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Il fine settimana scorre molto piacevolmente. Roberto Ferraris e Michele Volturno cercano di dimenticarsi di essere un ispettore e un agente impegnati in un caso di difficile soluzione.

Sabato pomeriggio Roberto fa da guida turistica a Michele per Torino, facendogli scoprire alcuni splendidi cortili e raccontandogli qualche storia curiosa: vecchissimi casi di cronaca, come quello del maniaco di palazzo Saluzzo di Paesana, o leggende, come quelle sul monumento di piazza Statuto, sotto cui si troverebbe la porta dell’Inferno.

La domenica è dedicata in buona parte ad altre attività, alquanto piacevoli, anche se impegnative. Alla fine Ferraris prepara un buono zabaglione, per ritemprare le forze.

Non parlano più del piano di Michele fino a quando riprendono servizio, il lunedì mattina.

Ferraris è piuttosto perplesso, un po’ perché dubita che lo stratagemma possa funzionare (e quello sarebbe il meno), un po’ perché gli scoccia mettere Michele a portata di svariati maschi in calore e soprattutto perché è molto pericoloso.

Il problema è che le indagini sono ferme, i risultati ottenuti sono minimi, il clamore mediatico è alle stelle, il commissario rompe e non si vede una via d’uscita.

Alla fine Ferraris cede.

 

Il mercoledì è arrivato. Hanno rivisto il piano in ogni dettaglio, ma Ferraris si sente maledettamente teso. Perché se davvero il piano funziona, l’idea che Michele si allontani con l’assassino non gli piace per nulla.

- Fa’ attenzione, Michele. Perché se qualche cosa va storto, tiri ‘l pet glorios.

- Che? Il pedglurius?

- ‘l pet glorios, il peto glorioso. Insomma, l’ultimo che si tira, quando si tirano le cuoia. Ma, per i coglioni di Satana, in tutti questi anni in Piemonte, non hai imparato neanche una parola di piemontese?

- Qualche parola sì, cerea, neh, piciu e poco altro. Ma chi vuoi che parli piemontese alle Vallette?!

- Sei proprio un torolo

- Che?

- Ma sì, un fabiòch, un folitro     

- Hai finito di dirmene?

- Ma no ho appena incominciato: tupin, morlach, blambech, martuff, matafam, falurco, baraba, soget da còrda, s-ciancafrità

- Basta, è sleale. Non posso difendermi e non capisco neanche le armi che usi. Ma in famiglia parlavate dialetto?

- I miei genitori no, non con me, almeno. Ma mio nonno parla praticamente solo dialetto. È socio della Famija Torineisa e ha anche scritto due commedie in piemontese.

- Ah, hai un nonno famoso!

- Famoso? Figurati! Lui le ha scritte, ma non ha mai trovato nessuno che gliele pubblicasse. Ancora adesso, a novantadue anni, non ci ha mica rinunciato, ma non sono molti gli editori che pubblicano in piemontese.

- Tuo nonno ha novantadue anni? È ancora vivo?

- Vivo e anche abbastanza in gamba, anche se da due anni ha smesso di andare in bicicletta.

- In bici fino ai novanta? Scherzi?

- No, è di famiglia. Mio padre ne ha sessantacinque e fa sci-alpinismo.

Michele lo guarda e poi colpisce basso:

- Certo che con l’ultima generazione c’è proprio stato un crollo…

Ferraris risponderebbe per le rime, ma un’occhiata all’orologio gli ricorda che è ora di andare.   

Si muovono con l’auto di Ferraris e si fermano a pochi isolati dalla sauna. L’ispettore trova parcheggio (dopo un buon momento speso a girare, mentre gli attributi gli girano). Prima di separarsi, ripassano ancora la parte.

- Allora, entro prima io. Poi, dopo un venti minuti, arrivi tu. Io mi faccio sotto.

Sono già d’accordo, ma Michele scherza.

- Perché vai prima tu? Vuoi approfittarne?

- Arrivo prima io, perché se tu metti piedi in sauna, cercano di sedurti già all’ingresso, senza neanche lasciarti arrivare agli spogliatoi. E non è credibile che tu, dopo aver resistito eroicamente, ceda appena mi vedi. Il contrario è più verosimile.

- E chi ti dice che resisterei eroicamente?

- Per il culo di Satana, proprio per quello vado prima io.

Michele scende e si allontana. Poi Ferraris va a pagare il parcheggio, ritira lo scontrino, lo mette in vista sul cruscotto e si dirige alla sauna.

