I

 

     

- Di questa faccenda si occuperà lei, Ferraris. È una faccenda delicata. Maledettamente delicata. I Burzio sono una delle famiglie che contano, a Torino, non devo venirglielo a dire io, lo sa benissimo. Ci vada con i piedi di piombo.

Ferraris grugnisce qualche cosa d’indistinto e fa un cenno di assenso.

Tutto nella norma: i casini grossi se li becca l’ispettore Ferraris, questo è risaputo. Ispettore e non commissario, anche se i gradi li ha meritati più volte sul campo, ma si sa, uno frocio e incazzoso come lui, commissario non diventerà mai. Il concorso l’ha dato, ma è inutile che aspetti i risultati, tanto…

Il commissario riprende:

- Per questa indagine le assegno Volturno. Ho piacere che mi dia un parere su di lui.

Anche questo rientra nella norma: i nuovi agenti lavorano un po’ con tutti gli ispettori. Volturno nuovo non è, ormai è nella polizia da quattro anni, ma nel commissariato è arrivato solo sei mesi fa. L’ispettore Ferraris avrebbe preferito l’agente Diotallevi, che è davvero in gamba, ma in fondo non gli spiace l’idea di lavorare con Michele Volturno, sarà un bel lustrarsi gli occhi. Niente di più. Le regole sono le regole. Ma l’estetica vuole la sua parte.

Il commissario finisce con la solita raccomandazione:

- E mi raccomando, Ferraris. Quella gente va trattata con i guanti. Delicatezza, molta delicatezza. E finezza.

Ferraris risponde, di slancio:

- Per il cazzo di Satana, commissario, quanto a finezza, sa che a me non me la mette in culo nessuno.

La battuta è vecchia come il cucco, ma la smorfia del commissario, con la bocca a culo di gallina, ripaga Ferraris della perenne frustrazione di avere un superiore incapace. O forse, soltanto, di avere un superiore.

Il colloquio è finito, il commissario ha scaricato la patata bollente nelle mani di Ferraris, che si alza e saluta con un altro grugnito.

Mentre lascia l’ufficio del commissario, fa un rapido quadro della situazione e delle cose da fare. Non che ci siano molti elementi, più che un quadro è uno schizzo: Enea Burzio, ricchissimo industriale torinese, uno di quelli che sono multimilionari anche adesso che c’è l’euro, non è tornato a casa ieri sera. E altro non si sa.

La prima cosa da fare è andare a parlare con la moglie, quella che ha telefonato già tre volte. Ha telefonato, senza neppure venire di persona: perché disturbarsi? Ieri sera il commissario ha inviato un agente, si sa: i Burzio sono i Burzio, vanno trattati con i guanti, per la denuncia c’è sempre tempo. Intanto si è provveduto alla solita routine: il controllo negli ospedali, la verifica negli altri commissariati e così via. Ma non è venuto fuori nulla. 

Ferraris passa davanti alla stanza dove tre agenti stanno discutendo, di politica, gli pare di capire. 

- Volturno, prepara l’auto che andiamo.

Volturno si alza subito, sorridendo, e Ferraris gli lancia una rapida occhiata. Ha già avuto tutte le occasioni che voleva per guardarlo e l’occhiata gli conferma ciò che sa benissimo. Un corpo ben costruito, armonioso e forte, di uno che va in palestra, ma senza strafare. Un viso dalla carnagione un po’ scura, capelli neri, un pizzo che gli incornicia la bocca e il mento. Occhi scurissimi, quasi neri, un bel naso diritto. E un sorriso da pubblicità del dentifricio. Per il culo di Satana, se soltanto lo incontrasse in qualsiasi altro posto, ci proverebbe, oh, se ci proverebbe! Anche per strada ci proverebbe, perché uno così, te lo trovi davanti una volta sola nella vita. Ma invece di incontrarlo per strada, lo ha trovato nel commissariato. Merda!

Lavorare con lui sarà davvero un bel lustrarsi gli occhi.

Fuori piove. Nuvoloni neri incombono cupi sulla città e la pioggia scende ininterrotta dalla notte, senza dare tregua. La classica giornata uggiosa di novembre, che a Ferraris mette tristezza. L’ispettore è già di cattivo umore e ha la precisa sensazione che la visita a villa Burzio non migliorerà la situazione. Non si sbaglia.

 

  2

 

Villa Burzio è, ovviamente, in collina, strada Val Salice. Raggiunto il cancello, Volturno scende e suona, mentre lancia una rapida occhiata alla telecamera dell’impianto di sicurezza. Il custode apre senza chiedere nulla: la telecamera inquadra perfettamente l’auto della polizia. Anche sotto la pioggia che cade fitta, il giardino dei Burzio è uno spettacolo: il vasto prato che si arrampica lungo il fianco della collina è attraversato da un viale ai cui lati s’innalzano due file di querce secolari; in alto, intorno alla villa, vi sono grandi aiuole e su un lato un pergolato coperto da un rosaio.

- Per il culo di Satana, questo sì che un giardino.

Volturno sogghigna:

- Qui ci vuole una guida per non perdersi! Ci saranno i cartelli con le indicazioni, agli incroci?

D’incroci ce ne sono davvero, due, per essere precisi, ma la villa è visibile, un po’ più in alto, al termine del viale alberato. Volturno non ha difficoltà ad arrivare esattamente davanti alla porta di casa Burzio, dentro cui potrebbe stare l’intera caserma di polizia.

