3 - Cambiamenti

 

 

Friedrich e Albert dividevano il tempo libero tra il salotto della contessa, il bordello di Madame Henriette e la migliore taverna della cittadina, dove si dedicavano al gioco. Tendevano a frequentare esclusivamente alcuni ufficiali di grado superiore, quelli che si ritrovavano anche dalla contessa, preferendo non mescolarsi con gli ufficiali di pari grado. Appartenendo a famiglie illustri, erano ben accetti ovunque.

Poiché amavano entrambi il gioco, vi si dedicavano sia nella taverna, sia nel salotto della Kressmann, sia nelle serate dal duca.

Un giorno il maggiore Kovács, che giocava spesso con loro, disse:

- Siete due buoni giocatori. Potreste tentare la fortuna al Cavallo Nero.

Il Cavallo Nero era una taverna che i due non frequentavano: non godeva certo di buona fama nella cittadina.

- Al Cavallo Nero? Ma dicono che sia un postaccio.

Kovács rise.

- Lo è, lo è, sotto ogni aspetto. Ma lì si gioca sul serio, si scommette davvero. Non come qui.

Dalla contessa le puntate non erano mai molto consistenti. Katarina Kressmann sembrava non gradire che nel suo salotto si giocassero grandi somme. Preferiva che il gioco rimanesse un passatempo piacevole e non creasse tensioni tra gli ospiti.

Albert e Friedrich si scambiarono un’occhiata. Poi Albert rispose:

- Potrebbe essere un’idea.  

- Se andate, dite all’oste che vi mando io e che volete giocare un po’ nella sala sul retro: ci possono andare solo i clienti abituali o quelli che sono stati presentati. Nella sala principale giocano i soliti quattro balordi e non è certo il caso di mettersi al tavolo con quei pezzenti ubriaconi.

Due giorni dopo Albert e Friedrich raggiunsero il Cavallo Nero. Dissero all’oste che li mandava il maggiore Kovács. L’oste sorrise e disse:

- Allora volete giocare in un posto tranquillo.

Li fece passare in una sala  vicina, a cui si accedeva da una porta situata di fianco al bancone. C’erano tre giocatori.

Albert e Friedrich passarono il pomeriggio giocando. Friedrich vinse parecchio denaro: riuscì a spennare uno dei giocatori, che a un certo punto se ne andò, rabbioso. Anche Albert guadagnò qualche cosa, ma molto meno.

I due decisero di ritornare a giocare nel locale: era molto più piacevole che dalla contessa. Non intendevano certo rinunciare a frequentare il salotto Kressmann, ma quando non erano impegnati là o non scopavano al bordello, il Cavallo Nero garantiva un buon divertimento.

Due giorni dopo la prima visita, ritornarono alla taverna. C’erano tre uomini. Uno era quello che aveva perso parecchio la volta precedente ed entrambi gli ufficiali si rallegrarono all’idea di spennarlo nuovamente. Gli altri due erano facce sconosciute. Sembravano non aspettarsi l’arrivo di nuovi giocatori, ma li accolsero cordialmente.

Come la volta precedente, il giocatore che aveva perso molto si trovò subito in difficoltà, come pure uno dei due nuovi arrivati, ma a trarne vantaggio fu soprattutto l’altro nuovo giocatore. Albert e Friedrich inizialmente se la cavarono abbastanza bene, poi la fortuna girò: incominciarono a perdere e a metà pomeriggio si ritrovarono a giocare sulla parola.

Solo verso sera Friedrich ebbe alcune mani fortunate, che non compensarono certamente le perdite precedenti.

Uscirono alquanto irritati.

- Merda! Questa non ci voleva!

- No, davvero. Meno male che verso la fine ho recuperato qualche cosa, ma mi hanno comunque pelato.

- È un casino, Friedrich. Mio padre si rifiuterà di sganciare anche solo un fiorino. Sai benissimo il discorso che mi ha fatto prima della partenza: mi manda ogni mese la somma che ritiene necessaria perché io possa condurre una vita adeguata al mio rango, ma nulla di più.

- Anche dai miei non credo di poter ottenere molto, ma non ti preoccupare. Questa volta la fortuna ci ha girato le spalle. La prossima volta andrà meglio.

- Che rottura di coglioni! In un colpo solo mi ritrovo pieno di debiti.

- I creditori possono aspettare. Non siamo mica due borghesi qualunque.

- Se non paghiamo non ci faranno neppure giocare.

- Chiederemo un prestito. In città non sarà difficile trovare chi ci può dare il necessario. E quando avremo recuperato quello che abbiamo perso, ripagheremo i debiti.

In effetti i due ufficiali trovarono facilmente qualcuno disposto ad anticipare loro del denaro. Così poterono continuare a giocare. La volta successiva ci furono alti e bassi e alla fine Friedrich  riuscì a recuperare una piccola parte di quello che aveva perso la volta precedente, ma Albert perse nuovamente quasi tutto.

 

Dei nuovi arrivati, Konrad era l’unico a frequentare regolarmente gli altri ufficiali di grado inferiore, sottotenenti o capitani. I rapporti all’interno della caserma erano di solito buoni e non ebbe difficoltà a inserirsi rapidamente nel gruppo: aveva un buon carattere ed era pienamente affidabile. Non stabilì nessun rapporto personale profondo, poiché era per natura riservato, ma stava bene con gli altri.

Era ormai giugno e gli ufficiali si recavano quasi ogni giorno a bagnarsi. Konrad ci andava molto volentieri: gli piaceva nuotare e nelle giornate più calde, perché immergersi regalava un po’ di frescura. Era anche un’occasione per conoscere meglio gli altri. Stesi al sole, chiacchieravano tutti insieme. L’atmosfera era molto rilassata e Konrad si trovava bene. Georg non veniva a bagnarsi, perché di solito si recava dal duca. Konrad lo aveva invitato due volte, ma al secondo rifiuto aveva preferito non insistere.

Il gruppo di cui faceva parte Konrad sceglieva un tratto in cui il fiume si allargava e formava una serie di isolette. Si toglievano gli stivali e guadavano il corso d’acqua, in quel punto poco profondo, per raggiungere un’isola dalla forma allungata, dove la vegetazione era fitta. L’attraversavano e si fermavano sulla riva opposta, davanti alla quale si trovavano altre due isolette. Qui alberi e cespugli li nascondevano completamente alla vista dalle rive del fiume. Si spogliavano e si bagnavano nudi, poi rimanevano distesi al sole.

Tra gli ufficiali che si bagnavano quasi tutti i giorni vi era il capitano Jacopo Trevisan, un italiano di Zara che doveva avere una trentina d’anni. Era alto, robusto e alquanto villoso. Con il suo viso squadrato, dai lineamenti marcati, e il naso piuttosto grosso non era certo un bell’uomo. Era molto dotato e gli altri ufficiali lo prendevano in giro, ma era chiaro che diversi lo invidiavano. Konrad non aveva mai avuto modo di parlargli e il suo aspetto truce suscitava in lui un’istintiva diffidenza.