Suona. Gli aprono, entra, paga, si spoglia. Mette tutti i suoi effetti nell’armadietto, chiude a chiave, si cinge i fianchi con un asciugamano, mette il solito preservativo in modo che si veda e scende la scala che porta nei locali sotterranei.

Dà un’occhiata agli altri uomini presenti, come se valutasse la merce. In realtà si chiede se uno di loro può essere l’assassino. Si dice che non è possibile: perché mai dovrebbe ritornare nella sauna, sapendo benissimo che l’ispettore sa che ha adescato Matteo Nela lì? Eppure l’omicidio del ragazzo non sembra avere nessuna motivazione logica: dev’essere stato davvero una sfida. E allora… allora il tizio potrebbe ritornare.

Gli uomini presenti non sono molto numerosi. Individua due o tre tizi che non sono male. Ce n’è uno basso e tarchiato che lo guarda con insistenza, ma Ferraris fa finta di non accorgersene. Di certo non è l’assassino, non si avvicinerebbe a lui.

Ferraris si mette a guardare il film, con la faccia di chi è giunto rapidamente a una conclusione: non c’è nessuno che valga la pena (il che, per uno che ha la prospettiva di scopare con Michele, è la pura verità).

Scendono altri tre uomini, che Ferraris esamina senza fissarli direttamente. La sauna si sta affollando.

Michele arriva dopo una ventina di minuti. Si guarda in giro indifferente e si appoggia a una parete. Incominciano a ronzargli intorno (come i mosconi intorno a uno stronzo, si dice Ferraris, che non lo ammetterebbe mai, ma è geloso). Ferraris si alza, passa vicino a Michele e gli lancia un’occhiata. I loro sguardi si incrociano un attimo ed è come se Michele lo vedesse per la prima volta. È un buon attore.

Michele continua a fissarlo e allora Ferraris si ferma, ricambia lo sguardo e sorride. Con soddisfazione vede il disappunto di due che stavano puntando Michele. È vero che è tutta una finta, ma è vero che questo giovane Apollo vuole davvero lui. Gli si avvicina e gli sussurra:

- Che ne dici, ci mettiamo in una stanza?

Michele lo guarda senza dire nulla (“Ma che fa, ‘sto stronzo?”, pensa Ferraris), poi allunga una mano sull’inequivocabile protuberanza dell’asciugamano di Ferraris. Ferraris gli cinge la vita con un braccio e lo guida in uno dei locali.

La porta rimane socchiusa. A Ferraris non dispiace l’idea che qualcuno possa vederli.

Ferraris è teso, ma è teso anche nel punto giusto, perché quando ha vicino Michele è impossibile non avere l’uccello in tiro. Va per le spicce, assai più di quanto non faccia di solito, ma quando entra dentro Michele la sensazione è, come sempre, fortissima, tanto da fargli scordare del tutto dove si trova e perché è lì. Solo dopo, quando la scarica allenta la sua tensione, mentre la sua mano completa l’opera per Michele, Ferraris ripensa a quanto sta per succedere. E spera che l’assassino in sauna non ci sia.

Fanno la doccia insieme. Chiacchierano di piccole cose, poi Ferraris chiede:

- Tu vieni via?

- No, mi fermo ancora un po’.

- Arrivederci.

Ferraris finisce di asciugarsi, risale, si riveste ed esce. Sale in auto, si rimette la fondina con la pistola e accende il telefonino, inserendo il vivavoce. Compone il numero del cellulare di Michele, senza premere il tasto di chiamata. Poi accende il motore e mette l’auto in posizione, in modo da poter seguire chi esce. Manovra non così facile, perché non deve farsi notare e nello stesso tempo non può rischiare di perdere di vista l’auto su cui salirà Michele. Non sa dove l’assassino (posto che l’uomo che uscirà con Michele sia davvero l’assassino) ha parcheggiato la sua, magari dovrà fare qualche manovra azzardata per seguirlo, rischiando di attirare la sua attenzione.

Il tempo non passa mai, in quella fottuta automobile. Ferraris fissa la porta della sauna senza perderla di vista per un attimo e si dice che ormai anche se chiudesse gli occhi, continuerebbe a vederla in ogni dettaglio.        

Ferraris ogni tanto guarda l’ora. Dieci minuti, venti, trenta. Ferraris è furibondo. Che cazzo fa Michele là sotto? La possibile risposta fa girare i coglioni a Ferraris. Sono lì per prendere l’assassino, non per scopare. L’idea che Michele stia scopando con qualcun altro lo fa impazzire, tanto più che Ferraris sa benissimo di non avere nessun diritto di essere geloso. E ormai ha capito di esserlo, in un modo violento.

