IV

 

     

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Una notte insonne non è il massimo per l’umore. Quando poi uno già di natura non ha un buon carattere, è ancora peggio.

La notte Ferraris l’ha passata girando in tondo con la testa, senza arrivare da nessuna parte, come la giornata prima ha girato in tondo con l’auto, senza risultati. Ma non l’ha passata a pensare al caso di cui si sta occupando, almeno: non solo a quello. L’ha passata a pensare anche al proprio caso personale. E non ha ottenuto risultati migliori.

Ferraris sa benissimo che deve scusarsi. Il casino è che non ha nessuna intenzione di spiegare a Volturno che cosa gli sta succedendo e allora, come cazzo fa?

Quando arriva in ufficio gli comunicano che la signora Burzio non è ricomparsa: questo non contribuisce a migliorare il già pessimo umore di Ferraris, per quanto in fondo l’ispettore non si aspettasse niente di diverso.

Ovviamente adesso, oltre a cercare un assassino (o due), occorre cercare madama Barbara. Perciò si incomincia un nuovo giro di visite.

La prima tappa sono i genitori della signora Burzio, nata Musso, che abitano al terzo piano di un vecchia casa in via Cassini, in un quartiere centrale, di buon livello. L’appartamento è spazioso e arredato con cura, ma senza nessuna esibizione di lusso.

I coniugi Musso sono anziani, ma paiono abbastanza in forma e ci sono ancora tutti e due con la testa. Chiedono subito notizie della figlia, per cui sono piuttosto preoccupati, ma Ferraris non ha novità da portare.

Coadiuvato da Volturno, che in auto non ha detto mezza parola, Ferraris pone alcune domande.

- Vedete spesso vostra figlia?

Il padre risponde, un po’ brusco:

- No, è molto occupata.

Ferraris vorrebbe chiedere: “A fare che? A giocare a bridge?”, ma si trattiene.

La madre, conciliante, dice:

- Però quando abbiamo bisogno, ci dà una mano.

Il marito la guarda, con un’espressione dubbiosa. La donna prosegue:

- Ha seguito personalmente il falegname che ha costruito la scaffalatura dello sgabuzzino. E l’anno scorso ci ha mandato l’autista che ci ha accompagnati a visitare la mostra di Messer Tulipano.    

- Ogni quanto tempo vi vedete?

- Una volta al mese.

Il marito controbatte:

- Anche meno.

- Però ci telefona, per avere nostre notizie.

- Sì, ogni quindici giorni.

È evidente che la madre cerca di difendere la figlia e il padre è invece piuttosto critico.

- Avete altri due figli, no?

- Sì, esattamente. Enrico e Davide.

- Li vedete spesso?

- Certo, passano ogni settimana da noi. Ci invitano a cena o a pranzo la domenica.

- Da vostra figlia siete mai stati a pranzo?

La madre sorride e dice:

- Sì, una volta, dopo il matrimonio.

Il padre aggiunge:

- Almeno trent’anni fa.

Ferraris pone ancora alcune domande, ma è ovvio che i coniugi Musso non possono conoscere i problemi della figlia, non sanno quali persone frequenti, ignorano come passi il tempo. Il quadro della situazione è piuttosto chiaro. La coppia vede gli altri due figli più spesso, certo, ma loro sono meno occupati, in fondo lavorano, non hanno mica sposato un magnate.

 

Con il solito pugno di mosche, Ferraris e Volturno passano dai due fratelli. Il maggiore, un ingegnere sui cinquanta, è molto esplicito.

- Mia sorella si fa viva molto di rado. Non siamo all’altezza, noi, non guadagniamo abbastanza, non frequentiamo le persone che contano. Si vergognerebbe a farsi vedere con noi. Mia sorella è una che ha la puzza sotto il naso.

Nel pomeriggio vanno dall’altro fratello, che condivide il giudizio espresso dal primo, anche se lo formula in modo meno drastico. Nessuno dei due è in grado di fornire un qualsiasi elemento utile per capire che cosa è successo. Vedono la sorella due volte all’anno, non di più.

     

Alla fine Ferraris si fa accompagnare a casa. Deve chiedere scusa a Volturno, spiegargli in qualche modo perché è stato così villano, anche se non sa come cazzo fare.

- Vieni su da me.

Vede Volturno irrigidirsi. La risposta non è propriamente conciliante:

- No.

- Ho bisogno di parlarti, nient’altro. Ho solo bisogno di parlarti. Devo spiegarti.

Volturno scende, chiude l’auto e accompagna Ferraris a casa. Non è il posto più adatto per una spiegazione, considerando come è finita l’unica volta che Volturno è salito. Ma di questo Ferraris si rende conto solo ora. E si rende conto anche che non sa da che parte iniziare.

Guarda Volturno, teso come una corda di violino, e si dice che la partita è persa.

- No. Inutile. Lascia perdere. Scusami.

Non sa nemmeno se Volturno ha sentito le scuse. È uscito a scheggia.

Ferraris si siede in poltrona.

 

  26

 

Il giorno dopo appena Ferraris mette piede in ufficio, gli dicono che il capo lo aspetta. L’ispettore non era di buon umore già prima di arrivare: una notte di cattivo sonno non facilita i rapporti con il mondo, tanto meno se è la seconda di seguito e uno già di natura non ha quello che si definisce “un buon carattere”. La convocazione non migliora la situazione.

Il commissario è chiaramente irritato. Ne ha buon motivo: due omicidi, le indagini che non procedono e adesso è sparita pure la signora Burzio! Oltre tutto il commissario sa benissimo che se avesse trattenuto la signora, come chiedeva Ferraris, adesso non sarebbe scomparsa e questo non contribuisce a migliorare il suo umore.

