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La vittoria

 

Arrivato in cima alla collina, il sergente Ramón Hierro si voltò ad osservare la sua squadra. Gli uomini arrancavano lungo il fianco ripido, ma nessuno era rimasto indietro ed entro pochi minuti tutti lo avrebbero raggiunto. Di lì alla caserma sarebbero scesi senza fatica lungo un pendio che declinava dolcemente: questione di un’ora, anche di meno.

Il sergente Hierro si guardò intorno. Non si vedeva nessuna delle altre squadre: dovevano essere tutte ancora molto indietro. Hierro sorrise: anche questa volta era riuscito a riportare i suoi uomini alla caserma in un tempo molto inferiore a quello previsto.

Le altre squadre rimanevano sempre indietro, un po’ perché i sergenti si intestardivano nel decidere la strada da seguire, ma non erano capaci di leggere la carta, un po’ perché alcuni uomini rallentavano la marcia, facendo perdere tempo prezioso.

Il sergente Hierro sapeva bene che era meglio far leggere la carta a qualche soldato istruito e stabilire insieme a lui il percorso da seguire: chiedere, riconoscendo i propri limiti, non sminuiva la sua autorità, come alcuni degli altri sottufficiali temevano. E forse temevano a ragione, perché la loro autorità era tutt’altro che salda, mentre gli uomini di Hierro avevano nei suoi confronti un rispetto assoluto.

Inoltre Hierro aveva imparato a intervenire per dosare il carico dei suoi uomini. Come avrebbe fatto in guerra, in quella guerra che si preparava e di cui già si sentiva il lontano fragore. Toglieva agli uomini meno resistenti il carico in eccesso, lo ridistribuiva tra coloro che potevano portare di più e si caricava lui stesso, più di tutti i suoi uomini. E vedendolo portare un carico che avrebbe stroncato molti dei più forti, nessuno dei suoi si riteneva in diritto di lamentarsi.

Hierro individuò nella fila che si stava avvicinando Ramirez, il geometra che aveva letto la carta e scelto insieme a lui l’itinerario migliore da seguire. Un bel ragazzo, molto giovane, robusto, ma non tanto da reggere a lungo con il carico che gli era stato assegnato. In un altro gruppo quel poveretto sarebbe crollato sotto il peso, rallentando la marcia di tutti, e le sue conoscenze sarebbero state del tutto inutili. Nella sua squadra, Ramirez si era rivelato una carta vincente e, con un carico alleggerito, era in grado di procedere allo stesso passo degli altri.

Hierro si passò una mano sulla fronte, che gocciolava di sudore. Come tutti, era sudato fradicio: l’esercitazione era stata particolarmente intensa, otto ore di marcia in un percorso misto, di boschi, pascoli e pietraie, con lo zaino sulle spalle, sotto un sole a picco che a tratti sembrava volerli bruciare.

DiegoIn quel momento arrivò il primo dei suoi uomini, il caporale Hortelano, che gli sorrise. Hierro ricambiò il sorriso. Diego Hortelano non rimaneva mai indietro. Era forte, ma a spingerlo a superare gli altri era soprattutto il desiderio di fare bella figura di fronte al suo sergente, al suo uomo. Erano amanti da un anno e ogni qual volta era possibile i loro corpi si incontravano, guidati da un desiderio violento, che sembrava non essere mai sazio. Hierro guardò il viso forte di Diego, le spalle larghe, le braccia possenti. Guardò il sudore che luccicava sul petto, la macchia di peli scura intorno ai capezzoli e poi la striscia che scendeva verso il ventre.

Guardandolo sentì accendersi il desiderio ed il rapido tendersi dei pantaloni rese evidente la sua eccitazione. Diego rise, poi disse:

- Spero che arriviamo presto…

Nello sguardo di Diego il desiderio brillava.

Uno dopo l’altro arrivarono tutti gli uomini. Erano tutti bagnati di sudore, ma sorridenti, contenti della vittoria che ormai nessuno poteva sottrarre loro. Perché per loro quel battere le altre squadre era una vera vittoria, anche se non avrebbe fruttato medaglie o ricompense.

- Bravi, ragazzi. Di qui in poi è tutta discesa. In un’ora saremo alla caserma.     

Il soldato Llera intervenne:

- Un’ora, sergente? Possiamo farlo in quaranta minuti, anche meno.

Hierro rise.

- Staremo a vedere se tu riesci a stare al passo.

Arrivarono in quarantacinque minuti, lasciando sbalorditi i soldati rimasti in caserma, così come avevano stupito gli ufficiali ad ognuno dei posti di controllo, a cui si erano presentati con largo anticipo sul previsto. Nessuno si aspettava il loro rientro in caserma alle quattro del pomeriggio, anche se tutti prevedevano la vittoria della squadra di Hierro.

Ramón Hierro mandò i suoi uomini nella camerata: avrebbero potuto riposarsi a lungo, aspettando i loro compagni. Hortelano indugiò, in modo da rimanere solo con lui. Aspettava che Hierro gli dicesse che si sarebbero visti ed il sergente non lo deluse:

- Mi faccio una doccia. Troviamoci tra mezz’ora nella scuderia, come al solito. Fa’ attenzione. Quel figlio di puttana di Vega sarà in giro e preferisco che non ci veda.

Francisco Vega era un tenente che odiava di cuore Hierro, e lo vessava in tutti i modi. Vega aveva la stessa età di Hierro, ma era un ufficiale e non un sottufficiale: in quanto figlio di un colonnello, divenuto ministro in seguito ad un colpo di stato, Vega aveva avuto una rapidissima carriera, destinata a proseguire nel tempo. Ma nella caserma di Fuenteroja, l’incapacità di Vega era troppo evidente. Vega non se ne preoccupava, considerava Fuenteroja una tappa insignificante del percorso che lo avrebbe condotto ai gradi più alti del potere. Quel giorno non aveva neppure partecipato all’esercitazione, che invece avevano seguito quasi tutti gli ufficiali, sia pure ai posti di controllo e non alla guida delle squadre. Nemmeno il maggiore si era permesso di dirgli che doveva partecipare: teneva alla propria carriera e non voleva mettersi in cattiva luce agli occhi dell’onnipotente ministro.