Michele esce dopo quaranta minuti, da solo. Non guarda nella sua direzione, ma si dirige deciso verso la grande piazza non lontana. Ferraris rimane ancora qualche minuto, il tempo per assicurarsi che nessuno esca per seguire Michele, poi parte.

È andata buca, ma Ferraris ne è contento.

Raggiunge un angolo tra due corsi, dove parcheggia e aspetta che Michele arrivi.

Dopo due minuti il suo agente preferito sale in auto.

- Nessuno mi ha seguito?

Michele conosce già la risposta: se qualcuno lo avesse seguito, Ferraris non sarebbe stato a quell’angolo.

- No, ma che cazzo hai fatto? Sei rimasto quaranta minuti. Hai consumato sul posto?

Michele ghigna.

- Sì, c’era uno che mi piaceva molto, un tipo rude, con un grosso pesce. È uscito oltre mezz’ora fa.

Ferraris lo guarda e ha di nuovo voglia di baciarlo. E di fare altre cose, che è inutile elencare (e che ha già fatto neanche un’ora fa).

- Nessuno si è avvicinato?

Domanda idiota: come Ferraris stesso ha detto, di sicuro c’era la coda.

- Tutti volevano consumare sul posto, nessuno ha insistito per andare via.

- Ci hai messo una vita.

- C’era un po’ di gente, volevo dare una possibilità a tutti.

Sì, questa è la verità. Uno dopo l’altro devono essersi fatti vivi tutti i presenti. Ferraris grugnisce.

 

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Nei giorni successivi l’inchiesta non procede granché (e quando mai? L’unico a fare passi avanti fino a ora è stato l’assassino) e l’umore di Ferraris tenderebbe a peggiorare, ma la vicinanza di Michele riduce la tensione (non ovunque, ovviamente: c’è un’area che è spesso molto tesa…).

Le indagini sono concentrate sulla signora Burzio, perché è evidente che delle tre vittime era l’unica a conoscere l’assassino. Si riparte con nuovi interrogatori dei domestici e incomincia un giro di visite alla Torino che conta.

Ferraris freme, perché gli interrogatori degli amici altolocati (cioè di tutti gli amici di madama Burzio) sono affidati ad altri: il capo vuole essere sicuro di non avere contro tutta la Torino bene e ignora le proteste dell’ispettore Ferraris, con cui in questo periodo i rapporti sono alquanto tesi (se qualcuno non l’avesse capito, si tratta di una tensione diversa da quella che Ferraris avverte quando Michele è nelle vicinanze). L’unica cosa che Ferraris ottiene è che Cumino, l’ispettrice incaricata dei colloqui, sia affiancata da Volturno. Cumino non è una cogliona (il che, detto da Ferraris, equivale a un complimento non da poco) e Michele ha dimostrato di sapere come muoversi.

Dal giro di colloqui con le famiglie della collina e della Crocetta, dove abitano gli amici dei Burzio, non emerge nulla di significativo.

 

Qualche cosa di più viene fuori interrogando i domestici. Se ne occupa Ferraris con Diotallevi. Non lavorare con Michele riduce il rischio di distrazioni (anche se di raro Ferraris si distrae sul lavoro) e di improvvise e dirompenti erezioni, che possono essere imbarazzanti. Sergio Diotallevi, bravissima persona e bravo poliziotto, non compare nei sogni a occhi aperti di Ferraris e non rischia di comparirvi mai (un Q.I. decisamente alto e a una grande serietà nel lavoro possono suscitare la stima di Ferraris, ma non destano in lui grandi emozioni). Viene fuori che negli ultimi mesi la signora Burzio usciva più spesso, in orari in cui prima era di rado fuori casa, e dagli interrogatori di Cumino non risulta che nessuna delle sue conoscenze la vedesse in quelle ore. L’autista non è di grande utilità. A quanto pare la signora si faceva accompagnare in centro, di solito in piazza San Carlo o in piazza Castello, e qualche ora dopo gli telefonava, dicendogli di passare a prenderla in qualche altro luogo centrale. Ferraris si dice che con ogni probabilità la signora prendeva un taxi: non voleva che il marito scoprisse che lei aveva un amante.

Un altro elemento, ancora più significativo, lo forniscono i conti in banca: la signora ha in più occasioni ritirato cifre anche consistenti (almeno per uno come Ferraris, di famiglia benestante; per i Burzio si tratta di piccole somme).

