Manifestazione non autorizzata

 

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Francisco Vega tossisce. Nella stanza l’aria è irrespirabile: al giornale sono in tanti a fumare e dopo due ore di discussione animata, una densa nube grava su tutti loro.

Carlitos scuote la testa.

- Già lo sciopero è un grosso rischio, ma partecipare a una manifestazione vietata...

Antonio scatta:

- Cazzo! Sarà anche un rischio, ma non possiamo non partecipare. Siamo uomini o conigli?

Joaquím gli dà ragione. Anche lui è alquanto infervorato, come diversi altri:

- Tutte le manifestazioni sono vietate, lo sai benissimo, Carlitos. Se aspettiamo l’autorizzazione, non ci muoveremo mai. Hanno arrestato otto giornalisti perché facevano il loro lavoro. Possiamo voltare la testa dall’altra parte? È ora di tirare fuori le palle!

Francisco partecipa poco, perché non vuole esporsi. Che i giornalisti di Verdad partecipino allo sciopero e alla manifestazione gli sembra un’ottima cosa: è importante che ci sia qualche segnale di dissenso, perché contribuisce a mettere in evidenza la debolezza del regime. Ma la manifestazione è davvero pericolosa: saranno sicuramente caricati dalla polizia, alcuni potrebbero essere arrestati. Francisco sa che non deve correre rischi inutili. Sono sei anni che rischia ogni giorno la vita: se la polizia scoprisse che lui è il Lobo Rojo, uno dei capi della resistenza, per lui sarebbe la fine. E sicuramente una fine tremenda. Francisco è uno degli uomini più ricercati dal regime, ma la polizia non è arrivata a scoprire la sua identità, almeno fino a ora. Esporsi per uno sciopero non ha senso, ma Francisco non può neanche opporsi a una decisione utile alla lotta che sta conducendo.

Si arriva infine alla votazione, che raccoglie un ampio consenso: il personale parteciperà allo sciopero e chi se la sente scenderà in piazza. Pochi voti contrari.

Francisco esce in compagnia di Carlitos. Negli ultimi tempi hanno avuto modo di parlare spesso. A Francisco Carlitos piace. Quest’uomo sui quaranta, piuttosto ben piantato, con una fitta barba nera, braccia pelose e mani forti, desta in lui un desiderio che Francisco preferisce ignorare. Francisco non ha mai avuto rapporti con uomini e l’idea lo spaventa, anche se sa di desiderarlo. L’impegno nella lotta è una buona scusa per mantenere una castità che a tratti lo tormenta: non rimangono né tempo né energie per la soddisfazione del desiderio e ogni distrazione sarebbe pericolosa. Per il sesso e i sentimenti ci sarà tempo quando il dittatore sarà stato rovesciato e il paese liberato. Se Francisco sarà ancora vivo.

Carlitos ha votato a favore, nonostante i dubbi che aveva espresso.

- Domani ci prendiamo tante di quelle botte…

- È probabile, ma se non facciamo niente continueranno ad arrestare i giornalisti. L’inchiesta della Prensa libre non riguardava la politica.

- Ma alcuni dei personaggi coinvolti nello scandalo sono legati a doppio filo con la cerchia del Mozo.

Il Mozo è il figlio e probabile erede del dittatore, ancora più sanguinario del padre.

- Sì, hanno corso un rischio con quell’inchiesta. Ma non possiamo abbandonarli.

Carlitos annuisce. Si separano e ognuno va a casa propria.

 

*

 

Non sono in molti a partecipare al corteo. Forse un migliaio di persone. Eppure il fatto stesso che siano lì, in piazza, è già un successo: sono anni che nella capitale non si tengono manifestazioni. C’è l’esercito e c’è la polizia, in tenuta anti-sommossa.

L’impegno è quello di non fornire alla polizia nessun pretesto per intervenire, ma Francisco sa che la polizia interverrà comunque: la manifestazione non è stata autorizzata e il regime non può tollerare una sfida di questo tipo. Del giornale non sono in molti: mancano anche diversi che avevano annunciato la loro presenza. Forse la paura, forse i blocchi stradali della polizia che hanno impedito a molti di raggiungere il centro, forse qualche altro contrattempo. Anche Carlitos non è venuto. Francisco è un po’ deluso, ma si dice che forse è meglio così: almeno non corre rischi.

Il corteo dovrebbe percorrere il viale Simón Bolívar fino alla sede della Prensa libre, il giornale che ha pubblicato l’inchiesta per cui otto redattori sono stati arrestati. È un percorso breve, ma l’esercito blocca completamente il passaggio. Dovranno rimanere fermi nella piazza.

Alle spalle del corteo bloccato spuntano altri soldati. Poi tutto si svolge rapidamente: dalle vie laterali decine di soldati si precipitano nella piazza, menando colpi con il manganello a destra e a sinistra, senza fare differenza tra uomini e donne, giovani e vecchi, manifestanti e passanti. C’è un fuggi fuggi generale, ma per Francisco e molti altri ogni via di fuga è bloccata: si ritrovano completamente circondati. Vengono presi e trascinati fino ad alcuni camion che li attendono con i motori accesi. Chi resiste, viene subissato da una gragnuola di colpi. Francisco non oppone resistenza. Si prende due colpi lo stesso. Sul camion sono una quindicina. Qualcuno geme, Joaquím e una ragazza giacciono incoscienti. Joaquím ha il viso coperto di sangue. Anche altri hanno ferite, soprattutto in faccia. I soldati e i poliziotti hanno menato duro. Un uomo cerca di rianimare la ragazza, che riprende i sensi. Francisco si avvicina a Joaquím, ne tasta il polso. È vivo, ma Francisco non riesce a ridestarlo.

 

*

 

Li portano a una caserma. Li fanno scendere. Ad attenderli sono una quarantina di soldati e poliziotti. Incominciano subito a picchiare: calci, pugni, bastonate. Isabel cade, Francisco cerca di rialzarla, ma uno dei poliziotti lo colpisce con forza. Francisco finisce a terra, un altro poliziotto gli dà un calcio alle costole. Francisco rotola e si rialza, a fatica, per prendere ancora altri colpi. Maria grida di smetterla. Un soldato la colpisce in faccia.

Francisco cerca di capire che cosa si aspettano da loro, dove devono andare, ma poliziotti e soldati non li dirigono da nessuna parte: li picchiano e basta. Dopo una ventina di minuti, i prigionieri sono tutti a terra. Formano un ammasso di corpi insanguinati. Quelli più all’esterno cercano di ripararsi dai colpi che ancora piovono, ma invano. Parecchi sono incoscienti. Vicino a Francisco è steso un giornalista di Prensa libre. Pare non respirare più. Francisco gli sente il polso. Non si è sbagliato: l’uomo è morto.

Poliziotti e soldati sembrano soddisfatti, ora. Uno si sbottona i pantaloni e incomincia a pisciare sui corpi stesi a terra. Altri lo imitano.

Francisco cerca di aiutare un giornalista ferito. Non conosce il suo nome, non sa neppure per che giornale lavora, anche se gli è già capitato di vederlo in qualche occasione. L’uomo si lamenta e perde sangue dal braccio. Muovendosi con cautela, per non attirare l’attenzione dei loro aguzzini, Francisco benda la ferita con un fazzoletto pulito. Poi cerca di tranquillizzare l’uomo.

Rimangono stesi a terra sotto il sole che sale in cielo. Presto il calore è insopportabile. Francisco ha sete, vorrebbe bere. Anche altri si lamentano della sete. Una donna si alza a sedere chiede acqua, dice che non possono trattarli così. Un soldato si avvicina e la colpisce in faccia con uno stivale.

- Sta’ zitta, puttana!

La donna ricade a terra, il viso insanguinato.

Il calore e la sete aggiungono un nuovo tormento al dolore per i colpi inferti. Qualcuno geme, altri hanno perso i sensi.

Le ore passano. Francisco si chiede se li lasceranno morire di sete e di caldo, guardandoli indifferenti.

Solo verso sera i soldati incominciano a prenderli, uno per uno. Sollevano anche i feriti. Tre prigionieri sono morti: i loro corpi vengono gettati contro un muro. Gli altri sono portati uno per volta in una stanza.

Quando è il turno di Francisco, i soldati lo spingono dentro. Un ufficiale gli chiede il nome e controlla una lista. Il nome di Francisco dev’essere sulla lista, perché l’ufficiale sorride e fa un cenno affermativo, poi dice ai soldati di portare lo stronzo al camion.

Sul camion ci sono diversi altri prigionieri, tutti uomini. Sono quelli che ieri si sono espressi per la partecipazione alla manifestazione e alcuni altri che Francisco non conosce.

Simón si avvicina a lui. Ha il viso imbrattato di sangue, ma non sembra avere grosse ferite. Simón sussurra:

- Ho visto Carlitos.

- Carlitos? Ma non era alla manifestazione.

- No, era occupato a dare i nostri nomi alla polizia. L’ho visto dalla finestra mentre mi portavano al camion. Parlava con l’ufficiale e ridevano.

Francisco non dice nulla. Non ha motivo per dubitare delle parole di Simón. Si chiede che cosa sarà degli altri, quelli che non sono sulla lista. Probabilmente passeranno qualche giorno in prigione e poi li manderanno a casa. 