La domestica che li accoglie all’ingresso è l’immagine della perfetta cameriera stile Ottocento e a Ferraris viene da sorridere: domestiche con la livrea non è più frequente vederle, ma forse è solo che lui non frequenta il mondo dei Burzio. Anche se è di famiglia benestante e ha un bell’appartamento, in una zona piuttosto elegante, l’ispettore appartiene a un altro pianeta, rispetto ai Burzio o agli Agnelli. È come se vivesse in un’altra città e in casa di gente come i Burzio, lui può entrare solo come ispettore, quando lo chiamano loro. Non che gliene importi: non ha nessun desiderio di frequentare quei culisecchi con la puzza sotto il naso.

L’ingresso della villa, ampio e con gran profusione di marmi, è in linea con il resto: di gran lusso, non particolarmente raffinato, ma neppure pacchiano. D’altronde i Burzio sono i Burzio, mica degli arricchiti qualunque. Il salotto in cui la cameriera li accompagna è un vero e proprio salone. Ferraris pensa che spostando i divani (tre), le poltrone e i vari tavoli, potrebbe diventare una sala da ballo. Non che questo gli interessi molto, dato che non sa ballare. In ogni caso non sarebbe invitato.

La signora Barbara Burzio è seduta sul divano e non si alza al loro ingresso. Ferraris non se ne stupisce. Per la signora Burzio, l’ispettore Ferraris ha la stessa posizione sociale del giardiniere o della cameriera in livrea. 

Ferraris dà un’occhiata alla donna, che dimostra trentacinque anni, anche se probabilmente ne ha qualcuno di più. Burzio se l’è scelta giovane, la moglie: lui ha superato la cinquantina da un bel pezzo. Si direbbe una bella donna, anche se a Ferraris questo non interessa. È bionda e dev’essere stata da poco dal parrucchiere, perché non ha un capello fuori posto. Si è truccata con cura: rossetto di un rosa chiaro, ombretto azzurro, fard sulle guance. La scomparsa del marito non deve averla turbata tanto da impedirle di prendersi cura del suo aspetto.

Ai suoi piedi due cani con il pelo bianco e riccio, che sembrano appena usciti dal toelettatore. Sono due bichon frisé (razza di cui l’ispettore ignora l’esistenza), che ringhiano non appena vedono Ferraris. L’ispettore risponderebbe volentieri ringhiando anche lui: ama i cani, quando sono veri cani, e non sopporta quelli che definisce “infami botoli da salotto”.

- Buongiorno, signora.

- Buongiorno. Pensavo che non sareste più arrivati.

Ferraris pensa: “Per il cazzo di Satana, se avevi tanta fretta, potevi anche alzare il culo dal divano e venire al commissariato.” Ovviamente non dice nulla di tutto questo, limitandosi a grugnire. Che questa stronza non si sogni di avere delle spiegazioni o, Dio ne scampi, delle scuse. Quel poco di finezza che Ferraris è in grado di tirar fuori si sta già dissolvendo. L’ispettore ne possiede una riserva alquanto scarsa.

Si siede, senza aspettare che la signora glielo dica, imitato da Volturno. Incomincia subito:

- Adesso siamo qui. Allora, mi dica quando è scomparso suo marito.

La signora sospira, come se le pesasse ripetere ciò che ha già detto al commissario.

- Mio marito è andato in fabbrica ieri mattina. Doveva arrivare a casa per le sette, perché eravamo invitati a cena dai Morello, ma non è rientrato. Alla fabbrica mi hanno detto che è uscito nel primo pomeriggio e da allora nessuno l’ha più visto.

I Morello, non occorre spiegare chi sono: chiunque sia un minimo addentro alla vita sociale di Torino (nonché Portofino, Cortina d’Ampezzo e Montecarlo), anche solo per motivi professionali, sa benissimo che il loro yacht 16 metri naviga su un mare d’oro.

- Ha un’idea dei motivi per cui può essere scomparso?

- No, assolutamente.

- Le risulta che avesse qualche impegno nel pomeriggio?

- No, nulla, che io sappia.

- In questi ultimi giorni le è sembrato preoccupato, teso, impaziente?

- No.

- Sono arrivate telefonate insolite? Gente che cercava suo marito?

- No, nessuna.

- Neanche qualche chiamata a vuoto, qualcuno che ha riattaccato quando lei ha risposto?

Barbara Burzio è chiaramente infastidita da tutte queste domande. C’è una nota di stanchezza e d’irritazione nella sua voce, mentre risponde:

- No.

- In questi ultimi giorni l’ha visto comportarsi in modo diverso dal solito, fare qualche cosa di particolare?

- No, è come sempre.

Ferraris si chiede se la signora Burzio ogni tanto lo guarda, il marito, ma non formula la domanda. Finezza, no? Intanto uno dei due botoli gli si è avvicinato. L’ispettore reprime l’impulso di mollargli un calcio: sta davvero dando il meglio di sé.

- Quindi non ha notato nulla di anomalo?

Alla signora le domande di Ferraris devono fare l’effetto di un moscone che continua a girarle intorno.

- No, gliel’ho già detto.

- A che ora ritorna a casa suo marito, di solito?

- Verso le sei, sei e mezzo.

- Capita che tardi molto?

- Di rado, comunque mi avvisa.

- È già capitato che suo marito non ritornasse a casa per la notte senza avvisarla?

Madama Burzio inarca le sopracciglia, quasi offesa per la domanda. L’ispettore Ferraris non dice nulla e attende la risposta, anche se ormai ha capito quale sarà.