Mettendo insieme le due cose, sembra probabile che la signora Burzio desse dei soldi a qualcuno e questo qualcuno potrebbe essere un amante: un killer di rado si paga a rate sul lungo periodo. È quindi probabile (ma non certo) che costui non appartenga all’alta società e questo stupisce Ferraris, visto che la signora era effettivamente una con la puzza sotto il naso.

Ferraris estende gli interrogatori anche ai domestici che hanno lavorato in passato presso la famiglia Burzio. Del quadro idilliaco dipinto dalla signora Burzio rimane ben poco: i rapporti tra i due coniugi erano freddi da anni, non dormivano più insieme da una vita.

Cose che succedono in tante coppie.

 

Nella coppia Volturno-Ferraris le cose procedono meglio, molto meglio. Si vedono ogni giorno a casa di Ferraris. Durante il fine settimana trascorrono molto tempo insieme. Passano ore intere a letto (o sul tavolo da cucina, sul divano, nella doccia, contro un muro, per terra – Ferraris ha una buona fantasia, Michele non ha pregiudizi ed è aperto a nuove esperienze). Nei giorni feriali c’è tempo solo la sera. Ferraris non prende impegni e Michele è del tutto libero.

Quando infine, nella notte, Michele se ne torna a casa sua, Ferraris si mette a letto, spegne la luce e riflette un po’.

Di questo amore inatteso, contro cui ha lottato, Ferraris è felice. Spaventato, ma felice.

Si chiede quanto lo sia anche Michele. Contento, sì, senza dubbio. Soddisfatto, non del tutto. A letto sì, Michele lo è, completamente appagato, glielo dice senza mezzi termini. Ma per Michele non c’è solo il letto.

Michele vorrebbe altro. Michele vorrebbe vivere con lui, anche se non glielo chiede. E Ferraris, anche se nell’emerita cazzata dell’amore c’è dentro almeno fino alla vita (no, fino al cuore, lo sa benissimo) ha ancora la testa fuori e la lucidità per capire che non funzionerebbe, non può funzionare. Non dopo l’esperienza con Andrea. E non ha nessuna importanza che Michele sia del tutto diverso da Andrea.

Gli capita però di pensare. Di mettersi a colazione e dirsi che sarebbe bello mangiare sempre con Michele e non solo ogni tanto. Che gli piacerebbe alzarsi il mattino e vederlo steso accanto a sé.

E, quel che è peggio, molto peggio, gli capita di dirsi che sta inventando scuse una più idiota dell’altra, perché in realtà Michele sta ad Andrea come la piramide di Cheope a un castello di sabbia e che semplicemente lui, Ferraris, non ha i coglioni per vivere fino in fondo quella storia. Perché la storia con Andrea lo ha reso maledettamente fragile, nonostante si atteggi a duro. Di duro ha soltanto l’uccello, ogni volta che ha Michele vicino.

 

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L’idea di riprovare con la sauna è di Michele. Lui è convinto che non ci sia altra via per arrivare all’assassino.

Ferraris non ci crede neanche un po’, ma a scopare con Michele è sempre d’accordo e può benissimo farlo in sauna, in orario di lavoro, perché no? Tanto è per lavoro, solo per lavoro. E poi, per come procede l’inchiesta…

La scena si svolge come la volta precedente, solo che ora Ferraris fa finta di riconoscere Michele e gli chiede se ha voglia di fare il bis della settimana scorsa. Michele risponde di sì, perché era venuto bene, e poi si passa all’azione.

Il resto è da copione e Ferraris è di nuovo fuori, in auto in attesa di Michele, pronto a fare un altro buco nell’acqua.

 

Michele esce una decina di minuti dopo, con un tizio che Ferraris non ha mai visto. Sui quarantacinque, capelli ricci grigi, barba corta, è un bell’uomo, un gran bell’uomo, e questo a Ferraris dà fastidio, anche se non dovrebbe proprio badarci.

I due si avviano in direzione opposta a quella in cui è parcheggiato Ferraris, che aspetta un momento e poi fa manovra. Procede lentamente, facendosi suonare dietro, per cui mette un lampeggiatore e si ferma davanti a un portone. Intanto i due  svoltano. Una strada a senso unico, nella direzione opposta! Merda!

Ferraris arriva fino all’angolo e vede che stanno salendo su un’auto parcheggiata poco oltre. Procede, supera l’incrocio, svolta alla prima via e facendo il giro dell’isolato arriva proprio mentre l’auto sta partendo. Si mette dietro, lasciandosi superare subito: non può rimanere incollato al tizio. Vero è che gli italiani non guardano mai lo specchietto retrovisore, ma se l’uomo è l’assassino e lo vede, lo riconosce.

