Caccia grossa

 

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Hans

 

Hans è alla finestra, in attesa. Come al solito quel coglione di suo fratello è in ritardo: Mees non è mai stato capace di arrivare puntuale, come non è mai stato capace di fare affari e anche solo di lavorare. Un buono a nulla. Hans e le sue sorelle hanno ricevuto un’altra educazione, ma Mees è nato tardi, era l’ultimo figlio, il piccolino, quello a cui tutto era permesso, coccolato e viziato dai genitori e dalle sorelle. Ne hanno fatto un incapace. Se non fosse per Hans, a quest’ora quel coglione di Mees farebbe il bracciante. Ma neppure quello potrebbe fare, non ha voglia di lavorare, lo sbatterebbero fuori a calci in culo dopo due ore.

Hans scuote la testa. Ma neanche oggi quello stronzo riesce ad arrivare puntuale?!

Infine un nuvolone di polvere annuncia l’arrivo della macchina di Mees, che si ferma davanti alla porta. Mees suona il clacson due volte, come se lui non l’avesse già visto e sentito. Mees è proprio un idiota.

Hans prende il fucile e il borsone ed esce. A vedere Mees che rimane in auto, sorridente, gli girano i coglioni.

- Sei in ritardo, come al solito. Mai una volta che tu riesca ad arrivare puntuale.

Mees prova a dire qualche cosa, ma Hans lo interrompe.

- Metti nel bagagliaio il borsone e il fucile. La pistola la tengo addosso.

Hans si siede al posto del passeggero, mentre Mees scende, sistema l’equipaggiamento di Hans nel bagagliaio e risale in auto.

- Sbrigati, non perdiamo altro tempo.

Mees riparte subito.

C’è un momento di silenzio. La prospettiva di ciò che li aspetta disperde l’irritazione di Hans. Ne rimane solo un fondo, che lo spinge a brontolare ancora:

- Finalmente! Ne abbiamo dovuto aspettare, di tempo.

- Puoi dirlo! Sono otto mesi che abbiamo pagato l’anticipo.

Hans guarda Mees, una smorfia di disprezzo sul volto:

- Abbiamo? Non ricordo che tu abbia contribuito.

Quando mai suo fratello sarebbe stato in grado di pagare la cifra richiesta o anche solo una parte? Mees può ringraziare che Hans gli ha comprato la fattoria, quando ha dovuto venderla per pagare i debiti, e che lo tiene come affittuario, invece di sbatterlo in mezzo a una strada a calci in culo. Che è quello che Mees si meriterebbe. Forse sarebbe la volta che impara a fare qualche cosa.

Mees sorride, chiaramente imbarazzato. Per deviare il discorso, dice:

- Ne valeva la pena. Abbiamo avuto culo.

Hans aggrotta la fronte:

- Culo? Perché?

- Sono due…

- Così doveva essere. Abbiamo pagato per due.

- Sì, ma…, oltre al solito fottuto negro, c’è un bianco.

- Un bianco? Cazzo! E chi è?

L’idea che uno dei due sia un bianco piace parecchio a Hans.

- Un giornalista curioso.

- Quello che è scomparso… Cazzo! Abbiamo davvero avuto culo. Un bianco!

- Abbiamo pagato profumatamente, ma ne valeva la pena.

Hans storce la bocca. Gli dà fastidio che Mees continui a parlare della somma versata come se fossero stati anche soldi suoi. Comunque non ha voglia di insistere.

- Sì, davvero. Tu mi avevi parlato solo di neri, non credevo che ci fossero anche dei bianchi.

Mees ghigna.

- I bianchi sono rarissimi. Abbiamo avuto culo. Sarà una bella caccia.

Hans guarda il fratello:

- Mees, sia ben chiaro. Ho pagato io e il bianco è mio.

Mees sorride a Hans:

- Ma certo, fratellone, come vuoi.

A Hans dà fastidio che Mees lo chiami fratellone, sottolineando la differenza di età tra di loro, ma non dice nulla. L’idea di sparare a un fottuto bianco traditore, di quelli che stanno dalla parte dei negri, gli piace un casino. Ce ne sono di bastardi che stanno con i negri. Dicono che il capitano della nazionale di rugby, Ben Gardner, sia uno di quelli. Se è davvero così, Hans spera che lo fottano presto. Come fanno quei coglioni a non capire che i negri sono animali? Quelli vivevano in capanne e andavano in giro nudi, prima che arrivassero i bianchi a portare la civiltà. E dire che adesso, con la ribellione che divampa nel sud, i bianchi dovrebbero essere tutti uniti.

Bene, fottere quel traditore sarà una soddisfazione.

 

Ci vogliono nove ore per raggiungere la località prevista. Man mano che Hans e Mees procedono, la campagna si spopola: i villaggi che si vedono in lontananza diventano sempre più radi. Infine non si vede quasi più traccia di insediamenti umani. Solo un pastore, non lontano dalla strada, rimane fermo a fissare nel nulla.

Sono ormai nei pressi della grande riserva di caccia di Kerkhoven: Hans e Mees hanno detto a tutti che quella era la loro meta. Ci andranno davvero domani sera, per non tornare a casa a mani vuote: devono arrivare con un trofeo. Ma la vera caccia grossa è quella che faranno nella giornata di domani. E sabato saranno a casa per vedere la finale dei mondiali di rugby in televisione: la squadra del loro paese potrebbe vincere. Ben Gardner sarà anche un figlio di puttana amico dei negri, ma è in gamba, questo Hans deve riconoscerlo.

- Siamo quasi a Kerkhoven. Non è che hai sbagliato strada?

Mees ne sarebbe capace: magari non ha visto il bivio. Ci mancherebbe solo più questa!

- No, no. Tranquillo, fratellone. Manca ancora un po’. Tranquillo.

Come al solito, quando Mees gli dice di stare tranquillo, Hans si innervosisce, ma preferisce non dire nulla.

Infine, venti miglia prima di entrare nella riserva, Mees svolta in una pista laterale, che si inerpica verso le colline del Serpente Rosso.

- È qui?

- Certo che è qui. Mattheus mi ha dato tutte le indicazioni per arrivare.

È il tardo pomeriggio quando superano il fiume su un ponte ed entrano attraverso una gola in una piccola valle, stretta tra due pareti scoscese. Il fondovalle è boscoso, ma in alto le pareti sono spoglie. La fattoria appare appena finisce la gola. Sembra abbandonata, ma c’è un’auto.