Il motivo contingente della convocazione è però un altro e viene fuori subito:

- Volturno mi ha nuovamente chiesto di essere spostato.

Ferraris non si stupisce e si rende perfettamente conto che non c’è altra via d’uscita: è l’unica soluzione. Lavorare con Michele è una fonte di continua tensione e non intende proseguire così, facendo male a se stesso e all’agente.

Risponde, con un tono il più possibile neutro, simulando indifferenza:

- Sì, credo che sia la cosa migliore.

Il commissario lo guarda, respira a fondo e replica:

- Veramente due settimane fa lei mi ha detto il contrario.

Ferraris si incazza come una iena. Sì, lui ha detto il contrario, ma è libero di cambiare idea o in questo cazzo di commissariato chi esprime un’idea deve tenersela per tutta la vita, magari scriverla su un cartello, attaccarsela al culo e andare in giro così?

Ovviamente non può rispondere come vorrebbe, per cui, cercando di mantenere il tono indifferente con cui ha risposto prima, replica:

- È lei a decidere. Io mi sono limitato a esprimere un’opinione.

- Io ho deciso. Gli ho detto di no. Lui allora mi ha presentato le dimissioni.

Le dimissioni? Per il culo di Satana! Per il cazzo di Satana! Per i coglioni di Satana! E per tutto quello che Satana può avere di appetibile, nonché per le budella di Satana e per le corna di Satana, che Michele possa lasciare la polizia non gli è passato per la testa. Merda!

L’ispettore non dice nulla. È il commissario a riprendere:

- Volturno è un elemento eccellente, me lo ha detto anche lei ed è il giudizio unanime di tutti quelli che hanno lavorato con lui. Non mi va per niente che se ne vada dalla polizia. Però non posso accettare ricatti. Per cui accetterò la sua domanda di dimissioni. A meno che…

Ferraris non dice nulla. Quell’a meno che non gli piace neanche un po’. Quell’a meno che del cazzo gli incombe sopra la testa come la classica spada di Damocle. E, come l’ispettore ha intuito, il sottile filo che tiene sospesa la spada, si rompe e la lama gli cade addosso. Infatti, senza lasciarsi scomporre dal silenzio di Ferraris, il commissario conclude:

- … a meno che non gliele faccia ritirare lei, visto che mi sembra di capire che ci sia un problema di rapporti.

Dice bene il capo. È un problema di rapporti. Ma come spiegarlo al capo (non che Ferraris ci tenga) e soprattutto a Volturno?

- Mi dia quelle dimissioni.

- Che cosa vuole fare?

“Pulirmici il culo, per la merda di Satana”, vorrebbe rispondere Ferraris, ma, dando prova di un autocontrollo di cui molti non lo riterrebbero capace, dice invece:

- Chiederò a Volturno di ritirarle.

- Triplo O.K. Sapevo di poter contare su di lei.

“In culo a te e al tuo triplo O.K. di merda, stronzo, va’ a berti il piscio di Satana”, pensa Ferraris, mentre risponde, con lo stesso tono indifferente:

- Certo, signor commissario.

È incredibile di quanto autocontrollo sia capace Ferraris!

 

  27

 

Ferraris esce dall’ufficio del commissario in uno dei suoi umori migliori e chi lo vede scopre immediatamente di avere un impegno urgentissimo da un’altra parte. Meglio non trovarsi sulla strada di Ferraris quando ha quella faccia.

Ferraris si dice che quelle dimissioni Volturno le ritirerà, oh, se le ritirerà! Ci penserà lui a fargliele ingoiare.

Se fosse più sicuro di farcela, non se lo ripeterebbe. Ma non è per niente sicuro.

Lo fa chiamare e lo riceve in piedi, di fianco alla scrivania.

- Siediti.

La voce dell’agente è fredda, chiaramente ostile. Non cerca di nascondere le sue emozioni:

- Non occorre. Mi dica quello che vuole.

Ferraris guarda Volturno, la tensione sul suo viso, il pallore. Quel ragazzo sta dando un calcio al suo avvenire e quella decisione del cazzo la prende per colpa sua.

Come al solito, fa ricorso alla rabbia per chiudere la porta alle emozioni che lo stanno sommergendo.   

- Che cosa conti di andare a fare, per il culo di Satana? Scaricare casse di pomodori ai mercati generali? O il buttafuori in una discoteca, stronzo?

Volturno risponde a muso duro:

- Sono affari miei. Se è solo di questo che vuole parlarmi, me ne vado.

- Per il culo di Satana, tu stai qui finché te lo dico io.

L’agente si volta e si dirige alla porta. Con un movimento rapido l’ispettore lo intercetta prima che arrivi.

- Per il culo di Satana, Volturno! Di qui non esci fino a che non ti mando via io. Siediti.

Volturno lo guarda diritto negli occhi mentre risponde:

- Mi lasci passare, ispettore. Non si è divertito abbastanza con me? Si trovi un’altra vittima per il suo sadismo da quattro soldi.

Ferraris sente l’impulso di colpirlo. Poi chiude gli occhi e prende atto che è inutile continuare a fingere di stare camminando su un terreno solido: da tempo sta precipitando.

Parla e non c’è più rabbia, né arroganza, nella sua voce.

- Siediti, Michele, ti devo delle scuse e qualche spiegazione e ho bisogno di dartele.

- Ispettore, se è un altro dei suoi luridi giochetti, com’è vero Iddio, le spacco la faccia.

Ferraris sorride, scuotendo la testa.

- Non lo è. Siediti, Michele, per favore.

Michele si siede e Ferraris si abbandona su una sedia davanti a lui. Respira a fondo e si tuffa.

