I miti di Cernunnos

 

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Tir Na Nog

 

Il ciclo di Tir Na Nog fu ritrovato solo nei primi anni del XX secolo e inizialmente diversi studiosi misero in dubbio l’autenticità di alcune sue parti e perfino dell’insieme, per le differenze di stile, che rendono l’opera disomogenea. Gli studi condotti negli ultimi trent’anni hanno mostrato come l’opera sia sicuramente autentica, anche se creata e scritta in due momenti diversi.

La prima e la terza parte, chiamate tradizionalmente Ehogan, dal nome del protagonista, e Tir Nan Og, risalgono probabilmente al V o al VI secolo d.C. e sono quindi coeve dei cicli di Cernunnos: alcuni studiosi ritengono la prima parte più antica (forse IV secolo) e la terza più recente (V-VI secolo). Entrambe vennero trascritte nell’XI secolo ed è allora che venne inserita la seconda parte, Bran, che fa riferimento alle incursioni dei Vichinghi e presenta un linguaggio sensibilmente differente.

 

 

I  - Ehogan

 

È giunto il primo plenilunio d’autunno e gli uomini si preparano alla grande caccia. Ehogan pone all’ingresso della sua abitazione la lancia dalla punta acuminata: è il segnale che parteciperà al rito di morte, come ha fatto ogni anno da quando la barba iniziò a ornargli il mento.

Ehogan accarezza la punta della lancia e due gocce di sangue scendono dal suo dito, senza che la pelle sia stata scalfita. Strano prodigio, che turba il cuore magnanimo del cacciatore: il prode non sa come interpretare il presagio. È forse un annuncio di morte? Non teme di morire nella caccia, il valoroso Ehogan: è la morte che desidera per sé e non ne vorrebbe un’altra. Meglio morire dilaniato dalle zanne del divino cinghiale che perdere le forze e doversi ridurre un giorno a guardare gli altri partire per la caccia. Cinquantaquattro primavere sono trascorse da quando Ehogan è venuto al mondo e nessuno lo batte per forza. Ma sa che anche per lui verrà il tempo della vecchiaia, se la morte non lo coglierà prima.

Forse il sangue è presagio di morte. Ben venga.

Coloro che passano osservano la lancia del magnanimo Ehogan. Non è un’arma qualunque, perché la punta per ben sei volte ha abbattuto uno dei due animali divini. Nessun altro prode, tra tutti coloro che vivono nell’isola sacra a Cernunnos, può vantare una simile impresa. Vi riuscirono altri, ma fu in tempi lontani e di loro ormai rimane solo il ricordo.

Il sole si immerge nei lavacri dell’oceano e la notte cala, oscura. Più tardi sorgerà la luna, che illuminerà la grande caccia. Una luna rossa come il sangue.

Ehogan sa che tra poco arriveranno i suoi figli. Ne ha generati trenta, alcuni oggi ancora bambini, altri ormai adulti. Anche se Ehogan non ricerca le donne, la sua forza e il suo valore hanno spinto molte di loro a unirsi a lui. Da ogni amplesso è nato un figlio, forte e valoroso. Alcuni sono ancora troppo giovani per partecipare alla caccia, ma quelli a cui la barba ormai orna il mento sono cacciatori valorosi, come il padre. Tre di loro hanno già abbattuto una volta uno dei due animali divini. Altri tre hanno incontrato la morte nelle cacce d’autunno, dilaniati dalle zanne del cinghiale o dagli artigli dell’orso, e ora fanno parte del seguito dei due possenti dei.

Quelli che arriveranno tra poco sono dodici ed Ehogan li guiderà nel sanguinoso rito del plenilunio d’autunno. Ehogan è orgoglioso dei suoi figli, che non conoscono la paura e rivaleggiano l’uno con l’altro in forza e coraggio. Splendida è la sua prole.

E anche questa sera, con un presagio di morte nel cuore, Ehogan gode nel vedere il vigore della sua maschia discendenza.

Quando la luna sorge sul mare, i cacciatori si avviano. Veloce si muove Ehogan, con i suoi cani che già fiutano la presenza delle fiere divine. I due grandi dei, il terribile Cernunnos e il possente Doche, hanno assunto la forma del cinghiale, il più temibile tra gli animali a loro sacri.