Il tizio si sta dirigendo verso Mirafiori, nella parte meridionale della città.

Il viaggio è lungo e due volte Ferraris è sul punto di perdere di vista l’auto. Una volta gli sfugge davvero, ma per fortuna la ritrova al semaforo successivo.

Sono quasi fuori città, quando finalmente il tizio svolta in una via secondaria. Ora incomincia la parte peggiore. 

Ferraris aspetta un momento prima di svoltare. Se aspetta troppo, rischia di perderlo. Se aspetta troppo poco, rischia di farsi scoprire. Non vede l’auto e per un attimo va in panico. Poi si accorge che è parcheggiata poco più avanti: Michele sta scendendo.

Ferraris procede oltre e parcheggia più lontano, in un punto da cui può seguire nello specchietto quello che avviene.

Michele e il tizio entrano in un basso fabbricato, una specie di officina. 

Ferraris spegne il telefonino: serviva solo per comunicare con Michele nel caso il pedinamento non riuscisse.

Scende e rapidamente si dirige alla porta. Forzarla sarà facile, utilizzando gli strumenti che ha portato con sé.

Bene, e ora l’ispettore Ferraris si gioca il posto facendo irruzione nella casa di un tizio qualunque, la cui unica colpa è quella di apprezzare il culo di Michele (o la sua faccia o il suo uccello o le sue palle o che cos’altro vuole, c’è qualche cosa in Michele che un maschio sano e con la testa in quadro possa non apprezzare? Giusto giusto qualche etero impenitente potrebbe far finta che l’uccello non gli tiri passando vicino a Michele). L’unica speranza è che il tipo sia una velata e cerchi di evitare ogni pubblicità, rinunciando a sporgere denuncia.           

Ferraris lancia un’occhiata al nome sul campanello: Pontillo. Gli ci vogliono tre secondi per collegare il nome a quello del falegname che ha telefonato alla signora Burzio il giorno in cui il marito è scomparso e passato a miglior vita, di certo lo stesso che ha fatto la scaffalatura per lo sgabuzzino dei genitori. Per poco Ferraris non manda un ruggito: come ha fatto a essere tanto coglione da non pensarci? E le teste tagliate con la sega elettrica, tipico strumento da falegname? Come ha potuto essere così idiota? Michele sta davvero rischiando la pelle.

Ferraris forza la porta senza difficoltà ed entra con cautela.

È davvero un’officina, da falegname, e al fondo c’è una porta. Devono essere passati di lì.

- No!

L’urlo gli raggela il sangue. È la voce di Michele.

Ferraris si precipita verso la porta e la spalanca, tenendo in mano la pistola.

Quello che vede, Ferraris non se lo dimenticherà più.

Michele è a terra, le mani sul ventre, rosse di sangue. Michele è ferito, perde sangue, ma non si vede nessuno. Michele alza la testa, lo vede e apre la bocca per parlare.

Ferraris fa un passo, si rende conto che alla sua destra c’è qualcuno e cerca di schivare quello che sta calando sulla sua testa. Ci riesce solo in parte. Sente un violento dolore al capo e vede la stanza e il viso sofferente di Michele mettersi a ballare un valzer molto veloce.

Capisce che non riuscirà più a sparare, che è arrivato al capolinea. Con un ultimo sforzo getta la pistola a terra, verso Michele.

Poi il valzer rallenta, rallenta, fino a che il mondo cade di lato e la luce si spegne.

 

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Ferraris si chiede se almeno non possono spegnere la luce, visto che gli stanno trapanando la testa. Per il culo di Satana, le operazioni si fanno ben in anestesia, no?

Man mano che i suoi occhi si abituano alla luce, però, capisce che non lo stanno operando. È steso su qualche cosa, forse è il tavolo di un obitorio.

Gli ci vuole un buon momento a collegare i neuroni che sembrano voler andare ognuno per conto proprio, ignorando qualsiasi sinapsi. Quando però il collegamento avviene e l’immagine di Michele sanguinante a terra ridiventa nitida, Ferraris si alza a sedere di colpo, incurante del mal di testa.

La voce del medico (o infermiere, chi cazzo è, non ha nessuna importanza: ha un camice addosso) gli rimbomba nella testa:

- Ispettore, lei deve stare sdraiato. È stato colpito e deve…

- Per il culo di Satana, piantatela di rompermi i coglioni!

Non c’è verso di fermarlo, benché a ogni passo Ferraris abbia la sensazione di avere un cane che gli addenta la testa e non vuole mollare la presa.

