorenzo Tancredi. - Io sono Lapo. Non mi dice il cognome, ma
a che servirebbe? Ha preparato tutto ed
esce. Io mi siedo e incomincio a mangiare. Le fettuccine con funghi e
pecorino sono eccellenti. Sarà che ho un appetito feroce, ma credo che siano,
di gran lunga, le migliori fettuccine che ho assaggiato in vita mia. Intanto Lapo torna con un
calice di vino bianco e una caraffa d’acqua. - Grazie. La pasta è
deliziosa. - Sono contento che ti
piaccia. Gusto la pasta fino
all’ultimo boccone e, anche se la razione non era certo ridotta, ne mangerei
ancora, per pura golosità. Passa qualche minuto e
arriva un altro piatto. - Torta di patate della
Garfagnana. Scusa se ti porto i piatti uno dopo l’altro, ma poi devo
occuparmi degli ospiti: ormai sono arrivati quasi tutti. Vorrei dirgli che ho già
mangiato abbastanza, ma un po’ di appetito c’è ancora e poi ho voglia di
gustare un nuovo piatto: se vale anche solo la metà della pasta, sarà un
piacere. - Benissimo, ma poi basta.
La pasta era una razione abbondante. Lapo ride. Ha una bella
risata, luminosa. - Si mangia per sfamarsi,
no? O preferisci i ristoranti dove ti portano quattro ravioli in un grande
piatto, con un po’ di erbe e salse ornamentali e ti alzi da tavola che hai
voglia di andare in pizzeria? Rido. - Ho avuto una o due
esperienze del genere e non ci tengo a riprovare. Qui di certo mi sfamerò.
Ingrasserò pure. Lapo ride di nuovo e
mentre esce mi risponde: - Tu? Con quello che hai
camminato oggi, puoi mangiare tre razioni di antipasto, di primo e di
secondo. Più il dolce. La torta di patate è
deliziosa. Adesso sono pieno e soddisfatto. Magari mi appisolo un momento.
L’occhio mi cade sull’opuscolo che ho preso dalla libreria. Mi incuriosisce e
lo riprendo in mano. Proseguo con la lettura.
L’autore riporta diverse testimonianze di gente dell’epoca, tratte da
lettere, diari e libri. In questi testi si parla della leggenda. Alcuni vi
credono, altri esprimono dubbi sulla veridicità di quanto viene riferito come
voci popolari. In generale le persone istruite appaiono più scettiche, mentre
la gente del popolo sembra prestare fede alle voci che correvano. L’autore, che deve aver
svolto un lavoro molto accurato, ha visitato archivi di ogni tipo alla
ricerca di notizie. Non emergono riscontri oggettivi. Ci furono alcuni casi
di scomparsa di uomini, ma i due che furono oggetto di indagini approfondite
risultarono non avere nessun legame con gruppi segreti e riti notturni. Nel
primo caso, negli anni ’70 dell’Ottocento, si scoprì che l’uomo aveva messo
incinta una ragazza e per sfuggire alla famiglia di lei, che lo cercava, si
era imbarcato per l’America. Nel secondo caso, di pochi anni dopo, si scoprì
che il giovane scomparso era in realtà un bandito, ferito durante l’assalto a
una casa e trovato morto dissanguato in un dirupo. Non risultavano denunce di
stupri di gruppo, a parte alcuni avvenuti durante assalti a ville e canoniche
ad opera di briganti, ma questo non è significativo: in un ‘epoca in cui la
vittima veniva spesso considerata responsabile dello stupro subito, molte
donne preferivano non denunciare. Mi stupisco che la Chiesa
non abbia indagato e non ci siano stati processi per stregoneria, ma l’autore
spiega che la leggenda si diffuse alla fine del Settecento: ormai tardi in
Europa per questi processi. Non risultando reati, le autorità civili non
avevano molti motivi per indagare. Probabilmente avevano problemi più gravi
di cui occuparsi. Sono arrivato a questo
punto dell’opuscolo quando Lapo arriva con un altro piatto. - Ancora? Ho mangiato
moltissimo. - Non vuoi assaggiare il
dolce? Mi arrendo, senza
combattere: si vive una volta sola e andarmene senza aver assaggiato il dolce
che fanno qui mi sembrerebbe un delitto. - Mi sento un maiale
all’ingrasso. Lapo ride. Mi piace la sua
risata. - Cucino pochissimo la
carne. E poi sei troppo magro: da te non ricaverei abbastanza. Questo è un benzone, la versione locale di un dolce modenese.