La quarta volta che andò a bagnarsi con il gruppo, Konrad vide arrivare anche il dottor Komives. Rimase stupito, perché non si aspettava proprio che il dottore potesse unirsi a loro. Riflettendoci si disse che non c’era nulla di strano: il dottore era anche lui un ufficiale ed era normale che avesse relazioni amichevoli con gli altri. Konrad lo osservò mentre si spogliava. Aveva un fisico atletico: spalle larghe, braccia e gambe ben tornite, una muscolatura molto sviluppata. Aveva anche un’attrezzatura di tutto rispetto, con un cazzo non lungo come quello di Jacopo, ma alquanto voluminoso. Il dottore si sedette vicino a Jacopo e si mise a chiacchierare con lui.

Konrad si rivolse al sottotenente Klapka, che era seduto al suo fianco.

- È la prima volta che vedo qui il dottor Komives, Károly. Viene spesso?

- No, non molto. Ha parecchio da fare, non perché noi ci ammaliamo spesso, ma perché è molto scrupoloso. È un ottimo medico, ma lo saprai già, anche se sei qui solo da un mese o poco più.. 

- Sì, ne ho sempre sentito parlare bene. Certo che a guardarlo così… sembra più un atleta che un medico.

- Ama molto l’attività fisica. È un ottimo nuotatore, come avrai modo di vedere: solo Jacopo lo batte. È riservato, come te, ma è cordiale. Gli vogliamo tutti bene.

Al ritorno da una nuotata collettiva, il dottore scambiò qualche parola con Konrad:

- Mi fa piacere vederla, Von Kassa. Si è ambientato qui a Mala Sad?

- Sì, ho cominciato a fare conoscenze e devo dire che mi trovo bene.

- Lei è molto riservato, ma sono sicuro che si farà diversi amici.

Konrad sorrise.

- Ammetto di non essere molto socievole, per non dire che sono un orso.

Sándor rise.

- Credo che lei non ami mettersi in mostra e in questo siamo simili. Ma certamente coloro che impareranno a conoscerla l’apprezzeranno.

- La ringrazio. Spero che sia così.

Il piccolo scambio con il dottore fece molto piacere a Konrad: aveva molta stima di Komives ed essere apprezzato da lui era gratificante. 

 

Il giorno dopo uno degli ufficiali propose una gara di nuoto: dall’isoletta su cui si trovavano fino a uno scoglio situato più a monte. A cimentarsi furono una dozzina, tra cui Konrad. Jacopo Trevisan staccò rapidamente gli altri e solo Konrad riuscì a stargli dietro. Quando raggiunsero lo scoglio e ritornarono indietro, due degli altri nuotatori avevano rinunciato e i rimanenti erano nettamente staccati. Konrad riuscì ad affiancare Jacopo e, poco prima di raggiungere l’isola che costituiva il punto di partenza e d’arrivo, lo superò. Jacopo toccò terra mezzo minuto dopo di lui e disse, ridendo:

- Complimenti, von Kassa: sei il primo che mi batte.

Aveva un bel sorriso, cordiale.

Si sedettero vicini e attesero l’arrivo degli altri ufficiali. Man mano che uscivano dall’acqua, tutti chiedevano chi avesse vinto e Jacopo diceva, sempre sorridente:

- Lui. Questo fottuto ungherese mi ha fottuto.

Era chiaro che l’essere stato battuto non gli pesava minimamente. Konrad si rese conto che si era fatto un’impressione del tutto sbagliata di quest’uomo, il cui aspetto truce  lo aveva ingannato.

Da quel giorno presero a sedersi spesso vicini e a nuotare insieme, a volte spingendosi piuttosto lontano. Jacopo era un uomo cordiale e intelligente, con cui Konrad si intendeva benissimo. Erano entrambi i figli maggiori di una famiglia in cui il padre era morto presto e tutti e due si erano trovati a dover crescere più in fretta dei coetanei e a prendersi cura dei fratelli. Passavano ore a parlare della loro infanzia e si scoprivano molto simili. Divennero presto amici.

Jacopo aveva una carnagione piuttosto scura e si abbronzava in fretta; la pelle di Konrad, che aveva una carnagione molto chiara, diventava rossa e solo lentamente l’arrossamento si trasformava in un’abbronzatura che gli donava molto.

 

Un mese e mezzo dopo l’arrivo dei quattro nuovi sottufficiali alla caserma, il duca partì nuovamente e Georg si ritrovò solo. Poiché passava spesso il tempo libero e soprattutto le serate alla villa, non aveva avuto modo di approfondire la conoscenza degli altri ufficiali. L’unico con cui aveva una certa confidenza era Konrad, che Georg considerava il migliore amico che avesse alla caserma, ma la loro amicizia non aveva fatto grandi progressi.

Una sera i quattro ufficiali arrivati di recente si ritrovarono alla taverna. Era raro che passassero del tempo insieme: Albert e Friedrich si frequentavano con grande assiduità, ma non cercavano la compagnia degli altri due.

Quella sera invece Albert aveva invitato Georg e Konrad a bere con lui e Friedrich. L’invito aveva stupito i due amici, che l’avevano comunque accettato, per non apparire scortesi. Konrad era convinto che Albert avesse qualche cosa in testa, ma non disse nulla a Georg.

Dopo una chiacchierata sugli avvenimenti della cittadina e qualche osservazione sulla vita della caserma, entrambi argomenti su cui Albert e Friedrich erano molto meglio informati, Albert chiese:

- E tu, Georg? Come sono le serate intime dal duca?

Che Georg fosse spesso a cena dal duca non era un segreto: gli altri ospiti ne avevano parlato e diverse persone lo avevano visto recarsi da Jergović. Georg sapeva che non avrebbe avuto senso nasconderlo. Evitava invece di parlare dei pomeriggi nel parco o in camera di Marko.

- Davvero eccellenti. Un bell’ambiente, con pochi ospiti, ma tutte persone interessanti. È un piacere partecipare.

- Il duca è rimasto colpito dai tuoi antenati, a quel che mi dicono.

A Georg non sfuggì certo il tono ironico dell’osservazione, ma lo ignorò.

- In effetti è quello che lo ha colpito, la prima sera, per cui mi ha invitato a una cena ristretta. E poi… non dico che siamo diventati amici, ma mi trovo molto bene con lui. È un uomo affascinante.

Albert annuiva. A Konrad era chiaro che non credeva a ciò che diceva Georg: doveva avere intuito qualche cosa, come aveva intuito Konrad stesso. D’altronde aveva sentito in città dire che da qualche tempo al duca piacevano i bei giovani. Una frase allusiva, non troppo diretta: Jergović era l’uomo più ricco della città, oltre a essere il nobile di gran lunga più importante, e badava a salvare le apparenze, per cui nessuno si permetteva di criticarlo apertamente.

- Che ore sono?

Georg tirò fuori l’orologio e rispose.

- Quasi le dieci.

Konrad osservò che Friedrich non aveva fatto il gesto di estrarre il proprio orologio, anche se la catena dimostrava che l’aveva a portata.

Dopo pochi minuti, Albert disse:

- Accidenti, ho lasciato le sigarette in camera.

Georg tirò fuori il portasigarette che gli aveva regalato il duca, lo aprì e allungò il braccio verso Albert. Questi però non prese una sigaretta, ma il contenitore e lo osservò attentamente.

- Un portasigarette d’oro… ci trattiamo bene, sottotenente Kraus.

Georg si sentì arrossire. Non voleva rivelare che si trattava di un regalo di Marko, per cui disse:

- Era di un mio zio.

Albert stava esaminando il portasigarette.

- Anche tuo zio si chiamava Georg Kraus, vero? Perché qui vedo incise le iniziali, G.K. Poi lo restituì con un sorriso. Era chiaro che non credeva all’eredità dello zio.