Ramón Hierro non teneva alla carriera: a lui bastava fare il suo dovere e servire la sua patria nella guerra che si preparava. Non era tipo da fare carriera, anche se aveva una grande capacità di comando, che i suoi superiori gli riconoscevano: non era un leccaculo, era troppo franco, troppo abituato a dire quello che pensava, e più di una volta si era beccato diversi giorni di punizione. E poi, in una società in cui la posizione di una persona dipendeva dalla purezza della sua razza, quel po’ di sangue indio che Hierro doveva avere nelle vene costituiva un altro ostacolo. Forse tutto questo non gli avrebbe impedito di essere promosso, perché nessuno degli altri sottufficiali aveva un ascendente sugli uomini pari al suo e la capacità di farsi ubbidire ciecamente in ogni occasione, ma Vega non l’avrebbe mai permesso.

Francisco Vega vedeva Hierro come il fumo negli occhi, perché Hierro non nascondeva il disprezzo che provava per il tenente presuntuoso ed incapace. Né Vega gli perdonava il rispetto e la stima che i soldati avevano per lui: l’estate precedente, quando un incendio aveva minacciato il forte in cui una parte della guarnigione era stanziata, per le esercitazioni estive, era stato Hierro a dirigere le operazioni di spegnimento dell’incendio, e tutti gli uomini avevano ignorato gli ordini, palesemente inadeguati, di Vega, seguendo invece quelli che Hierro dava. Vega non gliel’aveva mai perdonata.

 

Nella scuderia

 

HierroDiegoNegli alloggiamenti dei sottufficiali, Ramón Hierro si fece una doccia. Era piacevole sentire l’acqua appena tiepida (Ramón non usava mai l’acqua calda) che gli scorreva lungo il corpo, pulendolo dal sudore. Si sfregò energicamente con il sapone e poi rimase un buon momento sotto l’acqua sferzante. Pensò a Diego e sentì che nel ventre la tensione saliva nuovamente. Con un movimento deciso chiuse il rubinetto dell’acqua calda e sentì che l’acqua diveniva rapidamente gelida. Girò al massimo il rubinetto e lasciò che il violento getto freddo lo investisse in pieno. Solo dopo un buon momento chiuse il rubinetto ed uscì dalla doccia. Si asciugò strofinandosi energicamente, si mise i pantaloni ed uscì. Come tutti, in estate non portava mai la camicia e la giacca, se non nelle occasioni ufficiali.

Entrò nel magazzino e di lì passò in un piccolo cortile interno, da cui una porta secondaria dava accesso alla scuderia. Nella penombra che invadeva il vasto locale, sentì l’odore acre dell’urina dei cavalli. Camminò fino al deposito del fieno e vi entrò. Diego era già seduto ad attenderlo, anch’egli a torso nudo.

Ramón chiuse la porta alla proprie spalle. Il deposito era buio ora, solo una debole luce proveniva da una finestrella. Diego si alzò e finì di spogliarsi, posando i pantaloni su una sbarra di legno. Lo guardava fisso, gli occhi accesi di un desiderio violento.

Hierro aveva avuto molti altri uomini: il suo fisico robusto, la sua grande forza, la sua autorevolezza, ma anche la sua estrema discrezione, attiravano i giovani. In un Paese latino-americano ed in particolare nell’ambiente militare, essere indicato come finocchio esponeva a derisioni, botte, umiliazioni di ogni genere e spesso ad essere allontanati dall’esercito: un soldato doveva essere un vero maschio. Ma Ramón Hierro non si vantava mai di quello che aveva ricevuto e, se non aveva stima di coloro che gli si davano, disprezzava ben di più tutti quegli uomini che prima accettavano di possedere e poi umiliavano chi si era offerto.

Ramón aveva avuto altri uomini, ma per nessuno aveva provato ciò che sentiva per Diego. Un’attrazione prepotente, che gli accendeva i sensi e gli offuscava il ragionamento. Ed una tenerezza che a tratti lo sommergeva completamente e che le sue mani, di solito così abili, si trovavano impacciate a esprimere. La sua stima per Diego era rimasta immutata quando il giovane aveva accettato di darsi a lui e a essa si era aggiunta una riconoscenza infinita per l’offerta di sé che Diego aveva fatto. 

Hortelano si inginocchiò davanti a lui e, con le mani che quasi tremavano gli abbassò i pantaloni. Trovò ciò che cercava, non ancora teso, ma già gonfio di sangue. Lo guardò come smarrito, poi lo sfiorò con le dita, come in un gesto di adorazione. Le dita scesero dalla base fino alla punta, che iniziò a sollevarsi. Il contatto trasmise a Ramón un brivido violento. Avrebbe voluto forzare Diego ad aprire la bocca ed accogliere il suo uccello, sì, sentiva di desiderarlo, e sapeva che Diego avrebbe accettato. Diego avrebbe accettato tutto, da lui. Ma non voleva forzare quel corpo, di cui era stato il primo, e l’unico, a prendere possesso.

Ramón accarezzò i capelli di Diego, gli appoggiò la faccia contro il proprio ventre, appena a lato dell’asta, che si gonfiava e si alzava, impetuosa. Poi capì che non poteva trattenere oltre la veemenza del suo desiderio. Tolse la mano con cui teneva la testa di Diego contro il ventre.

L’arma era pronta. Diego si alzò, guardò negli occhi Ramón  e poi si appoggiò a pancia in giù sul fieno. Ramón  guardò quel culo che gli si offriva, forte e robusto. Ricordava la prima volta in cui Diego gli si era offerto, senza esitazioni, senza rimpianti, senza nemmeno dirgli che gli stava offrendo la sua verginità.

Si bagnò la punta delle dita con un po’ di saliva e le introdusse delicatamente nell’apertura, che cedette alla pressione. Poi passò entrambe le mani intorno ai fianchi di Diego ed avvicinò la punta del suo sperone all’apertura segreta.

Spinse a fondo, facendo penetrare tutta l’arma e strappando un gemito a Diego. Allora si abbandonò su quel corpo, che le sue mani percorrevano stringendo, pizzicando, accarezzando. Assaporò il calore della cavità che aveva accolto la sua arma, la pelle un po’ ruvida del caporale, l’odore maschio che si mescolava a quello intenso della scuderia. Ed incominciò a cavalcare con vigore crescente.

Trottò a lungo, fino a che sentì che la tensione diventava intollerabile ed allora il trotto divenne un galoppo violento, una serie di spinte che introducevano lo sperone fino in fondo e poi lo estraevano quasi completamente e poi la cavalcata esplose in un fuoco d’artificio che lo accecò, lasciandolo spossato sul corpo di Diego.

Mai, con nessun uomo, aveva goduto come godeva con Diego.

