Una falsa partenza

 

Il romanzo avrebbe dovuto aprirsi con i capitoli riportati qui sotto. In realtà poi l’intera scena (la prima ad essere scritta) fu eliminata ed il romanzo venne scritto al presente, modificando diversi elementi. Qui non appare ancora il protagonista, l’ispettore Ferraris.

 

1

 

 

Enea Burzio si sedette sulla poltroncina, gettò un’occhiata apparentemente distratta agli uomini che passavano per il locale e incominciò a guardare il film. Non gli importava molto dell’ennesima pellicola porno, era solo un buon modo per sembrare occupato e intanto tenere sotto controllo il via vai di maschi. Se passava qualcuno di interessante, il suo sguardo indugiava un po’ più del dovuto, studiando la reazione della preda. Se qualcuno gli ronzava intorno, lo valutava senza dare nell’occhio e poi decideva se ignorarlo o guardarlo in faccia.

Normale routine, la sauna non riservava sorprese e questo era rassicurante, anche se un po’ noioso.

Fece appena in tempo a guardarsi intorno due o tre volte, quando una sorpresa gli si presentò a un palmo dagli occhi, sotto forma di un massiccio membro proteso in avanti, non ancora completamente rigido, ma piuttosto promettente.

Un approccio piuttosto brutale, di bassa lega. Ma quello che aveva sotto il naso era molto invogliante. Valeva la pena di vedere il resto. Alzò lo sguardo con lentezza, lasciandolo scorrere su un ventre un po’ sporgente, coperto da un pelame rigoglioso, un torace anch’esso piuttosto villoso, due braccia robuste e spalle larghe, da operaio. Arrivò infine alla faccia, incorniciata da una barba brizzolata e incolta, piuttosto corta. Il tizio doveva avere quarant’anni, più o meno. Capelli ricci, un po’ lunghi, neri, ma con diversi fili grigi, labbra spesse sotto grandi baffi, naso largo, leggermente schiacciato, occhi scuri. Meridionale, probabilmente. Il classico terrone, forse un po’ truzzo, ma ben dotato. E comunque non troppo sporco: Enea non avvertiva nessun odore fastidioso. Il tizio aveva avuto la decenza di lavarsi.

Il suo tipo ideale era tutt’altro, più sul modello svedese. Ma quel miscuglio di forza fisica e di volgarità esercitava un certo fascino su di lui. Sapeva che cosa c’era da aspettarsi, da tipi come quello: un modo di fare piuttosto brutale, nessuna attenzione alle sue esigenze, probabilmente anche una dubbia pulizia. Tutte cose che gli davano fastidio, ma insieme lo eccitavano. Non gli dispiacevano i rapporti un po’ animaleschi, al limite della violenza, l’essere ridotto a puro oggetto di piacere, trattato senza troppi riguardi. La degradazione era attraente, un gusto più forte, che non si capisce bene se piace o meno, ma che trasmette una sensazione intensa. Entro certi limiti, s’intende. Poi una buona doccia e via, dimenticandosi completamente della bestia in calore, come la bestia in calore si sarebbe dimenticata subito di lui.

Sì, l’idea non gli dispiaceva e l’arnese che si protendeva davanti a lui, con un’incoraggiante tendenza a mettersi sull’attenti, era un invito e una promessa.

L’uomo gli sorrise. Aveva un sorriso ampio, un sorriso da lupo che ha l’acquolina in bocca davanti alla preda.

- Che ne dici?

Enea annuì, senza alzarsi. Fare la preda gli andava a genio, ma era meglio chiarire subito le condizioni, prima di fare un passo di troppo. La preda, sì, l’AIDS, no.

- Solo con il condom.

Ci fu un attimo di perplessità nel tipo, che probabilmente non conosceva il termine, e il sorriso si appannò. Poi però una luce d’intelligenza gli si accese negli occhi e le fauci del lupo si aprirono di nuovo.

- Certo, lo uso sempre. Inutile correre rischi.

Bene, questo era un punto a favore di quel tizio. Sempre che fosse vero. Enea si alzò, facendo in modo di sfiorare con la mano quel bendidio proteso verso di lui. Il calore che avvertì gli trasmise un brivido lungo la schiena e gli arrochì la voce.

- Cerchiamoci un posto appartato.

L’espressione perplessa ricomparve sul muso del lupo.

