Un regalo di compleanno

 

Questo breve pezzo è stato scritto per il regalo di compleanno di Filippo (il dottor Dadotto del romanzo).

 

 

L’ispettore Ferraris è, strano a dirsi, decisamente di cattivo umore.

I motivi (ammesso e non concesso che Ferraris abbia bisogno di un motivo per essere incazzato) ci sono e sono anche validi.

In primo luogo Michele Volturno, l’agente preferito dell’ispettore, con cui Ferraris condivide le indagini e soprattutto la camera da letto (e altre stanze della casa: si può fare anche sul tavolo da cucina, sotto la doccia, contro il muro dell’ingresso, sulla scrivania, no?), è via da due giorni: mercoledì, proprio mentre i due si apprestavano a provare se riesce bene anche sul tappeto in salotto (dicono di sì, ma Ferraris è un poliziotto, lui vuole verificare personalmente, non si fida delle voci), Michele ha ricevuto una telefonata, che gli annunciava la morte di uno zio, per cui è partito la sera stessa per Napoli. Il risultato è che Ferraris è a stecchetto da tre giorni e questo di certo non contribuisce a metterlo di buon umore: il nostro ispettore è poco incline all’astinenza, nonostante i consigli papali. Vero è che esistono altre possibilità, nel mondo, ma da quando c’è Michele, Ferraris non ha molta voglia di mettersi a caccia, la selvaggina presente sul territorio ha perso molte delle sue attrattive.

L’assenza di Michele ha anche un’altra conseguenza, non meno spiacevole e pure un po’ imbarazzante, che incide sull’umore di Ferraris più ancora della forzata astinenza: da due giorni Ferraris si sveglia il mattino in un letto in cui non c’è nessun altro e in particolare non c’è Michele. E anche se ha dormito da solo per anni ed anni, trovare il letto vuoto, dopo le poche settimane trascorse con Michele, gli mette tristezza. E questo lo fa incazzare, perché lui con questa faccenda dei sentimenti non è mica tanto a proprio agio.

Tanto per peggiorare la situazione, Ferraris ha passato gran parte della giornata con l’infame Strillacci, l’assassino del Museo Egizio, senza riuscire a ricavarne granché: il figlio di buona donna, pur essendo stato incastrato, si rifiuta di collaborare. Questo fetente ha ammazzato pure un funzionario del Ministero della Cultura della Colombia (il che ha provocato noie in alto loco e proteste dal Ministero, come se Ferraris c’entrasse qualche cosa) e non si degna neanche di rivelare qualche dettaglio.

E ora, ciliegina sul gelato (e Dio solo sa se ce n’era bisogno), Ferraris si trova a dover interrogare Filippo Dadotto, il responsabile dell’allestimento della mostra al Museo Egizio: Strillacci (Dio lo strafulmini) lavorava per lui e, anche se una complicità è da escludere, Dadotto deve fornire alcune delucidazioni. Ora, i rapporti tra Dadotto e Ferraris non sono ottimali: Ferraris ha bloccato i lavori di allestimento della mostra, visto che nelle stanze dove c’erano i materiali era stato commesso un omicidio, e Dadotto, invece di apprezzare il periodo di riposo forzato, ha avuto da ridire in continuazione.

E adesso quel farabutto (Ferraris usa un altro termine, ma ci vuole un po’ di autocensura, ci sono già stati cedimenti preoccupanti) si presenta pure in notevole ritardo all’appuntamento. Ormai il commissariato è mezzo vuoto, Francesco, l’agente che avrebbe dovuto verbalizzare, è pure andato a casa, dicendo che non si sentiva bene (in realtà deve prendere un treno per andare a Roma: domani c’è un concerto di Madonna e lui è un fanatico madonnaro). Va bene, Ferraris sentirà il Dadotto e prenderà personalmente qualche appunto, nel caso, improbabile, che quel pendaglio da forca fornisca elementi interessanti. Ferraris si dice che magari, senza testimoni, potrà anche mollargli una sberla o due, tanto per scaricare il nervosismo, ma è solo un’idea (piacevole, comunque).

Dadotto si scusa per il ritardo, adducendo contrattempi dell’ultimo minuto (figuriamoci, che può avere da fare, quello? La mostra è stata allestita), poi aggiunge sorridendo che domani è il suo compleanno (e a me che me ne fotte? – pensa elegantemente Ferraris).

Dadotto è di buon umore, Ferraris no, ma almeno il colloquio procede abbastanza tranquillamente. Verso le otto in commissariato non c’è più nessuno, a parte l’agente di turno, e Ferraris ha finito.

- Ora può andare – dice Ferraris (senza aggiungere “a farsi fottere”: Ferraris sa essere di una cortesia squisita!).

Dadotto non si alza. Guarda Ferraris sorridendo e dice:

- Pensavo che mi invitasse a cena. Per festeggiare il compleanno.

Ferraris grugnisce qualche cosa di non perfettamente decifrabile (sicuramente poco gentile), ma il Dadotto non demorde.

- Sarebbe il minimo, no? Dopo tutto quello che mi ha fatto passare.

Ferraris si dice che quello che lui ha fatto passare al Dadotto è niente rispetto a quello che avrebbe voluto fargli. Sta per rispondere con la sua consueta gentilezza, ma mentre apre bocca, lancia un’altra occhiata al tizio (a cui bisogna riconoscere un certo buon gusto nel vestirsi e la dose giusta di palestra: in effetti di occhiate Ferraris ne ha già lanciate parecchie). Esita un attimo e poi gli sfugge:

- A cena no, ma se vuole un aperitivo…

Negli occhi di Dadotto c’è una scintilla maliziosa: si vede che gli piace prendere l’aperitivo in compagnia.

- Qui?

- Perché no?

E dato che Dadotto non avanza altre obiezioni, Ferraris chiude a chiave la porta dell’ufficio (non c’è nessuno, ma è meglio essere prudenti) e si volta sorridendo. Il buon umore gli è tornato.

 

Quanto Dadotto esce dall’ufficio di Ferraris, sono passate due ore. Il testimone è chiaramente affaticato e zoppica pure un po’ (gli interrogatori di Ferraris sono pesantissimi, questo è durato un’eternità), ma ha un’aria beata…

 

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