Georg rispose:

- Il nome di Georg ritorna nella nostra famiglia da generazioni. Attualmente a Schäßburg ci saranno almeno sette o otto Georg Kraus, cugini più o meno lontani.

Georg aveva risposto con la solita prontezza, ma non era riuscito a nascondere completamente il suo turbamento,

Konrad si disse che la doppia richiesta, dell’ora e della sigaretta, aveva lo scopo di verificare se Georg avesse ricevuto qualche regalo costoso. Un orologio e un portasigarette d’oro sono due bei regali per un uomo. Forse Albert aveva sentito dire in città che il duca faceva regali costosi ai suoi amanti. Ma perché voler verificare? Per avere una conferma che Georg era diventato l’amante del duca? Che utilità poteva avere? Oppure… un’altra idea si stava facendo strada nella testa di Konrad.

 

Quando furono soli, Konrad chiese:

- Il portasigarette è un regalo del duca, vero?

Georg si sentì in imbarazzo. Chinò il capo e disse:

- Sì.

- Dovresti evitare di mostrarlo. Chi sa che la tua famiglia non è ricca si chiederà come l’hai avuto. È chiaramente nuovo.

Kraus scosse la testa. Sapeva bene di aver sbagliato.

- Pensi che Albert… che abbia capito? Non ha detto niente.

- Non ha detto niente perché ha capito benissimo da dove viene, come l’ho capito io.

- Allora… andrà in giro a sparlare… sono stato un idiota.

- No, non credo che lo farà. Credo… che abbia altre idee in mente.

- Quali idee?

Konrad alzò le spalle.

- Non lo so, anche se un sospetto ce l’ho. Vedremo.

 

Il duca ritornò quattro sere dopo e invitò tutti gli ufficiali a un’altra serata danzante. Konrad osservò il comportamento di Albert, che inizialmente danzò, come aveva fatto la volta precedente, con diverse signore, tra cui la contessa Kressmann. A un certo punto però Konrad, come aveva previsto, lo vide avvicinarsi al duca e chiacchierare con lui.

Stava chiaramente cercando di sedurlo. Ci sarebbe riuscito, di questo Konrad era sicuro. Non era certo difficile per un bel giovane ottenere l’attenzione del duca: era un uomo che amava divertirsi ed evidentemente i bei ragazzi gli piacevano. E quanto a bellezza, nessuno poteva competere con Albert, neanche Georg. Quello che Konrad non capiva era il motivo per cui l’ufficiale voleva legarsi al duca. Non era sembrato attratto da Jergović. Le manovre erano incominciate dopo che Albert aveva visto il portasigarette, ma, per quello che sapeva lui, l’ufficiale non aveva bisogno di soldi. E allora? Voleva prendere il posto di Georg? Perché?

Al termine della serata Marko non invitò Georg a passare a trovarlo. Georg non ne fu particolarmente turbato: per quanto desiderasse riprendere i loro giochi, poteva benissimo attendere. Si disse che probabilmente Marko, che era appena tornato, aveva altro da fare e che gli avrebbe fatto sapere quando si sarebbero potuti incontrare.

Quando però non ricevette un invito nemmeno per la cena ristretta che il duca diede due sere dopo, Georg incominciò a porsi domande. Nei giorni seguenti non ricevette nessuna notizia del duca, che pareva averlo dimenticato completamente. Rimase in attesa di un messaggio, un invito, due parole di spiegazione, ma non ricevette nulla.

Gli sembrava che le ore non passassero mai. Infine, dopo una settimana di vana attesa, decise di andare alla villa nel pomeriggio. Alla porta il domestico gli disse che il duca era occupato e non poteva ricevere nessuno. Georg era convinto che il domestico avesse ricevuto istruzioni per rispondergli così e questo era ancora peggio. Si disse che era stato stupido a cercare Marko. Il domestico avrebbe senz’altro riferito che lui era passato. Poteva risparmiarsi questa brutta figura. Marko non lo voleva più, si era stufato. Non era certo il caso di insistere. Per quanto gli pesasse, doveva rinunciare a vedere Marko. No, non Marko: il duca Jergović.

Cercò Konrad, ma era andato al fiume a bagnarsi. Ripassò più tardi e lo trovò, ma non gli raccontò nulla di quanto era successo: si vergognava. Si limitò a chiedergli se aveva qualche programma per la serata. Konrad gli disse che contava di andare a una delle osterie con Jacopo e altri due ufficiali e lo invitò. Georg accettò volentieri l’invito: rimanere da solo un’altra serata gli sarebbe pesato moltissimo.

Al momento di uscire, incrociarono Albert Rothaus. Konrad pensò che addosso a lui la divisa sembrava un abito di gala. Tutti loro badavano a tenere con cura l’uniforme, ma nessun altro l’indossava con tanta eleganza, neppure Georg.

Albert sorrise e disse:

- Andate all’osteria?

A Konrad parve di avvertire una lieve nota di scherno. Si disse che forse era solo un’impressione, che la scarsa simpatia che nutriva per Albert condizionava le sue percezioni.

Georg rispose:

- Sì. Vuoi unirti a noi?

Non era interessato alla compagnia di Albert ed era sicuro che l’ufficiale avrebbe declinato l’invito, formulato solo per cortesia.

Albert sorrise e disse:

- No, ho di meglio da fare. Questa sera sono invitato dal duca. Una cena per pochi ospiti.

Konrad si rese conto che Georg era impallidito. Rispose per tutti e due:

- Buona cena. Noi andiamo, abbiamo appuntamento con gli amici.

Per tutta la serata Georg non disse quasi nulla. Si sentiva umiliato.

 

Albert era spesso dal conte il pomeriggio, più di rado la sera. Quando non era presente nel salotto della contessa Kressmann, gli ospiti chiedevano a Friedrich del suo amico. Il sottotenente adduceva impegni in caserma:

- Il colonnello è molto severo. Albert è il suo figlioccio e il colonnello gli affida spesso compiti impegnativi.

- Un giovane così intelligente! Il colonnello fa bene a fidarsi di lui.

A Friedrich dava fastidio che le signore continuassero a tessere le lodi di Albert, ma sapeva di non poter competere con l’amico.

Anche al Cavallo Nero Friedrich si trovò più volte a giocare da solo. La fortuna sembrava avergli voltato definitivamente le spalle e ormai perdeva quasi sempre. I suoi debiti si accumulavano, fino a che si vide rifiutare un prestito anche dal secondo usuraio a cui si era rivolto.

- Senza un garante non posso certo prestarle altro denaro, sottotenente. Lei ha già un grosso debito.

Friedrich non poteva tornare al Cavallo Nero, l’unico posto in cui si giocavano forti somme e c’era qualche possibilità di rifarsi: come tutti i giocatori accaniti era convinto che la fortuna avrebbe girato e che avrebbe recuperato quanto aveva perso. Gli altri giocatori però pretendevano che saldasse i debiti. Perciò Friedrich giocava dalla baronessa o in altre taverne, con alcuni ufficiali: a volte perdeva, a volte vinceva e di solito riusciva a non accumulare altri debiti. Ma giocare piccole somme non gli trasmetteva le stesse emozioni. 