- Qui? È sporco e poi…

Alzò le spalle, come se non trovasse le parole per spiegarsi. Sorrise e proseguì:

- Non ti va di venire a casa mia? Possiamo divertirci con tutta calma. O hai fretta?

Di rado accettava inviti di quel genere. C’era un certo margine di rischio ed Enea non amava rischiare. Il tizio però non sembrava pericoloso, malgrado le fauci da lupo. L’appetito del lupo non era di tipo economico, anche se non si può mai sapere…

Enea esitò. Anche se di solito consumava sul posto, si preparava sempre per l’eventualità di uno spostamento: per un dessert, ma anche per il piatto forte. Neanche lui amava molto la sauna, ma non è che Torino offrisse molte possibilità. Per quello era meglio Milano.

Ad ogni buon conto quando andava in sauna non portava gioielli e nemmeno l’orologio, che lasciava in ufficio: farsi vedere lì con il Rolex sarebbe stato da idiota. Non c’era nessun indizio che indicasse la sua condizione sociale. Certo, era evidente che non era un operaio, ma questo significava poco. Anche una volta che si fosse rivestito, poteva sembrare un qualunque impiegato. Nel portafogli aveva pochi soldi, ma non le carte di credito e nessun documento: anche la patente l’aveva lasciata in auto.

Enea era prudente: non ci teneva a diventare il bersaglio di qualche balordo. Certo, la sauna non era pericolosa come i giardini pubblici, ma era sempre meglio essere attenti.

L’unico problema era l’auto. Rinunciare a guidare la sua Cayenne gli scocciava, le utilitarie non erano macchine, erano giocattoli e lui non aveva più l’età per giocare con le macchinine. Ma non aveva certo voglia di farla vedere a quel tizio o a chiunque altro. Si limitava a parcheggiarla un po’ lontano, in modo che nessuno lo vedesse scendere e poi entrare nella sauna.

Ripeté la solita scusa, che tirava sempre fuori in quei casi:

- No, va bene, ma sono in riserva…

Il lupo sorrise di nuovo.

- Non c’è problema, andiamo con la mia, poi ti riporto qui.

Salirono al piano terra. L’armadietto del lupo era quasi di fronte al suo. Enea lo guardò rivestirsi. Gli spiacque un po’ quando vide la grossa chiave inglese scomparire in un paio di mutande evidentemente comprate al supermercato e neanche troppo pulite. Tutto era come previsto e non gli dispiaceva. Sapeva che la cortesia del lupo si sarebbe dissolta una volta arrivati al letto, ma anche questo andava bene. A meno che il tizio non si rivelasse uno di quei proletari dal cuore tenero, che supplicavano un po’ di affetto. Una volta gli era toccato anche quello, un’esperienza disgustosa.

Il lupo aveva finito di rivestirsi e stava tirando fuori dalla tasca degli immancabili jeans un mazzo di chiavi. Gli sorrise di nuovo.

- Io mi chiamo Maurizio.

Non gli aveva chiesto nulla, ma evidentemente si aspettava che anche lui si presentasse. Enea ricambiò il sorriso:

- Io sono Francesco.

Dava abitualmente un nome falso, sempre lo stesso: in sauna lui era Francesco. Era il nome che aveva anche nel suo indirizzo di e-mail riservato ai contatti occasionali. Avrebbe fornito quell’indirizzo, se avesse deciso che valeva la pena di dare al tizio una seconda opportunità, per qualche improbabile ragione. L’unica ragione che poteva immaginare era il rigonfio invitante nei pantaloni un po’ sdruciti. Molto promettente e forse… Non si può mai dire quello che succederà.

E su questo punto, Enea Burzio aveva proprio ragione.

 

2

Mentre metteva in moto, Maurizio osservò di sottecchi Burzio. Stava seduto un po’ rigido, chiaramente a disagio sul sedile spelacchiato e un po’ sporco. Certo: Enea Burzio era abituato ad altre auto, su una Punto non doveva aver mai posato il culo, e nemmeno su un’auto vecchia, un po’ malandata e alquanto usata, come quella di Maurizio.

Maurizio sorrise. Se tutto filava liscio, la sua vecchia Punto finiva dal demolitore e lui incominciava a viaggiare su auto come quelle di Burzio. E soprattutto, si comprava una moto come diceva lui.

Ma non era il caso di correre, ora bisognava concentrarsi sul lavoro da fare. Forse era meglio parlare un po’, per mettere Burzio a suo agio, magari quello, rimuginando per conto suo, cambiava idea e decideva di scendere.

