I

 

 

1

 

Poche persone a Torino sono entusiaste della mummia come l’ispettore (quasi commissario) Ferraris. Non che lui sia un esperto di egittologia o che abbia il minimo interesse per mummie, vasi canopi, papiri, scarabei e quant’altro si collega all’antica civiltà del Nilo. Al Museo Egizio poi non mette piede da quando era bambino (visita con la classe, terza elementare) e se lo ricorda ancora come una successione interminabile di vetrine polverose e spazi angusti. Se fosse tornato a visitarlo, saprebbe che l’allestimento è stato radicalmente trasformato, ma Ferraris non ha un grande interesse per l’antichità.

Il suo entusiasmo per quel cadavere rinsecchito (ci scusiamo con i lettori e in particolare con gli amanti dell’egittologia: la definizione non è dell’autore, ma dell’ispettore) ha una motivazione che esula dall’archeologia o dalla storia: la mummia, emersa dagli scantinati del museo, sta finalmente conquistando l’interesse dei media e il caso delle teste tagliate, che Ferraris ha da poco risolto rischiando la pelle, sta finalmente abbandonando le prime pagine dei quotidiani e, soprattutto della cronaca locale.

Ferraris, che detesta vedersi sui giornali e in televisione quasi quanto detesta i giornalisti (quelli televisivi e quelli dei quotidiani, Ferraris non fa distinzioni), è ben felice della grande passione cittadina e nazionale per il mistero della mummia: se giornalisti e pubblico si occupano del suddetto cadavere rinsecchito, si riduce l’interesse per i delitti di cui Ferraris ha scoperto il colpevole e l’ispettore, che ha già superato il concorso per diventare commissario, può sperare di ritrovare un po’ di pace.

Perciò in questi giorni la lettura mattutina del quotidiano lo mette di buon umore (evento quanto mai insolito) e oggi Ferraris entra sorridente in centrale. L’agente Petrini che lo incrocia, a vederlo così, il sorriso sulle labbra, ha un attimo di panico.

Diciamo pure che alla contentezza di Ferraris contribuiscono anche altri fattori, tra cui l’attività mattutina a cui si è dedicato con Michele, il suo agente preferito, ancora convalescente (ma non tanto da non potersi dedicare a certe pratiche: l’importante è rimanere a letto il più possibile, il dottore ha detto così, no?). La ferita di Michele è ormai quasi guarita, lunedì prossimo l’agente riprende servizio.

 

In una stanza del commissariato due agenti discutono con l’ispettore Orsini:

- Ma ispettore, secondo lei è vero che è una mummia maledetta?

- Ma certo, a quel tizio hanno spaccato la testa con un colpo alla nuca, poi è stato gettato in un pozzo chiuso da una pietra, ma gli hanno lasciato addosso i gioielli.

Da come Orsini ne parla, si direbbe che l’assassinio sia avvenuto ieri mattina. Probabilmente Orsini sta pensando di intervenire per risolvere il caso, sicuramente ha già dei sospetti sul colpevole, che so, Mosè o Hammurabi, magari Giulio Cesare, che era l’amante di Cleopatra, no? L’avrà fatto fuori per togliere di mezzo un rivale.

Orsini, ignaro delle considerazioni poco lusinghiere che Ferraris ha in mente, ma non formula, prosegue:

- Doveva essere una personalità importante, per avere quei gioielli. Lo hanno ammazzato in quel modo, ma lo hanno sepolto con i gioielli. È un caso davvero misterioso. E pensate che anche la mummia della Colombia, quella che deve essere arrivata in questi giorni, è stata ammazzata. E per di più allo stesso modo: il cranio sfondato con un colpo. Due misteri, forse collegati tra di loro.

Da quel poco che Ferraris ha sentito, le due mummie sono separate da almeno duemila anni e un oceano (quello Atlantico), ma questo per Orsini non è così rilevante, i due misteri sono già diventati uno.

Ferraris si dice che il vero mistero è come sia riuscito Orsini a diventare ispettore, ma ormai il problema non lo tocca più: tra meno di due mesi Ferraris, avendo superato il concorso, diventerà commissario e prenderà servizio in una nuova sede. Con Orsini non avrà più a che fare.

Tutto procede per il meglio, nessuna novità significativa. In centrale ci si occupa dei casi della notte, le solite bazzecole quotidiane: una rissa, un alloggio svaligiato, due incendi (uno doloso, di una fabbrica; l’altro sospetto, di un negozio) e una rapina a mano armata. Ordinaria amministrazione, insomma. Ferraris sta per sedersi alla scrivania, quando il commissario lo chiama.

Ferraris entra nell’ufficio del superiore e il suo buon umore vacilla: la faccia del commissario non promette nulla di buono.

Il commissario non perde tempo e sputa subito fuori il rospo:

- Ferraris, c’è un guaio grosso. Ha telefonato la direttrice dell’Egizio. Hanno trovato uno dei custodi cadavere nei magazzini. Devono averlo ammazzato.

La mattinata era incominciata troppo bene.