La signora si irrigidisce sul divano e dice:

- Mio marito non rimane mai fuori di casa la notte senza avvisarmi.

Il tono è talmente gelido che Ferraris ha l’impressione che la temperatura nella stanza sia scesa di almeno due o tre gradi: fosse estate, andrebbe anche bene, ma è autunno inoltrato. Non che questo lo turbi. Si limita a fare un cenno con il capo e prosegue:

- Le risulta che suo marito avesse intenzione di vedere qualcuno, ieri pomeriggio?

- Non so, non conosco i suoi impegni di lavoro.

- Alla fabbrica le hanno saputo dire dove è andato quando è uscito?

- No, non lo sapevano.

- Va bene, allora facciamo un salto noi, così vediamo se viene fuori qualche cosa. Intanto, sa se suo marito ha un’agenda su cui scrive gli impegni?

L’infinito disprezzo con cui la signora Burzio lo guarda, provoca all’ispettore Ferraris un rapido e intenso movimento rotatorio degli attributi virili (insomma: gli girano proprio).

- Gli impegni li segna la segretaria.

- Per le corna di Satana! – Ferraris è in grado di controllarsi, in quelle rare occasioni in cui decide di farlo, ma non lo farà più a lungo – Non ha un’agenda personale?

La signora Burzio è sempre più gelida. Ferraris sa che nella prossima telefonata al commissariato si lamenterà di quell’ispettore (probabilmente dirà poliziotto) villano.

- Non mi risulta.

- Quali interessi ha suo marito, oltre alla fabbrica?

La signora lo guarda come se non capisse.

- Insomma, va alla partita, vede le mostre d’arte, balla il tango? Devo avere qualche idea di dove può essere andato, se devo cercarlo.

La voce della signora Burzio ha lo stesso calore di un filetto di merluzzo (sarebbe più consono dire “di caviale”, ma il caviale non ha filetti), appena estratto dal congelatore.

- Mio marito si reca due volte la settimana in palestra…

Ferraris interrompe:

- In quali giorni?

- Lunedì e giovedì.

Burzio è scomparso di mercoledì, per cui non dovrebbe essere andato in palestra.

La signora riprende:

- Per il resto, impegni di lavoro a parte, di solito usciamo insieme.

- Da quanto tempo sono sposati?

- Da trentadue anni.

Ferraris nasconde il suo stupore. Anche se all’epoca del matrimonio l’attuale signora Burzio aveva solo diciott’anni, ora ne ha cinquanta. La chirurgia estetica fa davvero miracoli!

- E in questi trentadue anni suo marito non ha mai coltivato altri interessi, diciamo… individuali, che lei sappia?

- Non mi risulta.

La disponibilità della signora Burzio a collaborare è ormai nulla. Ferraris vuole ancora sapere una cosa:

- Suo marito si muove sempre in auto, suppongo. C’è anche un autista?

- Mio marito guida personalmente la sua auto. L’autista serve a me.

- Che auto ha suo marito?

- Una Cayenne rossa.

- Che targa ha?

La signora Burzio inarca le sopracciglia, come se Ferraris le avesse chiesto di che colore sono le sue mutande.

- Non ne ho la più pallida idea.

Ferraris si limita a chiedere l’indirizzo della palestra e della fabbrica, saluta senza eccessiva cortesia e si alza. La signora rimane seduta. La cameriera accompagna l’ispettore e l’agente alla porta.

 

  3

 

- Per il culo di Satana, che rottura di coglioni, ‘sta stronza!

Volturno annuisce, sorridendo. Ha davvero un magnifico sorriso.

- Sì, non la definirei proprio una donna simpatica.

Ferraris emette un grugnito d’assenso. Volturno riprende:

- Dove andiamo, ispettore? Alla palestra o alla fabbrica?

- Incominciamo con la fabbrica. Lì Burzio c’è stato certamente, ieri. Mercoledì non era uno dei suoi giorni di palestra.

La fabbrica è in un’area molto periferica, ai confini con Settimo, in un paesaggio di grandi capannoni industriali e terreni incolti.

Ferraris ha ancora la luna storta quando arriva alla fabbrica e il primo a farne le spese è il portiere.

- Dovete lasciare l’auto fuori, Non avete l’autorizzazione a parcheggiare dentro il cortile.

Piove ancora e lasciare l’auto fuori significherebbe bagnarsi più del necessario.

- Per il culo di Satana, non vedi che siamo della polizia? Muoviti ad aprire.

Il tono non lascia molto spazio a obiezioni, ma il portiere, per quanto un po’ scosso, osserva:

- Non risultate tra le persone attese oggi. Non posso lasciarvi entrare. Dovete…

È la ciliegina sul gelato, la classica goccia che fa traboccare il vaso, sempre pieno fino all’orlo, della collera di Ferraris. Il portiere non riesce a finire la frase, ridotto a un mucchietto di cenere dallo sguardo di Ferraris e poi travolto dal ciclone di una sfuriata che sentono fino in officina. Le minacce non proprio velate inducono il portiere ad alzare la sbarra, mugugnando, ma a bassa voce.

La seconda vittima dell’ira funesta di Ferraris è la segretaria del direttore generale, una stangona stile tedesco con capelli corti neri e cipiglio feroce. L’infelice commette l’imprudenza, fatale, di chiedere:

- Ha un appuntamento? Perché il direttore è molto occupato e se non ha un appuntamento, non credo che potrà riceverla oggi.