- Non abito molto lontano. Adesso che qui hanno finito i lavori, in un quarto d’ora ci siamo. Prima, quando ancora scavavano, ci voleva una vita.

- Eh sì, tra il passante ferroviario, la metropolitana e le Olimpiadi, questa città era diventata un colabrodo. E anche adesso, di lavori in corso ce ne sono. Mai una volta che siano capaci di rispettare i tempi!

Maurizio fece ancora qualche osservazione, una domanda o due. Burzio rispondeva, ma non era molto interessato a quella conversazione e allora Maurizio, al primo semaforo rosso (e lungo corso Agnelli i semafori rossi non mancano mai), allungò la destra sulla gamba di Burzio, con le dita che sfioravano la patta.

Burzio non disse nulla, ma sulla faccia impassibile sembrò passare un sorriso. Maurizio spostò la mano più avanti e con il palmo sentì, attraverso la stoffa, il cazzo, mentre le dita stuzzicavano i coglioni. Ora le labbra di Burzio si aprirono in un mezzo sorriso, ma il semaforo divenne verde e la mano dovette raggiungere la leva del cambio, per un rapido passaggio prima-seconda-terza. Di più era inutile, con il camion davanti, ma ora la mano poteva ritornare al posto di prima.

Burzio pareva più a suo agio ora, più rilassato. A tendersi era soltanto il cazzo, alla pressione decisa della mano. Bene, tutto filava per il verso giusto. Venti minuti e sarebbero arrivati. Poi incominciava la festa.

La festa, l’aveva preparata con cura, era un mese che pensava ad ogni dettaglio. La festa doveva riuscire, alla perfezione. La festa di Maurizio, la festa di Enea Burzio.

 

3

Era quasi mezz’ora che viaggiavano ed Enea cominciava a chiedersi dove volesse portarlo Maurizio: ormai erano all’estrema periferia sud di Torino, quasi sulla tangenziale, e la foschia che c’era in centro si stava trasformando in una nebbia che sfumava gli alberi e avvolgeva i piani alti degli edifici. In quel momento stavano passando il solito gruppo di casermoni in costruzione. Continuavano a costruire!

Nell’auto ora stava bene: c’era un discreto tepore, anche se il rumore della ventola del riscaldamento era fastidioso, e la zampa del lupo sui pantaloni era piacevole, molto piacevole.

Ma dove diavolo stavano andando? Man mano che gli ultimi isolati di Torino scorrevano via, Enea incominciava ad avvertire una certa inquietudine. Il lupo contava mica di portarlo fuori Torino? Aveva parlato di casa, non dei boschi di Stupinigi! Non aveva nessuna intenzione di infilarsi in un bosco con un lupo, era pericoloso, anche se lui non era Cappuccetto Rosso. Ritenne opportuno intervenire:

- Ehi, ma dove stai andando? Tra un po’ siamo fuori Torino!

- Siamo arrivati, casa mia è la prossima via, quella dopo il semaforo. Sto un po’ fuori.

Enea si tranquillizzò, mentre al semaforo la zampa del lupo accarezzava in modo un po’ ruvido, ma molto piacevole, l’area su cui si era soffermata a lungo.

Svoltarono in una via che Enea non aveva mai visto. Guardò il cartello: via Riccio. Mai sentita nominare. Intorno muri bassi di edifici industriali e condomini da quattro soldi, immersi in una nebbia che sembrava essersi concentrata in quella via. Maurizio fermò l’auto davanti ad un cancello che si apriva in uno di quei muri. Scese, aprì: non c’era neanche il telecomando! Risalì e parcheggiò l’auto nel piccolo cortile, a destra del cancello, davanti ad un edificio a un solo piano. Quando Maurizio aveva parlato di andare a casa sua, Enea si era aspettato il solito appartamento a Santa Rita, ma quella era una casetta unifamiliare, molto più in periferia. A dire la verità, non era esattamente una casa, era piuttosto una specie di piccola officina, con una casetta annessa. Meglio così, nessuno li avrebbe visti. Non che la sua faccia fosse così nota, non era mica Berlusconi, lui. E in ambienti come quelli nessuno di certo lo conosceva. Ma preferiva l’anonimato.