La muta di Ehogan è sulle loro tracce e presto alla luce lunare possono scorgere le ombre delle due maestose prede, le cui zanne luccicano, mandando bagliori rossastri.

Alcuni cacciatori, scesi dal monte, cercano di sbarrare la via ai due cinghiali divini, ma essi caricano, facendo strage di uomini e cani: le prede diventano cacciatori e le zanne si rivelano più fatali delle lance. Le due fiere stanno per riprendere la corsa, quando Ehogan scaglia la lancia. L’arma fatale non manca il bersaglio e raggiunge l’animale che di poco è più piccolo, colpendolo al collo. La corsa s’arresta e crolla la bestia divina, rotolando sull’erba che si arrossa di sangue.

Due forti cacciatori cercano di colpire l’altro cinghiale, ma le loro lance mancano il bersaglio e l’animale si avventa su di loro, menando orrenda strage, poi si allontana correndo. Ehogan raccoglie la lancia di uno dei cacciatori uccisi e la scaglia con forza contro il divino cinghiale. Neppure questo colpo va a vuoto: con un grugnito di dolore, la preda si rovina al suolo.

Ehogan ha abbattuto entrambi i divini animali.

Esulta Ehogan, esultano i suoi figli. Gli altri cacciatori si inchinano di fronte lui. Ehogan recide la virilità dei due sacri cinghiali, di cui si ciberà.

Tutti i cacciatori si nutrono della carne e bevono il vino inebriante.

E poi la grande festa incomincia e la luce rossastra della luna illumina i corpi nudi e ardenti di desiderio dei forti cacciatori. Essi si uniscono gli uni agli altri, ebbri di vino e di desiderio, senza remore, mai sazi, accesi dal fuoco che gli dei alimentano dentro di loro. La foresta risuona dei loro gemiti di piacere, nella notte sacra agli dei.

E a Ehogan, nel cui corpo arde un fuoco insaziabile, tutti si offrono, ma il suo desiderio non scema, perché egli si è cibato della virilità dei due divini animali. E spinti dal desiderio, a lui si offrono i suoi figli possenti ed egli li possiede e spande il suo seme nei corpi che il suo seme ha generato.

 

Giunge infine il mattino. I cacciatori dormono nella foresta, stanchi di una notte di desiderio. Solo quando il sole è alto in cielo, essi si alzano, raccolgono i corpi dei morti e ritornano alle loro case.

In grande onore è tenuto Ehogan, ora più che mai, poiché in una sola notte ha abbattuto le due prede divine. Gli uomini cantano le sue gesta, mentre l’autunno cede il passo all’inverno.

Ma il cuore di Ehogan è greve di oscuri presagi.

 

Un giorno il cielo si copre di nuvole nere e l’isola sacra al dio trema dalle fondamenta: mai simile prodigio era avvenuto, perché la forza del guardiano divino sempre l’aveva protetta. Ed Ehogan vede le immagini in cui i due dei sono raffigurati con le zanne del cinghiale cadere al suolo e spezzarsi. Ehogan grida, come se una lancia lo dilaniasse. Sgomento, non sa interpretare il prodigio.

Più tardi il cielo diviene ancora più oscuro, per la seconda volta l’isola sacra al dio trema e in tutte le case le immagini in cui gli dei appaiono come orsi cadono al suolo e si spezzano. Il gelido terrore invade gli abitanti dell'isola, che smarriti si chiedono quale orrore si prepari e invocano gli dei protettori. Ma nessuno li ascolta, perché un nuovo tempo si prepara e altri dei vanno invocati. Ehogan sente l’alito nero della morte e china il capo.

Per la terza volta trema dalle fondamenta l'isola sacra agli dei, si spezzano le immagini votive in cui gli dei appaiono come cervi maestosi, e il cielo è nero come la notte: a stento gli uomini vedono ciò che li circonda. Angoscia infinita riempie il cuore di Ehogan.