Probabilmente non l’hai mai sentito nominare, ormai siamo pochi a farlo. Guardo la fetta di torta,
con uvetta in superficie. Sorrido e gli dico: - Lo mangio solo perché
non voglio offenderti. - Fai bene. Se mi offendo,
posso diventare pericoloso. Inutile dire che anche il benzone si rivela una meraviglia. Lapo torna ancora una
volta per chiedermi se voglio altro. - Non ci sta più nulla. - Allora ti lascio. Credo
che partiremo non prima di due ore. - Grazie. Riprendo l’opuscolo. Alla
parte descrittiva seguono due pagine in cui l’autore fa una sintesi dei dati
ed espone le ipotesi dei pochi studiosi che si sono occupati dell’argomento
nella prima metà del Novecento: si tratta di solito di storici dilettanti,
interessati alla storia locale. Tutti concordano nel ritenere che gli Uomini
della Luna esistessero davvero e che fossero i membri di un’associazione che
si riuniva periodicamente. Alcuni ipotizzano legami con i riti della
Massoneria, altri pensano piuttosto alle prime società segrete
risorgimentali, come la Carboneria. Uno studioso, forse l’unico storico di
professione, sostiene che si trattasse di riti pagani in cui si compivano
davvero sacrifici umani: se la scomparsa di diversi uomini non risultava,
probabilmente è perché in quel periodo di rivolgimenti, come le guerre
napoleoniche, il Risorgimento e la grande emigrazione, era abbastanza
frequenta che maschi adulti si allontanassero di casa e che non dessero più
notizie. È tutto curioso, ma adesso
ho sonno, per cui conto di lasciare l’opuscolo e provare a sonnecchiare.
Volto ancora la pagina e vedo un nuovo capitolo, che nel titolo annuncia una
scoperta. La curiosità è più forte del sonno e proseguo con la lettura. La
scoperta è quella di una lettera scritta alla fine dell’Ottocento, da un uomo
molto anziano. Egli racconta di essere entrato a far parte degli Uomini della
Luna poco dopo la battaglia di Curtatone e Montanara. Il nome non mi dice
nulla, ma per fortuna l’autore del testo inserisce la data, 1848, e colloca
la battaglia nel contesto della prima guerra d’indipendenza. Nella lettera
l’uomo dice di essere stato introdotto in quella che chiama “confraternita”
da un commilitone con qualche anno in più. Questo commilitone lo portò una
notte di luna piena in una radura dove alcuni uomini nudi danzavano in
cerchio. La lettera si conclude con la frase: “E qui conobbi la mia natura,
da cui poi mai mi discostai”. La lettera finisce con questa frase sibillina. Lo studioso non ha dubbi
sull’autenticità della lettera, ma non sa a chi fosse destinata: fu ritrovata
insieme ad altre lettere, di autori diversi, senza busta. Conclude l’opuscolo
chiedendosi se non si trattasse di un gruppo di uomini omosessuali che si
riunivano segretamente. La conclusione mi delude: speravo che l’autore fosse
in grado di chiarire il mistero. Avevo aspettative eccessive: mi rendo conto
che è ben difficile arrivare a scoprire la verità a distanza di oltre un
secolo. La lettura è stata
curiosa, ma adesso sto davvero crollando dal sonno. Poso l’opuscolo e chiudo
gli occhi. Mi addormento in un attimo. Il sogno nasce dalle
esperienze della giornata, mescolando la camminata e la lettura. Vago in un
bosco, nudo. La luce lunare illumina perfettamente gli alberi, che sono
spogli. Nel sogno sono stupito di vedere gli alberi senza foglie, perché so