 

2

 

Ferraris si dirige all’Egizio con gli agenti Diotallevi, Martino e Ghibaudo. Mentre procedono l’ispettore si dice che questo omicidio, se tale è davvero, sarà oggetto di molta curiosità da parte del pubblico: in questo periodo non si fa altro che parlare della misteriosa mummia, che hanno tirato fuori dagli scantinati del museo in occasione di una mostra sulla mummificazione, per cui sono arrivati anche materiali dalla Colombia.

E Ferraris, che è appena sceso dalla graticola della notorietà, rischia di risalirci di corsa, se è lui a occuparsi del caso. Il buon umore di Ferraris ha avuto vita breve, come spesso avviene, e l’ispettore che esce dall’auto davanti all’Egizio (zona pedonale, ma la macchina è della polizia) è già incazzato come una iena prima ancora di varcare la soglia di uno dei più importanti musei del mondo.

Al suo ingresso Ferraris è accolto da un flash, perché qualcuno, Dio solo sa chi (e sapendolo lo incenerisca) ha avvisato i giornalisti e ce ne sono già due. L’ispettore esplode:

- Per il culo di Satana, levatevi dai coglioni!

 Il buon umore di Ferraris è svanito senza lasciare tracce, morto, sepolto e dimenticato. L’altro morto, il custode, è ancora in attesa di sepoltura e non sarà presto dimenticato. Giace riverso nello scantinato e, se Ferraris sperava in un incidente, un infarto, un ictus o almeno un suicidio (in mancanza di meglio…), le sue illusioni svaniscono in fretta: il tizio ha il cranio spaccato. L’arma del delitto, perché di omicidio si tratta, sembra essere una grossa pietra imbrattata di sangue: si trova di fianco alla testa della vittima, dove qualcuno sembra averla posata, non gettata, perché è messa in verticale.

- Merda!

Dopo aver espresso in modo sintetico, ma chiaro, i suoi pensieri, Ferraris esamina la situazione. Lo scantinato è un lungo corridoio; su di esso si aprono diverse stanze, in cui sono accatastate casse di varie dimensioni. Il morto è in uno di questi locali, con i piedi nel corridoio. Deve essere stato colpito mentre stava entrando, da qualcuno che era dietro di lui o che si era nascosto nella stanza.

L’assassino ha poi posato la pietra accanto al morto.

Ferraris esamina con attenzione il locale, tocca il morto, anche se non dovrebbe farlo per non alterare nulla, verifica che ormai il cadavere è freddo, chiama la scientifica e poi risale al piano terra, dove nel frattempo sono arrivati altri giornalisti. Il rischio di un’esplosione dell’ispettore, che potrebbe provocare una strage, è altissimo, ma interviene un signore che Ferraris ha l’impressione di aver già visto, sul giornale o in televisione. Il tizio invita i giornalisti a seguirlo, dicendo di avere comunicazioni importanti da fare.

Ferraris tira un sospiro di sollievo e si fa accompagnare in direzione.

 

La direttrice è un’elegante signora, dai modi decisi, con un leggero accento toscano. Si presenta come Monica Balestrieri, ma dopo trenta secondi Ferraris ha già dimenticato il cognome. Non ha molte informazioni da dare, si limita in poche parole a fornire un quadro preciso della situazione.

- Sono arrivata in ufficio presto, perché ieri sono finalmente arrivati i materiali che aspettavamo dalla Colombia. Come lei saprà (Ferraris non sa nulla, ma non si sbilancia) tra una settimana si apre un’esposizione dedicata alla mummificazione, che comprende una sezione con reperti provenienti dalla Colombia e una con materiali del nostro museo, solitamente non esposti, e in particolare la mummia di cui tanto si parla.

La direttrice sembra esitare un attimo. Sì, di quella fottuta mummia si parla moltissimo, impreca mentalmente Ferraris che solo poche ore fa la benediceva (ah, l’umana incostanza!). È stata prelevata dai magazzini per la mostra e si è scoperto che aveva indosso gioielli preziosi e che doveva essere stata assassinata (non la mummia, ovviamente, il tizio che prima di essere morto era ancora vivo, lapalissiano, no?).

- Siamo in forte ritardo, il materiale colombiano avrebbe dovuto arrivare già una settimana fa, dobbiamo completare l’allestimento per la data prevista…

La direttrice s’interrompe. Sorride. Ha un sorriso gentile.

- Mi scusi, le sto facendo perdere tempo, questa mostra sembra nata sotto una cattiva stella. Torno all’omicidio. Antonio Messinese, la vittima, aveva il turno di notte, ma quando sono arrivati i custodi del turno di giorno, non lo hanno visto. Non riuscivamo a capire che cosa fosse successo, non risultava che fosse già uscito. Poi un altro custode, Bertenghi, ha accompagnato due dei tecnici addetti alla realizzazione della mostra. Dovevano andare a prendere gli ultimi oggetti da inserire in una vetrina, ma nei sotterranei hanno visto il cadavere di Messinese.