E quando infine la terra trema ancora e si spezzano le immagini dei lupi sacri, il tempio che gli uomini hanno innalzato a Cernunnos nella grande isola crolla, come se le sue mura possenti non fossero di pietra, ma di canne, che il soffio del vento divelle facilmente. La statua in cui Cernunnos e Doche sono raffigurati fianco e fianco viene sepolta sotto le macerie e non ne rimane traccia. Distrutte sono tutte le immagini sacre che raffiguravano i due dei. Il cielo è nero e orrenda tempesta pare prepararsi.

Ma ora i sacerdoti, esperti della volontà divina, annunciano che gli antichi numi tutelari sono morti e che altri hanno preso il loro posto. E quando gli uomini, tremanti, offrono sacrifici a Trwyth e Finn, i due possenti figli della coppia divina, le nubi si squarciano e il sole torna a splendere. La terra offrirà ancora frutti abbondanti e gli animali correranno numerosi per i boschi.

La vita riprende nell’isola.

 

Ehogan venera i due figli di Cernunnos e Doche, i nuovi dei tutelari. Ma nel suo cuore è scesa una cappa oscura. L’isola è splendida nel suo rigoglio primaverile, ma nel cuore del cacciatore è rimasto l’inverno. L’estate non porta calore.

E quando l’autunno ritorna e il plenilunio è ormai vicino, Ehogan chiama i suoi figli per l’ultima caccia. Alla sua progenie parla, con parole che a loro suonano aspre e difficili, ma a cui s’inchinano, memori della virtù dell’obbedienza. Con il cuore pieno d’angoscia, lasciano la casa del padre.

Quando giunge il plenilunio, i cacciatori non si dirigono alla caccia: sanno che l’antico rito è concluso e non si rinnoverà. Ma i figli di Ehogan si armano, il cuore greve, ma l’animo forte.

Ehogan li attende sulla soglia. Si è spogliato delle sue vesti, per l’ultima grande caccia, in cui sarà preda. Nelle mani ha due pugnali, che mostra ai figli, in segno di minaccia. Sa che non li userà, non lacererà la carne che ha generato.

Ehogan si allontana. I figli attendono, silenti, che la luna si alzi in cielo. È rossa come il sangue. Quando la vedono sorgere oltre il bosco, partono all’inseguimento del padre.

A lungo i cani seguono le sue tracce, scendendo nelle valli cupe e risalendo sui fianchi dei monti illuminati dalla luna, correndo nel fitto dei boschi e nei campi. E infine costringono la preda a infilarsi in una valle stretta, da cui non vi è uscita. Il maggiore dei figli di Ehogan guida i fratelli nella grande caccia. È forte, Cochran, e saldo è il suo cuore. Egli vede il padre, che si è voltato per affrontarli, i due pugnali stretti nelle mani. Cochran solleva la lancia e la scaglia contro il padre, per cui darebbe la vita, ma a cui ora dà la morte, perché questa è la sua volontà.

Vibrata con forza, la lancia non sbaglia bersaglio. Colpisce Ehogan là dove il cordone della vita fu troncato e penetra a fondo, fino a uscire dalla schiena. Crolla al suolo, Ehogan, come albero che il boscaiolo ha abbattuto con l’ascia, e il suo grido echeggia nella valle. Si avvicinano i cacciatori e guardano la preda stesa a terra, il sangue che scorre dalla ferita aperta.

Esitano i figli a fare strazio della carne del padre, ma ne conoscono la volontà.

Il secondogenito immerge con forza la lancia nel ventre del padre, fino a che la punta si conficca nel suolo: alto risuona il grido. E poi uno dopo l’altro, i dieci fratelli colpiscono colui che li ha generati, ripetendo ciò che fece il possente Cernunnos al padre divino, in un tempo di cui gli uomini hanno perso memoria.

A ogni colpo geme Ehogan, ma la vita non lo lascia: troppo forte è il suo corpo. Dodici lance sono conficcate nel suo ventre.

Su di lui si china Cochran e, seguendo l’antico rito della sacra caccia, recide la virilità del padre. Lancia un grido Ehogan, reclina il capo mentre dalla bocca il sangue sgorga copioso e rimane muto, immobile: lo coglie infine la nera morte.

Cochran si ciba della virilità del padre, ma quando i dodici guerrieri, acceso il fuoco per consumare la carne della preda, tornano là dove giace il corpo dell’uomo che hanno abbattuto, trovano un cinghiale, trafitto da dodici lance. Si inchinano agli dei possenti per il prodigio e si cibano della carne loro offerta. Poi il desiderio si accende in loro e i loro corpi conoscono il piacere.