Quando i lampi che gli attraversavano gli occhi si attenuarono ed ebbe ripreso il controllo del proprio fiato, la sua mano scese sul ventre di Diego. Nei primi tempi, era Diego stesso a farsi una sega, dopo che lui l’aveva posseduto. Diego gli aveva solo chiesto, quasi vergognandosi, se a Ramón non dava fastidio che lui lo guardasse, mentre lo faceva.

Poi un giorno, in un impulso di gratitudine, Ramón  aveva afferrato il robusto uccello di Diego, mentre ancora gli teneva il proprio ben piantato nel culo, ed aveva, per la prima volta in vita sua, fatto una sega ad un uomo. Non gli era dispiaciuto: la sensazione di quella carne incandescente nella sua mano aveva riacceso in lui il desiderio.

Ed ora la sua mano ripercorreva una strada ben nota, stringeva quella carne palpitante e viva e, Ramón  se ne rendeva conto, ne provava piacere, un piacere sempre più forte. La sua mano scorreva, senza fretta, lungo l’asta, fino a che sentì la tensione esplodere e Diego gemere di piacere. Non allontanò la sua mano, lasciò che un po’ di sborro ricadesse sulle sue dita. Gli piaceva stringere quel cazzo che ancora pulsava, il cazzo del suo uomo, che ancora stringeva in culo il suo cazzo.

Rimasero a lungo così, avvolti da un piacere che non avrebbero saputo definire. 

Infine si sciolsero dall’abbraccio e si rivestirono. Come gli era successo altre volte, nelle ultime settimane, Ramón provò l’impulso di baciare Diego. Non aveva mai baciato un uomo, ma provava vergogna. Diego avrebbe accettato. Diego avrebbe accettato qualunque cosa da lui. Ma Ramón , prontissimo all’azione in ogni occasione, di fronte alla totale disponibilità di Diego perdeva ogni sicurezza.

Anche questa volta non riuscì a superare l’impaccio.

 

Non farsi gli affari propri…

 

Ramón  si diresse verso gli alloggiamenti dei sottufficiali.

Era appena entrato, quando dal piano di sopra sentì un urlo.

- No, no, aiuto!

Riconobbe la voce: era quella di Ramirez, il geometra che faceva parte della sua squadra.

In un attimo Ramón si lanciò sulle scale, verso il primo piano: di qui, dove si trovavano gli alloggiamenti degli ufficiali, proveniva l’urlo.

Sul pianerottolo incontrò il sergente Altamira, quello a cui era stato affidato la caserma in assenza degli altri ufficiali e sottufficiali. Stava scendendo. Altamira si mise in mezzo alle scale.

- Fermati, Hierro! Non sono cazzi tuoi.

Ramón  si fermò un attimo, ma l’urlo si ripeté.

- Aiuto!

Un urlo subito soffocato, come se qualcuno avesse chiuso la bocca da cui proveniva il grido. Con un gesto brusco, Ramón spinse Altamira di lato, lo superò e raggiunse la porta che dava nell’alloggiamento degli ufficiali.

Entrò nel corridoio e, guidato dal rumore di una lotta, raggiunse rapidamente l’appartamento di Vega. La porta era chiusa e Ramón batté con violenza due volte.

- Vattene!

La voce di Vega era dura, ma Vega non era solo, perché oltre la porta si sentiva un mugolio.

Ramón arretrò di due passi e con tutto il suo peso (non leggero, di certo) si scagliò contro la porta, che cedette al primo colpo. Vide il giovane Ramirez che si dibatteva sul letto, le mani chiuse nelle manette dietro la schiena, i pantaloni calati, mentre il sergente Vega, anche lui con i pantaloni calati, cercava di bloccarlo.

Ramón urlò:

- Fermati, bastardo!

Vega si voltò verso di lui con uno scatto da belva.

- Vattene, stronzo, o ti mando alla corte marziale.

Ramirez, a cui Vega non chiudeva più a forza la bocca, riuscì a parlare:

- Mi aiuti, per carità…

cerroPugnoVega mollò un violento ceffone a Ramirez, per farlo tacere. In un attimo Ramón fu addosso a Vega e gli mollò un pugno in faccia con tutta la sua forza. Sentì il rumore della mascella che si rompeva ed un gemito, mentre Vega si afflosciava. Ramón  lo colpì una seconda volta in faccia e sentì nuovamente il rumore delle ossa che si rompevano.

Senza curarsi del sergente, inginocchiato a terra, che sputava sangue e denti, si guardò intorno alla ricerca della chiave delle manette.

- Sai dov’è la chiave delle manette?

- Non so, le manette le aveva in tasca, io non sapevo…

Ramón  alzò di peso Vega e gli mise una mano in tasca. Trovò la chiave e mollò Vega, che ricadde a terra, sempre sputando sangue.

Ramón  liberò Ramirez.

- Vattene in fretta e dimentica tutto.

Il giovane si tirò su i pantaloni e scappò, borbottando un ringraziamento.

Ramón  uscì senza voltarsi indietro. Sapeva che aveva chiuso. Con il grado, la libertà, la vita. Sapeva benissimo che cosa significava quello che aveva fatto. Un viaggio di sola andata, in carro bestiame, per il Cerro del Diablo, il carcere punitivo più duro di tutto il paese, da cui uno come lui non sarebbe mai uscito vivo.

 

Steso sul suo letto, Ramón  aspettava. Sapeva che presto sarebbero venuti a prenderlo. Non si pentiva di quello che aveva fatto: se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto esattamente la stessa cosa. Ma sapeva qual era il prezzo che avrebbe pagato. Lentamente, stava dicendo addio ai gradi, alla libertà, ai suoi soldati, alla vita militare, alla vita stessa, a Diego.

Diego arrivò, visibilmente sconvolto, circa un’ora dopo.

- Che cosa è successo, sergente? Hanno portato via Vega in macchina, dicono che è stato lei, che sarà deferito alla corte marziale, che…

Ramón  guardò Diego e gli sorrise. Pensò che presto si sarebbero separati per sempre e gli sembrò che un masso gli premesse sul petto, impedendogli di respirare.

- Nessuno mi manderà alla corte marziale, Vega non vuole certo che si sappia quello che è successo. Mi manderanno al Cerro del Diablo.

Vide Diego sbiancare in volto.

- Sergente, ma…

- Non ti preoccupare, Diego, ne verrò fuori. Non mi piego facilmente.

Era una menzogna: non ne sarebbe mai venuto fuori, proprio perché non si piegava facilmente. Al Cerro del Diablo chi non si piegava veniva schiantato. Ma non voleva che Diego lo capisse.