Mees parcheggia accanto all’altra macchina e spegne il motore. Poi i due scendono. Dalla fattoria esce un uomo che si avvicina. Porge la mano a Hans e a Mees.

- Scaricate quello che vi serve e venite con me.

Hans fa solo un cenno del capo a Mees, che raccoglie borsoni e fucili. Poi lui e Mees seguono l’uomo, che li precede nella fattoria.

C’è qualcun altro: Mattheus, il capo. Si stringono le mani e Mattheus dice:

- Avete i soldi?

Hans annuisce.

- Certo.

A un cenno di Hans, Mees gli porge il borsone. Hans lo apre e ne estrae un pacco. Mattheus lo passa all’altro uomo, che lo apre e incomincia a contare le banconote. Mattheus riprende.

- Le regole le sapete. Non cucinate niente, non lasciate nulla. La fattoria deve risultare abbandonata. Ci penseranno la pioggia e il vento a cancellare le tracce dell’auto.

Mattheus guarda l’uomo che ha finito di contare i soldi e fa un cenno di assenso. Poi riprende:

- Li liberate in mattinata, quando volete, ma dopo le sei. Noi alle sei ci mettiamo all’ingresso della gola. Se cercano di scappare da quella parte ci pensiamo noi. Avete otto ore. Alle quattro del pomeriggio se non ce l’avete fatta, vengo io a darvi una mano: bisogna prenderli prima di notte, altrimenti riuscirebbero a scappare: se con il buio superano le colline, possono raggiungere qualche villaggio. Ce ne sono diversi, lontano dalla strada. Tutto chiaro?

- Certo.

Hans e Mees sono già informati di tutto.

Mees chiede:

- Possiamo vederli?

Hans lo guarda di traverso: anche lui vuole vedere le prede, ma non tocca a Mees parlare.

- Come volete.

Mattheus fa un cenno all’uomo che è rimasto in silenzio fino a ora.

- Seguite Sjors.

Sjors esce nel cortile e si dirige verso un fabbricato posto in un angolo, di fianco a quelle che dovevano essere le stalle. La porta è chiusa con un catenaccio. Sjors apre e si sposta, per lasciar passare i due ospiti.

Hans entra. Guarda i due uomini seduti a terra, un nero dalla corporatura atletica e un bianco con i capelli di un biondo rossiccio e la barba di una settimana. Sono entrambi nudi, hanno le mani legate dietro la schiena e una corda alle caviglie impedisce ogni movimento. I due guardano i nuovi arrivati, ma non dicono nulla. Hans ghigna, poi sputa a terra. La sua mano scende ai coglioni e li afferra attraverso la stoffa, in un gesto di scherno. Negli occhi del nero legge l’odio e questo lo diverte. Hans scoppia a ridere, poi si rivolge a Mees:

- Andiamo.

Escono tutti e due. I prigionieri non hanno detto una parola.

Hans e Mees ritornano nella stanza. I due uomini stanno preparandosi a uscire.

Mattheus dice ancora:

- Mi raccomando, non lasciate nulla in giro.

Hans è infastidito dall’insistenza di Mattheus: per chi lo prende, per un coglione come Mees?

- State tranquilli. Sappiamo come dobbiamo fare.

Hans è impaziente che i due si tolgano dai coglioni. Vuole rimanere con Mees e con i prigionieri, senza altra gente.

I due escono. Sulla porta Mattheus ricorda:

- Alle sei saremo all’ingresso della gola. Di là non scapperanno.

Mees osserva:

- Ma se scappano da quella parte, li ammazzate voi?

Mattheus risponde:

- Noi spariamo in aria. Torneranno indietro. Ma dopo le quattro gli spariamo addosso. Avete tempo fino alle quattro, poi ci pensiamo noi.

Hans incomincia a innervosirsi. È ora che questi due si tolgano dai coglioni. Guarda Mattheus e ghigna:

- Non arrivano fino alle quattro. Sta’ tranquillo. Non ci arrivano.

Mattheus se ne va. L’altro è già in auto. Appena Mattheus sale, l’uomo mette in moto. Hans guarda attraverso la porta scomparire l’auto.

- Bene, si sono levati dai coglioni.

Hans tira fuori un sigaro dalla tasca e l’accende.

- Non lasciare il mozzicone qui, Hans.

Hans sbuffa.

- Eddai, Mees. Lascia perdere queste manfrine. Nessuno verrà mai qui e anche se venisse, che cazzo significa un mozzicone di sigaro?

Difficile che ci siano indagini serie, anche se la scomparsa di un giornalista bianco non passa inosservata: ne hanno già parlato alla radio e in televisione. Ma quel Mattheus si occuperà di far scomparire i cadaveri e se davvero la polizia arrivasse fin qui, ci penserebbero agli alti livelli a fermare le indagini: grazie al cielo in questo paese sono ancora i bianchi a comandare e non quei negri di merda. Finché almeno quei fottuti negri non supereranno le Blue Mountains. Ma per allora, questi due bastardi qui avranno già ingrassato i vermi.

Il pensiero dell’avanzata dei ribelli ridesta in Hans una rabbia profonda. Questo paese l’hanno costruito i bianchi, sono loro che hanno portato strade e ferrovie e un governo, questa terra sono i bianchi che l’hanno saputa coltivare e rendere produttiva. I negri erano solo capaci di andare in giro nudi a cacciare le antilopi. E adesso questi figli di puttana, invece di ringraziare i bianchi che hanno portato lavoro e benessere, rivendicano la terra!

Hans non vuole amareggiarsi. Non ha senso rovinarsi la serata. Domani c’è caccia grossa. Hans pensa ai due prigionieri. Sarà un piacere sparargli.

Mees interrompe i suoi pensieri:

- Quel bianco bastardo… quello che si è messo dalla parte dei negri…

Hans lo guarda interrogativamente.

- Sì?

- Quello si meriterebbe di essere fottuto.

- Domani lo fotto. Li fottiamo tutti e due.

Il negro magari lo può anche lasciare a Mees. Il bianco no, quello vuole ammazzarlo lui.

- Intendo fottuto davvero. In culo.

Hans aggrotta la fronte.

- Se lo meriterebbe, sì. Gli infilerei in culo la canna del fucile. Magari domani lo faccio. Lo finisco così. È una buona idea.

Hans ha capito benissimo che suo fratello vorrebbe davvero fotterlo, quel bastardo. Non che gliene importi, ma gli sembra una cosa da finocchi. Forse avrebbe fatto meglio a venire da solo, ma il contatto l’aveva Mees, anche se poi è stato Hans a occuparsi di tutto e soprattutto a pagare.