Maurizio aveva chiuso il cancello e, sorridendogli, stava aprendo la porta di casa. Entrò ed Enea lo seguì. Non era a Santa Rita, ma l’interno era esattamente quello che si aspettava, mobili da quattro soldi e ciarpame vario per decorare le pareti.

- La casa non è granché, ma almeno si sta tranquilli, senza i soliti guardoni.

Ad Enea i voyeur non dispiacevano, soprattutto quando qualche ruvido proletario lo infilzava: aggiungevano un po’ di sapore a un piatto cui il palato si era abituato con il tempo. Bisognava ogni volta aumentare la dose di peperoncino o pepe, per stimolare le papille gustative, e anche i voyeur contribuivano, come i modi bruschi e alcuni dettagli, che in altre situazioni ad Enea avrebbero dato fastidio: il linguaggio sboccato, una certa volgarità, perfino la dubbia pulizia, nei punti giusti, e qualche odore un po’ intenso. Non l’alito cattivo, però, quello Enea non lo sopportava.

Maurizio aveva chiuso la porta d’ingresso e si stava sfilando la giacca a vento.

- Dai, togliti il giaccone e vieni in camera.

Enea si sfilò la giacca e seguì Maurizio nella camera da letto. Vide con piacere che il letto aveva lenzuola pulite. Vero che anche un po’ di sporcizia poteva contribuire al piacere, ma le lenzuola sporche gli facevano schifo.

Ora erano in piedi di fianco al letto e Maurizio sembrava un po’ impacciato, incerto sul da farsi. Questo finì di rassicurare completamente Enea. Sì, il suo lupo non era pericoloso.

Come ci si sbaglia, nella vita!

 

4

Maurizio aveva studiato ogni dettaglio, ma adesso era incerto. Si sentiva prendere dalla paura che qualche cosa andasse storto e gli veniva una smania di concludere. Stronzate, non doveva deviare di un centimetro dal piano che si era prefissato. Era più forte di Burzio, su questo non aveva dubbi, ma era da coglioni correre rischi. Se Burzio urlava, nessuno lo sentiva, ma non si può mai sapere.

E poi, sinceramente, l’idea di metterlo in culo a un signore come Enea Burzio, non gli dispiaceva per niente. Dopo una vita in cui se l’era sempre preso in culo, lui, come tutti i poveracci.

In culo davvero, non come modo di dire, ma proprio un cazzo vero, non se l’era mai preso: lui non era mica un finocchio. Aveva fatto le sue esperienze, certo, da ragazzino, giù in Lucania. Le solite cose tra adolescenti: molte seghe in gruppo o a due, e con qualcuno era andato oltre. A Salvo l’aveva pure messo in culo qualche volta e gli era piaciuto, ma Salvo era un finocchio.

Certo, c’erano state altre occasioni, quand’era militare a Roma, ma allora era senza una lira, senza una fica disponibile, perché lui non era mica un attore del cinema, lo sapeva benissimo, e poi parlava male l’italiano e lo prendevano in giro. La prima volta era stato con quel tizio per la strada. Sulle prime non aveva capito, poi gli era venuta voglia di spaccargli il muso. Ma il tizio gli aveva fatto pena, gli era sembrato anziano, era innocuo. Quello gli aveva offerto una pizza e poi gli aveva fatto un pompino, senza chiedere niente. Ed alla fine gli aveva infilato in tasca un biglietto.

Allora aveva capito che c’era modo di divertirsi un po’ e rimediare anche qualcosa per bere un bicchiere e magari, se andava bene, per andare a puttane. Non doveva deviare lo sguardo quando si accorgeva che qualcuno lo fissava, magari dopo qualche passo si girava, facendo finta di niente, dando un’occhiata a una vetrina. Si rimorchiava facilmente e con i finocchi di una certa età, finiva sempre con un piccolo omaggio.

Da quando si era sposato, agli uomini non aveva certo pensato. Fino a due anni prima, quando quella stronza se n’era andata, perché lui aveva il culo a terra e certi mesi non riusciva neanche a pagare l’affitto. Allora era rimasto di nuovo a stecchetto. Ma gli uomini non gli sganciavano più un biglietto, lui non aveva più vent’anni. Andava giusto bene per sfogarsi. Ridursi a quasi quarant’anni a farsi le seghe come un ragazzino, no, era davvero troppo.