Anche lei non conclude la frase e al ruggito di Ferraris il direttore generale apre la porta, affacciandosi perplesso e un po’ spaventato.

La stangona cerca di spiegare.

- Dottor Angrogna, ho spiegato all’ispettore che…

Non finisce neanche lei la frase, perché Ferraris è già entrato nell’ufficio, aggirando il direttore, e si è seduto su una poltrona. Angrogna non può fare altro che seguirlo. Mentre Volturno chiude la porta dietro di lui, l’ispettore gli intima:  

- Prego, si sieda.

Il direttore appare alquanto sconcertato e anche irritato: evidentemente non si aspettava una visita della polizia e poi questo ispettore che lo invita a sedersi, come se lui, Francesco Angrogna, non fosse nel proprio ufficio... Quando è troppo, è troppo. Il viso truce dell’ispettore però gli incute una certa soggezione e la polizia è pur sempre la polizia.

Ferraris non è dell’umore giusto per tollerare esitazioni: ripete la richiesta, ormai un ordine, senza più traccia di cortesia.

- Si sbrighi a sedersi.         

Il direttore si siede, ancora protestando:

- Ma non capisco... Che cosa vuole da me?

Ferraris registra che evidentemente la signora Burzio non ha avvisato della scomparsa del marito, forse per evitare maldicenze. Ora però il direttore lo scoprirà.

- Allora, mi dica, quando è uscito il signor Burzio ieri?

- Ma io non so se posso…

- Lei non può, deve. Nel caso non avesse ancora capito, stiamo indagando. Non cerchi di ostacolare le indagini.

Il direttore, uomo evidentemente abituato a prendere decisioni in fretta e a valutare le forze in campo, sceglie di evitare lo scontro frontale.

- Il cavalier Burzio è uscito nel pomeriggio, non so l’ora, ma le chiamo immediatamente la segretaria del cavaliere, è lei la persona più adatta…

- Lasci stare la segretaria, con lei parliamo dopo. Mi dica piuttosto, il signor Burzio viene tutti i giorni in fabbrica?

- Quasi tutti i giorni, sì, se non è via. Ma che cosa è successo?

Ferraris ignora la domanda.

- Di che cosa si occupa il signor Burzio?

- Il cavaliere dirige la fabbrica, che è di sua proprietà.

- E allora lei che cosa fa? Non è il direttore?

Il direttore incomincia a spiegare i suoi compiti e quelli del cavaliere. Al cavaliere spettano le decisioni più importanti, mentre il direttore si occupa della gestione quotidiana. Ferraris fa qualche domanda per capire meglio. Non gli ci vuole molto ad afferrare la situazione: la fabbrica è il giocattolo di Burzio, che ha ogni potere, ma di fatto delega tutto al direttore.

A questo punto Angrogna ha già chiesto tre volte che cosa è successo, ma Ferraris non ha ancora risposto. Dice al direttore che ripasserà e si sposta nell’ufficio della segretaria personale di Burzio, una bionda prosperosa, con una minigonna attillata e una camicetta alquanto leggera (niente di strano, nell’ufficio ci sono almeno 25°C, anche se siamo a fine novembre), generosamente aperta a mostrare la merce. Fatica sprecata per l’ispettore Ferraris.

La bionda, probabilmente già informata dalla segretaria del direttore, si dimostra tanto remissiva quanto inutile. Sì, il cavaliere è uscito verso le ore 15.30/16. Sì, spesso il mercoledì il cavaliere esce a quell’ora. Sì, anche altri giorni il cavaliere esce a metà pomeriggio, ma non ha un orario fisso, è il cavaliere e non spetta certo a una segretaria… sì, quanto a entrare, arriva quasi sempre verso le 9.00, 9.30, lei non deve mai fissare appuntamenti prima delle 10.00. Sì, no, non sa se il mercoledì esce sempre alle 15.30/16, di solito esce a quell’ora. No, non le risulta che il cavaliere abbia un appuntamento. No, non sa dove va il cavaliere quando esce, non si permetterebbe mai di… sì, no, sa che va in palestra, due volte la settimana, il lunedì e il giovedì, in quei giorni non deve fissare appuntamenti prima delle 11.30, per cui se c’è qualcuno, lo mette alle 11.30/12 o al pomeriggio.

A questa frase la bionda s’illumina, convinta di essere riuscita a fornire un’informazione altamente segreta e d’importanza strategica. Il grugnito di Ferraris non è molto incoraggiante (ma se il commissario dicesse la metà di quello che sta pensando, la bionda scapperebbe inorridita, turandosi le orecchie) e l’interrogatorio prosegue. No, non sa nulla di dove va il mercoledì, non spetta certo a una se… no, non sa nulla dei suoi interessi, non spetta certo… sì, oggi lo attende, ha un appuntamento alle 11.30, ma non è ancora arrivato. Sì, lei ha telefonato a casa, ma le hanno detto che il cavaliere non c’era, sapeva che la sera prima non era rientrato, nel tardo pomeriggio aveva telefonato la moglie, ma non pensava... Sì, certo lei ha telefonato al cavaliere sul cellulare, ma risulta spento.

Ferraris si dice che Burzio di certo non si è scelto la segretaria in base alla materia grigia. Comunque gli attributi sono di nuovo in movimento e se ancora una volta questa gallina risponde che sì, il cavaliere, no, il cavaliere, non spetta certo a una segretaria… lui non risponde più di sé.