Mees non demorde. Dopo un momento di silenzio, dice:

- Se non hai niente in contrario, con quel bastardo mi diverto un po’.

Hans tace un momento, poi dice:

- Adesso ci conviene fare un giro di ricognizione, prima che diventi buio.

Mees china la testa.

- Va bene.

Escono e controllano il terreno intorno alla fattoria. Il torrente scorre ai piedi di una parete e da quella parte la valle è molto scoscesa, con pochi alberi: lì è difficile nascondersi, anche se in alcuni punti il letto del torrente è molto incassato. Dall’altra parte invece il bosco è più ampio e si arrampica sulla parete, finché non lascia il posto a rocce e arbusti. I due versanti si incontrano alle spalle della fattoria, formando un anfiteatro.

Hans annuisce. Il posto è ottimo. Le due prede possono cercare di nascondersi nel bosco, ma non è abbastanza fitto: di sicuro li staneranno.

La voce di Mees interrompe i suoi pensieri:

- Peccato non aver potuto portare i cani.

- Non dire cazzate: con i cani li troveremmo in dieci minuti. Che gusto c’è?

Come al solito Mees parla senza pensare.

- Sì, hai ragione.

Quando rientrano, Mees dice:

- Adesso mi divertirei un po’ con quello stronzo.

Hans guarda Mees, ma non dice nulla. Mees aggiunge:

- Non hai niente in contrario, no?

Hans storce la bocca. Quel bastardo se lo merita, ma fotterlo... Mees dev’essere un mezzo finocchio. Non c’è da stupirsi. Hans alza le spalle.

- Fa’ quel che cazzo vuoi, ma non lo rovinare. Domani dev’essere in forma per la caccia.

- Lo sarà, lo sarà. Non gli faccio niente. Solo per insegnargli che non si sputa nel piatto in cui si mangia. Quello è un bianco, ma sta dalla parte dei negri.

Hans annuisce.

- Te l’ho detto: fa’ quel che cazzo vuoi, Mees. Basta che domani sia in grado di correre.

Mees sorride.

- Tranquillo, non lo rovino.

Mees esce.

Dalla finestra Hans lo guarda attraversare il cortile. Suo fratello è uno stronzo, che cazzo di idee gli vengono. È roba da finocchi. Ma il giornalista se lo merita. Ben gli sta. Hans preferisce usare il fucile con quella merda, invece del cazzo. Sarà un piacere fottere il giornalista con il fucile. Vuole divertirsi a vederlo crepare. Un bastardo che sta dalla parte di quelle bestie. Uno di quelli che sputtanano il paese all’estero, che dicono che anche i negri devono poter votare. I negri sono merde, hanno anche il colore della merda. Buoni solo per fare i lavori pesanti, quelli che non richiedono cervello. E le negre buone per aprire le gambe.

Hans guarda il sole che sta per scomparire dietro la cresta. Qualche cosa si muove tra gli alberi. Un babbuino, che si avvicina e lo osserva, curioso, pronto a scappare via al primo movimento brusco.

Hans pensa che assomiglia a quel coglione di Mees. Ghigna.


 

Patrick

 

- Mi spiace, Patrick. Non avrei mai dovuto contattarti.

Patrick scuote la testa: è da quando li hanno catturati che Thabo non si dà pace per averlo trascinato in questa storia. Si sente responsabile.

- Piantala, Thabo. Te l’ho già detto mille volte: non è colpa tua. È il mio lavoro e comporta i suoi rischi.

- Ti ho trascinato a morire.

- E io ho trascinato te. Siamo stati imprudenti, tutti e due, e il risultato è che parteciperemo a una di queste cacce all’uomo su cui volevamo scoprire la verità, ma io non potrò farci un bel servizio e anche tu non lo racconterai a nessuno.

- Merda!

- Lascia perdere ‘ste cazzate, Thabo.

Tra di loro cala il silenzio. Hanno parlato molto in questi tre giorni di prigionia. La coscienza di morire presto li ha aiutati a superare le remore e a confidarsi. Ora sanno molto l’uno dell’altro, anche se non tutto. Patrick non ha detto a Thabo di essere omosessuale: temeva di provocare una reazione negativa. E adesso, che guarda il bel corpo del nero seduto vicino a lui, Patrick sente il desiderio crescere. Cerca di scacciare il pensiero, non vuole avere un’erezione ora.

Improvvisamente sente un rumore metallico all’esterno. Stanno aprendo il catenaccio. Patrick e Thabo guardano verso la porta, che si apre. Entra uno dei due uomini che hanno visto prima, quello più giovane. Un uomo piuttosto corpulento, i capelli brizzolati, la camicia aperta sul petto molto villoso. Ignora completamente Thabo e si rivolge a Patrick:

- Domani facciamo una bella caccia, ma adesso voglio insegnarti qualche cosa, stronzo.

Patrick si tende. Sa che domani lo uccideranno e ha capito che i due uomini arrivati sono i due cacciatori, ma non prevedeva di dover subire violenze o torture prima della battuta di caccia che concluderà la sua esistenza. L’uomo intende picchiarlo?

L’uomo prosegue:

- Adesso ti faccio gustare il mio cazzo, pezzo di merda.

Mentre lo dice, l’uomo si abbassa i pantaloni e le mutande, poi se li toglie. Ha il cazzo duro che svetta contro i peli neri del ventre.

Patrick non dice nulla. Sa che non può opporsi. Con la coda dell’occhio ha avvertito il movimento di Thabo, che si è irrigidito. Hanno tutti e due mani e piedi legati: che possono fare?

Patrick guarda il cazzo dell’uomo. Non gli spiacerebbe sentire un’ultima volta un bel cazzo in culo, ma quest’uomo è il suo assassino e l’idea che sia lui a fotterlo suscita solo ripugnanza. E soprattutto vorrebbe che Thabo non fosse presente. Patrick sa benissimo di essersi innamorato di Thabo. Il bel guerrigliero forte e coraggioso lo ha affascinato fin dal loro primo incontro, lavorando insieme ha imparato ad apprezzarlo come persona e la prigionia li ha ulteriormente avvicinati. E proprio Thabo assisterà alla sua umiliazione.