Quanto a loro, Francisco sa che nessuno ne uscirà vivo. Finiranno come le migliaia di persone che nei sette anni di dittatura sono scomparse nel nulla.

È notte fonda quando il camion si mette in moto. Dopo diverse ore si ferma. Li fanno scendere. È ormai l’alba. Sono in un edificio che sembra essere una caserma. Intorno a loro ci sono soldati armati di bastoni e un ufficiale.

- Spogliatevi.

I prigionieri esitano. Immediatamente i soldati incominciano a colpirli con i bastoni. Tutti si spogliano, cercando di sottrarsi ai colpi. Quando sono nudi, li dividono in due gruppi e li portano nelle celle.

La cella in cui viene messo Francisco è ampia, ma sono almeno in trenta. Non possono nemmeno stare sdraiati tutti insieme, senza appoggiarsi gli uni sugli altri. Sono esausti e sanguinanti. Alcuni hanno sicuramente fratture. Qualcuno chiede acqua, altri si lamentano piano. Francisco tace. La discesa agli Inferi è incominciata. Sa che ci sono ancora molti gradini da scendere.

 

*

 

Li lasciano alcune ore senza dargli niente. Non mangiano e non bevono da ieri mattina. Hanno tutti la gola riarsa. Ma ormai hanno capito che lamentarsi e chiedere non serve a nulla.

In serata li fanno uscire, uno per volta. Chiedono di nuovo i loro nomi e li controllano su una lista. Poi li riportano in cella. Infine viene distribuito il rancio, che tutti consumano avidamente.

Il mattino seguente vengono a chiamare sei prigionieri. Dicono i loro nomi e poi aggiungono:

- Per voi c’è la doccia, oggi.

Il ghigno del soldato che ha pronunciato la frase non lascia presagire niente di buono.

 

I prigionieri vengono riportati oltre un’ora dopo. Uno, un ragazzo molto giovane, scoppia in lacrime appena entrato nella cella. Un altro ha il viso imbrattato di sangue. Tutti tengono gli occhi bassi.

C’è un attimo di silenzio. Nessuno osa chiedere. Poi una voce si alza dal fondo della cella, esprimendo la domanda di tutti:

- Che cosa vi hanno fatto?

Nessuno risponde. Il ragazzo singhiozza. Infine Ramón dice:

- Ci hanno stuprato. Più e più volte. Hanno detto che lo faranno a tutti. Tanto poi ci ammazzano.

C’è un momento di silenzio. Poi qualche esclamazione e due bestemmie.

 

*

 

- Fernández, Vega, Palos, Rebolledo, Toesca! Oggi la doccia tocca a voi.

Francisco Vega ha l’impressione che il mondo gli crolli addosso. Ora sanno tutti benissimo che cosa significa la frase. I prigionieri chiamati vanno davvero a fare la doccia, per togliersi di dosso il sudiciume e il fetore della cella lurida in cui sono tenuti. Poi, quando si sono lavati, vengono portati in un’altra cella e stesi su un tavolaccio, perché i soldati li inculino. È successo alla maggioranza dei prigionieri della cella e adesso è il suo turno. Sapeva che prima o poi sarebbe toccato a lui. Ai prigionieri più giovani, quelli che hanno vent’anni o poco più, è già toccato più volte, i soldati preferiscono carne fresca, ma ce n’è per tutti: lo stupro è un mezzo per umiliarli e spezzarli. Quando era un uomo libero, Francisco ha pensato più volte di fare l’amore con un maschio. Ma quello che sognava non ha niente a che fare con la violenza che subirà qui.

Francisco cerca di non lasciare trasparire nulla di quanto prova, ma dentro di sé sente una rabbia feroce nei confronti di questi vigliacchi. Non oppone resistenza. Qualcuno ci ha provato, ma è stato picchiato con ferocia, stuprato e poi trascinato nella cella in fin di vita.

Da quando sono arrivati, appena quindici giorni, tre prigionieri sono morti per le botte. Altri quattro sono scomparsi. Li hanno chiamati in sere diverse, uno per volta. Nessuno di loro è tornato. Con ogni probabilità sono stati ancora stuprati e poi uccisi.

Uno dei soldati dice, sprezzante:

- Merda, puzzate come cessi!

È vero. Nella cella sono in trenta, non hanno nemmeno lo spazio per stendersi tutti insieme senza stare uno addosso all’altro. Non possono lavarsi, non possono pulirsi quando vanno al cesso, un buco in un angolo del locale.

Eppure la loro condizione è migliore di quelli che sono sospettati di opposizione al regime. Francisco sa che morirà presto, ma in fondo può ancora dirsi fortunato: sarebbe molto peggio se scoprissero che lui è il Lobo Rojo. Lo torturerebbero per settimane intere, prima per estorcergli tutte le informazioni in suo possesso, poi per farlo morire lentamente.

Sono al locale delle docce.

- Lavatevi bene, finocchi, se non volete che vi sparino in culo.

Il carceriere ride. Francisco rabbrividisce. Due giorni fa hanno davvero sparato in culo a uno, si chiamava Garcilaso. Quando lo hanno stuprato, non era ben pulito e li ha sporcati. Volevano che gli pulisse il cazzo, ma lui si è rifiutato, forse per coraggio, forse perché non se l’è sentita. Gli hanno infilato una pistola in culo e poi hanno premuto il grilletto. Lo hanno portato in cella agonizzante, perché tutti lo vedessero. È morto dopo un’ora di atroce agonia.

Francisco si lava bene, mentre il pensiero corre a ciò che sta per avvenire. Francisco è angosciato.

Quando hanno finito di lavarsi, gli legano le mani davanti, poi li portano in una sala molto grande, dove ci sono parecchi tavoli. Li fanno mettere in posizione, il corpo appoggiato sul tavolo, i piedi a terra, le gambe ben divaricate.

Vicino a Francisco sono solo in tre. Ci sono due ragazzi che hanno poco più di vent’anni e intorno a loro si affollano in molti.

Uno dei soldati passa dietro a Francisco. Gli mette le mani sul culo e divarica un po’ le cosce.

- Chissà, magari questo finocchio è vergine.

Gli altri due ridono.

- Se lo è, può ringraziarci, che gli togliamo la voglia. Oggi finalmente prova qualche bel cazzo.

- Secondo me è impaziente. Datti da fare, Jorge.

Ora, avverrà ora. Francisco, china la testa sul tavolo. Non vuole vedere, non vuole sentire. Vorrebbe annullarsi. Sente la pressione contro l’apertura. L’uomo entra con violenza e il dolore quasi strappa un gemito a Francisco. L’uomo incomincia a spingere con forza, mentre lo deride:

- Allora, finocchio, era quello che desideravi, no? Un bel cazzo nel tuo culo di merda. Non ci speravi, in un bel cazzo così, vero? Ma l’hai avuto, finocchio di merda. Sei contento, ora?

L’uomo ansima, mentre spinge e le frasi diventano parole, insulti e imprecazioni:

- Merda… culorotto… finocchio schifoso… merda! Ti faccio vedere… cazzo! finocchio…

Il dolore del cazzo che gli squassa le viscere è forte, ma l’umiliazione pesa ancora di più. Francisco vorrebbe urlare la sua rabbia, ma tace. Sa che sarebbe inutile e peggiorerebbe solo la situazione.

- Eccoti! Eccoti!

L’uomo gli sborra in culo, poi si ritrae.

- Pezzo di merda!

Il suo posto è preso da un altro. Anche lui entra con violenza, ma l’apertura è già dilatata e il dolore meno forte. L’uomo spinge freneticamente, ma viene molto in fretta. Quando esce, un po’ di seme cola dal culo di Francisco.

Il terzo ci mette più tempo. Non dice nulla, ma le sue mani stringono forte, per fare male: Francisco sa che nei prossimi giorni gli verranno i lividi. Sempre che non lo ammazzino prima.

- Meriteresti che ti spaccassi i coglioni, comunista di merda!

L’uomo spinge con forza. Il dolore cresce. Quando infine Francisco sente la scarica, pensa che almeno è finita. Ma un altro soldato si avvicina:

- Visto che con questo stronzo avete finito, assaggio anch’io il suo culo. Con quello là mi tocca aspettare fino a domani. Me lo faccio dopo.

Il sollievo svanisce. La nuova violenza non dura molto. Francisco rimane immobile. Dopo un po’ lo fanno alzare e lo portano in cella insieme a Rebolledo, che ha superato i quaranta. Anche per lui era la prima volta. Francisco non lo guarda. Vorrebbe non rientrare in cella, non dover vedere gli altri, anche se sa che hanno subito la stessa violenza, la stessa umiliazione.

 

*

 

- Vega, Cadiz, Palos, Nieto! Muovetevi. Tocca a voi fare la doccia.

Il carceriere ghigna mentre lo dice.

Francisco Vega e gli altri si alzano. Non dicono nulla: sanno bene che sarebbe del tutto inutile. Seguono il carceriere fuori dalla cella e lungo il corridoio.

Francisco si lava con cura. Lo hanno stuprato già tre volte, a gruppetti di quattro o cinque. Francisco si è abituato, anche se per sua fortuna non lo chiamano spesso.