- Mi faccia vedere l’agenda degli appuntamenti.

- Ma, signor ispettore, l’agenda del cavaliere… io non posso…

Non ha detto né sì, né no e neppure che non spetta a una segretaria, ma il limite è stato superato. Questa volta il barrito di Ferraris fa tremare i vetri e la segretaria esibisce l’agenda in meno di tre secondi, mortalmente offesa e sull’orlo delle lacrime.

Ferraris la scorre con molta attenzione, chiede delucidazioni su alcuni nomi, prende nota degli impegni degli ultimi giorni e di quelli a venire, ma non c’è nessun appuntamento per il pomeriggio di mercoledì e i nomi segnati nelle diverse date risultano rientrare tutti in ambito professionale.

L’unica informazione che l’ispettore ottiene dalla segretaria è il numero di targa della Porsche Cayenne di Burzio.

A questo punto Ferraris valuta un momento la situazione, calcola le possibilità, scarsissime, di ottenere qualche cosa in palestra, e decide che è opportuno rispondere alla domanda che il direttore ha ripetuto più volte. Lo fa nell’ufficio di Angrogna, in presenza delle due segretarie.

- Il signor Burzio è scomparso.

Il direttore e le due segretarie non si mostrano particolarmente stupiti. La telefonata della signora Burzio, l’arrivo della polizia e le domande di Ferraris non lasciavano molti dubbi. Sono tutti e tre scandalizzati che il cavalier Burzio venga chiamato “signore”, ma ritengono più opportuno non dire nulla. Per qualche misterioso motivo, hanno l’impressione che sia meglio non correggere l’ispettore.

Solo la segretaria di Burzio (scusate: del cavalier Burzio) chiede:

- Allora devo disdire l’appuntamento di oggi alle 11.30?

Ferraris non dice niente: si limita a guardarla un attimo, una di quelle occhiate che inceneriscono. La segretaria è di nuovo sul punto di mettersi a piangere.

 

L’ispettore prosegue:

- Ieri pomeriggio non è tornato a casa e nessuno ne sa più nulla. Perciò, se salta fuori un qualsiasi elemento, un qualsiasi indizio per capire dove è andato ieri pomeriggio o dove può essere adesso, mi telefonate, senza perdere tempo.

Ci sono alcune domande da parte dei tre:

- Ma non si sa niente di più?

- Non ha lasciato detto…

- Non avete scoperto…

Le domande rimangono senza risposta: Ferraris si è già alzato e lascia l’ufficio, di pessimo umore. Non ha cavato un ragno dal buco. L’unica informazione utile è che Burzio esce presto il mercoledì, ma a casa torna alla solita ora. Dove va? Dove cazzo va?

Ferraris si dice che di motivi per non tornare subito a casa, Burzio ne ha, senza dubbi, con una moglie così: ogni volta che apre bocca, ti fa passare la voglia di scoparla.

Il giudizio, venendo da uno che con il genere femminile non è andato oltre qualche palpeggiamento quando aveva sedici anni, non è molto significativo, ma tant’è: Ferraris ha la luna sempre più storta.

L’unico elemento positivo è che ha smesso di piovere. La giornata rimane grigia, senza un raggio di sole. A meno di non considerare tale il sorriso di Michele Volturno.

 

  4

 

Come prevedibile, Burzio frequenta la classica palestra per ricchi, che fornisce personal trainer giovani, belli e sorridenti e garantisce di non incontrare mai gli sfigati che hanno redditi inferiori ai 3000 (diciamo pure 4000) euro al mese. Si trova in zona Crimea, ai piedi della collina, perciò non lontano da villa Burzio.

All’ingresso c’è un’impiegata, che sfodera il suo miglior sorriso (del tutto sprecato) all’arrivo di Ferraris. Mentre l’ispettore le chiede di Burzio, la ragazza si beve con gli occhi Volturno.

- Il cavaliere Burzio, certo, è un nostro cliente. Da molti anni. Lo aspettavamo questa mattina… è successo qualche cosa?

Ferraris ignora la domanda, come fa quasi sempre durante gli interrogatori: chi pone le domande è lui.

- Ha un istruttore?

- Certo, il suo personal trainer è Rodolfo. È in palestra, in questo momento. Vuole parlare con lui?

- Esatto.

L’impiegata convoca Rodolfo attraverso l’altoparlante interno, senza smettere di contemplare il poliziotto: si vede che ha buon gusto. Ferraris se ne accorge, ma non dice nulla.

Rodolfo arriva. Alto, fisico atletico, occhi azzurri, capelli di un biondo scuro, viso d’angelo, in effetti vale la pena dargli un’occhiata, anche se Volturno lo batte. Ferraris intende fargli tre o quattro domande in più dello stretto necessario, per far durare di più il colloquio.

- Lei è il personal trainer di Burzio?

- Sì.

- Sono l’ispettore Ferraris. Dove possiamo parlare con calma?

- C’è un salottino, sopra. Venga.

Rodolfo si avvia, Ferraris e Volturno lo seguono. L’ispettore osserva Rodolfo mentre sale le scale. Indossa la tuta, ma da quel che si può vedere, deve avere un gran bel culo.

Il salottino in cui si siedono ha tre poltrone, un tavolino e due sedie. Si accomodano e Ferraris chiede:

- Da quanto tempo allena Burzio?

- Da… tre anni, direi, prima lo allenava un altro istruttore, che poi si è trasferito a New York.

- Con che frequenza viene?