 

Qualche giorno dopo ci fu una cena allargata dal duca. Marko accolse Georg con un cordiale “È un piacere rivederla”. Dopo di che non gli dedicò più attenzione di quanta ne dedicasse agli altri ospiti. L’ufficiale si era aspettato che in qualche modo Jergović si scusasse per non averlo più invitato o almeno facesse riferimento al fatto che si erano frequentati intensamente per un breve periodo, ma non ci fu nessuna allusione. Come se non fossero stati amanti, sia pure non a lungo.

Il duca non conversò a lungo neanche con Albert, ma al momento di congedarsi scambiò due parole con lui e Georg fu sicuro che gli stesse dando un appuntamento per il giorno seguente.

Georg era stato l’amante del duca per poco più di un mese. Si chiese quanto sarebbe durato Albert. Avrebbe saputo mantenere vivo l’interesse di Marko Jergović più a lungo? O il duca cambiava spesso amante?

Georg lasciò trascorrere un momento dopo che Albert fu uscito, per essere sicuro di non trovarsi a fare la strada con lui. Poi si congedò, unendosi a un gruppo di ufficiali che se ne andava: in questo modo poté salutare rapidamente Marko, senza trovarsi troppo in imbarazzo. A umiliarlo era anche il pensiero che solo lui si sarebbe sentito imbarazzato: Marko non si sarebbe posto nessun problema, sembrava aver già dimenticato la loro relazione.

Tornarono a piedi, chiacchierando. Georg si teneva un po’ in disparte, ma gli si avvicinò Richard Storm, un altro sottotenente.

- Non sei stato soddisfatto della serata, Georg? Mi sembri di cattivo umore.

Georg non aveva voglia di fare conversazione, ma sottrarsi sarebbe stato villano e in ogni caso parlare con qualcuno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri.

- No, figurati. È stata una serata piacevole, con tanta gente interessante, come sempre. E la cena era ottima, naturalmente.

- Certo, come si mangia dal duca, non si mangia da nessun’altra parte, almeno qui a Mala Sad. Bisognerebbe andare a Vienna, per trovare ristoranti che servono piatti di quel livello. Anche la contessa Kressmann offre delle cene, ogni tanto. Io non ci sono mai stato, sono per un numero ristretto di invitati e di certo lei non invita me. Ma dicono che non siano all’altezza di quelle del duca. Meno male che lui ogni tanto offre queste grandi cene.

Georg non aveva voglia di parlare della cena, non si ricordava bene neppure di quello che aveva mangiato: per tutto il tempo, la sua testa era stata altrove e la sua attenzione, quando non si concentrava su Marko o Albert, svaniva, sommersa dai ricordi. Si disse che si stava comportando in modo assurdo: con Marko era stato benissimo, ma non era innamorato. Aveva vissuto un periodo molto piacevole, in una realtà lussuosa, ben diversa da quella che era sempre stata la sua vita quotidiana, il suo corpo aveva goduto intensamente, a letto come a tavola, la preferenza accordatagli dal duca aveva appagato il suo amor proprio. Tutto ciò era svanito, ma non era un dramma e non aveva senso perdersi in rimpianti. Probabilmente se il suo posto non fosse stato preso da Albert, non avrebbe patito così tanto il disinteresse del duca, ma sapere che Albert lo aveva scalzato, seducendo Marko, gli pesava,

Si rese conto di non aver neanche risposto all’osservazione di Richard. Questi però non si scoraggiò e gli chiese:

- Come ti trovi qui a Mala Sad?

Georg si sforzò di concentrarsi sulla conversazione. Non voleva che Richard o qualcun altro sospettasse. Magari erano già informati: Georg non sapeva quanto gli altri potessero aver capito. Se già sapevano, doveva evitare di fare la parte dell’innamorato sedotto e abbandonato, che rimpiange i giorni passati: sarebbe stato ridicolo. Conosceva poco Richard, ma gli sembrava cordiale e in ogni caso scambiare due parole con qualcuno era una buona cosa: tutto preso dalla sua relazione con il duca, non aveva fatto molte conoscenze nella caserma e non era amico di nessuno, a parte Konrad.

- Devo ancora ambientarmi. Non ho fatto molte conoscenze fino a ora, colpa mia, lo ammetto. La cittadina è piacevole e offre la possibilità di fare lunghe passeggiate nei boschi.

- E di bagnarsi al fiume, ma tu non sei mai venuto.

Georg provò una fitta. Le parole di Richard gli ricordarono quelle del duca.

- No, è vero, ma conto di recuperare.

- È molto piacevole, d’estate, almeno. Alcuni preferiscono trascorrere i pomeriggi a giocare a carte o all’osteria, ma per quello c’è già tutto l’inverno. Io non sopporto passare queste belle giornate di sole al chiuso, in una stanza piena di fumo, seduto a un tavolo senza potermi alzare.

- Verrò senz’altro. Fino a ora… ci sono state altre cose. 

Richard non chiese e Georg fu contento di non dover inventare una spiegazione.

- È una fortuna avere il fiume. Io ho fatto due anni ai confini con la Russia, in una zona paludosa, senza  un fiume, un lago. Gelo d’inverno, caldo soffocante e zanzare d’estate. La cittadina era piccola e non offriva niente: qualche taverna di terz’ordine, dove passavano tutti quelli che volevano scappare in Russia e quelli che invece erano appena scappati dalla Russia. Davvero un posto di merda.

- Immagino. A Mala Sad si sta bene.

- Sì, è un buon posto. Non offre moltissimo, non è certo una grande città, ma direi che non ci si può lamentare: tra le varie cittadine di confine in cui è acquartierato l’esercito, è una delle più piacevoli.

- È vero.

- Allora, che ne dici, domani vieni anche tu al fiume con noi?

- Sì, mi sembra una buona idea.

- Sai nuotare, vero?

- Sì, certo. Non sono un grande nuotatore, ma sto a galla senza problemi. Mi dicono che il fiume non ha una corrente molto impetuosa.

- No, da queste parti scorre placido. Non ci sono punti pericolosi.

Georg guardò il cielo. Nella notte limpida e senza luna si vedevano infinite stelle.

- Speriamo che ci sia il sole. La notte è serena, ma il tempo può cambiare in fretta.

- È vero! Una volta siamo partiti per andare a bagnarci. C’erano nuvole all’orizzonte, ma la giornata sembrava bella. Quando siamo arrivati al fiume, era già tutto coperto e, mentre discutevamo se tornare indietro subito, è incominciata la pioggia. Un diluvio. Prima che riuscissimo a tornare in caserma eravamo già fradici. Ci siamo bagnati con i vestiti addosso, senza immergerci nel fiume!

Rise e concluse:

- Non era proprio quello che avevamo in mente. 

 

Il giorno dopo Georg si unì a Richard per andare al fiume. Pensava che ci fosse anche Konrad, ma scoprì che l’amico andava con un altro gruppo, in un punto più a valle. Erano in otto, piuttosto affiatati tra di loro. Georg era un buon conversatore e non ebbe difficoltà a inserirsi nel gruppo. Raggiungendo la riva del fiume parlarono un po’ di piccoli episodi successi in città e in particolare in caserma.