I carcerieri legano le mani ai quattro prigionieri e li portano nel solito stanzone dove ci sono diversi soldati, almeno una ventina. I soldati scelgono ognuno un prigioniero. Intorno a Francisco sono solo in tre: è il meno giovane. Uno dei tre è un soldato che Francisco non ha mai visto, un gigante con i capelli e la barba neri come la pece. Deve avere più o meno l’età di Francisco. Un altro è quello che alcuni prigionieri chiamano “il fratello di Vega” perché gli assomiglia un po’. Qualcuno ha detto che probabilmente il padre di Francisco ha fottuto la madre del soldato. Non è così, di certo: il soldato non ha più trent’anni e quando è nato, il padre di Francisco era morto da almeno due o tre anni. Francisco non se lo ricorda nemmeno, suo padre.

Il “fratello di Vega” è un vero figlio di puttana e sembra avercela con Francisco, perché sceglie spesso lui. Lo fotte e poi lo umilia.

Il gigante forza Francisco a stendersi sul tavolaccio, i piedi a terra, le gambe ben allargate. Francisco non oppone resistenza.

Il “fratello di Vega” si mette davanti a lui. Francisco si chiede che cosa intenda fargli, ma cerca di nascondere il suo timore. Dietro si mette l’altro soldato, mentre il gigante rimane di fianco. Il “fratello di Vega” tira fuori il cazzo e incomincia a pisciare in faccia a Francisco che china la testa. Il piscio gli arriva sui capelli e poi scivola sulla faccia, fino a formare un’ampia pozza sul tavolaccio. Intanto il soldato che si è messo dietro di lui lo infilza con un colpo secco, che fa sussultare Francisco. Per quanto nelle ultime due settimane si sia abituato a queste violenze, il dolore è ancora intenso. L’uomo spinge a fondo, dilatando il culo di Francisco, che si morde il labbro per non gemere. Il soldato spinge con forza, finché non viene con un verso animale, una specie di rantolo. È stato brevissimo.

È poi il turno del “fratello di Vega”. Anche lui entra con violenza. Spinge fino in fondo, con forza, cercando di fare male il più possibile. Le sue dita afferrano il culo di Francisco e le unghie affondano nella carne. Francisco avverte l’odio feroce di quest’uomo, ma non ne capisce l’origine. Forse la loro somiglianza ha provocato battute anche tra gli altri soldati, come tra i prigionieri, irritando l’uomo?

Il “fratello di Vega” affonda il suo cazzo e poi lo ritrae, poi ripete l’operazione, mentre le sue unghie scavano nella carne di Francisco. Quando l’uomo viene, piuttosto in fretta, sputa sulla schiena di Francisco.

- Uno di questi giorni ti sparo in culo, pezzo di merda.

Francisco non dice nulla. Davanti a lui c’è il gigante, che ora si sposta. Francisco vede il rigonfio dei pantaloni e rabbrividisce: l’uomo deve essere alquanto dotato e, se entrerà come gli altri, il dolore sarà terribile. C’è il rischio di una lacerazione e, nelle condizioni in cui vivono, questo significa un’infezione e con ogni probabilità la morte.

L’uomo è dietro di lui. Francisco si sforza di non tendersi, per non aumentare la sofferenza. Ora può sentire il cazzo dell’uomo che preme contro l’apertura. Per fortuna l’uomo avanza piano, con grande lentezza. L’ingresso è doloroso, perché la pressione è molto più forte di prima: l’uomo è davvero molto dotato.

- E muoviti, Gabriel, che questo finocchio è impaziente che tu gli spacchi il culo.

Il “fratello di Vega” ride, mentre incita il gigante. Anche Gabriel ride e risponde:

- Lasciami fare, Álvaro, che non ho mica fretta. Voglio divertirmi un po’.

Così il “fratello di Vega” si chiama Álvaro.

Gabriel avanza molto lentamente; la pressione diventa dolorosa, mentre le viscere si dilatano molto di più di quanto non sia avvenuto nei due stupri precedenti. Ma Gabriel si ritrae ed esce. Francisco tira il fiato. Sente nuovamente la cappella forzare l’ingresso, ma piano, come prima. Il cazzo di Gabriel entra dentro di lui e avanza, con lentezza. Provoca dolore – e come potrebbe non essere così, date le sue dimensioni? – ma non c’è solo sofferenza. C’è anche un’altra sensazione, che Francisco non saprebbe definire. O forse potrebbe benissimo definirla, perché ha un nome semplice e noto: piacere. Ma Francisco rifiuta l’idea di provare piacere mentre un figlio di puttana lo violenta. L’uomo avanza ancora e ora il dolore diventa di nuovo forte, ma poi arretra e la sofferenza si riduce, mentre ritorna, più intensa, la sensazione di piacere. Con angoscia Francisco si rende conto che il suo corpo reagisce. L’idea che gli altri possano vederlo con il cazzo duro dopo che è stato violentato lo atterrisce. Francisco si tende. E, come rispondendo a un segnale, Gabriel spinge a fondo e imprime al suo movimento a stantuffo un ritmo sostenuto. Il dolore si dilata nuovamente, soffocando ogni altra sensazione. Francisco sente svanire ogni piacere ed è sollevato, nonostante le fitte al culo. Infine Gabriel viene dentro di lui ed esce.

- Puoi alzarti, finocchio.

È stato Álvaro a parlare. Francisco obbedisce. Fa in tempo a vedere Gabriel che si rassetta, il magnifico cazzo, il ventre prominente, coperto da un vello fitto. Guarda affascinato le grosse mani, un po’ tozze, velate anch’esse da una peluria scura.

Francisco deglutisce.

- In cella, muoviti.

Francisco cammina a fatica, ma sa che non bisogna far aspettare i carcerieri. Lo riaccompagnano in cella. Entra e si siede, in silenzio.

Nessuno dice niente. Sanno tutti che toccherà a ognuno di loro: più volte a quelli giovani, meno agli altri, che occorre comunque umiliare. Gli altri tre prigionieri sono ancora nello stanzone.

 

*

 

Succede due sere dopo. La porta si apre. Nella cella c’è sempre una fioca luce, giorno e notte, ma fuori è buio. Francisco trattiene il fiato. Sa che sono venuti a chiamare un prigioniero. Quelli che chiamano di notte, non tornano più.

Il carceriere dice solo un nome:

- Vega.

Francisco chiude gli occhi. Vorrebbe cancellare il mondo. Con fatica si alza. Si dice che è finita. Sapeva che sarebbe finita, ma in qualche modo il suo corpo si illudeva ancora di poter continuare a vivere. Forse solo qualche settimana, qualche giorno. No, è finita. Finita.

Francisco raggiunge la porta, scavalcando i corpi dei compagni che si spostano per fargli spazio. Qualcuno gli dice addio. Joaquím gli prende la mano e la stringe.

Appena Francisco è fuori dalla cella, uno dei carcerieri chiude la porta. Lo portano alla doccia, poi gli legano le mani davanti.

- Muoviti, sei desiderato.

I carcerieri si dirigono lungo il corridoio, poi superano due porte e prendono un altro corridoio, in cui Francisco non è mai stato, fino a raggiungere la porta di una stanza. La luce appesa al soffitto illumina appena il piccolo locale spoglio. Al centro c’è un tavolaccio. In piedi lo aspettano Gabriel e Álvaro. I suoi assassini.

Francisco è rimasto fermo, ma il carceriere lo spinge, poi richiude la porta.

- Pronto per l’ultima scopata, finocchio? Poi ti sparo in culo.

Francisco rabbrividisce. Gabriel si avvicina, passa dietro di lui e lo spinge sul tavolaccio. Gli preme sulla schiena con la mano, forzandolo ad appoggiarsi. Francisco guarda il ghigno sulla faccia di Álvaro. Sente qualche cosa di bagnato scendergli lungo il solco: Gabriel deve aver sputato. Due dita scorrono, spargendo la saliva. Indugiano sull’apertura, poi ritornano, più umide.

- Ti piace, eh, finocchio?

È sempre Álvaro a parlare: Gabriel non dice nulla. Con cura sparge la saliva, poi Francisco sente la pressione della cappella contro l’apertura. Francisco trattiene il fiato. L’ingresso è lentissimo, e appena il glande ha superato l’anello di carne, si ritrae. Un attimo dopo il cazzo ritorna a premere, entra e ancora esce. È un movimento molto lento, molto dolce. E Francisco si rende conto, sgomento, che non c’è dolore, che il suo corpo prova piacere. Lo ammazzeranno, lo stanno stuprando, ma questa violenza gli trasmette solo un piacere che a ogni spinta diventa più forte. La reazione del suo corpo è violenta e il sangue affluisce al cazzo, che si tende. Francisco non vuole che i suoi aguzzini si rendano conto che gli è venuto duro. Ma se gli diranno di alzarsi, lo vedranno. La sua unica speranza è che davvero Álvaro gli spari in culo, quando è ancora appoggiato sul tavolo, risparmiandogli l’ultima umiliazione.

Il cazzo di Gabriel avanza con grande lentezza, dilatandogli le viscere e dilatando anche il piacere, poi arretra e Francisco vorrebbe trattenerlo, perché quella massa calda che gli riempie il culo è fonte di un piacere che Francisco non ha mai provato in vita sua.

- Datti una mossa, Gabriel, che ho voglia di farmelo anch’io, prima di vuotargli il caricatore in culo.

- Non mi piace fare le cose in fretta, Álvaro. Me lo voglio godere, questo culo caldo.