Adesso gli anni in cui aveva mangiato merda finivano, e come, se finivano! E il culo di Enea Burzio, anche se non era quello di un ventenne, se lo gustava proprio, perché quel culo era d’oro. I ricchi cacano oro.

Si sfilò il maglione, mentre diceva:

- Su, spogliati.

Le donne, gli piaceva spogliarle, magari baciarle anche, sentire il profumo della loro pelle, gustarla con la lingua e le labbra, ma gli uomini no. Certo che se Burzio voleva essere baciato… Di rado gli era capitato che qualcuno glielo chiedesse. E si era sempre rifiutato.

 

5

Enea si tolse il maglione e la camicia, poi si sedette su una sedia per completare l’opera, mentre seguiva i movimenti di Maurizio. Gli piaceva vedere un uomo che si spogliava, soprattutto quando quello che veniva fuori valeva la pena. Non che si aspettasse qualche sorpresa: il lupo l’aveva già visto in versione integrale, nella sauna. Ma anche se il tizio non era precisamente un apollo, era ben piantato, forte. E poi quelle braccia muscolose e villose, quel pelame che emergeva dalla biancheria, il rapido scoprirsi di quel corpo possente, il pensiero che presto quelle braccia lo avrebbero preso, voltato, costretto a stendersi, che quel membro appetitoso si sarebbe aperto una strada a forza dentro il suo culo…

A Enea stava diventando duro.

Ora erano tutti e due nudi, uno davanti all’altro. Il lupo sorrise, già più sicuro, appena una traccia dell’imbarazzo di prima.

- Stenditi sul letto, dai, che non ce la faccio più…

La fretta del lupo, la voce arrochita dal desiderio, il rapido precipitare della situazione verso la conclusione, tutto stuzzicò ulteriormente Enea, ma prima voleva essere sicuro che il tizio usasse il profilattico.

- Hai il condom?

Il lupo annuì.

- Sì, certo.

Aprì il cassetto e ne tirò fuori una confezione, nuova di zecca. Ottimo: c’erano quelli che lo tenevano in tasca per sei mesi e poi si stupivano se uno gli diceva che era meglio buttarli via.

- Ora stenditi, sbrigati.

Non c’era più traccia di cortesia, ora, c’era impazienza. E desiderio. Enea Burzio sorrise, mentre si stendeva sul letto e allargava le gambe. Era quello che gli piaceva. Ora era nelle fauci di un lupo famelico.

Le lenzuola erano un po’ ruvide, tela grossolana, ma anche questo non guastava. Nessun odore spiacevole. Il cuscino su cui appoggiò la testa era troppo spesso e troppo molle per i suoi gusti, ma lui non doveva mica dormire, in quel letto.

Il lupo posò la confezione aperta sul comodino. Voltando appena la testa, con la coda dell’occhio Enea controllò che si stesse infilando il condom. Sì, tutto a posto. Enea si rilassò e guardò di nuovo in avanti.

Sentì il letto cedere sotto il nuovo peso che si aggiungeva, ma per un attimo non ci fu nessun contatto tra i loro corpi. Poi sentì due dita umide che preparavano il terreno.

Bene, ora iniziava la festa. Le dita si ritirarono e due mani ruvide poggiarono sulle natiche, spingendole verso l’esterno, senza tanti complimenti. Una massa solida e compatta premette sullo sfintere, forzandolo a dilatarsi. Rimase solo un momento sulla soglia, poi entrò decisa, senza tanti riguardi.

Il lupo si prendeva quello che voleva.

Sì, tutto andava come aveva previsto. Superato l’imbarazzo iniziale, il lupo ci dava dentro a fare il suo lavoro, in scioltezza e con una buona dose di energia. Niente eiaculazione precoce, per fortuna. Enea sentiva le spinte gagliarde di Maurizio e quello stantuffo che si muoveva con sicurezza avanti ed indietro, in un movimento deciso e ininterrotto, diffondeva in tutto il suo corpo una sensazione di benessere sempre più forte.

L’eccitazione cresceva, il membro era in tiro e quando il lupo avesse finito, d Enea sarebbero bastati pochi tocchi per arrivare al dunque. Avrebbe dovuto fare da solo, certamente, il lupo non era tipo da dargli una mano, ma andava bene così: il lupo faceva già più che a sufficienza.

L’indomani avrebbe avuto male al culo e sarebbe stato piacevolissimo, come sempre.