Si parlò soprattutto della cena dal duca e del litigio tra due ufficiali, che si era verificato dopo che Georg e Richard erano venuti via: il capitano Nagy aveva insinuato che il maggiore Kóvacs spingesse gli altri ufficiali a giocare al Cavallo Nero, dove alcuni professionisti spennavano gli ingenui caduti nella trappola. Così il maggiore otteneva rinvii nel pagamento dei debiti accumulati al gioco. L’accusa era stata formulata in modo velato, ma il maggiore l’aveva colta. I due erano stati sul punto di sfidarsi a duello, ma l’intervento di Jergović aveva stemperato la tensione ed evitato che la situazione precipitasse. Tutti erano convinti che l’accusa rivolta al maggiore Kóvacs fosse fondata: l’ufficiale, sommerso dai debiti, non aveva scrupoli e da tempo nessuno accettava più di garantire per lui.

- Ci ha provato anche con me, quando sono arrivato. Ci conoscevamo appena, mi ha attaccato bottone una sera e il giorno dopo, dopo grandi attestazioni di stima, mi ha chiesto di fargli da garante. Per fortuna non l’ho fatto.

- Per fortuna, sì: c’è gente che si è trovata nei guai per causa sua.

- Eppure continua a giocare.

- Nella speranza di recuperare quello che ha perso: l’illusione di tutti i giocatori. Cazzate. Finirà per tirarsi un colpo.

- Da quel che ho capito, due dei nuovi, Rothaus e Holzkammer, sono finiti nella trappola.

- Saranno stati spennati ben bene, quelli al Cavallo Nero sono professionisti. C’è il giocatore che perde tutto la prima volta a favore del nuovo arrivato…

- … così la volta dopo il nuovo arrivato è convinto che vincerà alla grande.

- E non dimenticare i complici che rilanciano.

Georg ascoltava stupito. Non si aspettava che un ufficiale si prestasse a simili manovre. Quanto ad Albert e a Friedrich, se davvero erano stati spennati, non gli importava. Anzi: nel caso di Albert in fondo gli faceva piacere. E le famiglie di quei due comunque avevano i mezzi per tirarli fuori dai guai.

Poi la conversazione si spostò dal gioco al duca. Era apprezzato e invidiato per il titolo, la ricchezza e l’eleganza e in generale tutti avevano un’opinione positiva di lui. Nessuno fece riferimento ai suoi gusti. Georg preferì non dire nulla, ma per fortuna erano ormai giunti in riva al fiume. Si spogliarono, togliendosi giacca, camicia e scarpe, ma tutti tennero i pantaloni o almeno i mutandoni.

Quando decisero di bagnarsi, qualcuno si spogliò completamente, ma diversi tennero i mutandoni e due si infilarono un costume che si erano portati. Sguazzarono un po’ in acqua, giocando come ragazzini, poi tornarono a riva, quelli che si erano bagnati nudi si infilarono i mutandoni e rimasero ad asciugarsi al sole.

Richard si sedette vicino a Georg. Come la sera precedente, chiacchierarono. Georg si trovava bene con lui ed era contento di questa amicizia nascente. Ora che non andava più dal duca, si sentiva piuttosto solo. Konrad era l’unico che lo cercava, ma Georg non voleva aggrapparsi a lui come a un salvagente, dopo che l’aveva trascurato, tutto preso dalla sua storia con il duca. L’amico si era ormai costruito una rete di relazioni e Georg doveva cercare di fare altrettanto, autonomamente.

 

Il giorno dopo Georg e Richard tornarono al fiume, insieme agli altri. A un certo punto uno degli ufficiali propose:

- Ci bagniamo?

- Certo!

Mentre i primi incominciavano a immergersi, il capitano Möser disse:

- Che ne dite di raggiungere le scimmie all’isola?

Georg non capì. Escludeva che ci potessero essere scimmie, a meno che non ci fosse una specie di giardino zoologico, ma Mala Sad non era Vienna e non ci poteva essere un Tiergarten come a Schönbrunn. Mentre gli altri si esprimevano, perlopiù approvando la proposta, si volse verso Richard e chiese:

- Le scimmie?

Richard rise.

- Chiamiamo così gli altri ufficiali che si bagnano più a valle. Li prendiamo in giro e loro prendono in giro noi. Scimmie perché se ne stanno sempre nudi e si vedono tutti i peli. Loro ci chiamano monachelle, perché non ci spogliamo mai completamente quando siamo fuori dall’acqua.

La proposta di Möser fu accolta da tutti, ad eccezione di due di loro, che decisero di rimanere a sorvegliare gli abiti. Gli altri si tuffarono in acqua. Nuotarono, lasciandosi trasportare dalla corrente, e arrivarono al canale tra due isole dove si bagnavano gli altri ufficiali. Alcuni di loro erano in acqua, altri sulla riva, seduti o stesi al sole, tutti nudi. Erano in undici, tra cui Konrad.

Uno degli ufficiali disse:

- Arrivano le monachelle.

Un altro si rivolse a Jacopo:

- Jacopo, mettiti le mutande. Sai che le verginelle si turbano a vedere il tuo cazzo da mulo.

Jacopo rise e scosse la testa. Nessuno si rivestì.

Alcuni dei nuovi arrivati si tolsero gli indumenti con cui avevano nuotato. Altri li tennero addosso. Ci fu uno scambio di battute, che dovevano essere state dette molte volte.

- Ragazzi, avete visto la tribù di scimmie che abita su quest’isola?

- Queste monachelle vengono sempre a vedere qualche vero maschio. Sono affamate, anche se cercano di non darlo a vedere.

- Lo scimmione laggiù dev’essere un gorilla.

La battuta era stata pronunciata guardando Jacopo, il quale non disse nulla.

- No, quello dev’essere un mulo. Hai visto che roba ha tra le gambe?

- Non mi sembra granché.

Jacopo intervenne e disse:

- Se vuoi, te lo faccio gustare, così puoi farti un’idea.

Tutti risero, ma l’ufficiale che aveva parlato si portò le mani sul viso, come se fosse stato scandalizzato o spaventato dalla replica di Jacopo.

- Gente senza pudore, madre superiora!

- Con quello non vale la pena, Jacopo. Piuttosto c’è quel bel morettino, che ha un culo da favola.

La battuta era rivolta a Georg, che arrossì. Si chiese se non fosse un’allusione ai suoi rapporti con il duca: forse qualcuno sapeva…

Richard gli disse:

- Non te la prendere, Georg. Scherziamo sempre tra di noi.

Richard rise e aggiunge:

- Ed è vero che hai proprio un bel culo.

Dopo questa prima fase di punzecchiatura reciproca, si sedettero tutti a chiacchierare.

Georg era alquanto a disagio. La battuta sul suo culo era solo uno dei motivi e certamente non il principale. Si era accorto che tra gli ufficiali seduti o stesi sull’isoletta c’era anche il dottore, che lo metteva in soggezione: si erano visti molte volte da Marko, alle cui cene Sándor era quasi sempre presente, ma Georg non aveva superato completamente il senso di vergogna per quello che era accaduto pochi giorni dopo il suo arrivo a Mala Sad. Georg si era chiesto in più occasioni se Sándor avesse capito il legame che lo aveva unito al duca: si era reso conto in diverse occasioni che il dottore aveva un’intelligenza non comune e probabilmente sospettava la verità. Anche il vedere nudo quel corpo forte lo turbava, come lo imbarazzava vedere nudo Konrad, che l’aveva salutato al suo arrivo, ma non si era avvicinato. Gli sembrava che non fosse l’amico con cui si confidava volentieri, ma un altro. Forse erano tutti quei maschi che esponevano senza pudore la loro nudità a destare in lui sensazioni che non avrebbe saputo definire. Da ragazzo gli era capitato spesso di stare nudo con gli amici, quando si bagnavano o quando si dedicavano ai giochi del piacere. Ma adesso che era pienamente conscio dei suoi desideri, non riusciva a vivere la loro nudità con la stessa naturalezza.