che è ancora estate. Mi viene il dubbio che sia un’altra stagione, ma non ho
freddo, anche se sono nudo. Forse è arrivato l’autunno mentre dormivo. Arrivo
infine a una radura, dove un gruppo di uomini danzano in cerchio, nudi, il
cazzo in tiro, tenendo le mani gli uni sulle spalle degli altri. Nel sogno mi
dico che l’autore dell’opuscolo aveva ragione: gli Uomini della Luna esistono
davvero. Mi chiedo in che secolo sono, ma non ho elementi per capirlo, perché
siamo tutti nudi. Rimango al margine del
cerchio: non voglio farmi vedere. Uno di loro però si accorge di me e mi
chiama: conosce il mio nome e mi chiedo come faccia. Io vorrei scappare, ma
non oso. Mi dico che adesso vedranno che non ho il cazzo duro e mi
picchieranno, ma mi accorgo che è venuto duro anche a me. Danzo con loro, ma
il desiderio è troppo forte. Vorrei togliere le mani e masturbarmi, ma mi
chiedo come reagiranno gli altri. Infine abbasso le braccia, ma invece di
afferrare il mio cazzo, prendo con una mano quella del mio vicino a destra e
con l’altra quella del mio vicino a sinistra. Di colpo mi ritrovo in
ginocchio e davanti a me c’è Lapo, la grossa pancia sporgente, il cazzo teso.
Me lo infila in bocca a forza e mi fotte così. Poi le sue mani si stringono
intorno al mio collo. Cerco di allontanarle, ma lui è troppo più forte. Cerco
di dirgli di non farlo, ma non riesco più a parlare. Ora sono sollevato da
terra: quattro uomini mi hanno afferrato e mi tengono in alto, sopra le loro
teste, nudo, il cazzo teso. So di essere morto, ma sento che sto per venire. - Lorenzo! Mi sveglio di colpo e vedo
Lapo davanti a me. Per un momento, ancora immerso nel sogno, mi vergogno
perché credo di essere nudo, ma è solo un attimo. - Scusa se ti ho
svegliato, ma se vuoi che ti riporti all’auto, è bene che andiamo. - Sì, sì, certo. Hai fatto
benissimo. Ora sono lucido e mi rendo
contro di avere il cazzo duro, tanto teso da farmi male. Spero che non si
veda: i pantaloni sono leggeri. Ad ogni buon conto mentre mi alzo prendo lo
zaino e lo tengo davanti a me. Lapo sorride e mi sembra che ci sia un po’ di
malizia in quel sorriso. Si sarà accorto della mia erezione? Usciamo dalla stanza. È
notte fonda ormai, ma sul crinale sta sorgendo la luna. - Luna piena, questa
notte. Non so perché l’ho detto. Lapo risponde: - Sì, la notte degli
Uomini della Luna. La sua risposta mi turba. Sono
a disagio, anche se mi rendo conto che è assurdo. Cerco di deviare il
discorso. - Senti, quanto ti devo
per la cena? - Niente. - Ma figurati! Mi hai dato
una cena splendida. - Se prenoti e ritorni, la
prossima volta ti faccio pagare, come gli altri. - Mi hai dato da mangiare,
mi riporti pure all’auto, no, non va bene. - L’ospitalità non si fa
pagare. Sorride e aggiunge: - Se non ti va bene, puoi
avviarti a piedi, tanto ti sei riposato. Nel parcheggio di fianco
alla locanda sono rimaste soltanto due auto. Saliamo su una delle due. Lapo
avvia il motore e scendiamo. Sono teso, una grande confusione in testa e il
cazzo sempre duro. Dovrebbe passarmi, ma invece la situazione sembra
peggiorare. Non capisco che cosa mi stia succedendo. Lapo chiede: - Hai letto l’opuscolo? - Sì, quasi tutto.
Interessante. In alcuni punti anche inquietante. È per quello che la locanda
si chiama così? - Sì, l’ho chiamata così
perché l’edificio era un luogo di ritrovo degli Uomini della Luna, all’inizio
del Novecento. - E questo come lo sai?