- Ma sergente, lo ha fatto per difendere Ramirez, Ramirez testimonierà…

- Ramirez fa bene a scordarsi questa storia, se vuole vivere. Altrimenti gli capiterà un incidente.

Vide la rabbia sul volto di Diego e, prima ancora che il giovane parlasse, capì che avrebbe dovuto intervenire per evitare un’iniziativa gravida di conseguenze. Le parole di Diego confermarono i suoi timori:

- Merda, sergente, se cercano di mandarla laggiù ci ribelleremo, non siamo…

Ramón  lo interruppe con durezza.

- Basta con le cazzate, Diego. Ci mancherebbe solo questa. Un ammutinamento a causa mia! Sarebbe una vergogna per me e non servirebbe a nulla. Diego, giura che non farai nulla, qualunque cosa succeda, ed impedirai agli altri uomini di agire.

- Ma sergente…

- Basta!

Diego annuì, ma aveva le lacrime agli occhi. Ramón  lo attirò a sé e, cedendo per la prima volta all’impulso che provava, lo baciò sugli occhi e sulle labbra. Quando le loro bocche si unirono, sentì che dalle labbra un incendio gli si propagava per tutto il corpo, anche se avevano scopato appena un’ora prima o poco più.

Diego gli si strinse contro, le sue mani gli si avvinghiarono, ma allora Ramón, maledicendosi, lo allontanò. Si era già separato da lui ed era bene che anche Diego incominciasse a distaccarsi. Avrebbe sofferto di meno.

 

… costa caro

 

Fu solo verso le sette, dopo il rientro del maggiore, che il sergente García si presentò da lui con due soldati.

- Il maggiore ti vuole. Muoviti.

Ramón  lo seguì docilmente. A che cosa sarebbe servito ribellarsi?

Il maggiore lasciò García fuori dalla porta e parlò a Ramón .

- Non so che cosa è successo, ma non ha importanza. Credo che tu sappia benissimo le conseguenze del tuo gesto.

Ramón  annuì.

- Sì, signor maggiore.

- Sarai degradato, domani, poi punito pubblicamente ed infine, se…

Il maggiore fece una pausa, poi decise di non completare la frase e riprese:

- Partirai per il Cerro del Diablo.

Ramón  lo aveva previsto, ma a quelle parole ebbe la sensazione che una porta si chiudesse alle sue spalle, lasciandolo in una stanza buia.

Trascorse la notte e la mattina in cella di isolamento. Quando vennero a prenderlo, nel pomeriggio, si sentiva pronto. Non aveva più nulla da perdere, aveva detto addio a tutto.

 

Lo portarono nel cortile, dove vide che tutta la guarnigione era schierata. Già, tutti i soldati dovevano vedere che cosa succedeva a chi osava colpire un superiore.

Il maggiore era in prima fila, ma a dare gli ordini era l’altro tenente, Palos, affiancato da due soldati.

- Soldato Hierro, sei degradato per aver colpito un tuo superiore per futili motivi. Consegna la giacca con i gradi.

Ramón si tolse la giacca e la porse ad uno dei soldati. I gradi erano anche puntati sul petto della camicia, ma, ad un cenno di Palos, l’altro soldato si mise di fronte a Ramón, gli afferrò i gradi e li strappò via. Ramón  rimase indifferente: gli sembrava che il suo grado di sergente appartenesse ad un periodo lontano, di cui conservava appena il ricordo.

Palos riprese a parlare:

- Prima di essere condotto alla caserma di Cerro del Diablo, sarai pubblicamente punito. Spogliati.

Ramón eseguì. Si tolse la camicia, le scarpe, i pantaloni, le calze. Il sergente Palos alzò il mento, mantenendo lo sguardo sulle mutande di Hiero. Ramón capì che doveva togliersi anche quelle: l’umiliazione doveva essere completa, nudo davanti ai suoi soldati. Eseguì.

- Mettiti con la schiena contro il palo.

Ramón si avvicinò ad uno dei pali che sorgevano in mezzo al cortile, utilizzati per esercitazioni, ma in passato anche per esecuzioni. Si appoggiò al palo, rivolto verso i soldati. Guardava sopra le loro teste, non voleva incontrare i loro sguardi, ne avvertiva la rabbia impotente, la sofferenza, ma anche una tensione diversa, accesa dal suo corpo che si mostrava nudo, dall’attesa della sua agonia. 

Un soldato gli infilò le manette, prima al polso destro, poi, passando dietro il palo, al polso sinistro. Ora aveva le braccia bloccate dietro il palo e l’ampio torace appariva ancora più largo.

Si chiese se lo avrebbero frustato sul torace. Le frustate venivano sempre date sulla schiena, mai davanti, dove avrebbero potuto provocare danni ben più gravi. Ma Ramón Hierro sapeva di essere ormai carne da macello.

Avvertì la presenza di un altro soldato, che si era messo dietro il palo. Poi sentì che l’uomo gli stava passando una fascia di cuoio intorno al collo e la bloccava dietro il palo, forzando la testa ad aderire al legno.

CerroPaloNon capì, fino a che, ad un cenno di Palos, la pressione della fascia intorno al suo collo aumentò improvvisamente. Era una specie di garrotta rudimentale: un bastone di legno, inserito nella cinghia, veniva girato, stringendogli il collo. Per il momento poteva respirare ancora abbastanza liberamente. Un secondo cenno di Palos fu seguito da un brusco aumento della pressione. Ramón si accorse che respirava a fatica ed a tratti non riusciva ad immettere aria. Lo stavano garrottando. Non sarebbe andato al Cerro del Diablo, sarebbe stato giustiziato davanti ai suoi soldati. Perché il maggiore gli aveva mentito?

Capì immediatamente: il ministro Vega doveva essersi fatto vivo, direttamente o tramite qualche alto grado, per dire che il soldato Hierro andava liquidato il più in fretta possibile. Meglio che per il Cerro del Diablo non partisse neanche.

Un nuovo aumento della pressione gli bloccò completamente il respiro. Per un momento Ramón  cercò disperatamente di immettere aria, ma era inutile. Le immagini divennero sfocate.

 

Nel cortile si era fatto un silenzio assoluto. Il mormorio dei soldati si era spento e tutti sembravano tendere l’orecchio per ascoltare il rantolo dell’uomo che veniva giustiziato. La pressione del laccio aveva provocato il rapido tendersi del sesso e gli occhi si puntavano ora sul grande uccello proteso verso l’alto, ora sul viso il cui colore ormai virava dal rosso al viola. I soldati erano tesi ed eccitati dalla vista di quel maschio vigoroso che stava agonizzando, dallo spettacolo di quell’arma formidabile di cui molti avevano sentito parlare, ma che pochi avevano visto in tiro. Sentivano odore di sangue, di vita, di morte.  