 

Intanto l’ombra di Ehogan vaga sull’isola. Nessuno lo guida, ma il guerriero sa che deve lasciare questa terra. L’isola non appartiene più agli dei che Ehogan ha sempre venerato ed Ehogan non appartiene più all’isola. La sua ombra si dirige verso il mare e si allontana, senza una meta. Ma quando ormai è tanto lontano che l’isola si vede appena, Ehogan vede venirgli incontro i due dei da lui tanto onorati. A loro si inchina ed essi lo accompagnano a Tir Na Nog, l’isola che Cernunnos creò per ospitare i guerrieri uccisi. Qui egli riprende il corpo di uomo. Egli si prosterna davanti agli dei che ha sempre venerato, il terribile Cernunnos e il possente Doche.

Violento, un desiderio si accende in lui. Trema il forte cuore di Ehogan, che china gli occhi, ma Cernunnos pone una mano sotto il suo mento e solleva il suo viso. Sorridono gli dei invitti e lo accompagnano nel bosco a loro sacro. Qui gli dei lo stringono e saziano il desiderio che arde nel petto di Ehogan. Egli riceve in bocca il seme del forte Doche e tra i fianchi accoglie il membro possente del dio terribile. Immenso è il piacere, ma la virilità del dio è una lancia che squarcia il corpo di Ehogan e, mentre il seme si spande, la vita lascia il cacciatore.

Ma quando il sole mette in fuga la notte dall’oscuro manto, Ehogan si ridesta. Intatto è il suo corpo, perché a Tir Na Nog la morte solo per una notte può tenere le sue prede e la luce del giorno ridona la vita a chi è stato spento dal ferro o dall’amplesso del dio.

 

II - Bres

 

Bres guarda dagli spalti i guerrieri nemici, accampati sullo spuntone roccioso che si protende sul mare. Sono numerosi come i fili d’erba in un prato.

Da molti anni gli uomini del Nord giungono con le loro navi fino a queste terre lontane, affacciate sull’oceano. La loro furia si abbatte sui villaggi delle piccole isole e della costa, ma più volte essi si sono spinti all’interno di Erin, navigando lungo i fiumi. I loro cuori non conoscono pietà e i loro corpi sono forti come antiche querce. Le loro gesta sono conosciute ovunque e grande è il terrore che essi ispirano.

L’isola su cui vive Bres non è fertile: gli dei sono stati avari con questo lembo di terra che l’oceano circonda. Eppure anche l’isola è stata attaccata, tre volte. Ma ogni volta i suoi valorosi guerrieri hanno respinto i nemici, ricacciandoli in mare: non hanno paura gli uomini di Aran, saldo è il loro cuore, come il loro braccio. Essi sanno affrontare il mare e i nemici e non si piegano.

Questa volta però gli uomini del Nord non sono venuti per saccheggiare i villaggi e rapire le donne: sono giunti per conquistare l’isola e farne una fortezza da cui partire per le loro scorrerie. Non una nave di valorosi guerrieri è approdata sull’isola, ma otto, otto uccelli rapaci i cui artigli si preparano ad affondare nella carne della loro preda.

Le navi sono attraccate alla base del promontorio roccioso su cui si è schierato il forte esercito nemico. A breve distanza, gli uomini dell’isola sono asserragliati nella fortezza dalle alte mura, dove hanno trovato rifugio le loro donne e i loro beni. Ma i guerrieri del Nord sono troppo numerosi e la battaglia che si prepara non può che concludersi con una disfatta, per quanto prodi siano i guerrieri di Oisin, il re dell’isola, padre di Bres.

La luce del giorno sta scomparendo. Il sole declina verso il mare. Domani è il giorno della battaglia.

Bres scende dalle mura e raggiunge suo padre, il potente Oisin, e il fratello, Gwawl dal forte braccio. Li attende il gran sacerdote Cathbadh: egli leggerà nel fuoco il futuro che gli dei hanno riservato all’isola. Nessun altro può assistere al rito, nessun altro può penetrare nel recinto sacro.