- Due volte a settimana, lunedì e giovedì, dalle nove alle dieci.

- Sempre lo stesso orario?

- Sì, è un tipo abitudinario, non gli piace cambiare.

- Non è per caso passato ieri?

- Ieri? No, non l’ho visto. Ero qui, credo che me ne sarei accorto. Ma non l’ho mai visto fuori orario.

- Quindi l’ultima volta che l’ha visto è stato lunedì. Perché oggi non è venuto, vero?

Ci mancherebbe solo che Burzio, dopo essere scomparso, fosse venuto in mattinata in palestra per poi scomparire di nuovo.

- Esatto.

- Lunedì ha notato qualche cosa di strano, di insolito?

- No, nulla. Abbiamo fatto lezione come al solito.

- Non le ha detto che magari oggi non sarebbe venuto?

- No, ma… è successo qualche cosa?

Ferraris ignora la domanda.

- Se non viene, di solito avvisa?

- Sì, sempre. Credo che sia successo solo una volta o due che non si sia presentato senza avvertire, oltre a oggi.

- Oggi l’ha cercato, vedendo che non arrivava?

- Gli ho mandato un messaggio, come al solito.

- Ma lui non ha risposto.

- Infatti.

Ferraris riflette un momento, poi chiede:

- Ha amici qui in palestra?

- Amici non direi. Scambia qualche chiacchiera con altri clienti, magari nello spogliatoio, in sauna, al bagno turco. Ma non credo che abbia degli amici. A parte qualcuno che già frequentava fuori dalla palestra.

Ferraris annuisce. Anche qui non c’è da cavare un ragno dal buco.

- Allora, mi ascolti. Burzio è scomparso. Se dovesse avere qualche informazione, si metta in contatto con me.

Rodolfo appare stupito, senza esagerare: se Burzio non è arrivato e poi Ferraris ha posto tante domande su di lui, è chiaro che dev’essere successo qualche cosa.

- Senz’altro, ispettore.

Ferraris esce con il solito pugno di mosche. Su questa scomparsa grava il buio più fitto. Telefona in sede, ma non è saltato fuori niente di nuovo. Fornisce la targa dell’auto di Burzio: non un grande risultato per una giornata di indagini.

C’è poco da fare, per il momento. Domani la notizia della scomparsa di Enea Burzio finirà sui giornali, che certamente non si lasceranno scappare di mano questa ghiottoneria. A questo punto è quello che vuole anche Ferraris: se non ci sono elementi su cui lavorare, meglio allora rendere di dominio pubblico il caso. Così magari salta fuori qualcuno che ha visto, che sa. O almeno salta fuori l’auto.

O magari non salta fuori un bel niente, perché Enea Burzio ha semplicemente deciso di sparire e di liberarsi di una moglie come quella che si ritrova e di tutto il resto. In questo caso, non sarà facile sapere che fine ha fatto: quando gente di quel livello sociale decide di dileguarsi, se si rivolge alle persone giuste, scompare davvero.

E in effetti, Enea Burzio è scomparso davvero.

 

  5

 

Il pomeriggio è ormai finito. Ferraris pensa che domani, se Enea Burzio non ricompare (vivo o morto), dovrà ritornare dalla signora Burzio e raccogliere qualche elemento in più. L’idea di incontrare nuovamente la cinquantenne rifatta non gli sorride, per usare un eufemismo. Si consola guardando Volturno guidare. È un gran bel ragazzo, ma continua a masticare chewing-gum e lui non sopporta i ruminanti.

- Per il culo di Satana, ragazzo, tu devi farmi un favore.

Michele gira un attimo la testa verso di lui e sorride. Ha un sorriso fantastico.

- L’ispettore che mi chiede un favore? Qualunque cosa sia, la risposta è sì.

Ferraris ghigna.

- Fa’ attenzione a non sbilanciarti così, ragazzo. Può essere pericoloso, molto pericoloso. Per il culo di Satana, non sai che cosa posso chiederti.

- Sembra interessante. La risposta è sì, sì, sì.

Ferraris lo guarda, ironico. Che cosa ha in testa? Solo perché è bello, che cosa crede? Lui ha le sue regole, ben precise, e anche Volturno deve conoscerle: anche se è la prima volta che lavorano insieme, è in sezione da sei mesi e i poliziotti parlano tra di loro. L’agente Locatelli in particolare è un pettegolo di prima categoria e di sicuro ha subito raccontato al nuovo arrivato di Ferraris, dei suoi gusti e delle sue regole.

- Va bene. Ti prendo in parola. La prima cosa è questa: butta via quel fottuto cicles.

- Cicles?

La parola è del tutto sconosciuta all’agente Volturno: a Napoli, come in quasi tutta Italia, nessuno usa questo termine, derivato da un’antica marca di gomme da masticare, i Chiclets.

- Gomma da masticare, chewing-gum, come cazzo vuoi.

- Ah, va bene.

Michele si toglie la gomma da masticare dalla bocca con la destra e lo butta dal finestrino, che è un po’ aperto per evitare che i vetri si appannino.

- Spero non sia tutto lì il favore.

Gli lancia un’occhiata speranzosa. Ferraris ridacchia. Che cosa vuole questo stronzo? È bello, quanto a quello, per il culo di Satana, se è bello! Impossibile trovare un difetto in quella faccia, eppure non è una faccia priva di espressione, da modello, tutt’altro. Volturno deve avere carattere. Ma non troppa intelligenza, da come si sta muovendo. O forse è molto presuntuoso, convinto di essere irresistibile. Di sicuro non ne trova tanti che gli dicano di no.