- Che rottura di coglioni!

- Magari glieli rompo io i coglioni…

Una mano di Gabriel scivola tra le gambe divaricate di Francisco, che si tende. Ma la mano che afferra i coglioni lo fa con delicatezza, è più una carezza che una stretta, una carezza delicata, con il pollice che si muove a stuzzicare, mentre il cazzo di Gabriel riprende la sua marcia avanti e indietro, entrando sempre più a fondo. Un’ondata di piacere investe Francisco, che vorrebbe resistere, ma il suo corpo lo tradisce e si abbandona senza remore al suo assassino.

- Cazzo, dalla faccia che fa direi che glieli stai stritolando, Gabriel.

- Più o meno, Álvaro.

Francisco non sa perché Gabriel menta, non sa perché le sue dita ora stuzzichino l’area dietro i coglioni, provocando nuove ondate di piacere, sempre più intense. Non sa perché adesso anche l’altra mano si infili sotto, accarezzando la base del cazzo. Sa che Gabriel gli sta regalando un piacere che non ha mai provato, un piacere che non vorrebbe provare, non di fronte ai suoi assassini, non a opera del suo assassino. Ma Gabriel continua a spingere la sua mazza di ferro dentro il culo di Francisco, sempre più a fondo, e nello stesso tempo le sue mani lavorano abilmente stuzzicando i coglioni e il cazzo. Francisco si rende conto, sbigottito, che è sul punto di venire.

- No, no!

Il primo “no” è stato un gemito, il secondo un urlo. Per un momento Francisco ha perso completamente il controllo di sé. E poi sente l’onda del piacere, un maroso che dal cazzo e dal culo sale impetuoso a inghiottire ogni fibra del suo corpo.

- Glieli hai spaccati, eh?

Álvaro ride. Gabriel risponde:

- Sì, adesso posso concludere.

Sono poche spinte brutali, che fanno male, ma il dolore è solo un’eco del piacere intensissimo, forse è esso stesso piacere.

Francisco sente Gabriel uscire da lui e gli spiace. Spera che lo ammazzino in fretta. Non vuole pensare al momento in cui vedranno che è venuto.

Álvaro si muove per passare dietro Francisco e prendere il posto di Gabriel, ma questi lo ferma.

- Aspetta, ti faccio vedere una cosa.

Francisco si morde un labbro. Gabriel si è accorto che lui è venuto e adesso lo umilierà.

Sono tutti e due di fianco a lui. Gabriel dice:

- Guardagli il collo.

Francisco non capisce. Gira la testa a guardare i due uomini al suo fianco.

Álvaro si china in avanti. Gabriel sposta lentamente un braccio, poi la sua mano si muove rapidissima, un colpo vibrato di taglio, con tutta la forza taurina di Gabriel, sul collo di Álvaro. C’è un rumore secco, qualche cosa che si è rotto. La trachea. Francisco guarda senza capire. Álvaro boccheggia, gli occhi dilatati in uno sguardo di terrore.

Gabriel lo ha afferrato per i capelli e lo colpisce con un pugno due volte sul naso, poi lo scaglia a terra e gli schiaccia la faccia con lo stivale. Estrae il coltello e si volta verso Francisco. Ora lo ucciderà. Ma perché ha ucciso Álvaro?

- Alzati, Lobo. Dobbiamo fare in fretta.

Francisco guarda Gabriel senza capire. Gabriel lo ha chiamato Lobo. Sa che lui è il Lobo Rojo? Ma allora… Francisco si alza. Gabriel gli taglia la corda che gli lega le mani.

- Aiutami a spogliarlo.

Álvaro sta agonizzando. Con gesti rapidi e precisi, Gabriel gli toglie gli abiti. Francisco lo aiuta. Non dice nulla, è confuso, ha paura di tradirsi, non capisce.

Álvaro rimane nudo. Sembra morto

- Vestiti con i suoi abiti, in fretta.

Francisco obbedisce.

Gabriel lo guarda e gli dice:

- Sono qui per liberarti. Sei troppo importante. Ma le spiegazioni dopo. Fa’ quello che ti dico e non parlare.

Gabriel prende il cadavere per le braccia.

- Tu prendilo per le gambe. Tieni la testa bassa.

Con il berretto militare e la testa chinata in avanti, è difficile che qualcuno lo riconosca: ci sono troppi prigionieri e troppi soldati. La faccia di Álvaro è stata sfregiata dai pugni e dal calcio ed è completamente irriconoscibile. Se Gabriel non l’avesse sfigurato, qualcuno dei commilitoni lo avrebbe riconosciuto certamente.

Escono dalla stanza e percorrono il corridoio in direzione opposta a quella da cui Francisco è arrivato. Alla porta c’è una sentinella, che guarda il cadavere e ride:

- Sistemato anche questo finocchio comunista? Bravi!

- Un altro in meno. Adesso lo portiamo al deposito.

Anche al deposito c’è una guardia, che li fa entrare. Mollano il corpo in un angolo, accanto a un altro. Quando escono, la sentinella chiede:

- Avete una sigaretta, amici?

- Mi spiace, fumo solo il sigaro e questo stronzo non fuma neanche. Ma se vuoi un sigaro…

- No, grazie lo stesso. Il sigaro non lo sopporto.

Gabriel e Francisco si allontanano. Raggiungono una zona d’ombra.

- Seguimi e non parlare mai.

Gabriel si muove in fretta. Sembra conoscere bene il percorso da seguire, perché in pochi minuti raggiungono il muro esterno della base. Ci sono alcune casse su cui Gabriel si arrampica in un attimo. Di certo non sono state messe lì per caso o almeno sono state sistemate in modo da permettere di salire.

Gabriel aiuta Francisco ad arrampicarsi sulle casse, poi gli sussurra:

- Io salto, poi tu ti appoggi sulle mie spalle.

Francisco annuisce.

Gabriel si mette sul muro e salta. Francisco può vedere ai piedi del muro la sua ombra che si rialza. Si mette sotto. Francisco si cala, fino a che i suoi piedi sono sulle spalle di Gabriel. Poi scivola lungo il corpo.

- Vieni.

Camminano in fretta, tenendosi all’ombra. Dopo mezz’ora vedono una strada. Mantenendosi vicini alla strada raggiungono una casa che pare abbandonata. Dietro la casa è parcheggiata un’auto.

Gabriel emette un verso che sembra quello di un gufo o di qualche altro rapace notturno. Un’ombra scende dall’auto e apre il bagagliaio.

Gabriel raggiunge l’auto. Francisco lo segue. Ha rispettato la consegna: non ha detto una parola. Ci sono mille cose che vorrebbe chiedere, mille dubbi. Non sa ancora se può fidarsi. Il silenzio gli va bene, non lo costringe a fare scelte.

L’ombra che ha aperto il bagagliaio si rivela una giovane donna. Chiede solo:

- Tutto a posto?

- Tutto a posto. Cambiati, Francisco.

Gabriel si spoglia in fretta e la divisa viene sostituita da abiti civili. Ce ne sono anche per Francisco. Quando si sono cambiati, Gabriel prende le divise e si allontana, dicendo:

- Sali dietro.

Sul sedile posteriore c’è già una donna.

- Contenta di vederti, Francisco.

- Sara!

Sara è anche lei nell’opposizione. La sua presenza rassicura Francisco. È davvero libero. L’altra donna sale davanti, di fianco al posto dell’autista.

Gabriel ritorna e sale, mettendosi al volante. Mentre avvia il motore, dice:

- Se ci ferma la polizia, voi due là dietro mettetevi a pomiciare.

Sara scherza:

- Se Francisco non tiene le mani a posto, arriva a destinazione con dieci segni in faccia.

Poi si rivolge a Francisco:

- Come stai, Francisco? Non ti hanno torturato?

- No, torturato no.

Francisco volta la testa verso il finestrino. Non ha voglia di raccontare quello che ha passato. Pensa alle violenze. Pensa che ha ancora in culo lo sborro di Gabriel, che guida tranquillo nella notte. Pensa che questa notte, forse un’ora fa, ha goduto anche lui, per la prima volta ha goduto mentre un uomo lo possedeva. Chi è Gabriel?

Francisco si volta verso Sara e chiede:

- Mi spiegate come avete fatto?

- Non potevamo lasciarti là. Per fortuna non sapevano chi eri, pensavano che fossi soltanto uno dei giornalisti della redazione di Verdad. La caserma di Rosario non è un carcere di sicurezza, non ci vanno i guerriglieri o gli oppositori, è solo uno dei buchi neri che ogni giorno inghiottono gente qualunque. I controlli sono quelli ordinari. Ci abbiamo messo un po’, ma alla fine abbiamo saputo che quelli arrestati in piazza de la Merced erano stati portati lì. Gabriel è riuscito a farsi mandare nella caserma come soldato, con documenti falsi, ovviamente, ha studiato la situazione e ha organizzato la tua fuga. Molto in fretta, ma è uno in gamba. Credo che tu lo abbia capito da solo.

Tutto è chiaro, ma Francisco è molto turbato. Tutto funziona, ma ci sono molte domande che vorrebbe porre a Gabriel.

- E adesso?