L’uomo afferra Patrick per i capelli e lo spinge violentemente a terra, a pancia in giù. Patrick cerca di non sbattere la testa, cadendo. L’uomo è su di lui. Nonostante la rabbia e il disgusto, la sensazione di un corpo che preme contro il suo non è spiacevole. L’uomo gli mette le mani sul culo e divarica le natiche. Patrick non può allargare le gambe, perché ha i piedi legati. Cerca di rimanere rilassato. Visto che questo bastardo lo fotterà comunque, inutile resistere. Che all’umiliazione non si aggiunga anche il dolore.

Patrick sente la cappella dell’uomo premere contro l’apertura. È una cosa che stimola sempre il suo desiderio e anche questa volta il sangue affluisce al cazzo. Patrick freme: non vuole che gli venga duro, non vuole dare questa soddisfazione al porco schifoso che sta per incularlo. L’uomo spinge e il cazzo entra nel culo di Patrick, dilatando l’apertura. L’uomo non è molto dotato e, anche se si muove senza riguardi, l’ingresso non è davvero doloroso: in passato il culo di Patrick ha accolto visitatori di ben altra stazza.

- Bastardo traditore, lo senti questo cazzo, il cazzo di un vero maschio? O forse preferiresti che ti inculasse un negro di merda?

Patrick non dice nulla. Quando sono stati catturati hanno cercato di parlare con i loro rapitori, ma poi si sono chiusi nel silenzio: con questi assassini le parole non servono a niente. È inutile replicare. Potrebbe insultare il suo stupratore, dirgli che ha il cazzo moscio, che ne ha provati di migliori, ma che cosa otterrebbe? Probabilmente solo botte.

L’uomo spinge con forza, prima lentamente, poi accelerando il ritmo, finché dopo pochi minuti viene, spandendo il suo seme nel culo di Patrick. Si affloscia su di lui. Poi si solleva. Patrick sente il cazzo, che ha ormai perso consistenza e volume, uscire dal suo culo. Quasi gli spiace. L’uomo gli sputa in testa.

Patrick non cerca di rimettersi a sedere. Rimane disteso dov’è. Il cazzo è mezzo duro e non vuole farsi vedere, né da questo figlio di puttana, né soprattutto da Thabo. Non alza la testa. Sente su di sé lo sguardo dell’uomo. I suoi piedi ora sono davanti alla sua faccia, il tipo si è rimesso i pantaloni, ma non li ha ancora tirati su.

- Bastardo traditore, domani ti infilo la canna del fucile in culo e poi sparo.

Patrick tace. Vuole solo che l’uomo se ne vada.

Il getto di piscio lo coglie di sorpresa.

- Questo è quello che ti meriti, bastardo.

Quando ha finito di pisciare, l’uomo si tira su i pantaloni e se ne va.

Patrick rimane in silenzio. Sul pavimento della cella c’è una pozza di piscio intorno alla sua faccia. Patrick solleva un po’ il capo. Thabo è seduto vicino a lui. Quando Patrick gira la testa, Thabo si muove, spostando le gambe, ma Patrick ha fatto in tempo a vedere ciò che ora Thabo vorrebbe nascondere: Thabo ce l’ha duro.

L’oscurità sta scendendo in fretta nella cella, ma c’è ancora abbastanza luce perché i loro sguardi si incrocino. Patrick non sa leggere negli occhi di Thabo.

Le parole gli sfuggono dalle labbra:

- Lo spettacolo ti è piaciuto?

Thabo china la testa. Patrick vorrebbe non aver parlato, ma l’umiliazione subita gli brucia dentro.

- Mi spiace, Patrick. Non avrei voluto… Merda! Io…

Patrick tace un momento, ma l’immagine di quel cazzo intravisto lo spinge a parlare ancora.

- Avresti voluto essere al posto di quel figlio di puttana?

Thabo guarda Patrick. Non dice nulla.

- Rispondimi, Thabo.

- Merda, Patrick, sarà un mese che non scopo. Mi spiace, io…

- Anch’io avrei voluto che ci fossi tu al suo posto.

Patrick non sa come reagirà Thabo, ma è contento di essere riuscito a dirlo. Vorrebbe che l’ultimo uomo a prenderlo non fosse quel figlio di puttana del suo assassino. Vorrebbe davvero fare all’amore con Thabo, a cui si sente vicino come a nessun altro.

Si fissano un attimo, in silenzio. Poi Patrick sorride e dice:

- Sarà l’ultima volta, per tutti e due.

Patrick si accorge che il suo cuore batte più forte, ora. Come la prenderà Thabo? Lo disprezzerà? Gli dirà che lui non è un finocchio?

Thabo annuisce, senza muoversi. Poi chiede:

- Lo vuoi davvero, Patrick?

- Sì, lo desidero. Lo desideravo già prima.

È riuscito a dire anche questo. È una buona cosa. Ma ha paura di quello che Thabo può pensare.

Poi, dopo un momento di indecisione, Thabo si sposta verso Patrick e mormora:

- Anch’io, Patrick.

La replica di Thabo calma l’ansia di Patrick.

Patrick sorride.

- Fatti vedere, Thabo. Voglio vederti.

Thabo annuisce e si alza. Ha un corpo magnifico, ma questo Patrick lo sapeva già. Ha anche un cazzo magnifico, davvero maestoso. Non sarà facile accoglierlo. Anni fa, quando era molto giovane, Patrick ne ha gustati di tutti i colori e di tutte le taglie, ma negli ultimi anni gli è capitato meno spesso di andare a caccia. I rapporti occasionali hanno perso gran parte del loro fascino. Gli piacerebbe avere una relazione stabile, ma non ha mai trovato l’uomo giusto. Forse Thabo sarebbe potuto esserlo, ma ormai è troppo tardi per costruire qualche cosa.

- Sei bellissimo, Thabo.

- Anche tu, Patrick.

Patrick scuote la testa.

- Non è vero.

Thabo sorride, mentre replica:

- Non è vero neanche per me, ma io non ti ho mica dato del bugiardo. Perché tu sì?

Uno degli elementi che Patrick ama in Thabo è il suo senso dell’umorismo, in ogni circostanza. È una dote che ha sempre apprezzato negli uomini.

Thabo si stende sul corpo di Patrick. È bello sentire il peso di questo corpo, è bello sentire il bacio di Thabo sul collo. Per un attimo Patrick vorrebbe dirgli di non farlo, che è sporco del piscio del bastardo bianco, ma che importanza ha?

Patrick sente il cazzo di Thabo contro il suo culo. Le sue mani, che ha tenuto strette a pugno mentre il cacciatore lo violentava, ora si aprono, per cercare il ventre di Thabo in una goffa carezza.