Ferraris chiede informazioni sui turni dei custodi, sulle persone presenti durante la notte e sulle possibilità di accedere al museo nelle ore notturne, poi passa a interrogare coloro che hanno scoperto il cadavere.

Il custode, un uomo magro, un po’ pelato, che va verso i sessanta, sembra essere lui il cadavere, tanto è pallido. Non sa niente, è sotto shock, quando Ferraris gli chiede il suo nome, lo guarda un attimo fisso, stralunato, poi ricorda di chiamarsi Attilio Bertenghi. Ha prestato servizio nella notte, è rimasto nella sala di controllo due ore, poi, subito prima che finisse il suo turno, dato c’era da sistemare l’ultima vetrina, il responsabile gli ha detto di accompagnare i due tecnici, lui è sceso sotto, ha visto i piedi, ha visto…

Bertenghi si alza di scatto, ma non fa in tempo a raggiungere il bagno: vomita sul pavimento del corridoio, poi si accascia e finirebbe a terra, se Diotallevi e Martino non lo sorreggessero. Ferraris storce il naso e lascia in pace il poveretto: se quello sta fingendo, può concorrere all’Oscar.

I due tecnici non si sono spaventati più di tanto, non conoscevano la vittima. Uno dei due sembra pure piuttosto eccitato all’idea di aver scoperto il cadavere. Ma non hanno informazioni utili da fornire: sono scesi nei sotterranei per ritirare gli ultimi reperti, le pietre che chiudevano il pozzo dove era stata sepolta la mummia.

 

Il responsabile della squadra che si occupa dell’allestimento, un certo Gio Strillacci, chiede di parlare urgentemente con l’ispettore. Ferraris spera in un indizio: una soluzione rapidissima del caso aiuterebbe a contenere i danni; senza indagini e sospetti, con il colpevole già acciuffato, l’interesse per il delitto sarebbe ridotto.

Ferraris dice di far entrare il tizio. L’ispettore lo guarda e lo soppesa, per capire che tipo è e farsi una prima idea della sua attendibilità. Deve aver superato la quarantina ed è piuttosto massiccio. Poi c’è la seconda occhiata, quella estetica. Come è noto a tutti, sul lavoro Ferraris è di ferro e non ha cedimenti (Michele a parte, ma quello fu un caso particolare, dovuto ad un evidente uso di armi improprie da parte dell’agente), ma l’estetica è l’estetica e la seconda occhiata un maschio che si rispetti la riceve. Il tizio indossa maglie XL, ma a Ferraris gli orsi non dispiacciono, per niente.

Strillacci non ci gira intorno e viene subito al sodo, come piace a Ferraris. Purtroppo in questo caso l’ispettore non sarà così soddisfatto della concretezza del tecnico.

- Ispettore, è necessario intervenire subito.

Ferraris già si frega le mani soddisfatto.

- Il dottor Gando ci ha raccomandato di finire tutto per le dieci. Sa, il fotografo arriva in mattinata, oggi pomeriggio interviene anche il dottor Mantovani, per la presentazione ai giornalisti della sezione egiziana, già pronta, sa, per mantenere vivo l’interesse, non possiamo perdere altro tempo, sa...

Ferraris non sa chi è Mantovani, non sa chi è Gando, non capisce bene che cosa intende dire il tecnico e al sentire la parola “giornalisti” già gli girano. Ma si trattiene, ancora speranzoso.

- Mi dica tutto quello che sa e non perdiamo tempo.

Il tecnico lo guarda un attimo, interdetto.

- Quello che so? Quello che so è che dobbiamo concludere l’allestimento entro un’ora al massimo, dovevamo finire già ieri pomeriggio, se non fosse per quel coglione che ha lasciato cadere il vetro, così abbiamo dovuto rinviare la preparazione dell’ultima teca. Già i materiali colombiani sono arrivati con parecchio ritardo, per cui dovremo montarli a passo di corsa, ma la mostra non può essere rinviata: dobbiamo assolutamente prendere le pietre che ci sono nei sotterranei, le assicuro che non toccheremo niente, scavalchiamo il morto e…

- Cooosa? Per il culo di Satana, lei mi voleva parlare per questo? Per questo?!

- Ma dobbiamo finire l’allestimento, anche i materiali colombiani ci servono…

- Se lei mette un piede nei sotterranei, io l’arresto per complicità!

- Ma il fotografo deve scattare le foto per il catalogo. E poi il dottor Gando, il responsabile…

- Il dottor Gando può prenderselo in culo!

E dopo aver così liquidato il dottor Alessandro Gando, uno dei massimi esperti di antichità egizie in Europa, per non dire del mondo, Ferraris prosegue con alcune altre espressioni dello stesso tenore, prima di far allontanare Strillacci, allibito e irritato, ma abbastanza saggio da non mostrarlo davanti all’ispettore: “Quello è una belva!” sarà la conclusione del suo resoconto davanti al dottor Dadotto, responsabile dell’allestimento, e al dottor Gando, che ha curato la sezione egizia della mostra.