È Gabriel a rispondere:

- Adesso io e te dobbiamo scomparire. Non so se scopriranno che sei fuggito: probabilmente penseranno che il cadavere di Álvaro Vuelo sia il tuo, la faccia non è riconoscibile. Ma in questo caso ci sono due soldati che hanno disertato. Oppure ci sono un soldato disertore e un prigioniero in fuga. Stiamo nascosti qualche giorno in attesa di ciò che capiterà, poi io torno in azione e tu passi in clandestinità, se ti va. Oppure ti facciamo espatriare.

Certo Francisco non può ritornare al giornale o farsi vedere da chi lo conosce: lo riprenderebbero. Di fuggire non si parla:

- Entro in clandestinità.

- Va bene. Ma hai tempo per pensarci. Non devi decidere ora. Hai bisogno di riprenderti, dopo quanto hai passato.

“Dopo quanto hai passato”. Detto da Gabriel fa un effetto strano. Quanto ha passato sono anche e soprattutto gli stupri. Gabriel lo ha stuprato due volte. Ma la seconda volta Francisco è venuto. Francisco non dice nulla.

Sara posa una mano su quella che Francisco tiene sul sedile, in un gesto di conforto.

Dopo due ore arrivano in città. Sara scende con Francisco e Gabriel davanti a un palazzo di molti piani. L’altra donna si mette al volante. Guarda l’ora.

- Sono le tre. Alex viene alle tre e trenta.

L’appartamento è al sesto piano. Una cameretta e una cucina. Sara dà le istruzioni:

- Non uscite per nessun motivo. Verrò io a portarvi da mangiare. Ho già fatto un primo rifornimento. C’è anche un po’ di biancheria per te, Francisco.

Parlano ancora brevemente. Prendono due bibite dal frigorifero. Gabriel non dice quasi nulla. Francisco vuole parlargli, ma non in presenza di Sara. 

Sara controlla l’ora. Alle tre e trenta scende.

Gabriel dice:

- Io mi faccio una doccia e mi metto a letto. Scuse, spiegazioni, insulti, botte, rimanderei tutto a domani mattina, se non ti spiace.

Francisco sorride, un sorriso un po’ forzato.

- Intendi menarmi? Perché in questo caso ti ringrazio per avermi avvisato.

- No, io posso fornire spiegazioni e scuse. Insulti e botte li metti tu, se vuoi.

Gabriel non attende una risposta. Va in camera e poco dopo Francisco sente il rumore dell’acqua che scorre nella doccia. Francisco rimane nella cucina. Quando sente che Gabriel è tornato in camera, entra anche lui. Gabriel è steso sul letto. È nudo, ma si è coperto il ventre con il lenzuolo.

Francisco evita di guardarlo. Va in bagno, fa la doccia anche lui, poi si spoglia e si stende. Anche lui si copre solo con il lenzuolo. Avrebbe mille domande da fare, ma Gabriel sta già dormendo. Francisco si dice che non prenderà sonno facilmente, ma in pochi minuti sprofonda nell’incoscienza.

 

*

 

Gli ci vuole un momento per rendersi conto di dov’è. È steso su un letto, è libero. In clandestinità, ma libero. Di fianco a lui dorme Gabriel.

Francisco lo guarda. Nel sonno si è scoperto completamente. Francisco non lo ha mai visto nudo, ma ora può guardarlo senza remore: Gabriel sta dormendo, il suo respiro è pesante, quasi un russare. Gabriel è massiccio, piuttosto villoso, molto forte. Gabriel ha un grosso cazzo. Quel cazzo e quelle mani dalle dita corte ieri sera lo hanno portato a godere.

Francisco si rende conto che il sangue sta affluendo al suo uccello. Si alza di scatto e va in bagno. Chiude la porta. Va al cesso, poi si lava.

Torna in camera. Gabriel si è svegliato, si è coperto e adesso gli sorride:

- Buon mattino, Francisco.

Francisco non risponde subito. Si siede sul letto.

- Buon mattino a te. Suppongo che dovrei ringraziarti. Hai rischiato la tua pelle per salvare la mia e ci sei riuscito. Invece di essere un cadavere, sono vivo e vegeto.

- Eppure non hai nessuna voglia di ringraziarmi, per cui diamo i ringraziamenti per fatti e passiamo oltre. Vuoi menarmi o c’è qualche cosa che vuoi sapere, prima?

Francisco cerca di sorridere.

- Non posso menarti. Sei più grosso e più forte di me.

- Puoi menarmi, se vuoi. Non reagirò. Lo dico sul serio. So quando me le merito.

- Ti meritavi anche i ringraziamenti, ma me li sono risparmiati, posso risparmiarmi anche le botte.

Il sorriso di Gabriel è ironico.

- Sei davvero gentile.

- Però mi devi spiegare… Era proprio necessario che mi stuprassi?

- Sì, non potevo fare diversamente dagli altri. E tu eri l’unico con cui aveva senso. Ti inculavo, ma contavo di salvarti la vita. Farlo a un altro sarebbe stato ingiusto.

Francisco annuisce. Si rende conto che Gabriel ha perfettamente ragione. C’è ancora una seconda domanda, ma gli costa fatica porla, per cui prima dice:

- Perché la prima volta ti sei mosso così… con molta cautela.

- Cercavo di non farti male. So benissimo che quello che ho tra le gambe può fare male, anche parecchio, se uno non ci è abituato. Non era certo la prima volta che prendevo qualcuno e ho colto immediatamente l’effetto che ti faceva. Allora ho lasciato perdere le precauzioni e ho accelerato il ritmo proprio per farti male, perché non volevo che ti venisse duro. Perché ti sarebbe venuto duro, Francisco. E tu ne avresti patito.

- Sì, è vero.

C’è un momento di silenzio. È Gabriel a spezzarlo:

- Fuori il rospo.

Francisco respira a fondo, poi chiede:

- Ma perché… perché ieri sera…

- Perché ti ho fatto venire? È quello che vuoi chiedermi?

Francisco annuisce.

- Senti, Francisco, te lo dico chiaro e tondo: a me piacciono gli uomini. So che in questo paese, come in tutta l’America latina, non è accettabile, ma non me ne fotte un cazzo. Se arrivo vivo alla fine di questa lotta, magari me ne andrò negli Stati Uniti, non lo so.

Gabriel si ferma un attimo, poi riprende:

- Avevo colto il tuo desiderio. Mi sono detto che magari ci ammazzavano tutti e due quella stessa sera, ieri sera, se qualche cosa andava storto. E tutto poteva andare storto. Allora perché non farti venire e non venire insieme a te?

- Potevi ammazzare subito quel bastardo.

- No, in ogni caso doveva passare del tempo prima che potessimo portare via il cadavere. E se qualcuno fosse entrato nel frattempo? Non era da escludere. E poi… mi piacevi e non sospettavo che per te fosse la prima volta, Francisco. La prima volta che venivi mentre qualcuno ti prendeva, intendo

Francisco alza la testa di scatto e fissa Gabriel.

- Come l’hai capito?

Gabriel scrolla le spalle.

- L’ho capito. Complesso da spiegare. Ma ha importanza?

Francisco scuote la testa.

- No, non ha importanza.

- Se prendermi a pugni ti fa stare meglio, puoi farlo. Lo dico sul serio.

Francisco fissa Gabriel. Pensa che vorrebbe davvero prenderlo a pugni. O forse vorrebbe baciarlo. Il pensiero lo fa scattare in piedi. Francisco va verso la finestra.

- Sta’ lontano da quella finestra.

Francisco si volta verso Gabriel, senza capire.

- In clandestinità non ci si affaccia mai a una finestra. Non sai chi può vederti.

- Non ci avevo pensato.

- Dovrai abituarti. Sono molte le cose che dovrai imparare.

- Sono molti anni che vivi in clandestinità?

- Quattro.

Francisco torna a sedersi sul letto. Decide di deviare la conversazione verso altri soggetti, che non siano campi minati.

- Che cosa facevi prima di entrare in clandestinità?

- Il meccanico e il fotografo.

Francisco scuote la testa.

- Un po’ strana come accoppiata.

Gabriel sorride. Ha un bel sorriso, dolce.

- Ho incominciato a lavorare come meccanico a quattordici anni. Di studi non ne ho fatti molti, i miei proprio non potevano mandare a scuola la caterva di figli che avevano fatto. Ero bravo, riparare le auto mi piaceva. Un giorno, quando avevo vent’anni, arrivarono un giornalista e un fotografo dagli USA, volevano fare un reportage sulle tribù delle montagne. Cercavano qualcuno che sapesse guidare e riparare l’auto, sai benissimo come sono le strade sulla Sierra. O non ti sei mai mosso dalla città?

Francisco conosce poco le montagne.

- So come sono le strade, anche se non ho mai avuto molte occasioni di girarci. Non avevo un buon meccanico, io.

- Girammo per tre mesi. Un giorno, quando ormai avevamo imparato a conoscerci, chiesi a Steve, il fotografo, di insegnarmi a fotografare. E lui lo fece. Mi lasciò scattare un sacco di foto. Mi innamorai della fotografia.