Thabo si solleva un po’ e ora Patrick sente la pressione del cazzo del nero contro il buco del culo. Thabo si muove con lentezza, con molta lentezza. L’apertura dilatata dal cacciatore viene forzata. Fa male, ma Patrick si sforza di non dire nulla. Thabo se ne rende conto e si ritrae.

- Non voglio farti male, Patrick.

- Che importanza ha? Domani mattina ci ammazzano.

- Non è un buon motivo per farti male, Patrick.

- Lo desidero, Thabo. Voglio essere tuo, almeno una volta. Io…

Patrick si ferma. Non riesce a continuare. Ha confessato il suo desiderio, ma adesso non riesce a rivelare il suo sentimento. Non è pronto.

Patrick sente le labbra di Thabo posarsi sulla sua spalla, poi sulla sua nuca.

- Alzati e passa qui davanti.

Thabo esegue. Patrick si mette in ginocchio. Guarda il cazzo di Thabo, davvero magnifico. Si chiede che cosa penserà Thabo di lui, ma scaccia il pensiero e avvicina le labbra. Prende in bocca la cappella. È bello sentire il calore del cazzo di Thabo, il suo sapore, la sua consistenza.

- Vorrei poterti accarezzare, Patrick.

Il cuore di Patrick sobbalza. La paura di essere giudicato svanisce. Patrick si sente bene, come di rado gli è capitato. Morirà domani, ma questo momento è bellissimo, perché anche in Thabo non c’è solo il desiderio.

Patrick lascia la preda, un po’ a malincuore.

- Ecco, adesso dovrebbe entrare più facilmente.

- Sei sicuro, Patrick? Non vorrei…

- Va bene così.

Patrick si china in avanti e appoggia la testa sul pavimento, tenendo il culo sollevato. Thabo è dietro di lui e di nuovo Patrick avverte la pressione. Questa volta però il dolore è solo una piccola fitta, che svanisce quasi subito. Thabo ora è dentro di lui. È bello sentire il suo cazzo scavargli dentro le viscere, provare ancora una volta questa sensazione di pienezza, di calore. Thabo spinge in avanti e il dolore ritorna, ma in secondo piano. Il piacere della carne dilatata è più forte. Patrick emette un leggero gemito.

Thabo è giunto in fondo. Il dolore è un po’ più forte, ma va bene, va bene così. Thabo prende a muoversi con lentezza. È splendido, questo bastone di carne che affonda nel culo trasmette sensazioni intensissime. Patrick pensava che non avrebbe più avuto l’occasione di provare tanto piacere. È grato a Thabo di questo.

Thabo procede, avanti e indietro, muovendosi con delicatezza, ma ormai Patrick si è abituato a questa presenza ingombrante, il dolore è appena una punta.

Patrick incita Thabo:

- Dacci dentro, dai.

Sente la risata roca di Thabo, che imprime un ritmo più deciso alla cavalcata. Il dolore cresce, ma anche il piacere, in una spirale che avvolge Patrick. Dolore e piacere, sempre più forti, ma il piacere più del dolore, lo avvolge e lo contiene. E infine il piacere è troppo forte e deflagra. Patrick emette un grido strozzato. Thabo accelera ancora il ritmo, per un momento il dolore è più forte, poi la scarica si riversa nel culo di Patrick, che si lascia andare in avanti stendendosi sul pavimento. Thabo è ancora dentro di lui.

È bello rimanere così, il cazzo di Thabo in culo, la sensazione di benessere, un po’ di dolore. Quando Thabo si ritrae, Patrick emette un gemito.

- Voltati, Patrick.

Patrick si stende di lato: non può mettersi sulla schiena, perché le mani gli farebbero male. Thabo avvicina le labbra alle sue e lo bacia sulla bocca.

Quando le loro bocche si staccano, Thabo mormora:

- Grazie, Patrick.

- Grazie a te, Thabo.

Si baciano ancora. Patrick prova di nuovo la sensazione di essere felice. Morirà domani, ma la vita gli ha regalato ancora un momento di felicità. Aggiunge:

- Sono contento che tu mi abbia preso.

Thabo annuisce. Lo bacia ancora. Patrick vorrebbe dirgli che lo ama, ma non ci riesce. Gli spiace morire senza averglielo detto. Forse domani troverà il coraggio di parlare.


 

Mees

 

Mees si sveglia prima dell’alba. Ha dormito poco, ma è eccitato. Oggi sarà una grande giornata. Ha atteso a lungo questo giorno, molto a lungo. Mees si alza e va a pisciare in cortile. Quando rientra, Hans si sta già vestendo.

- È ancora buio, Hans.

- Tra poco è l’alba. Li liberiamo appena c'è luce. Voglio divertirmi un po' con quel bastardo bianco. Uno dei nostri che passa dall'altra parte... Hai fatto bene a fotterlo, quel figlio di puttana, Mees.

Hans tace un attimo, poi aggiunge:

- Però di lui me ne occupo io. Chiaro, Mees?

Il tono di voce è duro. È il tono che Hans usa con lui spesso. Hans è abituato a comandarlo a bacchetta, fin da quando era un ragazzo e Mees un bambino piccolo. Mees sorride.

- Ma certo, siamo d'accordo così.

- Va a prendere la roba da mangiare.

Mees esce per andare a prendere in auto le provviste che si sono portati dietro per la colazione e prepara tutto. Quando sono insieme, suo fratello gli fa fare il servitore, pensa che tutto gli sia dovuto. È vero che Mees gli ha dovuto vendere la fattoria perché non riusciva a pagare i debiti, ma spesso gli sembra che Hans lo consideri uno dei negri al suo servizio.

Mangiano due gallette e un po’ di carne secca. Poi Mees prende la bottiglia di whisky che ha portato. La porge a Hans, che beve un sorso. Mees beve anche lui un sorso, poi un secondo.

- Non esagerare, Mees. Poi magari sbagli mira.

Mees freme, ma sorride:

- Non sbaglierò mira, sta’ tranquillo.

Hans esce. Il sorriso di Mees si allarga. Le cose non andranno come Hans pensa, ma questo suo fratello lo scoprirà tra poco. Mees beve un altro sorso, poi ancora un altro. Si asciuga le labbra con il dorso della mano.

Quando Mees esce in cortile, il cielo si sta schiarendo a oriente. Sentono il rumore dell’auto, in lontananza. Sono di certo Mattheus e l’altro uomo. Il rumore diminuisce e si spegne del tutto: i due devono aver raggiunto il ponte.