Rimasero un’oretta, poi tornarono a nuoto. Anche se la corrente non era forte, procedere in direzione opposta era piuttosto faticoso.

Una volta arrivati, si stesero al sole per un po’, poi, quando furono asciutti, si rivestirono per rientrare in caserma.

Mentre ritornavano Georg chiese a Richard:

- Come mai vi siete divisi in due gruppi per bagnarvi?

Richard alzò le spalle.

- Non c’è una motivazione, è andata così. So che prima stavano tutti dove andiamo noi, ma alcuni avevano piacere di starsene nudi e dove ci bagniamo noi non è possibile spogliarsi completamente: siamo molto visibili e vicino alla strada. Qualcuno potrebbe lamentarsi. I preti lo farebbero senz’altro e il colonnello ci metterebbe in punizione.

- Dove vanno gli altri il problema non si pone.

- Esatto. Comunque non è che siamo sempre due gruppi. Molti vengono a nuotare per conto proprio o magari con un amico. Qualche volta qualcuno di noi va con loro o qualcuno di loro viene con noi, ad esempio Sándor, il dottore, a volte sta con un gruppo, a volte con l’altro. Ma è vero che non capita spesso che ci siano questi scambi.

Georg si sentì un po’ a disagio all’idea che avrebbe potuto nuovamente incontrare il dottore, ma non lo diede a vedere. Chiese invece:

- Pensavo che dipendesse dal fatto… che loro stanno nudi.

- Anche, non è detto che tutti abbiano voglia di starsene nudi tutto il tempo. Qualcuno magari si vergogna, per mancanza di abitudine o  per qualche difetto fisico o...

Richard fece una pausa, poi aggiunse, ridendo:

- …o perché ce l’ha piccolo. Oppure ha paura che gli venga duro a vedere gli altri nudi.

A questa possibilità Georg non aveva pensato. Rise e disse:

- Già, può succedere.

- Soprattutto se uno ha vicino un bel giovane come te.

Richard sorrise. Georg era un po’ in imbarazzo, ma il complimento di Richard gli faceva piacere e aveva voglia di non abbandonare l’argomento, per cui rispose:

- Non mi sono mai accorto che ti diventasse duro quando siamo vicini.

- Perché abbiamo tutti e due le mutande, caro mio. Così il tuo bel culo lo intravedo soltanto e tu non vedi se mi cresce un po’.

Georg scosse la testa, come se non credesse alla parole di Richard. Si disse che avrebbe dovuto troncare la conversazione, ma invece preferì continuare a stuzzicare l’amico:

- Non credo che ti verrebbe duro se mi calassi le mutande. All’isola, dove stanno gli altri, non ce l’avevi mica duro.

- Guardavo da un’altra parte.

- C’erano maschi nudi tutt’intorno.

- Ma non belli come te. Uno scimmione come Jacopo non me lo fa mica diventare duro.

- In effetti non si può proprio dire che sia attraente, anche se ha un’attrezzatura… davvero notevole.

- Non credo di aver mai visto nessuno che ce l’avesse così grosso. Ma tra tutto quel pelo e la faccia… È una bravissima persona, su cui puoi sempre contare, è generoso e leale, non voglio proprio parlare male di uno come lui, ci mancherebbe, ma non è certo attraente.

- No, è vero.

A Georg spiaceva un po’ che la conversazione si fosse spostata su Jacopo, che conosceva appena e di cui non gli importava nulla. Per fortuna Richard ritornò sul tema che più interessava entrambi.

- Tu invece…

- Io?

Georg fece il finto tonto, per spingere Richard a proseguire, ma l’amico, che aveva capito benissimo, si limitò a ridere e a dire:

- Te lo spiego domani al fiume.

Georg non insistette: aveva già detto fin troppo. Eppure quello stuzzicarsi con Richard gli piaceva.

 

L’indomani la giornata era di nuovo molto bella e tornarono a bagnarsi. Richard si mise vicino a Georg, ma non riprese l’argomento del giorno prima e Georg preferì non ricordarlo, anche se il tema stuzzicava il suo amor proprio e non solo quello: temeva di fare una brutta figura.

A metà pomeriggio però Richard disse:

- Ieri ti ho detto che ti avrei spiegato qualche cosa.

Georg capì subito, ma non voleva apparire ansioso di riprendere l’argomento, per cui si limitò a un generico:

- Che cosa?

- L’effetto che mi fai tu, quando siamo vicino.

Georg rise, ma era una risata un po’ forzata.

- Sì, adesso ricordo. E sarebbe?

Richard si guardò intorno per sincerarsi che nessuno potesse vederlo, poi abbassò le gambe, che teneva piegate, e disse:

- Lo puoi vedere.

Georg guardò. Il gonfiore nelle mutande di Richard era inequivocabile. Georg si sentì a disagio. Il giorno prima aveva provocato Richard, lo sapeva benissimo. E anche l’amico l’aveva capito. Adesso però non sapeva come replicare.

Richard ghignò e disse:

- Ci facciamo una nuotata, Georg? A un’isoletta che c’è a monte. Lì possiamo stare un po’ tranquilli, senza che nessuno ci veda. E se invece non vuoi… stare tranquillo con me, almeno il freddo dell’acqua calmerà i miei bollenti spiriti.

Georg rimase un momento in silenzio. Richard gli piaceva, molto: era un bell’uomo ed era simpatico. A frenarlo era la domanda che si poneva: che cosa sarebbe successo, se avesse accettato la proposta. Avrebbero scopato. E poi? Richard lo avrebbe considerato una troia disposto a dare via il culo a tutti? Non gli sembrava il tipo, ma non lo conosceva abbastanza per poterlo escludere. E se avesse sparlato di lui con gli altri? No, questo gli sembrava improbabile. Il desiderio premeva: si era abituato a scopare frequentemente e ora l’astinenza gli pesava, ma esitava ancora.

Richard colse il suo disagio e disse:

- Lascia perdere, Georg. Non volevo metterti in difficoltà.

Georg si alzò e disse:

- Andiamo.

Poi aggiunse, sorridendo:

- Anche se sospetto che il tuo “stare tranquilli” non sia quello che io intendo di solito per “stare tranquillo”.

Richard rise:

- Può darsi… che tu abbia una visione molto limitata dello stare tranquillo. È ora che tu l’ampli un po’.

Entrò in acqua e prese a nuotare controcorrente. Non sapeva esattamente quale fosse la loro meta: nei pressi della città il fiume era molto ampio e formava diverse piccole isole. Richard lo affiancò e poi lo superò, senza distanziarlo. Superarono la prima isola, poco più di uno scoglio con poca vegetazione, e ne raggiunsero un’altra, più vasta e con molti alberi.

Uscirono dall’acqua. Richard fece strada, fino a uno spiazzo sabbioso che gli alberi e le rocce nascondevano alla vista dalle due rive. Sorrise a Georg. Gli si avvicinò. Gli prese la testa tra le mani e lo baciò. Poi le sue dita scesero ad accarezzargli le spalle, il petto, la schiena e il culo, ancora avvolto nelle mutande. Lo baciò di nuovo.