Ferraris si rende conto che non sa dove sta andando, anche se sa benissimo quello che cerca. Allora chiede:

- Dov’è Michele? L’agente che è stato ferito.

- Lo stanno operando.

- Lo voglio vedere.

- Non è possibile.

- Per il culo di Satana, dov’è?

Arriva infine un medico con i capelli grigi, che sembra cogliere al volo la situazione.

- Senta, ispettore, se lei vuole avere notizie, vado a prenderle io. In sala operatoria lei non può entrare, metterebbe a rischio la vita del paziente.

Ferraris fa per annuire e gli sembra che la testa esploda. Allora dice di sì e lascia che l’altro medico o infermiere lo accompagni a sedere.

Il medico di prima torna quasi subito.

- Lo stanno operando, le condizioni non sembrano preoccupanti, la ferita non è grave. Non è in pericolo di vita.

- Non mi sta raccontando una storia?

- No, le assicuro.

- Che è successo?

- Sinceramente non lo so. Siete arrivati in tre. L’agente con una ferita al ventre, lei con una brutta botta alla testa e l’altro con due pallottole, una al braccio e una alla gamba.

Ferraris si dice che Michele è riuscito a prendere la pistola e a sparare. Gli spari hanno richiamato l’attenzione di qualcuno oppure Michele è riuscito anche a telefonare.

Più tardi, il commissario in persona gli racconta una parte di ciò che è successo. L’assassino si è reso conto della trappola, probabilmente si è accorto di essere seguito. Volturno l’ha intuito. Poco dopo che sono entrati, l’assassino ha preso nell’officina un cacciavite e ha colpito Volturno, poi si è accorto che Ferraris stava arrivando e si è messo dietro la porta con una sbarra di ferro. Quando Ferraris è entrato, l’uomo gli ha calato la sbarra sulla testa. Volturno è riuscito a raccogliere la pistola che Ferraris gli ha lanciato, ha sparato due volte all’assassino e poi ha chiamato il commissariato. Era ancora cosciente quando sono arrivati loro e ha raccontato tutto, poi ha perso i sensi.   

 

Ferraris verrà dimesso domani: la botta è stata violenta, ma l’ematoma è superficiale, verrà riassorbito. In altre condizioni, Ferraris smanierebbe per tornare a casa, in ospedale non ha nessuna voglia di stare. Ma in ospedale c’è anche Michele e quella notte, mentre tutti riposano, Ferraris si alza e raggiunge la camera dove sta il suo agente preferito.

Lo guarda dormire e l’angoscia si calma. Sa che la ferita di per sé non è grave, ma sa anche che sono sempre possibili complicazioni.

       

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Ferraris si prende due giorni di riposo. Non gli capita mai, ma questa volta ne ha bisogno e soprattutto, quando accende la televisione e vede la propria faccia, quella di Michele, quelle delle vittime e tutto il contorno, pensa che è ora che cambi mestiere e si trasferisca in un monastero buddhista in Mongolia (in Tibet no, troppi turisti, troppa gente, la Mongolia ha una densità di 2 abitanti per kmq., dovrebbe andare bene).

Scansare i giornalisti è difficile anche in ospedale: stazionano davanti all’ingresso, come avvoltoi che aspettano la loro preda. Ma Ferraris non può fare a meno di andare a trovare il suo agente preferito.

Michele si sta rimettendo benissimo. È cosciente e gli racconta altri dettagli. Ferraris non ascolta neanche, guarda il viso pallido di Michele e vorrebbe abbracciarlo, baciarlo e fare alcune altre cose, assolutamente da escludere in ospedale.

 

Infine il terzo giorno Ferraris ritorna al lavoro. Il commissario lo chiama nel suo ufficio.

- Benvenuto, caro collega. Come sta il nostro Volturno?

Ferraris non capisce quel “collega”. Inoltre gli pare di cogliere una nota di ironia in quel “nostro” e i coglioni cominciano a girargli. Replica secco secco:

- Bene. Si sta rimettendo in fretta.

- Ne sono contento. Mi sarebbe spiaciuto perdere un uomo come lui, ora che perdo il mio migliore ispettore.

Ferraris lo guarda senza capire. Che cazzo sta dicendo? Non possono certo pensare di licenziarlo ora che ha risolto il caso e arrestato l’assassino (veramente non l’ha arrestato proprio lui, ma ha fatto in modo che potessero arrestarlo). Vedendolo interdetto, il commissario riprende:

- Non mi chiede perché sto per perdere il mio migliore ispettore?