- Sono puntuali. Gente di cui ci si può fidare.

Mees è d’accordo. Si fanno pagare caro, ma si può contare su di loro.

Hans osserva ancora il cielo.

- È quasi ora. Tra poco incomincia la caccia. Va a prendere i fucili e le pistole.

Mees rientra e prende i fucili, che ieri sera hanno portato in casa. Si gira a controllare che Hans non arrivi e apre il caricatore del fucile del fratello, togliendo le cartucce. Fa lo stesso con la pistola.

Prende tutto ed esce nel cortile. Porge a Hans le sue armi, si infila la pistola nella fondina e si mette il fucile in spalla.

- Che fai, coglione?

Mees guarda Hans, senza capire.

- Mentre li sleghi, quelli potrebbero prenderti la pistola o il fucile. Ma devo spiegarti tutto? Cazzo! Non ci arrivi da solo?

- Non te la prendere, Hans. Non ci avevo pensato.

Hans scuote la testa. Mees sa benissimo che cosa pensa suo fratello: che lui è una testa di cazzo. Mees consegna a Hans le sue armi.

Raggiungono la cella. Mees prende il coltello e taglia le corde che legano i piedi dei due prigionieri. Poi li fanno uscire nel cortile. Il bianco incespica, ma non cade e si rimette diritto. Li spingono fuori dalla fattoria, poi Hans dice:

- Bene, adesso incomincia la caccia. Mio fratello vi libererà. Vi lasciamo un po’ di tempo. Poi veniamo a cercarvi. Nascondetevi pure, tanto vi scoveremo.

È il negro a parlare. Sibila:

- La pagherete, bastardi.

Mees avanza per colpire questo figlio di puttana che ha il coraggio di minacciarli, ma Hans lo ferma.

- Lascia che dica. Che te ne fotte delle scoregge di un negro?

Mees annuisce. Hans ordina:

- Liberali.

Mees passa dietro il bianco e taglia la corda che gli lega le mani. Poi fa lo stesso con il nero, badando bene a tenere saldo il coltello e a non mettersi tra i prigionieri e Hans. Appena ha finito, si sposta e ritorna di fianco a Hans.

- Via, stronzi.

I due non si muovono.

Hans mira ai piedi.

- Muovetevi o sparo.

Mees si dice che se i due non si decidono e Hans scopre che il fucile è scarico, saranno cazzi acidi. Allora fa un passo avanti e avvicina il coltello al ventre del bianco.

- Vuoi che ti punga un po’, stronzo?

Il bianco fa un passo indietro, guarda il negro, poi tutti e due si allontanano. Non corrono, camminano rapidamente, voltandosi a controllare ciò che fanno i due cacciatori.

- Bene, adesso posso prendere le mie armi.

Hans annuisce e porge la pistola a Mees, che la mette nella fondina, poi gli dà il fucile.

- Ricordati, Mees, il bianco è mio.

Il tono è aspro, come sempre. Mees sorride.

- Già, proprio di questo volevo parlarti.

Hans lo guarda, con durezza.

- Che cazzo hai da dire? Non c’è niente da dire. Siamo d’accordo così. Io ho pagato e il bianco lo fotto io.

Mees ha fatto un passo indietro e punta il fucile su Hans, che ora lo fissa sbalordito.

- Che cazzo pensi di fare, Mees? Sei ancora più coglione di quel che pensavo. Quel fottuto bastardo non te lo lascio.

- Non importa se me lo lasci o no, Hans. Me lo prendo. Come mi riprendo la mia fattoria. E anche la tua. Per tutta la merda che mi hai fatto mangiare in questi anni.

- Che…

Hans si interrompe. Ha capito. Mees sorride. È contento che suo fratello abbia capito. Vuole che si renda conto di stare per morire.

- Mees, ti sei bevuto il cervello. Finirai impiccato.

Mees scuote la testa.

- Sono già d’accordo con Mattheus. La cifra che hai sborsato non serve solo per pagare la caccia, copre anche l’incidente di caccia di cui rimane vittima Hans Leyden.

Mees ridacchia e prosegue:

- Hai pagato perché la tua morte sembrasse un incidente di caccia, Hans. Ti credevi tanto furbo, tu, e hai pagato perché io potessi farti secco senza correre rischi. Chi è il coglione, eh, Hans? Adesso dimmi chi è il coglione.

Mees si diverte a leggere in viso a Hans il suo sgomento. Si sente infine ripagato di anni di umiliazione.

Mees vede che Hans si tende. Sa ciò che sta per fare. Sorride e solleva un po’ il fucile, come se avesse allentato la guardia. Hans si getta a terra mentre estrae la pistola e preme il grilletto. Non c’è nessuno sparo.

Mees scoppia a ridere, una risata che lo scuote tutto.

- Sapevo che ci avresti provato, Hans. Allora, Hans, chi è il coglione?

Hans si rialza. Guarda Mees.

- Giuda! Sei un giuda. Così mi ripaghi di tutto quello che ho fatto per te.

Mees scuote la testa. L’allegria è svanita. È tornata la rabbia.

- Quello che hai fatto per me? Prendermi la fattoria, farmi fare il servo. Sì, ti ripago come meriti. Preparati a crepare, Hans.

- Bast…

L’insulto diventa un urlo, mentre lo sparo lacera l’aria. Mees guarda Hans portarsi le mani al ventre, da cui il sangue sgorga. Hans barcolla, poi cade in ginocchio, mormorando:

- Merda!

- Un incidente di caccia, Hans. Io e la mia guida ti abbiamo trovato agonizzante a Kerkhoven, dove siamo andati tutti e due a cacciare i leoni. Lo sai che siamo a Kerkhoven, vero? Lo abbiamo detto a tutti.

Mees ride. Si sente bene, come non gli è mai capitato. Guarda il fratello che si tiene le mani sulla ferita e di nuovo ride. Poi prosegue:

- Qualche cacciatore ti ha colpito accidentalmente e ti ha lasciato agonizzare, troppo spaventato per chiedere soccorsi. Oppure un fottuto negro, un bracconiere che tu hai sorpreso, ti ha sparato. Noi siamo arrivati troppo tardi. Sei morto tra le mie braccia. Ti ho visto morire, ma non ho potuto fare niente per te. Non me lo perdonerò mai.