Anche su questo Enea Burzio si sbagliava. L’indomani non avrebbe avuto male al culo, né da nessuna altra parte. Sarebbero scomparsi tutti i suoi dolori, compreso quel fastidioso mal di schiena che da due o tre anni riemergeva periodicamente.

Di questo Enea Burzio si rese conto troppo tardi.

Le spinte di Maurizio ad un certo punto divennero più veloci ed intense, in un crescendo che quasi strappò un gemito a Enea. Poi il movimento rallentò e ci fu una specie di rantolo, mentre il lupo spingeva ancora leggermente.

Il corpo di Maurizio si afflosciò sul suo, schiacciandolo sul letto. Enea sentiva il membro del lupo ancora infilzato nel proprio culo ed era una sensazione gradevole: il volume si era ridotto e il dolore era quasi scomparso. Si abbandonò a questa sensazione e non badò alle mani del lupo che afferravano il secondo cuscino. Sentì la massa che premeva sulla sua testa. Non comprese immediatamente quello che stava succedendo, sentiva solo la pressione decisa del guanciale sulla sua testa, che gli impediva di respirare. Cercò di scuotersi, ma il peso del corpo sul suo gli impediva di liberarsi. Cercò di parlare per dire a quello stronzo di togliere il cuscino, perché stava soffocando, ma la pressione aumentava e solo mentre i polmoni si incendiavano Enea Burzio realizzò di essere giunto al capolinea. Fece ancora un tentativo frenetico di scrollarsi di dosso il corpo del suo assassino, di togliere quel fottuto cuscino, di far entrare un po’ d’aria, ma le sue mani che si agitavano convulse non riuscivano né a togliere il guanciale, né ad allontanare le braccia del lupo. Il fuoco nei suoi polmoni si attenuò solo quando il mondo incominciò a svanire. Le mani si mossero ancora per qualche secondo, non più comandate da una volontà, poi rimasero ferme.

 

6

Quando il corpo su cui premeva divenne del tutto inerte, Maurizio non tolse il cuscino. Aspettò ancora un buon momento, per sicurezza, mentre il respiro gli si calmava.

Non c’era più nessun movimento, nessuna tensione, ormai. Enea Burzio era andato diritto diritto nell’inferno dei ricchi, lasciando sulla terra un bel gruzzolo. Ed un bel po’ di quel gruzzolo presto finiva nelle tasche del suo assassino. Maurizio sorrise.

Allentò la presa, sollevando il guanciale. Non successe nulla.

Lentamente Maurizio estrasse il cazzo dal culo di Burzio e si sollevò sulle ginocchia. Contemplò il cadavere a lungo, senza riuscire a distogliere lo sguardo.

Non aveva mai ucciso nessuno, ma era stato facile, tutto era filato liscio come l’olio. Il cuore gli batteva ancora in fretta, ma per il resto si sentiva benissimo. Provava un senso di euforia. Si guardò le mani. Sorrise. Gli era piaciuto, sì, gli era proprio piaciuto. Era un piacere metterlo in culo a un ricco, fotterlo e poi mandarlo all’inferno. Era stato proprio un gran piacere.

Ora però, era meglio mettersi al lavoro. Non aveva ancora finito.

Scese dal letto, senza distogliere lo sguardo dal corpo steso. Poi prese il cadavere per le spalle e lo rovesciò sulla schiena. Lo guardò. Enea Burzio aveva gli occhi aperti e la bocca spalancata, ma aveva anche il cazzo piuttosto duro.

Maurizio sorrise di nuovo: Burzio non poteva lamentarsi, era morto quasi godendo. Che cosa poteva volere di più?

Fu solo quando passò le mani sotto il cadavere, per sollevarlo, che Maurizio sentì il lenzuolo bagnato. Per un attimo pensò che Burzio fosse venuto, ma non era così: era piscio. Merda! Quello stronzo si era pisciato addosso e gli aveva bagnato tutto il lenzuolo. E magari anche il materasso.

Maurizio fece scivolare il corpo a terra e tolse rapidamente il lenzuolo, ma era troppo tardi: il materasso era macchiato.

Maurizio imprecò ancora, poi afferrò il cadavere e si diresse verso il laboratorio. Avrebbe pensato dopo al materasso e al lenzuolo. Ora doveva prendere quello che gli serviva e provvedere a far sparire il resto. Il corpo di quel frocio era il suo biglietto della lotteria, ma se qualcuno lo trovava era la sua palla al piede.

     

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