- No, per il culo di Satana, non ho finito. Secondo favore: quando sarai con me non masticherai mai più cicles. Non sopporto i ruminanti.

Volturno si infila la mano in tasca, ne estrae un pacchetto di gomme da masticare e lo butta dal finestrino.

Ferraris alza gli occhi al cielo. La polizia che insudicia le strade: ci manca anche questa! Per il culo di Satana! Questo ragazzo… Abbassa lo sguardo su Volturno. Questo ragazzo è bellissimo e tra il ventre e i testicoli Ferraris sente una sensazione ancora vaga, ma che conosce benissimo.

Sì, con questo ragazzo combinerebbe volentieri qualche cosa. Un sacco di cose. Davvero un sacco.

Se solo lo avesse incontrato da un’altra parte.

Tutti al commissariato sanno dei suoi gusti, ma nessuno nel commissariato si permetterebbe di prenderlo per il culo in proposito, visto che ha il peggior carattere di tutta la polizia di Torino (probabilmente non solo di Torino). E nessuno si sognerebbe mai di cercare di metterglielo in culo (o farselo mettere in culo da lui) perché si sa che per Ferraris il lavoro e la vita privata sono due cose strettamente separate.

Che cosa vuole quel ragazzo? Solo perché è bello come un attore di Hollywood…

- Bene, così va bene.

Volturno assume un’espressione di finta tristezza.

- Finito così? Prometteva meglio.

Ferraris lascia passare un momento, prima di dire:

- Vuoi altro?

- Veramente è lei che mi chiedeva un favore…

- Il favore te l’ho chiesto. Ora ti sto chiedendo se vuoi altro.        

Il tono di Ferraris non è cordiale, ma Volturno non si scoraggia.

- Se devo essere sincero, mi piacerebbe altro.

Volturno sfodera il suo bel sorriso e Ferraris è sul punto di cedere. Quello usa armi improprie, proibite dalla convenzione di Ginevra.

Va bene, se l’è meritato.

- D’accordo. Invece di andare in stazione, portami a casa mia, via Peyron.

Il sorriso di Volturno si allarga. È convinto di aver raggiunto il suo scopo.

 

  6

 

Arrivano rapidamente e Volturno parcheggia da poliziotto, cioè fregandosene completamente di strisce pedonali, posti riservati per portatori di handicap, contenitori della spazzatura e quanto altro possa esserci. Ferraris avrebbe molte cose da dire, ma per il momento sul modo di parcheggiare di Volturno si può soprassedere. Adesso ci sono altre priorità.

L’agente osserva la casa, un bell’edificio liberty, di cui lo colpiscono soprattutto i balconi, con eleganti ringhiere a motivi geometrici, e gli elementi decorativi intorno alle porte e alle finestre.

Ferraris dice, brusco:

- Andiamo su.

Volturno si volta verso di lui e gli sorride. Gioca sleale, il ragazzo, con quel sorriso, ma non gli basterà.

Sull’ascensore che li porta al quarto piano non dicono nulla.

Ferraris apre la porta ed entrano in casa. Dall’ingresso l’ispettore passa direttamente in salotto. L’agente lo segue.

Quando sono in mezzo alla stanza, Ferraris dice:

- Bene, adesso spogliati.

Volturno lo guarda, perplesso. Non si aspettava un approccio così brusco.

- Non perde tempo, ispettore…

Ferraris sorride all’idea che Volturno continui a dargli del lei. È un’ottima cosa, così non dovrà riabituarsi al lei.

- No, per il culo di Satana, muoviti. Non sei salito per fare due chiacchiere, no?

Volturno sorride, un po’ imbarazzato, mentre si toglie la giacca e dice:    

- Mi ci vorrebbe una musica, per lo spogliarello. Che so, quella di Nove settimane e ½.

- Quel film avrà vent’anni, lascia perdere. Dai, non farmi perdere tempo.

Volturno passa a togliersi la camicia. Un torace da atleta, con i muscoli ben visibili sotto la pelle e un pelame leggero sul petto. È un accostamento che a Ferraris piace molto: non ama i maschi glabri (o, peggio, quelli che si depilano), ma neanche quelli troppo irsuti. Diciamo che la metà superiore è perfetta, non c’è niente da dire.

Ferraris annuisce. Volturno prosegue, sorridendo, ma è un po’ a disagio. Forse percepisce che non tutto va per il verso giusto, ma prosegue. Ferraris lo guarda mentre si spoglia. Si toglie le scarpe, le calze, poi si cala i pantaloni e infine gli slip.

Togliendoseli si volta un momento. Ferraris intravede un culo magnifico, quanto mai invitante.

L’ispettore tiene le mani in tasca, ma gli sta diventando duro. Annuisce. Sì, non ci sono difetti, tutto materiale eccellente, come non è facile trovarlo. Dalla testa ai piedi, passando per l’uccello, ovviamente. Un uccello ben proporzionato, che in volo deve essere di tutto rispetto, ma non eccessivo. Tutto in Volturno sembra essere della misura giusta, ma di qualità extra: i suoi non hanno risparmiato sul materiale per fabbricarlo. È davvero un peccato.

Di fronte al silenzio di Ferraris, Volturno sembra stupito e sempre più perplesso. Ferraris infine parla:

- Sì, adesso voltati, vediamo da dietro, se vale la pena.