Mees ride di nuovo, una risata tonante. È libero, ormai. Si è liberato di quella merda di suo fratello, che gli ha rovinato la vita. Adesso si godrà la caccia e poi tornerà con il cadavere del bianco per farlo vedere a Hans, prima di finirlo. Spera che ci metta un po’ a crepare.

Hans si guarda le mani rosse di sangue, poi, con un filo di voce, mormora:

- Bastardo!

Vacilla e crolla a terra. Sotto di lui la polvere si tinge di sangue.

- Ti lascio crepare qui, Hans. Goditi la tua agonia, stronzo.

Mees spera che Hans sia ancora vivo quando torna. Ma non farà in fretta solo per poter far vedere a Hans il suo trofeo. Non vuole rovinarsi la caccia per suo fratello. Gli ha rovinato la vita, fin da quando era piccolo, da quando i suoi genitori gli portavano Hans ad esempio, perché a scuola suo fratello aveva sempre ottenuto ottimi voti. E poi Hans si impegnava, Hans era bravo negli affari, Hans ha avuto la fattoria migliore, Hans sa come gestire una grande proprietà, Hans ha tutto quello che vuole.

Adesso Hans ha una pallottola in pancia e va bene così. È quello che si merita. Hans boccheggia steso nella polvere.

Mees ritorna nella casa. Tra poco incomincia la caccia. Ma prima vuole bere ancora un po’. Quello stronzo di Hans aveva da dire anche su quanto lui beve. Pezzo di merda! Su tutto aveva da dire.

Mees butta giù due sorsi, poi un terzo. Esce dalla casa, guarda Hans steso a terra e ride. Alza la bottiglia, come se fosse un bicchiere per un brindisi, e dice:

- Alla tua salute, fratellone!

Mees ride. Beve ancora. Adesso basta, però. Adesso è ora di cacciare. Quel bianco fottuto che ha inculato e quel negro di merda. Del negro non gli importa un cazzo. Lo farà fuori subito. Ma il bianco no, a quello infilerà il fucile in culo, perché impari la lezione, quel bastardo.

Mees ride. Ingolla ancora un sorso. Si rende conto di non essere perfettamente lucido. Hanno mangiato poco, forse avrebbe dovuto bere un po’ di meno, ma non ha importanza. Quei due li fotte, come ha fottuto quel coglione di Hans. E una bella bevuta ci voleva.

Mees passa di fianco a Hans, che alza la testa e lo guarda. C’è odio nel suo sguardo. Mees ride di nuovo:

- Grazie per la caccia che mi hai pagato, fratellone. La selvaggina vale davvero la pena. Ma il primo colpo è stato il migliore. Era tanto che lo desideravo.

Mees si guarda intorno. Non c’è traccia dei due. La valle è chiusa, non sarà difficile trovarli. Mees si avvia verso il bosco, la pistola in mano, il fucile a tracolla. Sarà una buona caccia.


 

Thabo

 

- L’ha ammazzato. Gli ha sparato e l’ha ammazzato.

- Ma perché?

- Non so lo so, Patrick, ma adesso c’è un solo cacciatore. Forse possiamo farcela. Vieni con me.

Thabo si muove in fretta. Si inoltra nel bosco e poi volta a destra. Sa che il cacciatore li cercherà tra gli alberi, ma la boscaglia non è abbastanza fitta per nascondersi a lungo e riuscire a sorprendere l’inseguitore. Dall’altra parte il bosco è molto rado, ma il fiume è incassato. Lì non li cercherà e forse riusciranno a raggiungere la casa.

Thabo è abituato a nascondersi per sfuggire al nemico: da due anni combatte con i guerriglieri che ormai hanno liberato tutto il sud del paese e che tra non molto libereranno anche il nord. I coloni bianchi dovranno andarsene. O sottomettersi. Thabo vuole vedere quel giorno. Quando si è unito alla guerriglia, ha messo in conto di rischiare la morte, ma non ha nessuna voglia di crepare per due fottuti bianchi che si divertono a cacciare i neri come fossero antilopi.

Thabo si muove in fretta, cercando di rimanere al riparo degli alberi. Quello che stanno facendo è molto pericoloso, ma non c’è altra via: se rimanessero nel bosco, prima o poi il cacciatore li troverebbe.

Ora sono al margine dell’area boscosa. Di lì si vede bene la casa. Thabo cerca con gli occhi l’uomo ferito, ma non è più dov’era. Sta strisciando verso la casa, lasciando una scia di sangue. Merda! Sarebbe stato meglio se l’altro lo avesse ammazzato. Non può andare in giro, ma può vederli. In questo momento però l’uomo ha altro a cui pensare. Si trascina a fatica.

Thabo guarda verso il bosco, dove l’altro cacciatore è scomparso. Si sta addentrando. Probabilmente non può vedere la parte alta della collina e in ogni caso è difficile che guardi da quella parte.

- Ascoltami bene, Patrick. Io vado, fino a quelle rocce. Tu aspetti un momento, senza perdere d’occhio il bosco. Se il bastardo non appare, allora mi raggiungi. Altrimenti, stattene rintanato.

Patrick annuisce. Thabo lo guarda. Perché cazzo avrebbe voglia di baciarlo, adesso? Non è proprio il momento per pensare a questo. E poi Thabo si dice che se il bastardo li ucciderà, lui non avrà mai più un’occasione per baciare Patrick. Allora gli si avvicina, lo bacia sulla bocca e poi scatta via, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al bosco, verso le rocce.

Non c’è nessun movimento.

Thabo si nasconde dietro una roccia e guarda verso il bosco. Nessun segno del cacciatore. Fa un cenno a Patrick che scatta di corsa. Ci vuole un attimo per arrivare fino al punto in cui si trova lui, ma a Thabo sembra un’eternità. Ha l’impressione che uno sparo debba lacerare l’aria da un momento all’altro. Non può sopportare l’idea che Patrick possa essere colpito e morire.

- Vieni.

Thabo si muove in fretta, cercando di rimanere nascosto tra le rocce. C’è un altro punto scoperto, che però è visibile solo da una parte del bosco. Purché il cacciatore non sia proprio in quell’area. O se lo è, che almeno non guardi dalla loro parte.

Scendono in fretta, fino a raggiungere il letto del torrente, incassato tra le pareti.

- E ora, Thabo? Che conti di fare?

Patrick non gli ha chiesto niente, ha lasciato che fosse lui a decidere.

- Voglio raggiungere la casa. Erano tutti e due armati. Il fucile dell’altro è da qualche parte. Se io riesco a prenderlo, a questo punto i cacciatori diventano due.