Nel testo non mi sembra di aver letto nulla del genere. - La casa apparteneva a un
fratello del mio bisnonno, su cui circolavano varie voci. Mio padre diceva
che lui faceva parte degli Uomini della Luna. E in soffitta ho ritrovato
alcune carte. C’è un diario, ci sono quattro lettere e diversi elenchi di
nomi o, per meglio dire, di pseudonimi: Lupo grigio, Orso, Saggio, Fauno e
così via. Nulla di esplicito, ma mi sento di dire con sicurezza che la casa
veniva usata come luogo d’incontro da un gruppo di uomini, nelle notti di
plenilunio. Lapo fa una pausa e
aggiunge: - Notti come questa. Non so bene che cosa dire.
Sono a disagio. La strada è buia, ma a tratti la luce lunare illumina
l’abitacolo e guardo Lapo. C’è qualche cosa di inquietante in lui. - Spero che almeno la
faccenda dei sacrifici umani non sia vera. - Non credo. Penso che il
rito a cui alcune carte fanno riferimento fosse un rito di iniziazione,
attraverso il quale si entrava a far parte del gruppo. Non posso dirlo con
sicurezza, ma credo di non sbagliarmi. Le sue parole dovrebbero
tranquillizzarmi, ma non è così. Lo guardo quando la luce lunare lo illumina
e mi sembra che ci sia qualche cosa di sinistro nel suo sorriso. - Magari erano una setta
satanica. Lapo non risponde. Scuote la
testa, silenzioso. Di colpo ho paura.
L’opuscolo, i sacrifici umani, il sogno. Vorrei dirgli di fermarsi, di farmi
scendere, ma mi rendo conto che è assurdo. Percorrendo la strada
arriviamo a un punto in cui la luce lunare non arriva più, perché siamo troppo
in basso. Attraversiamo un paese, poi un altro. Alla luce dei lampioni Lapo
non appare per nulla minaccioso, ma solo un bell’orso. Lentamente mi calmo,
ma il cazzo rimane sempre duro. - Tra venti minuti ci
siamo. Ora abbiamo preso la
strada che ho percorso in auto questa mattina. Questa mattina! Mi sembra che
sia passato un tempo infinito. - E poi ti tocca ancora
tornare alla locanda. Mi spiace. - Non torno subito. - Che cosa intendi? - Mi fermo dove hai
lasciato l’auto. Conosco il posto. È illuminato in pieno dalla luce della
luna. Non so che senso dare alle
sue parole. Sono di nuovo a disagio. Quel fottuto sogno. - E allora? - Prendo un po’ di raggi
di luna. Sai, sono anch’io un uomo della Luna. Non so che cosa dire.
Adesso stiamo risalendo e la luna a tratti illumina l’abitacolo. Guardo Lapo
e di nuovo mi sento inquieto. Arriviamo infine. La mia
auto è sempre lì, dove l’ho lasciata (e meno male: ci mancava solo che me la
rubassero, per completare la giornata). Lapo la supera e parcheggia subito dietro.