 

Frustato3In quel momento, ad un nuovo cenno del tenente, la corda si allentò. Non molto, quel tanto da permettere a Ramón  di introdurre un po’ d’aria, che gli bruciò la gola ed i polmoni. Tornò a vedere.

C’era un altro soldato davanti a lui, ora, lo conosceva. Si chiamava Alcantara. Era a torso nudo ed aveva una frusta.

- Uno!

Alla voce di Palos, la frusta si abbatté con forza sul torace di Ramón , lasciandogli un segno rosso orizzontale. Il dolore lo scosse, ridandogli lucidità. 

- Due!

Questa volta la frustata colpì più in alto, sfiorandogli un capezzolo e facendolo sussultare. Ma i capezzoli divennero turgidi e gli sembrò che la tensione che avvertiva nel ventre divenisse ancora più forte.

- Tre!

Una striscia ardente gli attraversò il ventre.

- Quattro!

La frusta colpì secca il ventre, ma questa volta più in basso, e la punta sfiorò l’asta tesa. Il dolore fu tanto intenso che a Ramón parve di svenire. Si appoggiò al palo per reggere, ma un nuovo colpo seguì la stessa strada, solo leggermente più in basso, alla base dell’uccello, sfiorando i testicoli. Se Ramón avesse potuto emettere liberamente la voce, avrebbe urlato per il dolore intollerabile che lo invadeva, ma, violento quanto il dolore, sentì il piacere che saliva in un’ondata impetuosa, che spingeva il suo seme in alto, sempre più in alto.

Hierro_al_palo_frustatoSentì le risate degli uomini, risate arrochite da un desiderio che più nessuno si curava di celare, se non i soldati della prima fila, e infine una battuta oscena dalla seconda fila:

- Godi a farti frustare, eh, finocchio?

Il tenente Palos girò la testa, fulminando con lo sguardo i soldati. Le risate si spensero e il silenzio ritornò assoluto. Nessuno ci teneva a farsi cogliere in fallo da Palos.

Ma dietro la prima fila, molti sorridevano, divertiti ed eccitati. Solo gli uomini di quella che era stata la squadra di Hierro tenevano gli occhi bassi. Ramón non guardò dalla loro parte, non voleva vedere la loro umiliazione. Fissò invece le facce davanti a lui, il ghigno che si dipingeva sul volto di molti soldati. Guardò i movimenti appena visibili nelle file dietro la prima. Si disse che molte mani erano al lavoro e che per molti di quei soldati la sua punizione era una bella occasione per farsi una sega. Anche il soldato che lo frustava doveva averlo duro, a giudicare dal rigonfio dei pantaloni. Ramón non si sentiva di condannare nessuno, al suo posto anche lui forse...

Il colpo che gli sfiorò la cappella interruppe i suoi pensieri, in un’esplosione di dolore che lo stordì. Se lo avesse preso in pieno, lo avrebbe castrato.

Altri colpi seguivano e ad ogni colpo una striscia scarlatta appariva sulla pelle, che a tratti si apriva, lasciando gocciolare il sangue. Ramón sapeva che non avrebbe retto a lungo. Ma il soldato non smetteva e nuovi colpi si abbattevano sulle sue gambe, sul ventre, sul torace. Gli sembrava che tutta la sua pelle fosse trafitta da mille aghi. Sangue e sudore scendevano a rivoli lungo il suo corpo.

La mente vacillava ed il cortile della caserma sembrava a tratti sprofondare in una nebbia. Gli ci volle un buon momento per rendersi conto che il soldato aveva smesso di colpire.

Poi il tenente diede ordine di rompere le righe e di rientrare nelle camerate. Il cortile rimase sgombro.

Palos gli si avvicinò.

- Qui non rimane nessuno. La garrotta è fissata ad un gancio. Se svieni o ti addormenti, sei finito.

Ramón si chiese se era un avvertimento o un consiglio. Con quello che lo aspettava a Cerro del Diablo, era meglio che si lasciasse andare. Finire subito. Un soldato morto durante una punizione. Ordinaria amministrazione. Era quello che voleva il ministro Vega, quello che doveva aver “suggerito” al maggiore.

No, non così, non doveva cedere. Non dovevano trovarlo morto l’indomani mattina. No! Per i suoi uomini, no! Per Diego. Non doveva vederlo morto.

Si appoggiò bene al palo e si dispose a resistere.

La sera era scesa. Sentì ancora voci, poi la tromba suonò il silenzio ed ogni rumore scomparve.

La notte portò un po’ di frescura, ma la difficoltà di respirare e la sete gli bruciavano dentro. Non doveva cedere, non doveva dormire, ma ogni fibra del suo corpo chiedeva riposo, riposo dalla fatica della posizione innaturale a cui era costretto, riposo dal dolore, riposo.

Si impose di resistere.

Man mano che le ore passavano, si rese conto che non reggeva più. La febbre saliva e la testa sembrava scoppiargli. La volontà di resistere si stava affievolendo. Il sonno si impadroniva di lui. Il sonno e poi la morte. Rassegnato alzò gli occhi al cielo, per vederlo un’ultima volta, e gli parve di vedere un chiarore. Sì, era così, stava arrivando il mattino.

Trovò le forze per resistere ancora, per prolungare quell’agonia.

 

La tromba suonò la sveglia.

Arrivò García, con due soldati. La pressione intorno al collo si allentò e poi svanì, mentre le mani gli venivano liberate.

Cercò di respirare a pieni polmoni, ma l’aria gli sembrava un fuoco che gli incendiava la gola. Tossì.

García scosse la testa.

- Era meglio se crepavi, Hierro, meglio per te.

Ramón  lo guardò e, con una voce che non riconobbe come la propria, tanto era roca, rispose:

- Vaffanculo, García.

García ormai era un suo superiore, ma non aveva importanza. Nulla più aveva importanza.

- A fare in culo andrai tu, lo sai benissimo. Al Cerro del Diablo il culo lo dai via, se ti piace o se non ti piace, è lo stesso. Era meglio se crepavi, Hierro, il maggiore preferiva così, anche per te.

- ’fanculo, García.

La ginocchiata di García lo prese in pieno ai testicoli, strappandogli un gemito strozzato. Cadde in ginocchio, coprendosi istintivamente la parte dolorante.

- Ti conviene imparare il rispetto per i tuoi superiori, stronzo! Non ne hai avuto ancora abbastanza?