Thabo sorride, ostentando una sicurezza che non ha.

- L’altro non è morto, si stava trascinando verso la casa.

- Lo so, ma non dovrebbe essere difficile sorprenderlo. È ferito gravemente. Tu rimani nascosto qui. È un buon posto. Passerà parecchio tempo prima che gli venga in mente di cercarti qui.

- No, Thabo. Io vengo con te. Ci salveremo insieme o moriremo insieme.

- Oh, merda, Patrick! Lasciami fare.

Patrick scuote la testa, poi dice:

- Non perdiamo tempo.

Thabo annuisce. Sa anche lui che non devono perdere tempo, lo sa benissimo. Di sicuro quelli che hanno organizzato la caccia controllano l’ingresso della piccola valle. Loro due non potranno uscire da quella parte. Devono avere il tempo di inerpicarsi sulla parete rocciosa e superare la cresta. Devono avere alcune ore di vantaggio, per poter essere lontano, quando gli altri verranno a vedere.

Thabo e Patrick si muovono con cautela. Per un tratto, la gola del fiume li nasconde completamente alla vista, ma poi il letto diviene meno incassato e anche strisciando ci sono dei punti in cui non sono completamente coperti. Perché Patrick non è rimasto nascosto?

 

Raggiungono l’edificio, ma quando superano un angolo vedono l’uomo che li aspetta. Sorride, stringendo la pistola in una mano.

Thabo ha un tuffo al cuore. È finita. Hanno perso. Li ammazzerà. Moriranno tutti e due. Non è riuscito a salvare Patrick.

- Vi ho visto strisciare. Pensavate di fregarmi, eh? Poveri coglioni!

La voce è leggermente impastata, ma la mano che tiene la pistola non trema. L’uomo è troppo vicino perché sbagli il colpo e troppo distante perché sia possibile saltargli addosso. Ancora una volta Thabo pensa che ha portato Patrick a morire.

- Prima ammazzo te, negro di merda. Ti sparo in pancia, così puoi goderti quello che faccio al tuo amico.

Il cacciatore guarda Patrick e il suo sorriso si allarga.

- Con te mi divertirò un po’. Dopo aver gustato il mio cazzo, gusterai anche il mio fucile, in culo. Quello che ti meriti.

Thabo si sposta leggermente, per coprire Patrick, ma sa che non servirà a niente. Anche se Patrick riuscisse a fuggire, dove potrebbe andare? Il cacciatore lo raggiungerebbe senza fatica.

In quel momento sente una voce:

- Ci sono anch’io, Mees.

Il cacciatore si volta verso l’uomo ferito, che giace poco distante e ora gli sta puntando addosso una pistola.

- Che cazzo vuoi fare, Hans, con quella pistola scarica?

Hans scuote la testa e preme il grilletto.

Lo sparo lacera l’aria. Mees guarda incredulo il fratello, mentre una macchia rossa gli si allarga sul torace. Cade a terra.

Per un attimo Thabo e Patrick rimangono pietrificati, poi Thabo spinge Patrick via, oltre l’angolo della casa, mentre si sente la voce dell’uomo che l’altro ha chiamato Hans:

- Sei un coglione, Mees. Proprio un coglione.

Al riparo del muro, Patrick e Thabo si guardano, stupefatti.

- Ma come…

- È strisciato fino dentro la casa, per prendere una pistola carica. O le pallottole che l’altro aveva tolto. Quello… Mees, no, l’ha chiamato? Mees credeva che la pistola fosse scarica. Doveva aver tolto lui le pallottole. L’altro si è vendicato.

Patrick annuisce. Thabo continua:

- Adesso però tu rimani qui, io vado a vedere la situazione. Non avrebbe proprio senso rischiare in due. Quello che ha sparato, Hans, potrebbe sparare anche a te. Passo dall’altra parte. Tu mettiti dietro quel masso. Non si sa mai.

- Thabo, io…

- Zitto!

Thabo si muove rapido, per non dare a Patrick il tempo di replicare. Gira intorno alla casa, poi sporge con cautela la testa. I due corpi sono immobili, entrambi proni. Dalla bocca di Mees è uscito del sangue, che è colato a terra.

Thabo si avvicina, senza perdere di vista un attimo i due uomini stesi al suolo. Prima raggiunge Hans. Basta guardare l’occhio vitreo per capire che è morto. Si è sforzato di rimanere in vita fino a che non è riuscito a vendicarsi, poi ha lasciato che la morte lo prendesse. Mees è morto, ha avuto appena il tempo di capire che Hans l’aveva fottuto.

E ora?

Thabo raggiunge Patrick.

- Sono morti, sono morti tutti e due.

- Dobbiamo andarcene.

- Sì, possiamo prendere le armi. E magari quei due nell’auto hanno anche abiti di ricambio.

- Che non ci andranno bene, ma non è un problema, è solo per coprirsi. Ma come uscire di qui? L’auto che abbiamo sentito arrivare questa mattina deve essere di quei bastardi che ci hanno catturato. Sorvegliano la strada d’ingresso. Se cerchiamo di uscire di là, ci ammazzano.

- O li ammazziamo noi. Adesso abbiamo le armi.

Patrick scuote la testa.

- Io non so neanche sparare, Thabo. E non sappiamo quanti sono.

Thabo sorride.

- C’è un’altra possibilità. Abbiamo diverse ore davanti: quelli non si faranno vivi prima del pomeriggio. Facciamo in tempo a raggiungere il crinale e scendere dall’altra parte. In qualche posto arriveremo. Basta che siamo abbastanza lontano prima che quelli si accorgano che siamo scappati.

- Va bene.

Nel bagagliaio dell’auto ci sono due borsoni. Thabo e Patrick cercano qualche cosa da mettersi. È tutto troppo largo, ma non è un gran problema. Poi prendono le armi e incominciano a salire sul versante della valle. Due ore dopo sono sulla cresta. Nella valle alle loro spalle tutto è tranquillo. Un avvoltoio volteggia. Probabilmente ha avvistato i cadaveri.

Dal crinale si può vedere un’ampia distesa di territorio. Qua e là qualche villaggio. Thabo sorride: sa che troveranno ospitalità. Si volta verso Patrick. Gli sorride.

Patrick si avvicina a lui e lo abbraccia. Si baciano.

Poi incominciano a scendere verso il pianoro, verso la vita. La loro nuova vita.

 

2015

 

 

 

 

 

 

 

 

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