- Comincio dall’inizio. Su quella prima volta, a casa mia, non ho scuse da darti. Sapevi benissimo che per me lavoro e scopate vanno su due binari diversi e ci hai provato. Ti ho dato una lezione, pesante, ma non immeritata. Potevo anche dirti semplicemente di non provarci, ma volevo essere sicuro che capissi. E poi, come hai detto tu, sono cafone.

Michele non dice nulla, ha una maschera di indifferenza sul viso.

- Il giorno dopo… me lo potevo risparmiare, lo so benissimo: ma ero ancora incazzato perché tu ci avevi provato. O forse perché tu ci avevi provato e io non potevo fare niente con te, ma questo non ha importanza. Ti chiedo scusa per quella volta.

Michele continua a tacere.

- Quando hai chiesto di essere cambiato, non ho voluto dartela vinta. È stato un errore. Poi, lavorando insieme, ho avuto modo di apprezzarti, ogni giorno di più. Come compagno di lavoro, ma anche come persona. Mi dicevo che lavoravo bene con te, che con te si poteva parlare, che eri proprio bravo, che eri proprio…

La maschera di Michele è sempre la stessa, l’agente è pronto a scattare se vede un trabocchetto.

- Non ho capito che cosa mi stava succedendo, neppure quando mi hai raccontato dei tuoi genitori. Sono rimasto colpito, molto, ma non ho capito.

Ferraris si rende conto che Michele è meno diffidente, anche se la sua espressione è appena cambiata.

- Poi hai incominciato a parlarmi di quando eri dai tuoi zii. Mi dicevi cose che ti avevano fatto soffrire e mi sono reso conto che facevano soffrire anche me.

Ci sta arrivando e ormai non può più fermarsi. Non ha il diritto di farlo. Per Michele, ma anche per se stesso.

- Mi facevano stare male e ho capito che cazzo mi stava succedendo.

Un’ultima breve pausa.

- Ho capito che stavo di nuovo innamorandomi. Non lo volevo e quel giorno ho cercato di fermarti, in un modo idiota. Sai come sono fatto, sono delicato come un elefante in una cristalleria. Poi volevo scusarmi, ma non trovavo le parole. Non volevo umiliarti, Michele, non mi passava nemmeno per la testa.

Michele lo guarda, non c’è più la maschera, c’è confusione. Ma ancora non sa se credergli o no.

- È un bene che tu abbia presentato le dimissioni. Mi hai costretto a parlare. A dirti che, in barba a tutte le regole che mi sono dato e… a tante altre cose che non è il caso di raccontarti qui e ora, mi sono innamorato di uno dei miei agenti.

- È la verità?

Ferraris sorride. Allarga le braccia. Che cosa può rispondere?      

C’è un momento di silenzio, un lunghissimo momento in cui rimangono lì a guardarsi senza dire mezza parola. Poi Michele sorride, o forse ghigna, e dice:

- Vediamo se è vero. Si spogli, ispettore.

Ferraris lo guarda, senza capire.

Spogliarsi. Penserà mica che lui intenda scopare in ufficio, in orario di lavoro… Vuole rendergli la pariglia? Farlo spogliare e poi aprire la porta e far vedere a tutti Ferraris nudo, con l’uccello in tiro come un satiro (perché, ahimè, anche se non è il momento, non è proprio il momento, a guardare Michele seduto davanti a lui, gli è venuto duro). O vuole soltanto umiliarlo dopo averlo fatto spogliare, come ha fatto lui? E va bene, se è questo che vuole, che lo faccia.

Ferraris guarda Michele, annuisce, si alza e va a chiudere la porta a chiave.

Poi, senza smettere di guardare in faccia Michele, si spoglia. Giacca, cravatta, camicia, canottiera, scarpe, calze (sempre prima le calze e poi i pantaloni, un uomo in calze e mutande è ridicolo) e infine le mutande, mettendo in mostra un’eloquente dichiarazione, se non d’amore, almeno di forte interesse. 

Anche se gli dà sui nervi ammetterlo, il cuore gli batte forte, perché da quello che succederà ora, dalla reazione di Michele dipende molto, più di quanto Ferraris abbia voglia di riconoscere di fronte a se stesso.

Michele lo guarda, attentamente, dalla testa ai piedi, come Ferraris ha fatto con lui quella fottuta volta a casa sua, poi si alza, gli si avvicina e gli dice:

- Sei bellissimo, ispettore, e temo proprio di essermi innamorato anch’io. Di un cafonaccio come te, ma si può?

Poi gli prende la testa tra le mani e lo bacia sulla bocca.

Ferraris si chiede da quanto tempo non ha baciato un uomo. E poi non si chiede più niente perché la sua lingua sta entrando nella bocca di Michele, le sue braccia stanno stringendo il corpo di Michele, poi le sue mani stanno spogliando Michele.

Non è come nel film che Ferraris si è proiettato nella testa lunedì scorso: dura più a lungo, ci sono molte variazioni sul tema, e soprattutto è molto, molto meglio. Ma a un certo punto succede quanto Ferraris aveva immaginato: lui viene dentro Michele e Michele viene con lui.

 

  28

 

Ferraris appoggia i piedi sulla scrivania e fa il punto della situazione.

Aveva deciso di non farsi fregare un’altra volta dall’emerita cazzata dell’amore e ora c’è dentro almeno fino… fino alla vita, perché a tutto quello che c’è al di sotto della vita non ha più nessuna possibilità di far intendere ragione.

Aveva giurato di non dare mai più a qualcuno il potere di fargli del male come lo aveva dato ad Andrea. Ha appena finito di ripetere a Michele che lo ama.