Ferraris prende i nomi degli altri custodi notturni, che sono andati a casa senza sapere nulla dell’accaduto. Li convocherà in commissariato.

Poi Ferraris sente alcuni dei colleghi del morto, per avere un’idea della sua personalità e soprattutto dei suoi rapporti con gli altri.

Messinese non era particolarmente amato dai compagni di lavoro, anche se nessuno ovviamente si sbilancia: non ci tengono a destare sospetti. Messinese apparteneva alla categoria, abbastanza rappresentata nel Bel Paese (l’Italia, non il formaggio), che considera un impiego pubblico una sinecura e che, contando su qualche medico di famiglia compiacente, si presenta al lavoro in modo, come dire, non propriamente regolare. Si sa: l’età (45 anni), gli acciacchi, i problemi di famiglia (separato senza figli, ma chi non tiene famiglia nel Bel Paese?) e tutto il resto influivano negativamente sulla sua presenza al lavoro e anche quando era fisicamente presente, spesso non era al suo posto.

Motivi probabilmente insufficienti a giustificare un omicidio, ma più che sufficienti a spiegare perché i colleghi conoscevano poco Messinese. A parte, sì, ricorda uno dei custodi, c’è Busini, naturalmente, lui era amico del morto. Dov’è Busini? A casa, in malattia, naturalmente. Naturalmente.     

Non rimane molto altro da fare, in attesa dei risultati della scientifica: tutto il personale presente è arrivato ore dopo l’assassinio, per cui nessuno può fornire molti elementi.

 

3

 

Ferraris vuole avere maggiori informazioni sui sistemi di sorveglianza e la direttrice convoca il responsabile, il dottor Daniele Sannarcoti. Alla prima occhiata appare molto giovane, non più di un venticinque anni. È alto come un lampione, ma si merita una seconda occhiata, quella estetica. Sannarcoti ha la faccia del sognatore, un’aria indifesa, ma l’apparenza spesso inganna. Di sicuro è uno che bisogna guardare sempre da sotto in su, a meno di non farlo sedere e di rimanere in piedi. Questo a Ferraris dà un po’ fastidio.

Alla richiesta dell’ispettore, Sannarcoti spiega la situazione:

- C’è un impianto di videosorveglianza in tutte le sale, per cui dalla sala di controllo è possibile vedere ciò che avviene.

- Pure nei sotterranei?

Ferraris finge di mantenere ancora qualche speranza di una rapida soluzione del caso, anche se ormai non ci crede più nemmeno lui. Come sarebbe bello se una telecamera a circuito chiuso avesse ripreso l’assassino all’opera. Delitto risolto in quattro e quattr’otto. Troppo bello per essere vero!

E infatti non è vero.

- Nei sotterranei non c’è nessun sistema di videocontrollo, solo allarmi, controllati dalla postazione centrale.

- E le porte d’ingresso del museo?

- Le porte sono tutte allarmate.

A Ferraris l’espressione fa un po’ ridere, ogni volta che gli capita di leggere “porta allarmata” si immagina una porta tutta spaventata.

- È possibile disinserire l’allarme?

- Solo dalla sala di controllo.

- Quindi nessuno può essere entrato, se dalla sala di controllo non gli hanno aperto.

- Esatto.

- Chi era di turno nella sala?

- Di solito ci sono turni di due ore. Adesso le segno i nomi.

Daniele Sannarcoti scrive. Se sono turni di due ore, nella notte, dalle dieci alle otto, si sono alternati cinque custodi. Non c’è Messinese.

- Messinese non era di turno nella sala di videosorveglianza?

Daniele Sannarcoti scuote la testa.

- No, ispettore. Non tutti i custodi hanno turni nella sala di videosorveglianza. Scegliamo solo persone… pienamente affidabili.

- E Messinese non lo era?

Daniele Sannarcoti alza le spalle.

- Per noi no.

- Ci sono stati problemi particolari?

- No, ma era spesso assente e anche quando era presente non dimostrava molto impegno nel lavoro.

Questo Ferraris l’aveva già sospettato.

 

Per il momento non c’è altro da fare, per cui Ferraris si dirige all’uscita.

Qui però sembra si stia svolgendo l’attacco ai forni durante la carestia a Milano, di manzoniana memoria. C’è una ressa incredibile, giornalisti, televisione, curiosi. L’espressione di Ferraris scoraggia ogni richiesta, tanto più che gli addetti ai lavori conoscono il carattere gioviale dell’ormai quasi commissario.

- Ma che cazzo ci fa tutta questa gente? – si chiede Martino – Sembra che abbiano avvisato mezza Italia.

In effetti la calca è inverosimile. Va bene che la mummia è al centro dell’attenzione, ma come hanno fatto tutti questi a sapere?

La risposta viene dal tizio che prima ha portato via i giornalisti. Si avvicina sorridendo all’ispettore.