Oisin ed i suoi figli superano la soglia e accanto ad essa lasciano le loro vesti. Nudi si chinano per entrare nel piccolo tempio all’interno del recinto. Muti si siedono intorno al fuoco che arde. Di fronte al fuoco siede già il grande sacerdote, che rimane silenzioso e pensoso. Quando tutti sono al loro posto, Cathbadh prende con le due mani una borsa di pelle e ne rovescia il contenuto nel fuoco. Le fiamme si alzano vivide, assumendo un colore azzurrognolo.

Il fumo diviene intenso, facendo bruciare gli occhi, ma schiude le menti. Il futuro si apre davanti a loro, in visioni che rapidamente cambiano e sono sostituite da altre. Vedono il forte conquistato, i guerrieri massacrati, il re ucciso, la sua testa infilata su un palo. Gwawl catturato, violentato dagli uomini del Nord, privato della virilità e poi decapitato e il suo capo issato a fianco di quello del padre, i loro corpi gettati ai maiali. Le donne preda dei vincitori, i prigionieri sterminati con ferocia, i bambini stessi uccisi, il grande sacerdote sacrificato in un rito selvaggio, i villaggi che ardono, i cadaveri gettati a centinaia nel mare. Bres che ancora combatte, con pochi uomini, e che infine si getta in mare, per sfuggire ai colpi. Lo vedono ancora nuotare nei flutti, finché raggiunge una grotta segreta. 

La visione scompare.

Sgomenti sono il forte Oisin e i suoi figli. Sapevano di dover soccombere a un nemico tanto più forte, ma non si aspettavano l’orrore che hanno visto.

Oisin rompe il silenzio:

- Terribile è il destino che attende il mio popolo, Cathbadh. Grande è la collera degli dei, che vogliono punirci così. Nulla possiamo fare per mutare la sorte?

Cathbadh prende alcune foglie da una scodella di legno e le rovescia sul fuoco. La fiamma diviene viola. Il sacerdote scruta il fumo, in cui gli altri non riescono a leggere.

Poi la sua voce risuona, profonda. Pare venire da un altro mondo.

- Sì, un sacrificio può salvare tutti gli uomini dell’isola, ma la vittima dev’essere un guerriero di sangue reale.

Si accavallano le voci dei tre uomini. Tutti si offrono. Ma Oisin intima ai figli di tacere:

- Io sono il re e a me tocca salvare il mio popolo.

Si oppongono i suoi figli, ma la voce di Cathbadh risuona:

- Non sei tu la vittima designata, Oisin.

Le parole creano il silenzio. La domanda rimane inespressa dalle parole, ma è sui volti.

Cathbadh risponde.

- Bres, tu puoi salvarti dal massacro e conoscere la gloria che ti attende. O puoi salvare il tuo popolo e andare incontro a una morte atroce.

Non esita Bres, saldo è il suo cuore:

- Ben venga la morte, se è il prezzo della salvezza per tutti.

Gwawl interviene:

- Sono il figlio maggiore. Voglio prendere il posto di mio fratello.

Cathbadh risponde:

- Non sei tu a decidere, Gwawl. La vittima che Cernunnos vuole è Bres.

Poi, rivolgendosi al giovane, il sacerdote aggiunge:

- Vedrai la tua morte, Bres.

Altre foglie scivolano dalla mano di Cathbadh nel fuoco. Le fiamme cambiano ancora colore, diventano verdognole. Nulla vedono Oisin e Gwawl, ma sul viso di Bres essi scorgono una smorfia di orrore.

- Sei ancora sicuro di voler morire così, Bres? Una vita di gloria ti attende, lontano da qui, e nessuno potrà accusarti di viltà se dopo aver combattuto fino all’ultimo sfuggirai alla morte.

Non trema la voce di Bres.

- Accetto la mia sorte, gran sacerdote. Domani farò quanto gli dei chiedono.

Lasciano il tempio Oisin e i suoi due figli, muti. Si rivestono e poi Bres prende congedo dalla madre e dalle sorelle e ritorna nel recinto sacro. Si spoglia nuovamente e si stende nel tempio. Qui trascorrerà la sua ultima notte sulla terra.