- E tradisti la meccanica…

- No, di fotografia qui da noi non si vive, forse se fai i servizi ai matrimoni. Ma non mi interessava. Steve mi regalò una macchina fotografica ed io incominciai a spendere in rullini e materiali per lo sviluppo e la stampa ciò che guadagnavo come meccanico. O almeno ciò che mi rimaneva dopo aver dato un po’ di soldi ai miei. Per fortuna Steve mi volle con sé anche in altre due occasioni, in Nicaragua e in Honduras. In questi viaggi guadagnavo parecchi soldi, almeno rispetto a quanto prendevo come meccanico. Steve riuscì a vendere parecchie delle fotografie che feci nel secondo e nel terzo viaggio e questo fu un colpo grosso. Alcuni dei miei fratelli hanno potuto studiare e adesso la mia famiglia se la cava molto meglio.

- Hai contatti con loro da quando sei in clandestinità?

Il viso di Gabriel cambia espressione. Il sorriso scompare.

- No, non intendo fargli correre rischi. Ma ogni tanto gli mando una fotografia, perché sappiano che sono vivo. Non una fotografia in cui ci sono io. Solo una foto. Loro capiscono.

Parlano un po’ delle loro famiglie e delle loro vite, senza ritornare alla giornata precedente. Francisco vorrebbe chiedere a Gabriel come ha scoperto che gli piacciono gli uomini, ma preferisce non affrontare l’argomento.

 

Trascorrono insieme tutta la giornata e poi le due successive. La terza sera Sara passa a portare un po’ di provviste e a dare le ultime notizie. Pare che nessuno abbia capito che il cadavere portato da Gabriel e Francisco è quello di uno dei soldati e non di un prigioniero. Due poliziotti sono andati a casa di Álvaro per chiedere alla famiglia notizie, dicendo che aveva lasciato la caserma senza autorizzazione.

Francisco si rivolge a Gabriel e osserva:

- A questo punto però hanno certamente scoperto che hai dato generalità false.

- Forse, non è detto. Abbiamo mescolato un po’ le carte e non è così facile capire che quel Gabriel non è mai esistito.

Sara comunica che domani mattina verranno a prendere Gabriel, che riprenderà le sue attività: non specifica quali sono, ma è chiaro che si tratta di azioni clandestine. Francisco rimarrà nell’appartamento ancora alcuni giorni, poi verrà trasferito e si vedrà quale sarà il suo nuovo ruolo nella resistenza.

Quando Sara se ne va, Francisco pensa che è l’ultima sera che passano insieme. È stato bene con Gabriel, hanno parlato di tante cose. Gabriel sa ascoltare.

Un unico argomento hanno evitato, con molta attenzione: tutto ciò che ha a che fare con la sessualità e in particolare quanto è successo tra loro in carcere.

Francisco però ci pensa spesso ed è sollevato all’idea che Gabriel se ne vada, per quanto si trovi bene con lui.

Quando sono stesi nei loro letti, è Gabriel ad affrontare l’argomento:

- Francisco, mi spiace per quanto è successo nella caserma. Ho commesso un errore di valutazione.

È buio nella stanza, anche se l’oscurità non è completa perché dalla finestra entra un po’ della luce della strada. Nel buio, senza guardare in faccia Gabriel, per Francisco è più facile parlare.

- Va bene così, Gabriel. È fatta.

- No, Francisco, non va bene così. Tu non l’hai digerita.

- Forse.

C’è un momento di silenzio, poi Francisco ammette:

- Sì, è vero.

Francisco preferisce non parlarne e allora cambia un po’ argomento, chiedendo:

- Quando hai scoperto…

Non occorre completare la domanda, Gabriel ha già capito.

- Molto presto, ma mi sembrava una cosa terribile, mi sentivo in colpa, perciò non ho combinato niente per un sacco di tempo. Poi…

Gabriel si interrompe.

- Dimmi, Gabriel.

- Fu il viaggio con Steve e Albert. A Steve piacevano gli uomini. Fu lui a guidarmi alla scoperta del piacere. Mi innamorai di lui.

- E lui?

- Steve mi voleva bene, davvero, e mi aiutò in tanti modi, ma non era innamorato. Però le tre volte che viaggiammo insieme furono il mio paradiso. E anche dopo, continuò ad aiutarmi mettendomi in contatto con alcune agenzie fotografiche. E in fondo fu merito suo se mi dedicai alla lotta.

- In che senso?

- Facevo foto che servivano per documentare la situazione del paese, le vendevo negli USA. E una volta, fotografando un villaggio devastato dai militari, mi dissi che non bastava fotografare, che era ora che facessi qualche cosa.

Parlano anche di come Francisco è arrivato alla scelta della lotta.

Poi Gabriel conclude:

- Adesso è meglio che ci mettiamo a dormire. Domani me ne vado. Magari ci ritroveremo quando tutto questo sarà finito.

Francisco chiude gli occhi, perché il buio diventi totale. Non è facile dire ciò che ha deciso di dire:

- No, Gabriel, preferisco che non ci rivediamo più.

Gabriel rimane in silenzio un momento, poi dice:

- Come vuoi, Francisco. Tanto magari mi ammazzano.

Francisco sente una fitta e dice, in fretta:

- No, Gabriel, spero che tu arrivi sano e salvo alla fine di questa lotta, soffrirei molto se ti succedesse qualche cosa. Ma preferisco pensare che non ci rivedremo più.

- Come vuoi.

Il giorno dopo si parlano appena, tutti e due cupi. Il loro saluto è brevissimo, il saluto di due estranei che non hanno nulla da dirsi.

 

*

 

È passata una settimana da quando Gabriel se n’è andato. Francisco ha cambiato rifugio. Ne cambierà spesso, lo sa. Ha documenti falsi, si è rasato e tagliato i capelli molto corti e adesso quando esce indossa un paio di occhiali, di cui non ha bisogno, per evitare che qualcuno lo riconosca. I rischi sono ridotti finché rimarrà nella cittadina in cui si trova ora, ma Francisco dovrà recarsi spesso nella capitale, dove molti potrebbero riconoscerlo.

A una riunione Hernán gli la notizia: 

- Abbiamo assaltato la caserma vicino a Rosario, quella in cui sei stato tenuto prigioniero. Siamo riusciti a liberare tutti i detenuti, tra cui parecchi dei giornalisti arrestati. Quelli che erano ancora vivi.

La notizia fa molto piacere a Francisco: almeno alcuni dei suoi colleghi sono stati salvati. Non sapeva niente dell’attacco, ma questo è normale: solo chi si occupa direttamente di un’azione è informato, per evitare che i piani trapelino, magari per la cattura di uno di loro.

Sara annuisce e commenta:

- Una grande azione del Lobo negro.

- Il Lobo negro?

Francisco non ha mai sentito questo nome ed è un po’ stupito che qualcuno abbia scelto un soprannome così simile al suo.

Sara sorride, un po’ ironica, mentre Pedro osserva:

- Il nostro miglior comandante. Ora che i tempi stringono ogni comandante si è scelto un nome di battaglia. Vogliamo che questi nomi circolino, che la gente li conosca e si abitui a pensare a loro come ai liberatori. Questa notte verranno lasciati per la città volantini per far conoscere questa azione.

Julio obietta:

- Bisognerà fare attenzione a non dare troppo rilievo a un nome a scapito degli altri. Qualcuno potrebbe montarsi la testa e pensare a un futuro come líder máximo. Dobbiamo evitare derive autoritarie, una volta che avremo rovesciato il dittatore.

- Non è certo il caso del Lobo negro.

- No, non lo credo neanch’io, ma è meglio non correre rischi.

La riunione prosegue. C’è molto da discutere, c’è molto da fare. Francisco è contento di essere impegnato. Negli ultimi giorni è rimasto inattivo e quando non ha niente da fare, il pensiero di Gabriel è una spina costante. L’attività lo aiuterà a scacciare il pensiero.

Alla fine della riunione, Francisco pone a Sara la domanda che gli è venuta alle labbra quando si è parlato dell’azione alla caserma:

- Il Lobo negro è Gabriel, vero?

Sara sorride e annuisce.

Francisco non dice nulla. Torna al suo rifugio e si rende conto di stare male dentro, una sofferenza tanto forte da sembrare un malessere fisico.

Francisco si dice che gli passerà.

Passano i giorni, ma il pensiero rimane. Francisco ha molto da fare, ma ci sono anche ore e a volte intere giornate in cui deve rimanere inattivo. Allora il pensiero torna a Gabriel, all’ultima frase che gli ha detto. In quei giorni Francisco prova disgusto di sé e di tutto, gli pare di sprofondare in una melma vischiosa che lo inghiotte.

Il desiderio lo tormenta, come non gli è mai successo prima. Ma ora il desiderio ha una forma precisa, è il desiderio di un corpo il cui ricordo lo ossessiona. Più volte gli capita di sognare Gabriel e di venire in sogno. Quando si sveglia, una disperazione sconfinata lo assale.

A volte, quando è impegnato in un’azione, Francisco si scopre a desiderare di morire, per sfuggire a questa sofferenza che lo dilania.

Non chiede mai notizie del Lobo negro, ma quando parlano delle sue azioni non perde una parola.

 

*

 

Sono passati sei mesi. L’attività della resistenza è diventata molto più intensa e questo aiuta Francisco a tirare avanti e tenere a bada la sua sofferenza.

I guerriglieri hanno conquistato quasi tutto il paese e ormai sono vicini alla capitale. Si sussurra che la città verrà presto attaccata. Francisco sa che un attacco è davvero imminente, non alla città, ma all’aeroporto. A guidare l’azione, estremamente rischiosa, sarà il Lobo negro. E ogni volta che qualcuno dice il suo nome, Francisco ripensa a Gabriel e prova una fitta.