- Permetta che mi presenti, commissario. Posso chiamarla così, ormai, tanto sanno tutti che la sua promozione è già decisa, che ha brillantemente superato il concorso. D’altronde tutti conoscono le sue gesta. Sono Andrea Lamberti, public relations manager della fondazione. Ho spiegato ai giornalisti che l’inchiesta è nelle sue mani e quindi… siamo in buone mani. Risolverà senza dubbio questo mistero, mentre sul mistero della mummia il buio rimane fitto.

Il public relations manager si impadronisce della mano di Ferraris, che ha l’impressione di essere invischiato in una massa gelatinosa. Lamberti sorride ai giornalisti, che scattano duecentoventisei fotografie, e finalmente Ferraris può liberarsi e fuggire via.

- Tutta pubblicità per la mostra! – borbotta Diotallevi.

- L’avranno mica fatto fuori per questo? Per attirare più pubblico. Secondo me la settimana prossima, all’inaugurazione, c’è la coda di qui al Lingotto.

Martino ironizza, ma nella sua rabbia Ferraris sbranerebbe lui, Ghibaudo e Diotallevi, nonostante la palese innocenza di questi ultimi.

In centrale il commissario è già sulle spine. Spera in qualche elemento significativo, ma Ferraris non ha nulla da offrire, se non uno di quei cattivi umori che inducono tutti a tenersi alla larga e che mettono in soggezione anche il commissario.

 

4

 

Più tardi vengono interrogati gli altri custodi notturni.

Il primo è Gabriele Buomparenti, un tizio giovane e con un’aria simpatica. Si merita una seconda occhiata, giudizio: niente male. È dispostissimo a collaborare e soprattutto è un appassionato dell’antico Egitto. Vive il suo lavoro di custode come una vocazione e sa più o meno tutto su dinastie, riti funebri e divinità di cui Ferraris non capisce niente. Purtroppo non sa praticamente nulla su ciò che è successo mentre lui era di sorveglianza al museo. Però, prima che Ferraris riesca a liberarsene, è riuscito a fornirgli diverse informazioni sul computo degli anni presso gli antichi Egizi, sui sistemi per canalizzare le acque del Nilo, su alcune divinità minori e sulla distruzione del tempio di Aamrna, tutte cose che Ferraris smaniava di sapere. Alla fine lo saluta dicendogli: - Ankh! Wdja! Seneb!

Ferraris lo guarda truce e Buomparenti, senza scomporsi, spiega:

-Vuol dire: Vita! Prosperità! Salute! È un antico augurio egizio.

Ferraris l’aveva sospettato. Il grugnito dell’ispettore non richiede spiegazioni. Buomparenti lo interpreta come un cortese congedo e se ne va.

Poi Ferraris passa agli altri. Con nessuno di loro va oltre la prima occhiata, quella per vedere di chi si tratta. La seconda occhiata, a fini estetici, è del tutto superflua: i quattro uomini non hanno nessuna delle caratteristiche per cui in altra situazione l’ispettore potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di un’attività comune; gli altri due custodi sono donne, quindi ancora peggio.

Andrea Scianaro è un anziano signore, sulla soglia della pensione. La notizia dell’assassinio lo ha sconvolto: ha visto Messinese poco prima dell’una, prima di incominciare il suo turno di videosorveglianza. Hanno scambiato due parole, hanno discusso dei numeri da giocare al lotto, una passione che hanno in comune. Altro in comune non avevano, su Messinese Scianaro non ha molto da dire, né sulle frequenti assenze, né sulla scarsa simpatia di cui godeva tra i colleghi. Scianaro è uno che si fa gli affari propri e non si impiccia di quelli altrui. È stato di turno nella sala di videosorveglianza dall’una alle tre. In quelle ore non ha notato assolutamente nulla di anomalo, le porte avevano tutte l’allarme regolarmente inserito e nel museo si muovevano solo i custodi. Senza dubbio sui monitor ha visto ancora Messinese, che era di turno nello statuario, ma non saprebbe dire a che ora per l’ultima volta.

Ferraris si dice che almeno all’una Messinese era ancora vivo e lo è rimasto per un certo tempo.

Gli altri cinque interrogatori non forniscono nuovi elementi.

Nessuno dei custodi di turno nella sala di videosorveglianza ha visto nulla. Rimane solo Bertenghi da interrogare, ma Ferraris l’ha già visto e se il tipo avesse avuto informazioni importanti da fornire, lo avrebbe fatto. Comunque andrà nuovamente sentito. Il poveretto, raggiunto a casa per telefono, è ancora sotto shock, balbetta, dice che senz’altro verrà in commissariato, ma adesso non se la sente. Nessun problema, non c’è fretta.

 

Infine è il turno di Busini che, anche se in malattia, è gentilmente invitato a presentarsi in commissariato nel giro di quei venti minuti necessari per spostarsi da casa sua. Di fronte alla squisita cortesia con cui è avanzato l’invito, Busini non può esimersi e si presenta nel tempo previsto.