La visione orrenda è ben chiara nella sua mente. Alla sua nascita il sacerdote aveva predetto per lui un futuro di gloria. La gloria sarà sua, ma alla vita Bres rinuncia. Non c’è altro modo per salvare il suo popolo.

Bres sente l’angoscia invaderlo. Non ha paura di affrontare la morte, ma diverso è perdere la vita in battaglia o essere ucciso senza combattere.

 

Il sole si leva a Oriente, ma solo una luce fioca illumina la terra. Il cielo è coperto da nuvole di tempesta e la pioggia scende fitta. Bres non ha dormito. Presto dormirà per sempre. Ma l’angoscia si è dissolta. Ha accettato la sua sorte.

Non si riveste: come nella visione che ha avuto, nudo affronterà la morte. Davanti al recinto del tempio hanno portato il suo cavallo bianco. Bres accarezza la criniera dell’animale. Lo conduce con sé attraverso le porte della doppia cinta di mura. Dietro di lui i guerrieri richiudono la porta e la sbarrano. Ora Bres è solo, sulla spianata che scende verso l’accampamento nemico. Sente su di sé lo sguardo dei guerrieri, che dalle mura lo seguono.

Bres sorride. Va a morire e orrenda è la morte che lo attende, ma questa è la volontà degli dei e dando la vita salverà il suo popolo.

Monta a cavallo Bres, accarezza l’animale. Guarda l’accampamento nemico, da cui gli uomini stanno uscendo, per venire all’attacco del forte. Bres avverte una nuova tensione, sente il sangue affluire al suo membro, un nuovo vigore lo riempie e sprona il cavallo al galoppo verso i nemici.

Vedono il cavaliere solitario, senz’armi, i nemici, e subito si dispongono i lancieri, con le loro picche, per impedire il passaggio. Corre il cavallo, i suoi zoccoli sembrano appena sfiorare le pietre e già Bres è di fronte ai nemici. Contro di lui sono alzate le picche, ma Bres non frena la sua cavalcatura dalla bianca criniera.

Nel corpo del guerriero penetrano le picche, una dopo l’altra, e il corpo di Bres è sollevato in aria: il principe sente la carne lacerata. I guerrieri fanno a gara a trafiggere il nemico, facendone orrendo scempio.

Un grido di orrore sale dal forte. Sollevato in alto, sulle picche, il corpo di Bres gronda sangue.

Il sacrificio è compiuto.

Un fulmine scende dal cielo, sul corpo agonizzante, e un tuono immenso assorda gli uomini. Il terrore li assale.

Il fragore del tuono si moltiplica all’infinito e un grido immane si leva dall’accampamento degli uomini del Nord. L’intero promontorio su cui sono accampati i nemici sta crollando in mare. Dal forte gli uomini di Aran vedono la roccia spaccarsi e cadere sulle navi, tutto travolgendo. Per ultimo è il corpo di Bres a scomparire, insieme agli uomini che lo trafiggono con le loro lance. Un’onda immensa si leva, il mare intero ribolle.

Quando infine le onde si placano, le nuvole si squarciano e il sole splende. Nulla rimane dell’accampamento nemico e delle navi: il promontorio è scomparso negli abissi, trascinando con sé i superbi uomini del Nord.

Per giorni e giorni gli uomini di Aran troveranno sulle rive cadaveri di guerrieri, travi, brandelli di vele. Altro non resta dell’orgogliosa spedizione.

In onore di Bres essi innalzano un tumulo e qui bruciano i corpi dei nemici che il mare restituisce.

 

III – Tir Na Nog

 

Un guerriero è giunto a Tir Na Nog un prode che ha offerto la sua vita per salvare il suo popolo, Bres di Aran. Quando la barca del dio del mare ha toccato le rive dell’isola sacra al terribile dio, l’eroe si è destato, come se ad avvolgerlo nel suo nero manto non fosse stata la morte, ma solo il sonno.

Si guarda intorno stupito, il guerriero. Poi guarda il suo corpo, dove non c’è segno delle molte ferite che ha ricevuto. Ma possente è il dio terribile, Cernunnos.