Ha sempre mantenuto come regola che lavoro e sesso sono due cose ben separate e ha appena scopato con un suo subordinato. Peggio, ha scopato nel suo ufficio, in orario di lavoro.

C’è altro? C’è qualche punto su cui non ha mandato a monte le proprie regole, a parte quella di usare sempre il preservativo? No, niente da aggiungere. Niente, se non che si sente maledettamente felice.

 

La felicità di Ferraris dura poco. O almeno, quel completo benessere che lo avvolge, svanisce molto in fretta, all’arrivo di un pacco. Prima ancora che la scatola venga controllata e aperta, Ferraris si dice che non ordinerà mai più nulla via Internet, perché ormai al solo pensiero di ricevere un pacco gli viene l’orticaria. Come dargli torto?

E in effetti anche questa scatola contiene una testa, quella della signora, anzi: della vedova Burzio.

Il commissario è fuori di sé, nella riunione che si tiene in sezione il clima è pesantissimo. Ormai sono sotto assedio: stampa, radio, televisioni, internet, tutti non hanno altro da fare che occuparsi degli omicidi di Torino e questo terzo delitto in due settimane aggiungerà altra benzina sul fuoco (Ferraris si dice che con quel che costa la benzina, si potrebbe usarla meglio, ad esempio per dare fuoco ai giornalisti o almeno al commissario).

- Questo caso va risolto, a ogni costo.

Ferraris squadra il suo superiore e dice quello che pensa:

- Commissario, se ci avesse lasciato mettere sotto torchio la Burzio, quando era qui in commissariato, ora avremmo un cadavere in meno e molte informazioni in più. Diciamo che con ogni probabilità il caso sarebbe stato risolto.

L’uscita di Ferraris, sarà per la delicatezza con cui è formulata, sarà perché colpisce nel segno, non contribuisce a migliorare il clima. Il commissario risponde, gelido:

- Con i se non troviamo il colpevole.

Orsini propone:

- Verifichiamo all’ufficio postale da cui è stato spedito il pacco.

Ferraris non dice niente. Ci pensa la collega Cumino a esprimere quello che pensano tutti (tutti quelli dotati di cervello, quindi non Orsini):

- Lo faremo, ma è inutile: di certo l’assassino ha usato la stessa tecnica della volta scorsa.

Ferraris, ora che si è tolto il sassolino dalla scarpa con la frecciata al commissario, diventa più propositivo:

- Dobbiamo perquisire casa Burzio. La soluzione degli omicidi si trova là, questo è sicuro. Madama non si aspettava di essere ammazzata, non è neanche ripassata da casa dopo essere venuta qui. Con ogni probabilità tra le sue cose troveremo qualche elemento utile.

- Va bene, Ferraris, se ne occuperà lei.

Ormai il commissario può mandare l’ispettore Ferraris, tanto non c’è più nessuno da trattare con finezza a casa Burzio.

Quando la riunione si scioglie, il commissario gli dice:

- Ispettore, o risolve questo caso o la prossima testa che salta sarà la sua.

Il commissario non sa che le sue parole sono davvero profetiche.

 

Quando, ottenuto il mandato per la perquisizione, Ferraris esce dal commissariato, la notizia è già stata comunicata alla stampa.

Ferraris si dice che i giornalisti esulteranno perché un’altra prima pagina è assicurata: dall’Alpi alle Piramidi, sembra che nessuno abbia altro da fare che occuparsi del maniaco di Torino (ahimè, anche dal Manzanarre al Reno: del caso si parla in mezza Europa, le teste tagliate non sono più così frequenti dai tempi della Rivoluzione francese e destano un certo interesse anche a Parigi, Berlino, Londra, Madrid, Mosca e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Pure sul New York Times è apparso un articolo sul misterioso caso dei decapitati di Torino, ma era solo un titolo di taglio medio in una pagina interna).

Anche Ferraris si occupa del maniaco di Torino e questo è più che sufficiente per metterlo di pessimo umore. Se non fosse che ha Michele accanto a sé, probabilmente avrebbe già sbranato qualcuno. Ma la presenza di Michele ha su di lui un effetto tonificante (nonché rassodante, ma questo solo su un’area molto precisa, che ormai sembra diventata un sensore per la presenza di Michele).

Ferraris guarda il suo poliziotto preferito mentre questi raccoglie alcune carte e avrebbe voglia di saltargli addosso, davanti a tutti. Non può farlo, per cui si limita a dirgli:

- E muoviti, Michele, sei lungo come la quaresima.

Lo ha chiamato per nome e va bene così. Che i loro rapporti siano migliorati, è chiaro a tutti. Quanto siano buoni ora, probabilmente nessuno lo sospetta e in ogni caso nessuno intende porre domande indiscrete. Nessuno ama finire squartato.

 

  29

 

La perquisizione a villa Burzio è condotta da Ferraris. Ci sono Michele e altri quattro agenti. Ciò che interessa di più a Ferraris è la camera della signora Burzio: se ci sono elementi significativi, sono sicuramente lì.

L’agenda con i numeri di telefono servirà per i controlli del caso. La cameriera dice che la signora Burzio aveva anche un’altra agendina, che teneva sempre in borsa: su quella non c’è da contare.

La cassaforte non contiene niente di utile: gioielli, denaro, libretti degli assegni.

Anche l’esame della scrivania non sembra offrire molto, fino a che dal terzo cassetto non salta fuori una grossa busta gialla. Ferraris l’apre e sussulta. Dentro vi sono parecchie fotografie. In tre si vede il defunto Enea Burzio che entra in una casa. Ferraris conosce benissimo la porta di quella casa e saprebbe anche dire il nome scritto sul campanello a cui Enea Burzio deve avere appena suonato per farsi aprire: il nome della sauna in cui Ferraris ogni tanto si reca, quella dove lui ha conosciuto la seconda vittima dell’assassino. In altre foto Enea Burzio esce da quella casa. Non è solo, ma in compagnia di un uomo sui quarant’anni.