In città sono entrati parecchi guerriglieri: il primo attacco non partirà dalla foresta, come tutti pensano, ma dal sobborgo di San Isidro. Una mossa geniale e rischiosa, che gioca sull’effetto sorpresa. Pochissimi conoscono i piani e la data dell’attacco. Francisco è tra questi, perché svolge un ruolo importante nel coordinare le azioni che si svolgono nella capitale.

Mancano due giorni. Francisco ha appuntamento con Blanca a un’edicola. Francisco compra un giornale e poi si volta, urtando, come inavvertitamente, Blanca.

- Mi scusi, signora.

Blanca risponde, a voce alta:

- Potrebbe fare più attenzione!

La frase significa che Blanca ha una comunicazione breve, che non richiede un colloquio, ma solo lo scambio di poche parole, e quindi può avvenire sul posto.

- Mi scusi, davvero, mi spiace.

Blanca storce la bocca, poi sibila, come se stesse insultandolo sottovoce.

- Questa sera ti porterò qualcuno. Dormirà da te due notti.

Francisco alza le spalle, come se non sapesse che cosa dire. Non chiede nulla. Non è la prima volta che accoglie ospiti: spesso ha accolto qualcuno nei suoi rifugi provvisori, a volte senza nessun preavviso, e altrettanto spesso è stato ospitato. Forse non ha neanche senso parlare di ospitare: negli ultimi sei mesi Francisco non ha mai abitato in una casa che poteva definire sua. Ogni appartamento è solo una base, in cui lui è ospite, da solo o insieme ad altri.

Blanca si volta e se ne va, come se fosse ancora irritata.

Francisco ha molte cose da fare in giornata. Rientra a casa solo nel tardo pomeriggio.

 

Verso sera qualcuno apre la porta con la chiave. È di certo Blanca con l’ospite. In effetti sulla soglia appare Blanca. Dietro di lei c’è Gabriel, esattamente come Francisco se lo ricordava. Perché dovrebbe essere cambiato?

Francisco rimane paralizzato e si rende conto che anche Gabriel è ugualmente stupito. Blanca coglie immediatamente la tensione che si è creata.

- C’è qualche cosa che non va?

Gabriel tace.

Francisco risponde:

- No. Solo sorpresa: non sapevo che fosse lui, il mio ospite. Ci conosciamo bene. È stato lui a liberarmi quando ero prigioniero alla caserma.

Blanca sorride.

- Meno male. Ho avuto l’impressione che ti fossi teso di colpo. Per un attimo ho temuto che ci fosse qualche problema serio.

Il problema c’è. Francisco non è pronto. L’idea di ospitare Gabriel per due notti lo sgomenta.

Appena Blanca è uscita, Gabriel dice:

- Mi spiace, Francisco. Non sapevo che fossi tu. Ma forse avrei dovuto pensare che poteva succedere. Era ovvio che mi avrebbero mandato in uno dei rifugi più sicuri. E anche il Lobo rojo deve essere tenuto al sicuro.

Francisco cerca di sorridere, come se la faccenda non avesse nessuna importanza.

- Va benissimo, Gabriel, anzi: Lobo negro. Non c’è nessun problema.

Francisco mente e negli occhi di Gabriel legge che non è per niente convincente. 

Fanno fatica a parlare, tutti e due. Francisco si fa raccontare la liberazione della caserma e altre due imprese di Gabriel, ma le parole di Gabriel non riescono a colmare l’abisso che li separa. Sono due estranei, a disagio l’uno con l’altro. Francisco sa benissimo di essere innamorato di quest’uomo, ma fa di tutto per tenerlo a distanza. E Gabriel non cerca di avvicinarsi. Il silenzio cala spesso tra di loro e quando Gabriel dice che si stende un momento per riposare, Francisco è sollevato.

Francisco prepara da mangiare, ma concentrarsi gli costa fatica. Man mano che il tempo passa, sente dentro di sé una sofferenza sempre più forte, che a un certo punto diventa intollerabile. Francisco si siede sulla sedia e chiude gli occhi. Sta sprofondando. Dovrebbe analizzare la situazione, porsi delle domande e darsi le risposte, come è abituato a fare quando c’è da organizzare un’azione. Dovrebbe, ma non ne è capace.

Mangiano in un silenzio quasi completo: ogni spunto di conversazione si esaurisce in un attimo. Francisco vorrebbe chiedere a Gabriel dei suoi progetti per il futuro, ma non trova le parole. In fondo il silenzio, per quanto imbarazzante, è meglio di una conversazione che gli peserebbe.

Si coricano presto, anche se non hanno motivo per farlo. Quando Francisco ritorna dal bagno, Gabriel è già steso sul letto, coperto dal lenzuolo.

Rimangono a letto in silenzio un buon momento, poi Francisco si rende conto che Gabriel si è addormentato. Francisco rimane sveglio. Pensa che Gabriel si fermerà ancora domani, dormirà ancora una notte e poi se ne andrà. Probabilmente andrà a morire. Prova rabbia con se stesso: rabbia per avergli detto che non lo voleva più rivedere, sei mesi fa; rabbia perché non è riuscito ad accoglierlo con un po’ di calore; rabbia per la propria vigliaccheria, perché sa benissimo di desiderare con tutto se stesso quest’uomo che dorme accanto a lui. E sa che non dirà mezza parola. Francisco si chiede che razza di uomo è. Prova vergogna.

Francisco si addormenta tardi, ma a un certo punto viene svegliato dal rumore che viene dalla strada. Da due mesi c’è il coprifuoco, la notte, e pochissimi mezzi circolano: autocarri dell’esercito, macchine della polizia e qualche pezzo grosso del regime che può muoversi liberamente. Adesso invece si sentono passare diversi veicoli.

Anche Gabriel si è svegliato.

- Che succede?

Gabriel si alza. È nudo. Va alla finestra e guarda fuori.

Francisco si mette a sedere sul letto. La stanza è buia. Francisco può vedere appena la schiena di Gabriel, il culo forte. Francisco ha un vago senso di nausea. Cerca di nascondere il suo turbamento mentre chiede:

- Che cosa c’è?

- Camion, auto blindate, auto della polizia. Vanno in direzione dell’aeroporto.

- Credi che abbiano saputo dell’attacco?

- O l’hanno saputo o lo sospettano. L’aeroporto è un punto strategico.

Le parole di Gabriel non convincono Francisco. Che l’aeroporto sia un punto strategico è ovvio, ma non c’è motivo per inviare forze armate di notte. Devono aver saputo di un assalto imminente. Questo significa che l’attacco è un’impresa disperata.

- Forse dovrete rinviare l’azione.

- Valuteremo bene il da farsi. Abbiamo i nostri informatori, che ci diranno le novità. Ma non credo che rinunceremo, Francisco. Anche se non riuscissimo a prendere l’aeroporto, l’attacco dimostrerebbe la vulnerabilità del regime.

- Andrete tutti alla morte.

- L’abbiamo messa in conto.

Francisco si sente male. Guarda il corpo nudo di Gabriel. Non vuole che muoia. E non vuole che vada a morire senza che si siano parlati.

- Gabriel, io…

Gabriel si volta. Francisco lo guarda. Gabriel è appena visibile, ma a Francisco sembra di poter distinguere ogni dettaglio di quel corpo.

- Gabriel… abbracciami.

Francisco si alza. Gabriel non dice nulla. Esita un attimo, poi si avvicina e stringe Francisco tra le sue braccia. Francisco gli mette le mani sulle guance e le loro bocche si incontrano. Per la prima volta Francisco sta baciando un uomo. No, non un uomo qualunque. L’uomo che ama.

È un bacio lungo, appassionato. La lingua di Gabriel si spinge nella bocca di Francisco, poi si ritrae e quella di Francisco la segue, passando tra le labbra di Gabriel per entrare nella sua bocca.

Quando le loro labbra si separano, Francisco dice:

- Prendimi, Gabriel.

Gabriel non chiede spiegazioni, non dice nulla. Si limita ad annuire. Lo bacia ancora. Poi lo accompagna a stendersi sul letto, supino. Si stende su di lui e lo bacia ancora, più volte. Si mette in ginocchio sul letto e le sue mani percorrono il corpo di Francisco: scivolano sul viso, accarezzano il collo, indugiano sul petto, scendono al ventre, si posano sul cazzo che si tende. Gabriel si china su di lui e lo bacia un’altra volta. Poi gli solleva le gambe e se le pone sulle spalle. Si sputa su due dita e con molta delicatezza inumidisce l’apertura. Poi fa lo stesso con la cappella.

Gabriel esita un attimo e dice:

- Lo vuoi davvero, Francisco?

- Sono mesi che lo desidero.

Gabriel sorride e, con molta delicatezza, spinge in avanti fino a che la cappella si appoggia sull’apertura e, piano piano, affonda dentro la carne. Francisco sente il calore e la consistenza del cazzo che dilata l’apertura ed entra in lui e si sente felice. Gabriel è su di lui, Gabriel lo sta prendendo, ciò che è stato detto non ha più importanza, tutto è cancellato, ora c’è Gabriel che lo sta possedendo.