Georg non si mosse. Era bello sentire le labbra di Richard contro le sue, le mani di Richard sulla sua pelle. Stava bene nella stretta dell’amico, che lo avvolgeva con le braccia forti. Si abbandonò al bacio e accolse la lingua che si faceva strada nella sua bocca. Alzò le braccia e strinse il corpo di Richard.

Dopo un lungo bacio, Richard si staccò, lo guardò e gli sorrise. Poi, con un movimento lento, gli calò le mutande. Georg lo lasciò fare. Era bello sentire la carezza di quelle mani che si muovevano, con gesti delicati e sicuri. Quando le mutande furono a terra, Richard lo strinse a sé e lo baciò di nuovo. Georg ricambiò l’abbraccio. Poi fu il suo turno di calare le mutande di Richard. Georg lo fece con lentezza, passando le mani prima sul torace di Richard e poi facendo scivolare a terra l’indumento. Gli piaceva sentire sotto le dita la morbidezza della pelle, il calore della carne.

Ora erano entrambi nudi. Si baciarono e si abbracciarono ancora.

Il desiderio si era acceso in entrambi e le carezze lo moltiplicavano. Il sangue affluiva ai cazzi, che ormai si drizzavano, impazienti. Scivolarono a terra, scambiandosi baci e carezze sempre più sfacciate. Le loro mani scesero là dove i loro corpi ardevano. E dopo un bacio appassionato, Georg ruotò su se stesso e la sua bocca avvolse la cappella di Richard, che gli accarezzò la testa e poi si mosse, in modo da poter prendere in bocca il cazzo dell’amico. Le labbra e la lingua svolsero la loro opera, a lungo. Infine Richard versò il suo seme nella bocca di Georg, che venne poco dopo. Poi rimasero abbracciati, scambiandosi ancora baci e carezze, finché il desiderio non si accese di nuovo.

- Basta così, Georg. Vorrei prenderti, ma non abbiamo tempo. È ora di tornare.

A malincuore si alzarono, si baciarono ancora, poi si infilarono le mutande e tornarono a nuoto fino alla riva dove gli altri li attendevano.

Richard si sedette accanto ad alcuni altri ufficiali e si mise a parlare con loro. Georg si avvicinò a due sottotenenti che conosceva un po’ meglio e che lo coinvolsero nella conversazione. Si chiese se qualcuno avesse intuito che lui e Richard avevano scopato, ma non ci furono allusioni da parte di nessuno. Altri due ufficiali arrivarono poco dopo: anche loro erano andati a nuotare per conto loro. Forse avevano scopato, ma nessuno sembrava badarci.

Tornando in caserma Richard si mise di fianco a Georg. Camminava piano, per cui rimasero un po’ indietro. Quando fu sicuro che nessuno lo potesse sentire, disse:

- Posso venire da te, un po’ dopo che siamo tornati in caserma? Mi è tornato duro.

Rise.

Georg annuì.

- Volentieri.

Richard lasciò passare dieci minuti, poi raggiunse Georg in camera. Si spogliarono a vicenda, lentamente, tra baci e carezze. Poi Georg si stese sul letto, appoggiandosi con il ventre sui cuscini. Le mani di Richard percorsero il suo corpo, leggere, in carezze che erano appena uno sfiorare, dalla nuca alle gambe. Poi ritornarono, ma questa volta le dita stringevano, pizzicavano, solleticavano e spesso le labbra e la lingua accompagnavano le mani. E infine Richard si stese su Georg, i suoi denti gli mordicchiarono il lobo di un orecchio, una spalla, le sue mani strinsero con vigore le natiche e il suo cazzo si fece strada, forzando l’apertura ed entrando nel culo di Georg, che sussultò.

- Ti ho fatto male, Georg?

- No, va bene così, Richard.

Sì, andava bene così. Georg desiderava darsi all’amico. L’esperienza con il duca, per quanto non lunga, lo aveva abituato a essere penetrato e il dolore era appena percepibile.

 

Quella sera Friedrich e Albert erano nel salotto della Kressmann. Il duca era stato via ed era tornato solo nel tardo pomeriggio. Aveva dato appuntamento ad Albert per l’indomani.

Friedrich osservò che le frequenti assenze di Albert rendevano la sua presenza ancora più gradita. A lui, che frequentava il salotto più regolarmente, non veniva certamente prestata la stessa attenzione.

Giocarono e la fortuna volse a loro favore, ma si trattava come sempre di piccole somme, del tutto insignificanti rispetto ai debiti accumulati da Albert e soprattutto da Friedrich. La possibilità di vincere era uno dei principali motivi per cui Friedrich era assiduo nel frequentare il salotto.

Tornando in caserma, Friedrich affrontò il discorso con Albert.

- Büchner mi ha rifiutato un prestito. Sono nella merda fino al collo.

- Non pensare che a me vada meglio, Friedrich. Sai benissimo che ho un mare di debiti.

- Non quanti ne ho io.

Dopo un momento di pausa, Friedrich chiese:

- Come va con il conte?

- Benissimo, ma è presto per chiedergli di farmi da garante.

- Non puoi prestarmi qualche centinaio di fiorini? A te Büchner li dà.

- Friedrich! Sono già abbastanza nei guai. Mio padre non vuole saperne di darmi neanche un fiorino oltre la somma mensile che ha fissato e so che ha scritto al colonnello per lamentarsi del mio comportamento. Il colonnello mi ha fatto una scenata terribile, sembrava volermi incenerire… sapeva anche del duca. Sapeva o comunque aveva capito. Non ti dico che cosa non mi ha detto. Se avesse potuto, mi avrebbe fatto mettere ai ferri. Mi ha minacciato…

- Ho bisogno di quei soldi, Albert!

- No, non se ne parla. Se la faccenda venisse fuori… sai benissimo com’è mio padre. E il colonnello... Merda! Vedremo come va con il duca.

- Riuscirai a ricavarne qualche cosa?

- Senz’altro, ma ho bisogno di tempo con lui. Lo vedo domani.

Friedrich abbandonò l’argomento, ma la sua irritazione trasparì nel tono con cui chiese:

- Scopa bene?

La domanda irritò Albert, che rispose, secco:

- Sì, senz’altro.

Era la verità. Albert aveva avuto rapporti con diversi uomini, ma nessuno gli aveva dato piacere come Marko Jergović.

Friedrich ghignò e disse:

- È un buon porco. Un buon porco per una troia.

E con queste parole accelerò il passo, lasciando indietro Albert. Questi si fermò, poi scosse la testa. Avrebbe dovuto schiaffeggiare Friedrich e sfidarlo a duello, ma aveva già abbastanza guai.

 

*

 

Il giorno successivo nel padiglione Albert e Marko si dedicarono ai loro giochi e trascorsero oltre due ore scopando. Albert non aveva mai goduto tanto, né con un uomo, né con una donna. Era vero, come diceva Friedrich, che il duca era un porco: il miglior porco che Albert avesse mai conosciuto. Il pensiero di Friedrich era disturbante e Albert lo scacciò.

Quando si furono rivestiti, Marko disse:

- Ti ho preso un piccolo regalo in città.

Gli porse un pacchetto.