Accanto alle foto, il rapporto di un’agenzia investigativa privata. Poche parole, precise: risulta che Enea Burzio frequentava abitualmente, di solito il mercoledì pomeriggio, quella sauna.

Ferraris pensa che anche lui è andato in sauna di mercoledì, quando ha incontrato la seconda vittima.

     

Mercoledì 15 giugno è entrato alle 16.20 ed è uscito alle 16.36 – un quarto d’ora dopo essere entrato, si dice Ferraris, quindi non deve aver scopato - in compagnia di un uomo, la cui identità abbiamo appurato in seguito: Yuri Macrì, di professione operaio, sposato, con tre figli. Con l’auto dell’uomo il signor Burzio ha raggiunto la residenza di Yuri Macrì, in Via dei Mughetti 15, alle 17.02. Sono saliti e sono ridiscesi alle 17.35. Yuri Macrì ha riaccompagnato il signor Burzio all’ingresso del parcheggio sotterraneo dei giardini Lamarmora, dove il signor Burzio aveva lasciato l’auto. Il signor Burzio ha aspettato che Macrì si fosse allontanato per scendere e ritirare la propria auto.

 

Ferraris si siede e intanto il suo cervello si mette al lavoro. Non ci vuole molto a far combaciare i pezzi. Dopo aver maledetto mentalmente il gestore della sauna che ha fatto finta di non conoscere Burzio come cliente (ovviamente per evitare noie) e avergli augurato tutta una serie di morti atroci, alcune delle quali descrivibili solo in un romanzo horror, Ferraris incomincia a esporre a Michele le conclusioni a cui è giunto: confrontarsi con qualcuno gli serve per verificare quanto sia verosimile la sua ricostruzione dei fatti. Il suo agente preferito è la persona giusta, perché ha una gran bella testa, non solo sul piano estetico (su quello, difficile che qualcuno non sia d’accordo), ma anche su quello intellettivo.

- La signora Burzio aveva qualche sospetto sul marito o forse voleva soltanto pararsi il culo nel caso lui avesse chiesto il divorzio. Ha affidato l’incarico di sorvegliarlo a un’agenzia investigativa, che ha svolto con cura il suo compito e ha scoperto che Burzio frequentava una sauna gay.

- Sì, certo. Ritiene che questo c’entri con gli omicidi?

- C’entra, Michele, la sauna è il bandolo della matassa. Burzio è stato ammazzato lì. No, non ammazzato lì, certamente, ma l’assassino l’ha adescato lì. Burzio è scomparso di mercoledì pomeriggio.

- Sì, è possibile, ma non possiamo dirlo con certezza.

Ferraris lo interrompe:

- Possiamo, Michele. Anche la seconda vittima è stata adescata in sauna.

- Come fa a dirlo, ispettore?

- Perché in quella sauna, con quel ragazzo, avevo scopato io, quel mercoledì pomeriggio.

Michele rimane un momento a bocca aperta, poi sorride e dice:

- Per il culo di Satana, se mi permette, ispettore…

Ferraris sorride, guarda il sorriso di Michele e gli viene voglia di baciarlo, ma non è il caso di farlo ora.

- L’assassino mi ha visto. È tornato in sauna per qualche motivo, anche se non capisco perché.

Volturno riflette.       

- Vediamo un po’, se la signora Burzio ha detto all’assassino che suo marito andava in quella sauna e lui ha deciso di rimorchiarlo lì… Deve essere andato anche altre volte. O conosceva già l’ambiente, ma ne dubito, se era l’amante della Burzio

- Chi ti dice che fosse l’amante della Burzio? Può essere un assassino prezzolato.

- Sì, è possibile, anche se non mi vedo molto la Burzio che si mette a cercare un killer per uccidere il marito. Ma se così fosse, perché si è spaventata tanto quando le abbiamo detto che l’assassino di Nela era lo stesso che aveva ucciso il marito? Se aveva pagato un killer, a lei che gliene fregava? È più probabile che abbia parlato della faccenda all’amante e che insieme abbiano deciso di far fuori Burzio. Per quello si è spaventata quando ha saputo che l’assassino continuava a uccidere. Comunque l’assassino è tornato dopo aver ucciso Burzio. Perché? Forse perché, se si era finto un cliente abituale, qualcuno si sarebbe potuto stupire non vedendolo più?

- In una sauna gay, Michele? Ma ci sei mai stato? Qualcuno può anche notare che un tizio non viene più, ma di certo non va alla polizia a raccontarlo. Hanno tutti paura che gli si veda anche solo l’ombra.

- Sarà così, ispettore, ma se l’assassino è andato lì solo per uccidere Burzio, può non saperlo. Oppure ha scoperto che quel che si faceva nella sauna gli piaceva. In ogni caso è tornato. E ha visto lei.

Ferraris annuisce:

- Mi ha visto e ha deciso di sfidarmi. Ha aspettato che io avessi finito con il ragazzo e gli si è avvicinato.

- Ma come faceva a conoscerla?

- C’era la mia foto sulla Stampa, fottuti giornalisti! E un assassino compra il giornale, per vedere che cosa dicono del suo delitto, per capire se corre dei rischi o anche solo perché gli tira a sapersi al centro dell’attenzione.

- Non potrebbe invece averla seguita quando lei è andato alla sauna? Perché in questo caso la ricostruzione crolla.