Bres scende a terra e la barca si allontana. Alcuni guerrieri si fanno incontro a lui e lo accolgono. Tutti sembrano conoscere il suo nome e le sue gesta. E da loro Bres dal forte cuore apprende di essere giunto nell’isola di Tir Na Nog, che il dio Cernunnos creò per accogliere i guerrieri valorosi e i forti cacciatori. Qui gli uomini vivono, amano e combattono, ma quando la cupa notte fugge il sole che avanza, coloro che hanno incontrato la morte ritornano a vivere.

Bres viene condotto nella dimora che gli è stata assegnata. La sera egli si unisce ai forti guerrieri che vegliano intorno al fuoco. I cantori raccontano le imprese dei grandi dei e dei valorosi guerrieri, le cacce sanguinose e i riti. Certamente è il dio a ispirarli, perché mai Bres udì canti più belli. Ma quando la luna sale alta in cielo, un cantore si alza e narra del sacrificio di Bres, che salvò la terra di Aran. Ascolta stupito Bres e tutto gli pare sogno: come può quest’uomo conoscere la sua storia e cantarla? Ma al dio possente che creò l’isola nulla è impossibile.

Tra i forti guerrieri che ascoltano il cantore, vi è Ehogan. Da molto tempo vive Ehogan nell’isola divina, ma egli non ha un compagno. Il suo corpo ha conosciuto altri corpi, ha dato e ricevuto piacere, ma nessuno ha saputo conquistare il suo cuore. Ora gli sembra di non riuscire a distogliere lo sguardo dal biondo guerriero di Aran, di cui ascolta le gesta. 

Sente Bres lo sguardo di Ehogan su di sé e si volta verso di lui. Guarda il viso maschio, la barba e i capelli dove il nero e il grigio si confondono, gli occhi scuri, il corpo potente. L’uomo non distoglie gli occhi da lui e Bres avverte nel cuore un turbamento nuovo, che non sa spiegare. A fatica Bres ritorna a guardare il cantore, che ora termina il suo racconto. Tutti gli uomini alzano la coppa in onore di Bres. E mentre solleva la coppa, Bres guarda ancora l’uomo che lo fissa.

Quando la compagnia si scioglie e ognuno ritorna alla sua dimora, Ehogan si avvicina a Bres.

- Benvenuto nell’isola, valoroso guerriero. Grande è stato il tuo sacrificio.

- Come avrei potuto non sacrificarmi per il mio popolo e la mia terra?

- Nobili parole, ma metterle in atto richiede un cuore forte come il tuo.

- Grazie.

Il silenzio cala tra loro, poi Ehogan dice:

- Io sono Ehogan. A lungo ho cacciato nell’isola sacra a Cernunnos e ora vivo qui.

- Onore a te, Ehogan. Se il dio ti ha accolto è perché certo sei un uomo di valore.

Sorride Ehogan. Poi dice:

- Bres, vuoi venire nella mia dimora, questa notte?

Bres guarda il forte Ehogan. Sa di desiderarlo, ma il suo corpo non ha mai conosciuto uomo e il suo cuore si ritrae. Colui che affrontò impavido le lance degli uomini del Nord, ora teme quest’uomo possente.

- No, Ehogan. Da solo dormirò sul mio giaciglio.

Ehogan fa un cenno d’assenso. Prende congedo da Bres e si allontana, il cuore pesante. Bres rimane a guardarlo. Quando il buio della notte avvolge Ehogan, china la testa.

 

Bres impara a conoscere gli usi dell’isola, dove spesso i guerrieri si sfidano in duelli: il vincitore recide la testa del vinto e la infila su un palo davanti alla sua abitazione, ma quando i raggi del sole mettono in fuga la nera notte, i guerrieri morti ritornano in vita e solo il palo rimane a ricordare la vittoria. Bres affronta molti guerrieri in questi giochi di morte e sempre ne esce vittorioso. Molti sono i pali che circondano la sua dimora. Ehogan assiste sempre ai duelli, ma non lo sfida e non si avvicina a lui: solo dagli altri Bres apprende che anche Ehogan non ha mai conosciuto la sconfitta.

A ogni plenilunio d’autunno vengono organizzate grandi cacce in onore del dio. Bres vi dimostra il suo valore, ma nessun cacciatore eguaglia Ehogan.