Non ci furono altre parole.

Il soldato Ramón Hierro rimase quattro giorni nel carcere della caserma, delirante, perché non era in grado di affrontare il viaggio. Quando la febbre calò, fu trasferito alla capitale, dove rimase altri nove giorni in attesa della partenza del primo convoglio per il Cerro del Diablo. Ce n’era uno ogni quindici giorni.

 

In viaggio verso l’inferno

 

treno2Erano in venti, tutti completamente nudi. L’unica cosa che portavano con sé erano i ferri ai piedi ed alle mani. A Cerro del Diablo i prigionieri non portavano nulla. Chi partiva per il Cerro, poteva dire addio a tutto ciò che aveva, perché dal Cerro non tornava tanto facilmente.

Ramón guardò gli uomini che avrebbero fatto il viaggio con lui. La sua esperienza di sergente aveva affinato la sua capacità di valutare gli uomini con un colpo d’occhio. Erano quasi tutti figli di puttana. Gente da cui tenersi alla larga. Gente che avrebbe dovuto mettere in riga, se fosse stato ancora sergente. Ma molti di quelli, nessuno li metteva in riga.

C’era un soldato molto giovane, non più di vent’anni, spaurito. Non sembrava un figlio di puttana. Chissà perché era finito lì?

Più d’uno guardava Hierro: Ramón aveva ancora molti segni di frustate, ma ormai era perfettamente guarito. Nella cella d’isolamento aveva ripreso a fare esercizio fisico, per quanto glielo permetteva lo spazio ridotto: aveva bisogno di essere nelle condizioni migliori per affrontare quel viaggio e poi ciò che lo aspettava al termine del viaggio.

I soldati che salivano sul treno li guardavano con curiosità. Erano in molti: la caserma di Cerro del Diablo era situata in una zona impervia, ma di notevole importanza strategica, perché molto vicino al confine. C’era una guarnigione numerosa, ma coloro che venivano inviati alla caserma punitiva avevano pochi contatti con gli altri soldati: vivevano in un settore a parte.

Un tempo vicino alla caserma c’era anche una miniera d’argento, che era la principale risorsa della regione: per quello avevano costruito la caserma, per quello e perché il confine era vicino. La compagnia statunitense che all’inizio del secolo sfruttava il giacimento aveva costruito la ferrovia che portava a Cerro del Diablo, ma la miniera era ormai esaurita ed ora la ferrovia era gestita dai militari. Usavano ancora gli stessi vagoni di cinquant’anni prima, di quando la compagnia mineraria aveva creato il primo collegamento. Ma che cosa cambiava mai nel paese? Il generale al potere, forse, dopo un colpo di stato, ma poco altro. E non era molto diverso negli altri paesi dell’America.

Un capitano si avvicinò loro e li guardò. C’era un sorriso di disprezzo, che Ramón avrebbe volentieri cancellato con un pugno, se avesse avuto le mani libere. Ma era una cazzata anche solo pensarlo. Il capitano osservò i prigionieri ed in particolare lui. I segni delle frustate erano troppi e troppo visibili, per non destare curiosità.

Il capitano si rivolse ai quattro soldati che sorvegliavano i prigionieri.

- Fate salire questi pezzi di merda.

Non li liberarono dalle catene ai piedi, ma sciolsero le mani. Poterono così issarsi sul carro bestiame e prendere posto. Ramón si collocò in un angolo, vicino alla porta. Voleva avere almeno un lato protetto, perché nel viaggio poteva succedere di tutto.

Il prigioniero più giovane salì per ultimo. Aveva sbagliato, avrebbe dovuto sbrigarsi, era meglio salire tra i primi e cercare di trovarsi un posto decente, prima che fossero tutti occupati, ma quel ragazzo non aveva nessuna esperienza.

Due prigionieri risero ed uno gli disse:

- Vieni qui, tesoruccio, che ci servi per la notte!

Il ragazzo arretrò e si guardò intorno. Ramón gli fece un cenno, indicando il posto alla sua destra, rimasto libero: nessuno gli si era seduto vicino. Il giovane vi si sedette.

Il prigioniero che si era rivolto al ragazzo aprì la bocca per dire ancora qualche cosa, ma il capitano, dalla pensilina, urlò:

-Silenzio!

I soldati costrinsero quelli che erano ancora in piedi a sedersi, poi l’ufficiale salì.

- Riceverete tutti una borraccia d’acqua. Non sprecatela, perché non ne avrete altra. Se avete sete, potete bervi il vostro piscio.

I soldati distribuirono le borracce. Alcuni bevvero subito. Ramón non bevve nulla, ma sistemò la sua contro l’angolo, in modo che fosse coperta dal suo corpo. L’acqua era indispensabile per sopravvivere fino al Cerro. Il viaggio durava quasi quaranta ore, perché i dislivelli molto forti riducevano la velocità del treno. Ma poteva durare molto di più.

Un tempo l’acqua non veniva distribuita e gli uomini rimanevano tutto il tempo senza bere e senza mangiare. Fino a quando una volta, tre o quattro anni prima, il treno era rimasto bloccato per otto ore al ponte sulla gola del Fuego, in pieno deserto, sotto il sole di luglio. Dicevano che dei quaranta prigionieri non ne era arrivato nessuno vivo. Dicevano. Dicevano molte cose sul Cerro del Diablo. Ramón sapeva che non tutto doveva essere vero. Ma era meglio essere preparati al peggio.

Da allora sul treno davano l’acqua. Poca, ma a sufficienza per non crepare di sete.

Il ragazzo al suo fianco fece per bere, ma Ramón gli sussurrò:

- No, non ora. Altrimenti non ti basta. Cerca di resistere.

Il ragazzo annuì e posò la borraccia.

Ramón lanciò un’ultima occhiata al marciapiede, ma la porta venne chiusa subito. Il vagone piombò nel buio, anche se un po’ di luce penetrava da una striscia, posta all’altezza degli occhi di un uomo in piedi. Di lì, alzandosi, avrebbero potuto vedere fuori. Nessuno però si alzò. Che cosa c’era da vedere in quel cazzo di stazione?

- Bene, pronti per il viaggio?

- Ho sempre sognato di girare il mondo.

Le battute dei due rimasero senza eco. Nel vagone calò un silenzio greve.

Poi, dato che il vagone non si muoveva, alcuni ripresero a parlare. Si scambiavano commenti ed informazioni sul Cerro del Diablo, su quello che li aspettava, sul motivo per cui erano su quel vagone.