- No, lo escludo. Mettersi a seguire un ispettore? L’assassino che staziona sotto casa mia in attesa che io esca? Poco probabile. Comunque possiamo verificare in fretta. Se Burzio è stato ucciso da qualcuno che lo ha contattato in sauna, la sua auto è probabilmente in quello stesso parcheggio in cui la lasciava ogni volta.

Michele annuisce. Com’è andata, è chiaro. Per verificare se l’auto c’è, basterà scendere al parcheggio. Anche l’ultima parte della storia non è difficile ricostruirla. Ferraris la riassume in poche parole:

- Dopo di che, quando la signora ha saputo della seconda testa, le è venuto il dubbio che l’assassino fosse lo stesso, come affermavano i giornali. Quando tu gliel’hai confermato, è corsa dall’uomo, concordo con te, dev’essere il suo amante, non un killer assoldato per l’occasione, per avere spiegazioni. Probabilmente le spiegazioni non le sono piaciute…

- O forse, ispettore, è quello che ha detto lei che non è piaciuto all’assassino: se questo tizio ha ucciso Burzio convinto che la vedova magari lo sposasse o lo mantenesse, quando ha visto che lei non ne voleva più sapere di lui, l’ha uccisa.

Ferraris annuisce.

- Sì, molto probabile. E a questo punto tutto è chiaro, ci manca solo un piccolo dettaglio: chi è l’assassino. E come facciamo a trovarlo.

Effettivamente, molti elementi in mano non li hanno. Può darsi che l’agenda telefonica che la signora Burzio teneva a casa contenga anche il nome dell’assassino: bisognerà controllare tutti i numeri e gli alibi dei possibili assassini, ma l’agendina personale era nella borsa della signora Burzio. È probabile che il numero dell’amante fosse solo in quella. O magari che fosse registrato soltanto nella rubrica del cellulare.

Vanno al parcheggio sotto i giardini Lamarmora. La Cayenne di Burzio, che hanno cercato per mezza Torino, è lì, in un angolo poco visibile. In ogni caso parecchia gente deve esserci passata davanti, ma nessuno l’ha notata. O almeno, nessuno si è preso la briga di telefonare alla polizia.

Ferraris guarda l’auto, scuote la testa e come al solito chiama in causa Satana e il suo fondoschiena. Avvisa il commissariato, poi si rivolge al suo agente preferito:

- Adesso dobbiamo pensare a Macrì, Michele.

- Pensa che questo Macrì possa essere coinvolto? Che la Burzio si sia rivolta a lui?

Michele appare molto scettico. Ferraris concorda con lui:

- No, di sicuro no. Ma dobbiamo verificare. Magari ci potrà dire qualche cosa di più.

Non è che Ferraris ci conti molto, ma bisogna percorrere tutte le strade. Qualche elemento utile può sempre saltare fuori.

 

  30

     

È ormai sera quanto arrivano alla casa dove abita Yuri Macrì. Un rapido controllo ha confermato che l’indirizzo fornito dall’agenzia investigativa è ancora valido.

Macrì abita alle Vallette. Dalla collina dei Burzio alle Vallette di Macrì ci sono alcuni chilometri, ma la distanza reale è enorme, come se fossero due continenti diversi, due mondi che non comunicano. Ferraris si dice che forse a Burzio piacevano i proletari: non è raro tra i ricchi. E non solo tra i ricchi.

La casa è in condizioni discrete: non ci sono segni evidenti di degrado. Burzio sta al terzo piano. Salgono, individuano la porta giusta guardando i nomi accanto ai campanelli e suonano.

Viene ad aprire una donna sui quaranta, alquanto prosperosa. Dando una rapida occhiata a quello che gli appare un ammasso di carne flaccida, Ferraris si dice che il marito non può che detestare il genere femminile. Non lo dice (finezza!) e si presenta.

- Sono l’ispettore Ferraris.

- Che cosa volete? È successo qualche cosa? Maria… Maria, figlia mia!

Ferraris non sa se la donna stia chiamando la figlia o se sia spaventata perché pensa che la figlia abbia avuto una disgrazia. L’ipotesi giusta è la seconda, perché la donna chiede:

- Che è successo a Maria? Dov’è?

- Non siamo venuti per sua figlia. Dobbiamo parlare con il signor Yuri Macrì. È in casa?

La donna è ancora agitata. Cambia solo l’oggetto della sua agitazione.

- Che è successo? Mio marito non ha fatto nulla…

Ferraris sta diventando impaziente (la pazienza di cui è stato provvisto alla nascita è in quantità molto limitata, come i lettori hanno sicuramente già capito) e la interrompe, con la consueta delicatezza:

- Le ho chiesto se è in casa. Qui le domande le faccio io.

La donna si blocca, intimorita dal tono di Ferraris. Poi risponde.

- C’è, ma…         

- Lo chiami!

Non occorre chiamarlo. Yuri Macrì è uscito da una stanza e si affaccia anche lui alla porta. Ferraris lo riconosce immediatamente dalle fotografie. Sui quaranta anche lui, capelli brizzolati, barba e baffi ancora neri. Non male, bisogna riconoscerlo, ma certamente non raffinato. In ogni caso, completamente diverso dal tipo di persone che Burzio doveva frequentare abitualmente, ma forse a letto gli piacevano i proletari. 

- Polizia, signor Macrì. C’è un posto in cui possiamo parlare tranquilli, qui dentro?

Ferraris non ha nessuna intenzione di sputtanare l’uomo di fronte alla moglie e alla figlioletta che sta arrivando anche lei (altri due si affacciano poco dopo: anche se gli piacciono gli uomini, Macrì con la moglie si dà da fare).