Albert aveva previsto che il duca gli avrebbe portato un regalo dal suo viaggio. Lo aprì e vide che era un bell’orologio d’oro, con le sue iniziali incise: un regalo davvero principesco. L’orologio valeva senza dubbio una bella somma, ma Albert non aveva intenzione di venderlo per saldare una parte del debito e poter continuare a giocare. Contava invece di chiedere al duca di fargli da garante, così avrebbe potuto ottenere un altro prestito. In quel momento la richiesta non sarebbe stata opportuna: il duca avrebbe pensato che volesse approfittare di lui e avrebbe potuto negare la sua firma. Glielo avrebbe chiesto la volta seguente, dopo essersi mostrato molto preoccupato ed essersi lasciato convincere dal duca a raccontare i motivi. Adesso, appena ricevuto un regalo costoso, non era il caso di portare il discorso sulle perdite al gioco. Ringraziò calorosamente.

Quando si fu rivestito, Albert disse:

- Senti, preferirei che non mi vedessero uscire dalla villa. Sulla strada passa spesso gente e vorrei evitare chiacchiere. Mi hanno già visto uscire l’ultima volta che ci siamo incontrati.

- Preferisci uscire dal cancello sul retro del parco?

- Sì, così posso passare per il bosco e nessuno mi vede. E magari, se mi dai la chiave, posso anche entrare di lì la prossima volta. Credo che sia meglio così anche per te, no?

- Va bene. Aspettami qui.

Il duca uscì, dirigendosi alla villa. Albert si guardò intorno: era la prima volta che si trovava da solo nel padiglione. L’arredamento della stanza, pur essendo essenziale, era molto elegante. Albert osservò il paravento giapponese, che nascondeva il letto: a un occhio esperto come quello del sottufficiale, la raffinatezza dei motivi decorativi non lasciava dubbi sul suo valore. Un paravento come quello non avrebbe sfigurato in una residenza ducale a Parigi. Albert sorrise pensando all’abisso che separava il duca dalla nobiltà locale. Lui viveva nel suo tempo, gli ospiti del salotto della Kressmann erano relitti del passato.

Sul tavolino c’erano alcune statuette di animali: una lepre e una tigre di avorio, una carpa e una tartaruga d’ambra. Avevano tutti due buchi, come per far passare un filo. Albert non sapeva che cosa fossero, ma era certo che fossero di valore, sia per il materiale in cui erano intagliati, sia per la raffinatezza dell’esecuzione.

Nel padiglione non c’erano armadi, ma solo due cassepanche. Albert le osservò. Dovevano essere di noce. La superficie aveva motivi decorativi poco appariscenti, ma molto eleganti. Proseguendo nella sua esplorazione ne aprì una: conteneva diversi teli bianchi, quelli che usavano per asciugarsi e che potevano servire anche per stendere sull’erba. Poi aprì l’altra. In quel momento il duca apparve sulla soglia e lo guardò, perplesso.

 

Quella sera Georg e Richard uscirono insieme. Nella taverna incontrarono alcuni degli altri ufficiali e rimasero con loro, poi si alzarono. Camminarono per la città. Il centro storico, piuttosto ampio, era un dedalo di stradine, con vicoli, archi e passaggi coperti, dove spesso regnava un buio assoluto. Ogni tanto sceglievano uno di questi angoli e si baciavano, nascosti dall’oscurità. C’era una tenerezza che non era certo stata presente nella relazione con il duca e che per Georg era qualche cosa di completamente nuovo. Il desiderio si riaccese di nuovo, benché avessero scopato già nel pomeriggio.

- Facciamolo qua.

Erano sotto un passaggio che univa una strada secondaria a un cortile.

- Qua? Sei pazzo, Georg? Se arriva qualcuno…

- Dormono tutti a quest’ora. Qui vanno a letto presto.

- Ci sono centinaia di soldati e parecchi ufficiali che vanno a spasso per queste strade la notte.

- Li trovi solo nelle vie che dalla caserma portano alle taverne o ai bordelli. Dai, non ce la faccio più.

Richard avrebbe voluto sottrarsi, ma il suo corpo ardeva. Le sue mani afferrarono Georg, lo spinsero contro il muro e lo strinsero. I loro corpi aderirono e la sua bocca cercò quella di Georg. Il desiderio era violento, incontenibile. Le loro labbra si unirono, le loro lingue si incontrarono, le loro mani percorsero avide i corpi che premevano uno contro l’altro.

Georg afferrò attraverso la stoffa dei pantaloni il cazzo di Richard e lo strinse con forza. Lo sentì vibrare, rigido e caldo. E il desiderio lo travolse.

- Prendimi, Richard, prendimi.

Richard baciò ancora Georg, mentre le sue mani scivolavano lungo il corpo del compagno, scendevano alla cintura e la slacciavano, calavano i pantaloni, stringevano il cazzo e i coglioni. Richard ansimava. Georg mormorò:

- Fottimi, Richard.

Non reggeva più. Il desiderio era troppo forte. Richard lo voltò, premette il suo corpo contro quello di Georg, schiacciandolo contro il muro. Si slacciò la cintura e si calò i pantaloni, mentre si diceva che era pazzo, che poteva arrivare qualcuno. Georg sentì contro il culo il cazzo di Richard, teso, grande, caldo.

- Fallo, Richard, fallo!

Richard inumidì la cappella con la saliva, con un gesto rapido, quasi rabbioso. Due dita umide si infilarono tra le cosce di Georg, premettero contro l’apertura. E poi spinse il cazzo dentro il culo che gli si offriva, mentre mordeva una spalla di Georg.

Richard spingeva con forza, travolto da un desiderio che non lasciava spazio ad altri pensieri, dimenticando ogni cautela. Sapeva di fare male a Georg, ma non riusciva più a controllarsi. Il suo cazzo scavava nel culo di Georg.

Georg era travolto dal piacere e dal dolore, entrambi forti, fusi l’uno con l’altro, come sembravano essersi fusi i loro due corpi. Voleva quel dolore e quel piacere, che dal suo culo si diffondevano in tutto il corpo, solo quello desiderava.

Richard sussurrava parole, senza più sapere che cosa stava dicendo.

- L’hai voluto, lo senti, eh stronzo? Georg, Georg, ti voglio, Georg, amore mio. Georg!

L’orgasmo fu un lampo accecante. Gli sembrò di non riuscire a reggersi e si abbandonò contro il corpo di Georg.

Quando i battiti del cuore rallentarono e il respiro ritornò regolare, Richard si staccò e voltò Georg, mettendolo con le spalle al muro. Poi si inginocchiò davanti a lui e con le labbra avvolse il cazzo di Georg. Era bello sentirlo nella sua bocca, caldo e duro. Richard lo succhiò e lo leccò, mentre le sue mani accarezzavano delicatamente i coglioni. E infine Richard sentì il seme di Georg che si spargeva nella sua bocca.

Chiuse gli occhi, poi si staccò. Si alzò e incominciò a rivestirsi rapidamente.

- Rassettati, in fretta.

Georg era stordito dal piacere, ma obbedì.

Quando si fu sistemato, Richard disse:

- Tu sei pazzo… e io lo sono altrettanto.

Georg annuì, poi si rese conto che Richard non poteva vederlo. Disse:

- Sì.

Non riusciva a parlare.

Uscirono dal passaggio. Vicino a una luce controllarono di essere a posto. Poco dopo incontrarono due ufficiali che conoscevano. Li salutarono.

Tornarono in caserma e, a malincuore, ognuno andò nella sua stanza: avrebbero entrambi voluto dormire insieme.

Georg si mise a letto e si addormentò sereno.

 

 

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