Busini incomincia a lamentarsi dei suoi acciacchi, ma Ferraris gli fa capire, con la consueta delicatezza, che non intende perdere tempo. Ferraris è un grande comunicatore e in dieci secondi Busini ha già cambiato registro. Messinese secondo lui era un’ottima persona, purtroppo con problemi di salute, anche lui, d’altronde con l’aria che respiriamo… sì commissario, mi dica commissario… Messinese non aveva nemici, neppure molti amici, andava volentieri al bar a fare due chiacchiere, quando poteva. La moglie no, Busini non la conosce, Messinese era divorziato da almeno quindici anni, lui lo conosceva da dodici, prima lavorava alla Galleria Sabauda. Solo che lo trattavano male perché era spesso malato, ma che cosa… sì commissario, certo commissario. Messinese non aveva una donna, che lui sapesse, almeno, erano amici, ma non erano mica così intimi, di donne parlavano qualche volta, ma Messinese non gli aveva mai detto di avere una fidanzata, diceva che aveva successo con le femmine, che gli correvano dietro. Nemici? No, Messinese non gli aveva mai parlato di nemici, non gli risultava che nessuno lo odiasse. Certo, c’era la faccenda delle assenze, sa com’è, purtroppo non tutti hanno una fibra di ferro e… sì commissario, certo commissario. No, negli ultimi tempi Messinese non sembrava preoccupato, non diceva di avere problemi, no, assolutamente. Economicamente? No, nessuna richiesta di soldi, non sembrava avere problemi di soldi, sa com’è commissario, facciamo una vita grama, siamo abituati ad accontentarci… sì commissario, certo commissario, ma… commissario…

Busini nella notte era a casa a dormire, come può confermare sua moglie. Alla fine Ferraris lo manda via. Anche lui non ha fornito molti elementi.

Arrivano intanto i primi risultati dell’esame del cadavere. Messinese è stato ucciso tra le tre e trenta e le quattro e trenta del mattino, quindi prima della fine del turno di notte. Qualcuno lo ha colpito con una pietra alla nuca, sfondandogli il cranio. Per altri dettagli, bisogna aspettare qualche giorno, ma quanto è emerso è già sufficiente. A quell’ora era di turno nella sala di videosorveglianza Bertenghi.

Ferraris cerca di fare il punto della situazione.

Le ipotesi sono diverse.

La prima è quella di un delitto maturato sull’ambiente di lavoro. Ipotesi plausibile. Possibili sospetti: i custodi in servizio nella notte o uno degli altri, anche se, stando a quanto dice Daniele Sannacorti, non possono entrare nel Museo se qualcuno non apre dalla sala di videocontrollo. A meno che non esista qualche sistema che chi lavora all’interno conosce. In ogni caso ci sono i circuiti di sorveglianza, non deve essere così facile. Andranno controllati gli alibi di tutti, anche se non c’è molto da aspettarsi, vista l’ora del delitto: tutti sosterranno che erano a letto e al massimo potranno portare la testimonianza di un familiare o di un amante insonne. Movente: difficile da individuare.

Seconda ipotesi: un delitto maturato all’esterno e compiuto nel museo. In che modo l’assassino è riuscito a entrare nel museo? Potrebbe avergli aperto il Messinese stesso, non sapendo di far entrare il proprio assassino? Difficile, Messinese non era di turno nella sala di videosorveglianza, quindi non poteva disinserire l’allarme delle porte. Movente: anche in questo caso sconosciuto. Occorrerà contattare la ex-moglie, anche se, dopo quindici anni di separazione, un delitto passionale sembra da escludersi.

La terza ipotesi è quella del delitto non premeditato. Ad esempio, un ladro introdottosi nel museo è stato sorpreso dal Messinese e lo ha ucciso. È un’ipotesi plausibile, sembra la migliore, ma bisogna capire come il tizio ha fatto a entrare. Bisognerà verificare anche le finestre, se da qualcuna è possibile introdursi, magari con un aiuto dall’interno.

C’è poi il particolare della pietra messa in verticale, ma può essere un tentativo di confondere le idee.

Che peraltro sono confuse già più che a sufficienza.

 

Intanto la casa di Messinese è stata perquisita, è stata sequestrata l’agenda telefonica e i ragazzi del commissariato stanno esaminando tutti i nomi nell’elenco. Ferraris fa richiedere anche i tabulati del traffico telefonico e intanto fa cercare la ex-moglie della vittima.

La ex-signora Messinese è molto più giovane di quanto Ferraris non si aspettasse. In effetti ha appena trentacinque anni, si è sposata a diciotto, contro la volontà della famiglia, si è separata due anni dopo. Sono almeno dieci anni che non vede il suo ex-marito, si è risposata, ha due figli ed ha lasciato completamente alle spalle quello che definisce il peggiore errore della sua vita. C’è poco da ricavare dalla signora, che di certo non nutre molti rimpianti per il suo ex-marito (“un figlio di puttana, buono a nulla, meschino, stupido e incapace” sono le sue parole, una splendida orazione funebre, ma dei morti non si deve sempre parlare bene? O tempora, o mores!). 

 

5

 

La giornata è trascorsa, senza che siano emersi elementi significativi, in grado di dare una direzione precisa alle indagini.