A Ferraris ormai girano peggio delle Ferrari a Monza, per cui se ne esce con:

- Non so, forse hanno licenziato tutto il commissariato per manifesta incapacità?

Il commissario ride (non particolarmente convinto), poi dice:

- No, commissario Ferraris. Non è questo. Sono arrivati i risultati del concorso.

Ferraris guarda il suo capo, anzi: il suo ex-capo, e per la prima volta gli sembra di poterlo quasi sopportare.

 

La vita sorride a Ferraris. Il suo unico cruccio, a parte la salute di Michele (in regolare miglioramento) è l’inevitabile interrogatorio di Maurizio Pontillo. Ferraris sa benissimo che cosa Pontillo dirà (o almeno: potrebbe dire) sull’assassinio del ragazzo nella sauna e non gli piace per niente. Certo, non ha fatto nulla di illegale, anche se non ha parlato della sauna, al suo superiore l’essenziale della faccenda l’ha raccontato. Il problema è un altro: quello che sono capaci di tirar fuori da tutta la storia quegli emeriti figli di Satana e di una puttana sifilitica che sono i giornalisti.

Per il momento, non c’è nessun problema, perché Pontillo è in ospedale, strettamente sorvegliato, e si rifiuta di rispondere. Non occorre metterlo sotto torchio: sanno già quasi tutto quel che c’è da sapere e quel poco che manca può aspettare. La perquisizione della casa ha fornito un numero sufficiente di prove per inchiodare definitivamente Pontillo, comprese tracce di sangue di due delle vittime. Nei mesi scorsi Pontillo ha saldato alcuni grossi debiti, pagando somme che corrispondono a quelle che la signora Burzio ha ritirato in contanti. Ha anche acquistato alcuni nuovi macchinari.

I due si sono conosciuti nel giugno scorso, un giorno che la signora Burzio era passata dai suoi: il falegname era arrivato quando lei stava per andare via. I genitori ricordano che il falegname aveva fatto alcuni complimenti alla signora e che lei si era fermata mentre lui prendeva le misure. Erano poi usciti insieme. Il resto non è difficile immaginarselo. Pontillo è proprio un bell’uomo e vent’anni in meno della signora. Lui era stato appena lasciato dalla moglie, stufa di vivere tra i debiti, lei aveva appena scoperto che il marito se la spassava in sauna. Si sono consolati a vicenda e la signora ha foraggiato Pontillo, senza sapere che pagava il suo assassino.

Chi abbia avuto l’idea di uccidere Burzio, non si sa e non si saprà mai: Pontillo difficilmente ammetterà di essere stato lui e la signora Burzio non è più in condizione di dire la sua, ma sicuramente si sono messi d’accordo. Quello che Pontillo potrebbe chiarire sono i motivi per cui ha ucciso il giovane Nela e per cui è ritornato in sauna. Un tentativo di depistaggio? La scoperta del piacere di uccidere? Il gusto della sfida? Le tre cose insieme? Ci sono diverse domande a cui Pontillo dovrà rispondere, anche se Ferraris preferisce non pensare a che cosa salterà fuori quando incominceranno a interrogare Pontillo sul serio e i giornalisti scopriranno certi dettagli.

 

Molte domande a Maurizio Pontillo non fanno in tempo a farle.

Uno dei poliziotti di guardia alla porta della camera di Pontillo ha messo l’occhio su un’infermiera molto carina e, giocando sulla divisa e sulla notorietà del caso (su cui peraltro sa solo quello che dicono in televisione, ma inventare è facile), cerca di fare colpo su di lei.

Quel mattino, dopo che l’infermiera ha controllato la temperatura, la accompagna fuori e chiacchiera con lei due minuti, prima che il passaggio della capo-sala non interrompa la conversazione.

Quando rientra in camera, il poliziotto non vede più il malato-prigioniero. Per un attimo pensa che sia fuggito, ma poi si dice che non è possibile: ha un braccio ingessato, una gamba che trascina a fatica ed è in pigiama, non può aver fatto molta strada. E poi, se fosse uscito dalla stanza, l’infermiera lo avrebbe visto, era rivolta in direzione della porta.

In quel momento avverte una sensazione di freddo nella stanza e alzando gli occhi dal letto vede la finestra aperta. Lentamente si avvicina, nella speranza di essersi sbagliato. Si affaccia e guarda verso la strada. Sotto, otto piani sotto, per essere esatti, c’è una sagoma chiara sull’asfalto, sopra un’ampia macchia scura.

L’agente si sente sudare, nonostante l’aria che entra dalla finestra sia piuttosto fredda.