Scendiamo tutti e due. Lapo sorride. - Allora arrivederci. Mi porge la mano e io gli
do la mia. Ha una stretta vigorosa. Poi si volta e si mette sul sedile, con
la portiera aperta. Io apro la mia auto, mi
siedo e incomincio a togliermi gli scarponi (infine!) e i calzettoni, ma non
mi metto la scarpe e le calze. Rimango un momento immobile, guardando nello
specchietto retrovisore esterno: vedo Lapo che ha finito di spogliarsi. Ha il
cazzo in tiro. Prende una coperta dal bagagliaio e si allontana, senza
voltarsi a guardare nella mia direzione. Il cazzo mi fa male. È
oltre un’ora che ce l’ho duro. Non mi era mai successo niente del genere in
tutta la mia vita. Dovrei mettermi calze e
scarpe e andarmene a casa. Invece mi tolgo la maglia, la camicia, i pantaloni
e infine le mutande. Non so che cosa sto facendo, ma so che è l’unica cosa
che posso fare. Esco dall’auto e salgo
attraverso il prato fino al punto dove Lapo si è fermato, in piedi sulla
coperta. È nudo, immerso nella luce lunare. È rivolto alla luna e a me dà la
schiena. Lo osservo: le spalle larghe, la schiena muscolosa, il grosso culo,
alquanto peloso, gambe e braccia nerborute. Lui ha avvertito la mia
presenza. Senza voltarsi, tende un braccio all’indietro e io tendo il mio,
fino a che le nostre mani si toccano. Lui afferra la mia e mi fa passare
davanti a sé. Lo guardo. Il sorriso tra la barba e i baffi, il petto villoso,
il ventre sporgente, un cazzo che mi sempre enorme, teso come il mio. Lui mi
prende la testa tra le mani e mi bacia. Mi spinge la lingua in bocca, poi le
sue mani percorrono il mio corpo, sicure, brutali. È un padrone che prende
possesso di ciò che già gli appartiene. Ho paura, ma non ho più
una volontà mia. La sua stretta vigorosa, i suoi baci, il suo cazzo che preme
contro il mio ventre, tutto mi priva di ogni forza. Infine lui scivola in
ginocchio davanti a me, la sua bocca avvolge il cazzo in una carezza umida.
Spero che mi faccia venire e metta fine a una tensione ormai intollerabile,
ma lui si alza e mi guida a stendermi a terra. Si stende su di me. Il suo
peso mi schiaccia. Mi abbandono completamente alle sue labbra che baciano, ai
suoi denti che mordono, alla sua mano destra che accarezza, stringe, pizzica,
alla sinistra che scivola sotto il mio culo e stuzzica l’apertura, al dito
che la forza e si infila dentro, senza cerimonie. E infine Lapo si solleva e
mi volta sulla pancia. Mi morde le natiche, mi accarezza dalla testa alle
gambe, poi inumidisce il mio buco del culo. Ho paura. Non sono mai stato
posseduto e il cazzo di Lapo mi è sembrato enorme. Ho paura ma non sono in
grado di resistere e cedo, abbandonandomi completamente. Lui si stende su di
me. È pesante, maledettamente pesante, ed è bello essere schiacciato da
questo peso, bloccato sotto questo corpo. Me lo infila in culo con
un movimento lento. Nonostante le precauzioni che ha preso, mi fa male, un
male cane. Gemo. Non riesco a reggerlo, non riesco. Dovrei dirgli di
fermarsi, di uscire, ma taccio e lascio che proceda. Lui spinge fino in fondo
e mi sembra che sia un coltello. Poi però si tira indietro e il dolore si
attenua, quasi svanisce e adesso mi spiace non sentirlo più dentro, a
riempirmi. Ora riprende a spingere,
ma non è più così doloroso. No, è ancora doloroso, ma c’è anche piacere, un
piacere crescente. Sentire il suo cazzo in culo è una sensazione forte, ogni
volta che si ritira, tiro un sospiro di sollievo, ma quando avanza,
sfondandomi il culo, quello che provo è piacere, sì, puro piacere, nonostante
il dolore. Un piacere feroce e fortissimo. Va avanti un tempo che a me sembra
infinito. Mi rendo conto che sto per venire e anche lui dev’essere vicino,
perché accelera le spinte, il dolore si dilata, il piacere pure e veniamo
tutti e due, lui con un verso animale e io con un gemito. Sento il suo seme
rovesciarsi nelle mie viscere, mentre io verso il mio sulla coperta. Si abbatte su di me, come
un toro sgozzato. Rimaniamo un momento
immobili, storditi dal piacere, poi lui mi accarezza la testa, con molta
delicatezza. - Non ti ho fatto troppo
male, Lorenzo? Il culo mi fa male, non
poco, ma mi sento bene. - Il piacere è stato più
forte, ma mi fa male, sì. Lui mi accarezza ancora il
capo. - Ora sei entrato anche tu
a far parte degli Uomini della Luna. 2025 |