In commissariato si tiene una riunione generale, per fare il punto sul caso. Nessuno ha intuizioni geniali, a meno di non considerare tali il commento di Orsini sui tre morti (le due mummie e il Messinese), ammazzati tutti nello stesso modo, a distanza di secoli:

- Dà da pensare, eh!?

Ferraris guarda il collega e si dice che riuscire a far pensare Orsini è un’impresa impossibile.

Al termine della riunione Ferraris esce ingrugnito dal commissariato in cui era entrato sorridente. Diciamo: giornata incominciata in modo anomalo, ma finita nella norma.

Roberto Ferraris entra a casa e il suo umore recupera qualche posizione. Da quando c’è Michele che lo aspetta, il rientro è sempre un momento piacevole e rilassante (anche se magari qualche muscolo invece si tende).       

Michele però è davanti alla televisione. Non la guarda spesso, ma il telegiornale non lo perde. E mentre Ferraris entra in salotto, in televisione si parla del nuovo misterioso omicidio avvenuto nella notte a Torino, al Museo Egizio, proprio una settimana prima dell’apertura di un’importante mostra. Ferraris sta per aprire bocca e dire a Michele che se non vuole un rapido divorzio, è bene che spenga, quando si vede in televisione, mentre esce dall’Egizio.

- Wow, mi sono messo con uno famoso. Sta pure in televisione.

Michele lo sta prendendo per il culo in un modo sfacciato e se non fosse Michele, rischierebbe grosso. Ma Michele è Michele e, come recitava una vecchia pubblicità, con quella bocca può dire ciò che vuole. Ferraris provvede a baciare la bocca e a impadronirsi del telecomando, dopodiché nel salotto cala improvvisamente il silenzio: parlare mentre ci si bacia non è facile e – di certo inavvertitamente - Ferraris deve aver pigiato il tasto che spegne il televisore.

Così si perdono le dichiarazioni del public relations manager Lamberti, che viene opportunamente intervistato da una zelante giornalista. Non è un problema: volendo recuperare, avranno un sacco di occasioni, perché nei prossimi giorni il Lamberti apparirà in televisione un giorno sì e l’altro anche, per parlare del mistero della mummia e, incidentalmente, del mistero dell’omicidio del custode. Ferraris lo odierà selvaggiamente, perché quel figlio di buona donna fa di tutto per attirare l’attenzione sul museo e sulla mostra e ci riesce pure, complice un omicidio. D’altronde è il suo mestiere.

Martino e Diotallevi hanno ragione: quando apriranno quella fottutissima mostra al museo ci sarà una coda chilometrica per entrare. E nei prossimi giorni l’umore di Ferraris scenderà molto al di sotto dei livelli abituali, come dire… temperature insolitamente basse quest’inverno in Siberia.

 

Domani è un altro giorno, ma l’indomani non sembra portare molte novità. La perquisizione dell’appartamento di Messinese non ha dato grandi risultati, a parte l’agenda. Ferraris comunque vuole vedere di persona. Non è che non si fidi del lavoro degli agenti, magari non troverà niente, ma almeno si farà un’idea più precisa del morto. Dimmi dove abiti e ti dirò chi sei.

Ci va con Diotallevi, che fino a qualche tempo fa era il suo agente preferito (adesso è al secondo posto, con un distacco incolmabile, così è la vita – Diotallevi non se ne fa un problema, è un etero convinto ed ha pure una fidanzata incinta, anche se né lui, né lei lo sospettano: non si sono accorti che una delle ultime volte si è rotto il preservativo).

Sono due stanze, tinello e cucinino in via Gorizia, zona Santa Rita. Mobili dozzinali, presi in qualche supermercato dell’arredamento, grande televisore bene in vista, nessun libro visibile. Più o meno quello che Ferraris si aspettava.

 

Ferraris incomincia dalla camera da letto. Con l’occhio scorre rapidamente i vestiti. Niente di particolare, di certo Messinese non badava molto a quello che si metteva addosso. C’è però un abito scuro, non di buona stoffa, né di fattura elegante, ma chiaramente con maggiori pretese.

- Per il culo di Satana! E di questo che cazzo se ne fa un custode?

- Sarà stato ad matrimonio.

Diotallevi sorride e aggiunge:

- O magari va all’opera.

Diotallevi sa benissimo che Ferraris ama l’opera. Ma l’ispettore lo inchioda alle sue responsabilità:

- Controlla. Ha un lettore di CD? Ha dei CD? Di che tipo?

Diotallevi controlla. Il tizio non ha (“aveva” sarebbe più esatto) un lettore di CD e non sembra possedere neanche un CD. Probabilmente non era un amante dell’opera, anche se non si può mai dire, magari ascoltava musica alla radio.

 

Ferraris passa ai cassetti del guardaroba.