L’ha già visto, ma solo per un attimo: dato che non ci sarà un’altra occasione, tanto vale approfittare di questa.

Volturno guarda Ferraris, un’ombra di smarrimento nei suoi occhi: forse comincia a capire. Ma si volta, mettendo in mostra un culo mozzafiato, perfetto come rotondità, volume e quant’altro si può richiedere a un fondoschiena. Ferraris non cerca di nascondere la propria erezione, ormai tanto forte da essere quasi dolorosa.

Ora viene la lezione. Una buona lezione. Questo stronzetto ha cercato di fargli fare uno strappo alla sua regola d’oro: tenere rigorosamente separati lavoro e scopate. La norma la conosceva. Pensava di essere al di sopra delle regole? Per il culo di Satana, peggio per lui.

- No, tutto sommato no, non mi sembra il caso.

Volturno si volta e lo guarda un attimo: vuole sincerarsi che non stia scherzando. Ferraris sa qual è l’espressione della propria faccia: se non è proprio scemo, Volturno capisce. E infatti l’agente non dice più nulla. Si volta di nuovo e incomincia a rivestirsi, senza perdere tempo, ma non in modo frettoloso. Sa incassare bene.

Quando è completamente rivestito, si volta di nuovo verso di lui e, senza dire nulla, si avvia alla porta, un viso privo di espressione.

Ferraris parla, con la massima indifferenza.

- Porta l’auto alla stazione e prepara il rapporto. Poi lasciamelo sul tavolo. Domani lo controllo.

- Va bene.

Anche la voce di Volturno è assolutamente priva di espressione.

Ha preso una bella nasata. Imparerà a non ficcare il naso dove non deve, ‘sto stronzo! Adesso può andare a fare una sega a Satana.

Quando Volturno è uscito, Ferraris si stringe la mano sinistra con la destra, come fa suo nonno, complimentandosi con se stesso.

Comunque Volturno ha davvero un bel culo e lui ora ce l’ha duro. Ferraris ci pensa un po’, poi decide di andare in sauna.

 

  7

 

L’ispettore Ferraris frequenta massaggiatori, saune e locali gay, a Torino (dove il panorama non è poi così ricco) e talvolta a Milano. Non ha paura di farsi vedere in quegli ambienti, perché tanto alla polizia tutti sanno benissimo che lui è gay.

Ha una vita sessuale piuttosto intensa, anche perché ha un buon appetito, ma preferisce gli incontri occasionali. Rivede volentieri un uomo con cui si è trovato bene in posizione orizzontale (ma non necessariamente, a certe attività ci si può dedicare anche in posizione verticale, un po’ più faticoso, ma soddisfacente), per approfondire il discorso, ma taglia subito la corda quando le cose prendono una brutta piega, come quegli uomini che si dileguano quando la diletta incomincia a parlare di matrimonio.

L’esperienza insegna e Ferraris ha imparato.

I tre anni vissuti con Andrea sono stati utilissimi, un vero corso post-universitario, un master sull’amore. L’ha pagato caro, come succede per ogni master che si rispetti. Ce ne ha messo di tempo per rimettere insieme i pezzi, ma la lezione gli è servita. Non è stato rapido ad afferrarla, aveva un sacco di idee idiote sull’amore, lui, otto anni prima, ma Andrea la lezione gliel’ha ripetuta più volte, finché anche lui, per quanto ingenuo e innamorato, ha capito.

Avrebbe potuto costargli di più, molto di più: avrebbe potuto benissimo beccarsi l’AIDS, perché loro due non usavano nessuna protezione e figuriamoci se con gli altri Andrea si faceva tanti problemi. Gli altri erano tutti, proprio tutti. Chiunque possedesse un uccello, preferibilmente grosso, o un culo, preferibilmente stretto e sodo, diventava immediatamente un obiettivo.

Non che Ferraris pretendesse una coppia chiusa: nulla in contrario, in linea di principio, almeno, a introdurre un po’ di sana varietà. Anche se lui, innamorato perso e imbranato, della reciproca libertà non aveva mai approfittato.

Ma alla fine aveva dovuto accettare il fatto che lui era soltanto il proprietario di un robusto uccello, da utilizzare in mancanza di qualche novità stuzzicante, di un culo muscoloso e sodo (ma un po’ troppo peloso, osservava Andrea) e di una bella casa, in cui Andrea trovava un alloggio quando gli serviva, pasti caldi e soprattutto una domestica, che gli lavava e stirava i panni. A un certo punto Ferraris si era trovato nella situazione di quei genitori che vedono il figlio solo quando viene a portare la biancheria da lavare e, ogni tanto, a dormire. Cambiare la serratura gli era costato molta fatica, ma se non l’avesse fatto, non avrebbe più avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.

Ferraris ha così chiuso con quella che definisce “l’emerita cazzata dell’amore” e qualche tempo dopo la fine della storia con Andrea ha avviato una vita sessuale piacevole e intensa e soprattutto molto variata. Ha provato di tutto e con grande soddisfazione: si è scoperto molto aperto di vedute (non solo di vedute), disponibile alla sperimentazione, per non dire decisamente curioso. Il tutto con le dovute precauzioni, perché se l’ha scampata una volta, questo non è buon motivo per mettere alla prova la sua fortuna. C’è un unico caso in cui si tira indietro immediatamente: non appena qualcuno parla di sentimenti. Con l’emerita cazzata dell’amore non lo beccano più.

 

    

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Una falsa partenza

 

 

 

                  

                                              

                           

 

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