Ramón non disse una parola, ma ascoltò con attenzione, guardando nella penombra i suoi compagni. Voleva capire che razza di uomini erano quelli con cui avrebbe fatto il viaggio. Valutava i rischi che correva e quelli, ben più gravi, che correva il ragazzo. Cercava di capire, nella ridda di informazioni e dicerie, qual era la verità sul carcere militare più temuto del paese.

 

Partirono due ore dopo, mentre si faceva notte. Quando il treno si mosse, ci furono bestemmie ed insulti lanciati contro il mondo, poi scese il silenzio. Ramón pensò che almeno per le ore successive non avrebbero patito il caldo. La parte più dura del viaggio era quella della mattina seguente, quando avrebbero attraversato il deserto ed il vagone si sarebbe trasformato in un forno. Il pomeriggio avrebbe portato un po’ di frescura, perché avrebbero raggiunto quote più elevate, ma la notte successiva sarebbe stata di nuovo rischiosa, perché nessuno avrebbe più avuto acqua e le belve si sarebbero scatenate. E di belve, in quel vagone ce n’erano. Ramón non aveva paura per sé, ma temeva per il ragazzo.

Si chiese perché si stava preoccupando di uno che conosceva appena. Non c’era un perché. Lui era così, da sempre, da quando da piccolo prendeva le parti dei più deboli, giù al paese.

Cercò di dormire, sapendo che nella notte successiva avrebbe dovuto stare in guardia. Riuscì a riposare alcune ore. Quando vide che il cielo incominciava a schiarirsi, prese la bottiglia e ne bevve circa un terzo. Poi la nascose con cura dietro il suo corpo. Nessuno poteva sapere che era ancora quasi piena e Ramón sapeva di essere in grado di difenderla, ma preferiva farlo il più tardi possibile.

Svegliò il ragazzo, che nel sonno gli si era appoggiato contro, e gli sussurrò all’orecchio di bere e mettere poi via la borraccia. Il ragazzo ubbidì, poi si addormentò di nuovo.

Quando ci fu abbastanza luce all’interno del vagone, Ramón si rese conto che quasi tutti erano svegli.

Man mano che il sole si alzava in cielo, nel vagone il calore diventava soffocante. Tutti avevano la gola riarsa, il respiro mancava.

C’era un buco, in un angolo del vagone, che serviva per le loro necessità. Ben presto il vagone si riempì di un odore intenso. Odore di piscio, di merda, di sudore. Molti avevano finito la loro riserva d’acqua e guardavano con avidità le borracce dei compagni.

Verso mezzogiorno il ragazzo fece per prendere la sua, ma Ramón lo bloccò.

- Non ora, è pericoloso. Aspetta a sera.

La prima rissa si scatenò nel pomeriggio, quando il vagone era ormai un forno puzzolente: un uomo cercò di prendere la borraccia ad un altro che sonnecchiava. La risata di uno degli altri prigionieri svegliò l’uomo addormentato, che si scagliò sul ladro. I due rotolarono per terra ed il derubato ebbe la meglio. Il ladro rimase sotto e l’altro, seduto su di lui, incominciò a prenderlo a pugni in faccia, fino a che si stancò e tornò a sedersi. L’altro rimase a lungo disteso, poi riuscì a trascinarsi fino al suo posto.

Nessuno era intervenuto.

Un’ora dopo, il ragazzo si voltò verso di lui:

- Non ce la faccio più, io bevo.

Ramón gli lesse negli occhi che non era davvero in grado di resistere. Annuì.

Il ragazzo prese la borraccia ed incominciò a bere.

- Cazzo, tu, hai la borraccia piena. Dammene un po’!

L’uomo che aveva parlato si avvicinò, minaccioso. Il ragazzo smise di bere e chiuse in fretta la borraccia.

- Dammi qui!

L’uomo già tendeva una mano per prendere la borraccia, ma Ramón gliela bloccò, afferrandogli il polso.

- Lasciala! Non è tua.

L’uomo ritrasse la mano e fissò Ramón con odio.

- E tu, che cazzo c’entri? Non ne hai avute abbastanza?

Nel vagone nessuno fiatava. Tutti fissavano i due uomini. Ramón era seduto, ma pronto a scattare. Il suo rivale era in piedi, ma con le catene alle caviglie non poteva colpire Ramón con un calcio ed il suo equilibrio era meno stabile.

- Anch’io voglio quell’acqua. Non vogliamo crepare di sete.

Un altro uomo si era alzato in piedi, un nero molto alto.

Ramón li fissò, poi aprì la bocca e scandì bene le parole:

- La vostra acqua l’avete avuta. Il ragazzo si beve la sua.

Ora era chiaro che se i due avessero cercato di prendere con la forza la borraccia, lui sarebbe intervenuto. Il ragazzo non sarebbe stato di grande aiuto, probabilmente, ma si sarebbe difeso ed a Ramón quei due non facevano paura.

L’uomo che stava davanti a Ramón alzò le spalle e tornò a sedersi al suo posto, come se non gliene importasse nulla. Ma Ramón sapeva che quella notte i due avrebbero attaccato.

Quando calò la notte e nel vagone ritornò il buio, Ramón sussurrò al ragazzo:

-Finisci la tua acqua.

Il ragazzo ubbidì. Anche Ramón bevve, ma solo un altro terzo. L’acqua sarebbe ancora servita al ragazzo, l’indomani mattina, prima di arrivare al Cerro del Diablo.

- Ora spostati, vieni qui. Quei due attaccheranno.

Il ragazzo si mise al posto di Ramón. I due probabilmente non si erano accorti di niente, perché lo sferragliare del treno copriva gli altri rumori.                                

- Dormi pure. Ci penso io a svegliarti, quando attaccano.

Alcune ore dopo, Ramón avvertì che qualcuno si muoveva nel vagone. Afferrò la borraccia del ragazzo e la tenne nella sinistra. Con la gamba scosse il ragazzo, che si risvegliò.

Ora c’era qualcuno davanti a lui, molto vicino. Sentì una mano che lo sfiorava ed allora vibrò un colpo con la borraccia. Non sapeva esattamente dove era la faccia, ma la borraccia incontrò qualche cosa di solido e ci fu un gemito e poi un tonfo.

- Bastardo. Mi ha colpito!

Ramón si alzò, rimanendo contro la parete.

Qualcuno si slanciò contro di lui, ma Ramón schivò il colpo. Il pugno che mirava alla sua faccia raggiunse la parete del vagone.

- Ah! Merda!

Ramón calò con forza la borraccia, colpendo nuovamente, una faccia, una schiena, non avrebbe saputo dire che cosa.