- Ma io non ho fatto niente…

- Per il culo di Satana, questo lo vedremo. Vieni giù. Parliamo in auto.

La signora fa per aprire bocca, ma Volturno la blocca:

- Non si preoccupi. Abbiamo bisogno di fare qualche domanda a suo marito.

Ferraris grugnisce un “Vieni” che non ammette repliche.

Scendono a piedi, Ferraris non sopporta l’affollamento in ascensore. L’uomo è visibilmente spaventato.

- Ma perché? Io…

Ferraris lo interrompe, brusco:

- Sta’ tranquillo, vogliamo solo farti qualche domanda. Non è neanche un interrogatorio. Decidiamo poi se devi venire con noi in commissariato.

Il finto incoraggiamento serve solo a far capire al tizio che se non collabora rischia grosso.

Salgono in macchina: Ferraris non vuole che qualcuno affacciato a una finestra possa sentire.

- Commissario, io…

- Io non sono commissario e tu parli quando te lo dico io.

L’uomo ammutolisce.

- Tu conoscevi Enea Burzio.

L’uomo apre la bocca sgomento.

- No, io no.

- Non è una domanda.

- Commissario, le giuro…

Ferraris non lo lascia finire.

- Per il culo di Satana, la pianti di chiamarmi commissario? Non farmi perdere tempo e non farmi girare i coglioni. Tu con Enea Burzio ci scopavi.

L’uomo sussulta, come se Ferraris gli avesse mollato un ceffone. Poi china la testa e dice:

- No, commissario, no, una volta sola e non sapevo chi era quello, credevo che era un impiegato, l’ho scoperto solo quando ho visto il telegiornale.

- Quando è stato?

- All’inizio dell’estate, sarà stato giugno.

Ferraris annuisce.

- Sì, una volta è stato il 15 giugno, nel pomeriggio.

L’uomo rimane a bocca spalancata, incapace di parlare.

- Come vedi, sono informato. Se non mi dici la verità, tutta la verità, ti cacci nei guai. Guai grossi. Si tratta di un omicidio. Anzi: di tre omicidi.

L’uomo sembra disperato.

- L’ho incontrato in una… sauna.

- Sappiamo che razza di sauna è. Perché vai in quella sauna? Ci sono posti in cui puoi trovare qualcuno con cui scopare senza dover pagare.

- Una volta, in piazza d’Armi mi hanno menato. E un’altra volta, al Valentino, c’è mancato un pelo che mi accoltellavano. Non vado spesso, non ho i soldi, vado sì e no una volta al mese.

Ferraris annuisce. Macrì sta raccontando la verità, su questo non ha dubbi. E quello che gli dirà non servirà a nulla, anche di questo è sicuro. Tutto ciò non contribuisce a migliorare il suo umore. E dire che ci vorrebbe così poco, ma il mondo è davvero poco collaborativo.

- Bene, raccontami tutto di quel pomeriggio.

- Io lo vidi seduto che guardava il film, sa uno di quei film...

- Un film porno, lo so, va avanti.

L’uomo respira a fondo e Ferraris si chiede se ‘sto coglione non si metterà pure a piangere. Ci mancherebbe solo questa!

- A me non piace, lì in sauna. Gli dissi se voleva venire a casa mia. Mia moglie era andata giù con i bambini. Lui mi disse che sì, ma aveva la macchina in riserva. Allora usammo la mia.

- E poi?

- E poi venimmo qui. Qui…

- Avete scopato.

L’uomo annuisce.

- Come?

Macrì guarda Ferraris senza capire. Ripete:

- Come…?

- Sì, per il culo di Satana, come, in che modo? Che cosa piaceva fare a Enea Burzio?

Ferraris non è sicuro che questo dettaglio sia importante, ma a questo punto è bene raccogliere tutte le informazioni.

Macrì è in imbarazzo mortale.

- A lui piaceva… prenderselo.

- Farselo mettere in culo? Tutto lì?

Macrì annuisce.

- Sì.

- E poi?

- E poi gli offrii il caffè e lo riaccompagnai alla sauna.

Inutile insistere. Non c’è altro.

- Non l’hai mai più rivisto?

- No, commissario, le giuro, io non so niente. Se mia moglie lo sa, io posso ammazzarmi, commissario, la prego...

Il “commissario” dà fastidio a Ferraris, ma Macrì gli fa pena e non ha nessuna intenzione di metterlo sulla graticola solo perché è gay.

- Va bene, se hai detto la verità, la faccenda finisce qui e non ci rivediamo più. Inventati una scusa con tua moglie. Se salta fuori che non hai detto tutto quello che sapevi, ma proprio tutto…

Ferraris non completa la frase: non è necessario.

- Commissario, lo giuro, non so altro.

Sì, Macrì non sa altro e sentirlo non è servito a molto. Bisognerebbe capire se a Burzio piacevano i tipi un po’ grezzi, alla Macrì, o se aveva gusti molto variegati. Per capire come può essere l’assassino che lo ha adescato.

 

  31

 

La giornata è finita. Nel suo ufficio Ferraris contempla Michele. Non è un’estasi mistica (anche se ci è abbastanza vicino), perché il rigonfio nei pantaloni dimostra con assoluta eloquenza che Ferraris rimane molto legato alla terra.

- Sei impegnato, questa sera, Michele?

Michele sorride e quel poco di autocontrollo che Ferraris ancora possiede svanisce.

- No, ispettore.

- Bene, allora che ne diresti se andassimo a mangiare da me?

Michele sorride, ironico:

- Dipende, lei è un buon cuoco?

- Decente e comunque, se il pasto non è il massimo, c’è sempre il dessert.