  

Invece il (quasi) commissario Ferraris, quando gli viene data la notizia, tira un sospiro di sollievo e, non appena è solo nel suo ufficio, si stringe la sinistra con la destra.

La versione ufficiale non sarà smentita: dato che Burzio era stato adescato nella sauna in cui si recava di mercoledì e l’ipotesi era, in base a una testimonianza che rimarrà anonima, che lo stesso fosse successo con il ragazzo, l’ispettore e un agente hanno montato una trappola. Che il testimone anonimo sia l’ispettore Ferraris, a questo punto nessuno lo scoprirà mai. Triplo O.K. come direbbe l’ex-capo.

 

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Che Michele ritorni a casa propria, appena dimesso dall’ospedale, non se ne parla neanche: è ancora debole e, anche se non ha più bisogno di assistenza, non può certo andare a fare la spesa. Ferraris decide che Michele verrà a casa sua per la convalescenza. Non glielo dice, però.

Pensa invece che nella sua vita è tutto un susseguirsi di svolte radicali: si è innamorato, è diventato commissario (in realtà lo diventerà tra poco), dovrà stabilirsi in una nuova sede di lavoro (quale, ancora non sa) e ora sta anche per avviare una convivenza, provvisoria, sì, ma provvisoria solo provvisoriamente. Perché che quella convivenza provvisoria sia destinata a diventare definitiva (nella misura in cui lo sono tutte le cose umane) Ferraris lo sa benissimo, anche se non se l’è ancora detto. Non sa quanto durerà questo definitivo, non sa se sarà la morte o la noia a spezzare il loro legame, ma spera che non sia tanto presto, in nessuno dei due casi.

Insomma l’ispettore Ferraris fa punto e a capo e una nuova vita incomincia per il commissario Ferraris.

Il venerdì mattina Ferraris va a prendere Michele.

Escono insieme dall’ospedale. Michele cammina con passo fermo, appena un po’ più lento di quello abituale. Ferraris lo fa salire in auto e si mette al volante. Questa volta è lui l’autista del suo agente preferito.

Parlano dei controlli che Michele dovrà fare, della promozione di Ferraris, della conclusione del caso. Quando Ferraris svolta nel controviale, invece di proseguire per il corso, Michele gli chiede:

- Devi passare a casa tua?

Ferraris scrolla le spalle. Si sente un po’ in imbarazzo, si dice che avrebbe dovuto parlarne prima con Michele.

- No, non passo da casa mia. Ci vado.

- Hai organizzato una festa a sorpresa in mio onore?

La voce di Michele è chiaramente ironica e Ferraris sbuffa.

- Per il culo di Satana, ragazzo, pensi mica di potertene stare da solo a casa in queste condizioni? Tu vieni a casa mia, per la convalescenza.

Ferraris sente lo sguardo di Michele su di sé, ma non volta la testa da quella parte, con la scusa di parcheggiare.

- Grazie, è bello da parte tua.

Come al solito, i ringraziamenti innervosiscono Ferraris, che già non si sente a suo agio.

- Per il culo di Satana, mi sembra che se ti sei preso una coltellata ho anch’io qualche responsabilità.

Ferraris si dà immediatamente del cazzone per quella risposta da stronzo. Ma non gli è venuto altro.

- Non sei obbligato a farlo per questo.

L’ex-ispettore, quasi commissario, è furibondo con se stesso e la sua rabbia traspare nel tono con cui risponde a Michele, finendo di controllare la distanza tra la sua auto e quella parcheggiata di fronte.

- Per il culo di Satana, non sono obbligato a fare niente. Lo faccio perché ho voglia di farlo.

S’incazza ancora di più per aver risposto in quel modo.

- Non ti scaldare. Per me va benissimo. Non chiedo di meglio. Anche se poi sarà dura andarsene.

Ferraris si volta verso Michele e vede che sta guardando l’appartamento. Gli afferra il polso con una mano.

- Michele! Guardami!

Michele si volta. C’è un velo umido sui suoi occhi e Ferraris si rende conto che nell’emerita cazzata dell’amore c’è dentro fino al collo, anzi: fin sopra i capelli. La rabbia svapora. Ora la sua voce è quella di sempre.

- Ascoltami bene, Michele! Se vuoi andartene, puoi farlo in qualsiasi momento, ma per me va bene se in questa casa ci resti. Per sempre, intendo.

 

E questa è la resa completa di Ferraris.

 

Poi aggiunge:

- Almeno, finché non ti sopporto più, per il culo di Satana!

Beh, quasi completa…

 

 

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Una falsa partenza

 

 

 

 

                  

                                              

                           

 

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