In uno c’è un album di fotografie. L’ispettore lo prende e lo sfoglia. La faccia del morto sorride in tutte le immagini. L’uomo non è mai solo. Vicino c’è sempre qualche bella ragazza, un po’ scollacciata. Le tizie sembrano fatte con lo stampino e appartengono tutte ad una categoria che Ferraris conosce benissimo, anche se non frequenta quegli ambienti (ha altri gusti, come i lettori più perspicaci avranno intuito): le ragazze sono quelle che suo padre chiamava entraîneuse. Si userà ancora il termine? O adesso sono considerate escort, passando dal francese all’inglese?

L’abito che vorrebbe essere elegante e ragazze un po’ discinte, che certamente non abbracciano Messinese perché è un bell’uomo (lasciatelo dire a Ferraris, che è sempre stato un intenditore in materia): tutto questo dà da pensare. Quanto guadagna il custode di un museo statale? Non molto, certamente. Un’entraîneuse non si struscia contro un cliente solo per la sua bella faccia (e in particolare quando la faccia non è per niente bella).

Ferraris prende dall’armadio l’abito che ha notato prima. Infila la mano nelle tasche. Da una viene fuori il tagliando di un parcheggio. Saint-Vincent, valle d’Aosta. C’è un casinò. Non sarà mica che il tizio giocava anche?

 

Ferraris prosegue con il controllo dei cassetti. Nell’ultimo in basso, nascosto tra pigiami e canottiere, c’è un pacchetto. Con cautela Ferraris lo apre. Dentro ci sono quattro oggetti di piccole dimensioni: due statuette raffigurano strane creature (un uomo che sembra avere la testa da ibis; una donna seduta con la testa da leonessa); poi c’è un uccello con le ali aperte e infine una sbarretta, di un colore azzurro intenso, con alcuni geroglifici.

Ferraris incomincia a sentirsi soddisfatto, molto soddisfatto. Cercava una traccia, ne ha trovate diverse. Non sa ancora dove porteranno, ma Messinese non era solo uno scansafatiche. Ladro, puttaniere, giocatore… Ferraris si dice che forse sta correndo troppo, ma un po’ di elementi sono saltati fuori.

Dall’esame degli altri locali non emerge nulla di interessante.

A questo punto ci sono diverse strade da battere. Bisogna individuare i locali in cui Messinese passava le serate e interrogare il personale. C’è da verificare al museo se sono stati rubati degli oggetti, cosa di cui Ferraris è certo. C’è da cercare un ricettatore, perché è difficile che Messinese si occupasse personalmente dello smercio dei reperti.

In centrale Ferraris si rivolge subito agli uomini che stanno passando al setaccio l’agenda della vittima.

- Controllate tra i nomi dell’agenda di Messinese se c’è qualcuno che possa essere un ricettatore.

Poi affida l’album delle fotografie agli agenti, perché scoprano in che locali sono state scattate. Fornisce anche l’indicazione che alcuni di quei locali potrebbero trovarsi a Saint-Vincent.

 

Mentre gli agenti indagano sulla vita privata di Messinese, l’ispettore si occupa del furto al museo. Un nuovo colloquio con la direttrice del museo, quella Monica-come-diavolo-si-chiama, è necessario. Ferraris ci va di persona, anche se l’idea di farsi vedere da quelle parti non lo entusiasma. Per fortuna non incontra giornalisti.

Alla direttrice non risulta nessun furto, ma Ferraris tira fuori gli oggetti ritrovati a casa di Messinese. La direttrice rimane senza parole. Prende gli oggetti e li esamina con cura.

Sono in effetti reperti egizi. Non hanno un grandissimo valore, oggetti di questo tipo non sono rari, tanto che solo alcuni esemplari vengono esposti e gli altri sono conservati nei magazzini. Tutti i musei egizi ne posseggono.

Certamente questi pezzi possono essere venduti facilmente sul mercato clandestino di antichità: nessuno potrebbe dire con sicurezza da dove provengono. La direttrice dovrà fare un controllo per appurare la loro origine, anche se, avendoli trovati a casa di Messinese, è quasi sicuro che vengano dai magazzini del museo. 

Ferraris chiede che venga fatto un controllo per verificare se sono stati compiuti altri furti. È un grosso lavoro, un inventario del materiale nei magazzini richiederebbe anni, ma Ferraris suggerisce di controllare soltanto le casse che un custode può facilmente raggiungere: non dovrebbe essere difficile scoprire quali sono state manomesse.

La direttrice concorda, poi sorride, un po’ imbarazzata, e avanza la sua richiesta:

- Mi scusi, commissario, non voglio interferire con le indagini, ma nei sotterranei ci sono tutti i materiali per la mostra e i tempi per montarla sono davvero stretti. Quando pensa che potremo accedere a quella sale, aprire le casse e collocare i materiali nelle vetrine?

Ferraris pone alcuni limiti: oltre all’area in cui è avvenuto il delitto, che rimarrà ovviamente fuori portata a lungo, viene individuata un’altra vasta zona in cui nessuno potrà passare, fino a che il caso non sarà stato risolto. Comunque, strisciando contro una parete, sarà possibile raggiungere i reperti colombiani, a condizione di non indossare scarpe troppo larghe, che provocherebbero uno sconfinamento.

 

    

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