Michele annuisce, poi dice:

- Ma questa volta ti spogli prima tu.

Michele passa spesso dal lei al tu o viceversa. Davanti agli altri o anche quando sono da soli, ma si parla di lavoro, continua con il lei. Ma talvolta usa il lei anche quando non parlano di lavoro, senza una logica precisa.

Ferraris si avvicina a Michele, lo spinge contro la porta dell’ufficio e lo bacia, spinge la lingua nella sua bocca con forza, gli stringe il culo con le dita. Poi, con uno sforzo di volontà, si stacca. Rischia di venire qui e ora. E venire nelle mutande quando uno può farlo nel culo di Michele, sarebbe davvero idiota.

Raggiungono la casa dell’ispettore, dove non ci sarà nessun dessert, perché quando arrivano, il desiderio deborda e quanto previsto come dessert diventa antipasto: non bisogna essere troppo rigidi nell’ordine delle portate, nella haute cuisine le regole tradizionali vengono spesso ignorate.

Poi, a ora ormai piuttosto tarda, Ferraris si mette ai fornelli e rimedia una cena che forse non meriterebbe due stellette (temo neanche una), ma che a Michele (meno esigente della quasi omonima Michelin) va benissimo.

Dopo cena parlano di nuovo del caso Burzio: il classico problema delle coppie che lavorano nello stesso posto e non riescono mai a staccare completamente.

Il punto è, ovviamente: come arrivare all’assassino?

A un certo punto Michele dice:

- Ispettore, ho un’idea.

- Sentiamo.

- Magari quello alla sauna ci torna, di mercoledì. Il gioco gli piace.

- Difficile, lui sa che io so che era in sauna mercoledì scorso. Non è tanto ingenuo da riprovarci.

- Forse, ma secondo me ci sta prendendo gusto a sfidare la polizia. Per quale altro motivo inviare di nuovo il pacco con la testa? Secondo me, quando ha capito che non sarebbe riuscito a realizzare i progetti che aveva in mente con la Burzio, ha deciso di proseguire con la sfida.

- E se anche fosse? Che facciamo? Un’incursione in sauna mercoledì? Schediamo tutte le persone che ci sono e facciamo indagini, per poi scoprire che il nostro bravo assassino non si è visto?

Michele scuote la testa:

- No, gli tendiamo una trappola.

- Come?

- Andiamo in sauna, noi due, separatamente. Fingiamo di incontrarci lì, per caso, scopiamo.

Michele fa una pausa e sorride.

Ferraris grugnisce e annuisce. Non sa se il progetto può funzionare o meno, ma quella parte gli piace. Michele riprende:

- Poi lei se ne va. E io rimango. Vediamo se qualcuno si avvicina.

- Tutti si avvicinano a uno come te, Michele. Avrai tutti i maschi della sauna che ti ronzano intorno, topi e scarafaggi compresi. Ma ti sei mai visto allo specchio?

Michele non bada all’obiezione e prosegue con il suo piano:

- Io non baderò a nessuno. L’assassino in qualche modo insisterà, non gli parrà vero. Se è quello giusto, mi proporrà di andare da un’altra parte. Io nicchierò, dirò che preferisco consumare sul posto. Se è lui, insisterà.

Ferraris aggrotta la fronte e avanza la sua obiezione:

- E se invece dice che gli va bene consumare sul posto?

Michele sorride, un sorriso chiaramente provocatorio.

- Mi sacrifico per il bene dell’indagine…

Ferraris grugnisce il suo disaccordo.

- …o mi invento qualche scusa.

Ferraris storce la bocca. Michele riprende:

- Allora, che ne dice?

Ferraris riflette un buon momento.

- Sì, l’idea è buona. Con ogni probabilità non servirà a nulla perché l’assassino non sarà lì. Ma se l’assassino ci va e davvero ti contatta, l’idea è pericolosa. Buona, ma pericolosa.

Maledettamente pericolosa. Ferraris non ha nessuna voglia di vedersi recapitare la testa di Michele.

- C’è qualche altra soluzione?

- Questo si chiama giocare sporco. Sono tre ore che stiamo dicendoci che non ci sono vie d’uscita!

- E allora proviamo questa.

Ferraris grugnisce, poi riprende:

- Dobbiamo comunque aspettare mercoledì, visto che è il giorno degli omicidi.

- Il da fare non ci manca.

No, il da fare non manca. Controllo delle conoscenze della signora Burzio, esame dei diversi materiali ottenuti durante la perquisizione in casa Burzio, eccetera. Tutto probabilmente inutile, ma da fare.

Non rimane che aspettare: è venerdì sera e prima di mercoledì possono saltare fuori tanti elementi nuovi, per cui non occorrerà mettere in atto il piano ideato da Michele.

L’agente guarda l’orologio e dice:

- È quasi l’una. Ora che vada a casa.

Ferraris non fa nulla per trattenere Michele, anche se… anche se…

Si limita a dire:

- Quando ci vediamo?

Michele lo fissa.

- Quando vuoi.

La disponibilità di Michele lo spaventa.

- Per me, domani.

Michele annuisce.

- Dimmi a che ora.

Ferraris vorrebbe dirgli che non ha senso che se ne vada a casa, che può fermarsi a dormire lì, tanto domani è sabato e nessuno dei due è di turno, ma è una strada pericolosa e l’ispettore Ferraris non intende percorrerla.

Ferraris propone il pomeriggio, Michele è d’accordo. Lo bacia ancora una volta e poi se ne va. Ferraris vorrebbe corrergli dietro e dirgli di fermarsi, ma si guarda bene dal muoversi.

 

 

     

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Una falsa partenza

 

 

 

 

                  

                                              

                           

 

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