Un pugno lo prese in pieno nel ventre, mozzandogli il fiato. Per un attimo non fu in grado di reagire ed un secondo colpo lo costrinse a piegarsi in due. Radunando le forze si scagliò in avanti. Era una manovra azzardata: se non avesse incontrato il corpo di uno dei suoi assalitori, sarebbe finito a terra rovinosamente.

Per sua fortuna, la sua testa centrò lo stomaco di uno degli attaccanti, che emise un grido strozzato e cadde per terra. Ramón si tirò su, sedendosi sul corpo dell’uomo, ma in quel momento si sentì afferrare da dietro. Doveva agire in fretta, prima che l’uomo che lo aveva afferrato riuscisse a trovare la presa giusta, altrimenti lo avrebbero ammazzato. Calò la borraccia con tutte le sue forze sulla faccia dell’uomo che era sotto di lui. Sapeva che avrebbe centrato il bersaglio, perché era seduto sul ventre dell’uomo e quindi poteva intuire la posizione della testa. Ci fu un rumore secco ed un breve gemito. Ramón non fece in tempo a chiedersi se lo aveva ammazzato, perché l’altro attaccante gli aveva passato un braccio intorno alla gola e stava incominciando a stringere. Ramón vibrò un colpo all’indietro con la borraccia. Raggiunse l’obiettivo, ma l’uomo non mollò la presa. La pressione sul suo collo stava aumentando ed il respiro gli mancava. Presto non sarebbe più stato in grado di difendersi. Ramón tirò un secondo colpo e subito dopo si lanciò all’indietro, trascinando nello slancio anche il corpo dell’uomo che stava strangolandolo. Sentì il rumore secco della testa del suo avversario che batteva contro il suolo. La pressione cessò immediatamente. Il braccio che un attimo prima lo stava stringendo divenne inerte.

Ramón si alzò, a fatica. La testa gli girava, il collo gli faceva male. Non percepiva nessun movimento, ma non poteva essere sicuro che uno dei due non stesse muovendosi per attaccare ancora. Si chinò e trovò il corpo, inerte, del secondo aggressore. Gli sentì il polso. L’uomo era ancora vivo. Ramón cercò il secondo uomo. Anche lui era ancora vivo e gemeva. Fu contento che non fossero morti. Erano due figli di puttana, ma a lui non piaceva ammazzare. In guerra, poteva farlo, ma non si divertiva a farlo.

Spostò il corpo del secondo aggressore, in modo da potersi sedere liberamente. Si appoggiò alla parete, cercando di riprendere il controllo del proprio respiro.

- Sei tu?

La domanda del ragazzo lo fece sorridere. Ma al buio il ragazzo non poteva capire che cosa stava succedendo, né poteva aiutarlo.        

- Sì, sono io. Tranquillo, ora non attaccano più. Puoi dormire.

- Grazie.

Il respiro stava tornando normale. Il dolore alla gola ed al ventre si era attenuato. Era andata bene. Aveva fatto parecchie mosse azzardate, ma era andata bene.

Sentì la mano del ragazzo che gli accarezzava una gamba. Non capì, non subito. Ma quando la carezza salì, fino a raggiungere una meta precisa, Ramón non ebbe più dubbi.

- Non sei tenuto a farlo. Non è…

La mano che si muoveva sicura ed esperta fece morire le sue parole. Il ragazzo non lo faceva per ringraziarlo, non solo per quello. Il ragazzo lo faceva perché lo desiderava. Anche lui lo desiderava ed il suo corpo rispondeva con furore a quella carezza: da quando non scopava? Da quando aveva scopato con Diego, nella scuderia, in un tempo lontano, un altro tempo, un’altra vita. Il pensiero di Diego si impose con forza. Ramón si disse che non l’avrebbe mai più rivisto. Provò una fitta acuta. Era riuscito a separarsi da tutto, ma non da Diego. Diego se lo portava dietro, dentro.

Ma le sensazioni che salivano dal suo corpo erano troppo forti ed il pensiero di Diego si offuscò. Il ragazzo ci sapeva fare: la sua mano gli avviluppava i coglioni, stuzzicandoli con delicatezza, poi risaliva lungo il cazzo, che ormai era in tiro.

Poi la mano lasciò la preda, Ramón avvertì la pressione del corpo del ragazzo sulla sua gamba ed una cavità ardente ed umida gli avvolse il cazzo. La lingua che gli accarezzava la cappella gli trasmise una sensazione tanto forte, che fece fatica a soffocare l’urlo che dal ventre saliva e premeva per uscire.

Era la prima volta che gli succedeva, la prima volta che un uomo usava la lingua e la bocca per procurargli piacere: qualcuno aveva provato, in passato, ma Ramón si era sempre ritratto, disgustato, perché gli sembrava che un uomo non dovesse umiliarsi così. 

Il ragazzo ci sapeva fare. Forse era per quello che era stato spedito al Cerro del Diablo. Il ragazzo ci sapeva fare e la sua lingua stuzzicava, i suoi denti mordicchiavano, la bocca accoglieva ora la sua cappella, ora uno dei suoi coglioni, poi le labbra scorrevano lungo l’asta tesa ed ogni tocco di quella lingua, di quelle labbra, di quei denti alimentava un fuoco che ardeva sempre più forte e la tensione cresceva, fino a diventare dolorosamente intollerabile.

Quando infine il piacere conflagrò, lanciandolo lontano, Ramón pensò che quel ragazzo gli aveva regalato un ultimo lampo di vita.

 

Il mattino dopo, quando il cielo divenne più chiaro, Ramón diede al ragazzo quanto rimaneva della sua acqua.

Man mano che il vagone riemergeva dal buio, Ramón riusciva a distinguere le forme all’interno del vagone. Uno dei suoi aggressori era tornato al suo posto, era il nero, che aveva un occhio gonfio e parecchio sangue sulla faccia e sul petto. Ma non era niente di grave: al massimo un naso rotto. Ramón si disse che stava diventando bravo a rompere le facce.

L’altro prigioniero era ancora steso dove Ramón lo aveva lasciato. Respirava, ma sembrava incosciente e rimase in quella condizione fino all’arrivo.

Quando fu abbastanza chiaro anche nel vagone, Ramón guardò le facce degli altri uomini. Nessuno disse niente, quasi tutti evitarono il suo sguardo. Non avrebbe più avuto problemi, con quelli, a Cerro del Diablo.

Ma di problemi ne avrebbe avuto più che abbastanza, di questo era certo. 

 

 

 

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