Il cazzo avanza con lentezza. Il piacere, forte, è accompagnato da un po’ di dolore, ma non ha importanza. Gabriel si ritrae e questo movimento è bellissimo. Gabriel esce e Francisco sorride, perché sa che adesso il cazzo di Gabriel rientrerà in lui. E così avviene: il cazzo preme di nuovo e si fa strada, un po’ più deciso, ora, trasmettendo una sensazione piacevolissima. Avanza di più, ma prima di giungere al fondo si ferma, indietreggia, avanza ancora e si ritrae completamente, uscendo. Il terzo ingresso è deciso, quasi violento, e trasmette a Francisco un misto di piacere, intensissimo, e leggero dolore. Questa volta Gabriel avanza, sempre con delicatezza, fino in fondo, fino a che Francisco ha l’impressione di essere completamente trapassato dal cazzo di Gabriel. Malgrado il dolore, è una sensazione bellissima, un piacere violento che si dilata, come le viscere di Francisco si dilatano per la pressione del cazzo. Le mani di Gabriel accarezzano Francisco, scivolano sul suo viso e sul suo corpo.

- Sei bellissimo, Francisco.

Francisco sa che non è vero, ma sa che per Gabriel è vero ed è l’unica cosa che conta.

- Tu sei molto più bello, Gabriel.

Gabriel scuote la testa, si china in avanti per baciare Francisco, poi incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando il cazzo finché i coglioni non battono contro il culo di Francisco e poi ritraendolo. Ogni spinta trasmette una sensazione fortissima a Francisco, che geme, leggermente. Intanto le mani di Gabriel scendono al cazzo di Francisco e incominciano ad accarezzarlo con molta dolcezza, scivolano ancora ai coglioni, li stringono, poi afferrano con forza il cazzo. La mano che stringe attizza il desiderio di Francisco, mentre il cazzo che gli scava nel culo trasmette ondate di un piacere che va crescendo. Francisco sente di essere ormai prossimo a venire, ma Gabriel si ferma, la sua mano si stacca e scivola sul corpo, sul ventre, sul torace, sul collo, fino ad accarezzare il viso di Francisco. Anche il movimento del culo di Gabriel si è arrestato. L’ondata del piacere arretra e non deborda. Allora Gabriel riprende il suo lento movimento, implacabile e Francisco avverte di nuovo il piacere che sale dal suo culo martoriato. Una mano di Gabriel ritorna ad accarezzargli il cazzo, l’altra gli percorre il corpo e di nuovo l’onda del piacere sale, sempre più alta. E ancora una volta, quando ormai Francisco sta per venire, Gabriel si ritrae. Questa volta il cazzo esce completamente dal culo, Gabriel gli abbassa le gambe e si stende su di lui, lo bacia più e più volte, le loro lingue si incontrano, le loro mani si stringono.

Poi Gabriel rimette Francisco in posizione, entra in lui con un movimento brusco e riprende la sua opera. Nuovamente l’onda del piacere sale, fino ad avvolgere completamente Francisco. Questa volta Gabriel non si ferma e Francisco sente il seme che sgorga mentre tutto il suo corpo vibra di un piacere violentissimo e Gabriel viene dentro di lui.

Francisco chiude gli occhi. Gabriel si ritrae, gli posa le gambe sul letto, si stende su di lui e lo bacia, appassionatamente. E allora Francisco riesce a dire ciò che ha dentro:

- Ti amo, Gabriel.

- Anch’io ti amo, Francisco.

Francisco pensa che domani Gabriel rischia di morire e sente l’angoscia avvolgerlo.

- Gabriel… non rischiare…

Gabriel lo bacia, impedendogli di completare la frase, poi risponde:

- Cercherò di badare a me stesso, Francisco, ma la lotta è più importante della mia vita.

Francisco sa che Gabriel ha ragione, ha fatto la stessa scelta impegnandosi in prima persona, ma non riesce a tollerare l’idea che Gabriel muoia.

Gabriel è steso su di lui e Francisco non può immaginare niente di più bello del peso e del calore di questo corpo che lo schiaccia. Ripete:

- Ti amo, Gabriel.

 

*

 

Il mattino è giunto. Nella notte si sono amati due volte. Hanno dormito poco, stretti l’uno all’altro. Si alzano, si lavano e si vestono per essere pronti in caso arrivasse qualcuno, ma poi si abbracciano e si baciano di nuovo. È Gabriel a parlare:

- Francisco, non so se ne usciremo vivi, ma, se tornerò, io…

Gabriel si ferma, d’improvviso incerto.

- Dimmi, Gabriel.

- …vorrei che tu ed io vivessimo insieme.

Francisco annuisce. L’idea lo spaventa, ma sa di desiderarlo.

- Sì, Gabriel, sì. Lo voglio anch’io.

Francisco vorrebbe ripetere a Gabriel di fare attenzione: ha paura, una paura dannata che venga ferito, ucciso. Paura di perderlo ora che l’ha ritrovato.

Gabriel spinge Francisco contro il muro e preme su di lui. Si stanno baciando appassionatamente, tutti e due con il cazzo duro, quando si sente una tripla scampanellata. È il segnale convenuto: qualcuno dei loro è alla porta. Si staccano con fatica, sperando che i pantaloni celino la loro eccitazione. Ma per Gabriel è impossibile, il rigonfio è troppo evidente, per cui Gabriel si mette dietro una sedia.

Francisco apre la porta ed entra Sara, troppa agitata per accorgersi di alcunché.

- Non ne sapete niente?! Non sapete ancora niente?!

- Che cosa? Dell’aeroporto…

Sara non lascia che Francisco finisca la frase:

- Sono scappati, sono scappati tutti, la famiglia del dittatore, i consiglieri, gli alti comandi dell’esercito. Hanno riempito quattro aerei militari e sono volati via. Alcuni dicono in Messico, altri in Argentina.

Francisco rimane senza parole. Il primo pensiero è che Gabriel non dovrà attaccare l’aeroporto, che non rischia la vita. Francisco prova un sollievo infinito. Gli ci vuole un momento per cogliere tutta la portata della notizia: le loro vite sono a una svolta, il paese è a una svolta.

Gabriel ha capito più in fretta, perché dice:

- Allora ci sono tante cose da fare.

Sara conferma:

- Sono venuta per questo. Andiamo subito dal Pájaro, c’è una riunione dei comandi.

Escono tutti e tre, insieme: ieri sarebbe stato impossibile, sarebbero usciti uno per volta e ognuno si sarebbe mosso per conto proprio, seguendo strade diverse. Ma ieri era un altro secolo.

La riunione è breve. Ci sono davvero tante cose da fare: bisogna annunciare alla popolazione che la dittatura è finita e invitare i soldati a lasciare le armi. I guerriglieri devono marciare sulla capitale. Gabriel aggiunge che bisogna raggiungere il più in fretta possibile tutti i centri di prigionia, per evitare che avvengano stragi, e che bisogna servirsi della televisione e della radio per intimare a coloro che ancora controllano le carceri di non torcere un capello ai prigionieri se non vogliono essere fucilati immediatamente. 

Francisco nota che Gabriel appare il più attento alle vite che in questo momento sono ancora in pericolo. Negli altri prevale l’euforia della vittoria, ma tutti si dichiarano d’accordo con Gabriel, che occuperà la sede della televisione con i suoi uomini.

Quando si lasciano, Gabriel e Francisco riescono a scambiare solo due parole, un po’ discosto dagli altri:

- Francisco, nei prossimi giorni ci vedremo poco, ma quello che ho detto rimane valido.

- Anche per me, Gabriel.

 

*

 

Un mese è passato. Un mese di euforia e di festa per gran parte della popolazione; un mese di lavoro frenetico per tutti coloro che, come Francisco e Gabriel, hanno lottato per rovesciare la dittatura e ora cercano di organizzare la transizione verso la libertà.

Francisco è tornato a vivere nella sua casa, ha ritrovato i colleghi e gli amici. Il lavoro al giornale, che ha ripreso da due settimane, e l’attività politica gli lasciano pochissimo tempo.

Ogni sera Francisco arriva a casa stanco. Quando cena da solo o si siede in poltrona, spesso si sente assalire dallo sconforto: Gabriel è sempre via, in giro per il paese, Francisco ha avuto appena modo di vederlo tre volte, in brevi incontri, sempre in presenza di altri. La lontananza di Gabriel è un peso che ogni giorno diventa più forte e alimenta paure assurde: che Gabriel non lo voglia più, che la loro storia sia già finita.

È mezzanotte e non è molto che Francisco si è steso a letto, quando il campanello suona. Una scampanellata imperiosa.

Francisco si alza, chiedendosi chi possa essere a quest’ora.

Chiede:

- Chi è?

- Gabriel.

Francisco ha l’impressione che le gambe gli cedano. Apre la porta e si ritrova tra le braccia di Gabriel, che lo bacia e lo stringe.

Solo quando si staccano, dopo un lungo abbraccio, Francisco nota che Gabriel ha una valigia. Il cuore gli batte forte, mentre chiede, sorridendo:

- La valigia?

Non osa formulare la sua domanda.

Gabriel risponde:

- Prima di venire da te ho raccattato le quattro cose che avevo. Non vorrei che mi sbattessi fuori perché non ho neanche un paio di mutande di ricambio.

- Per me puoi anche rimanere nudo tutto il giorno…

 

2015