 

Quasi un anno è trascorso dall’arrivo di Bres. È il momento della grande battaglia, a cui tutti partecipano e in cui quasi tutti troveranno la morte. Ogni anno si combatte, nel primo plenilunio d’estate.

Due sono gli schieramenti rivali. In uno si trova Bres, nell’altro Ehogan. Man mano che lo scontro procede e il terreno si copre di corpi, sono sempre meno i guerrieri che ancora combattono. E infine Ehogan e Bres si trovano l’uno di fronte all’altro. Entrambi hanno menato strage nell’esercito nemico, entrambi sono valorosi ed esperti. Si affrontano con vigore e ogni loro colpo sarebbe mortale se raggiungesse l’avversario. A lungo lottano, ignorando la battaglia che ancora infuria intorno a loro, finché Ehogan fissa negli occhi Bres. Di colpo si desta dentro di lui un desiderio violento, che lo stordisce. I suoi movimenti divengono incerti. È solo un attimo, breve come un battito di ciglia, ma Bres è un avversario che non perdona: la spada del giovane guerriero si immerge nel ventre di Ehogan, a fondo, fino a uscire dalla schiena del grande cacciatore.

Barcolla Ehogan, l’arma gli sfugge dalle dita, un dolore feroce scava dentro di lui, ma sorride al guerriero che lo uccide. Bres afferra il corpo a cui ha tolto la vita e lo guarda. Il desiderio si accende dentro di lui e prima che la nera morte spenga la luce negli occhi di Ehogan, egli bacia il prode cacciatore sulla bocca e gli pare che l’uomo morente ricambi il suo bacio. Ma quando le loro labbra si separano, dalla bocca di Ehogan esce un fiotto di sangue e senza vita il corpo si accascia. 

È turbato Bres, sulla bocca sente il sapore delle labbra di Ehogan. Tenendo il capo del cacciatore per i lunghi capelli, vibra un colpo deciso e lo recide.

Fissa il capo mozzato, dimentico della battaglia. Una lancia, scagliata con forza, lo trafigge. Bres guarda la punta che gli esce dal petto. Barcolla e cade riverso sul corpo del prode Ehogan. Il guerriero che ha scagliato la lancia si avvicina e decapita Bres, ma trova la morte poco dopo.

Immensa è la carneficina e il campo di battaglia rimane coperto dei corpi dei guerrieri vinti.

 

La luce del mattino non scioglie completamente la fitta nebbia che regno sull’isola. Si risvegliano i guerrieri uccisi nella grande battaglia. L’animosità di ieri è svanita. Ognuno fa ritorno alla propria dimora, rammentando la lotta feroce e scherzando con coloro contro cui ha combattuto il giorno prima. Ognuno ritrova coloro che ha ucciso e colui che gli ha tolto la vita e insieme a loro ride.

Nessuno scorge Ehogan e Bres, che tante vittime hanno mietuto, ma i guerrieri non se ne preoccupano: ritroveranno anche loro questa sera, intorno al fuoco, quando il cantore narrerà la grande battaglia.

Uno sull’altro giacciono i corpi di Ehogan e Bres, in un punto in cui la nebbia è più fitta. Infine anche i due guerrieri si destano, quando ormai gli altri si sono allontanati, senza vederli. Non si alza Bres. Rimane sul corpo di Ehogan, che ha aperto gli occhi e lo fissa. A lungo si guardano, senza riuscire a parlare. Poi Ehogan prende il viso di Bres tra le mani e lo bacia.

Per la prima volta Bres viene baciato, per la prima volta il suo corpo stringe quello di un altro uomo. E nella nebbia che li copre, essi lasciano che il desiderio li guidi. Le loro mani sciolgono i lacci e nudi si stringono e si abbracciano, finché l’eroe di Aran, il prode Bres, cede al grande cacciatore: il forte Ehogan possiede l’invitto guerriero, la sua arma si apre la strada tra i fianchi mai violati e infine entrambi conoscono il piacere. Più e più volte il desiderio li avvolge e ogni abbraccio accende i loro sensi.

Quando infine, sazi, si alzano e si rivestono, la nebbia si dirada. Non tornerà Bres alla casa dove è vissuto, perché ormai la sua dimora è quella di Ehogan.

 

2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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