IV

 

 

18

 

Il dottor Mantovani dovrà presentarsi in commissariato. Lo trovano in albergo all’ora di pranzo e nel primo pomeriggio è già nell’ufficio di Ferraris.

Lorenzo Mantovani sembra molto giovane, ha un sorriso simpatico e un’aria indifesa. Insomma: un bravo ragazzo, non certo il classico funzionario ministeriale come uno se lo immagina. L’ispettore è alquanto diffidente, l’esperienza gli ha insegnato che quelli con la faccia da bravo ragazzo sono i peggiori. Intanto però lancia una seconda occhiata. Niente male neanche lui, insomma, questa fottuta inchiesta almeno ha degli aspetti positivi.

- Avrei bisogno di porle alcune domande, dottor Mantovani.

- Sono a sua completa disposizione, commissario. È un piacere per me poter collaborare con la giustizia italiana.

Mantovani ha risposto in un italiano perfettamente corretto, perfino forbito, con appena un leggero accento straniero. La direttrice lo aveva detto, ma Ferraris è diffidente per natura.

- Come mai parla così bene l’italiano?

- I miei nonni erano italiani e in famiglia spesso parliamo italiano.

- Non sapevo che ci fossero molti italiani in Colombia.

- Non ce ne sono, i miei stavano in Argentina, ma nel periodo della dittatura preferirono emigrare, mio padre era un sindacalista, sfuggì per un pelo a un tentativo di rapimento… Sa, pochi di quelli che sparivano ne sono usciti vivi.

Ferraris annuisce: in effetti di uno dei suoi cugini, sequestrato durante la dittatura, non si è più saputo nulla. Adesso però è ora di venire al dunque.

- Allora, dottor Mantovani, ci vuole spiegare come è nata l’idea di organizzare questa mostra?

Mantovani esita un momento:

- Come è nata la mostra? Non capisco bene che legame…

Ferraris interviene, con delicatezza (non vuole creare problemi internazionali):

- Lei risponda alle domande e non si preoccupi di capire.

Mantovani è un po’ infastidito, ma non protesta.

- Il ritrovamento della mummia, sul Nevado Cumbal, è stato un avvenimento di grande rilevanza per l’archeologia colombiana. In passato diverse mummie preincaiche sono state ritrovate ad alta quota in Perù, ma reperti di questo genere non erano mai stati scoperti in Colombia. Siamo molto orgogliosi di…

Ferraris sta fumando, ha uno scatto d’impazienza, ma ancora si contiene. Mantovani continua imperterrito.

- … questa scoperta sensazionale, che aggiunge una pagina gloriosa alla lunga storia dell’archeologia colombiana.       

- Sono felice per l’archeologia colombiana, ma può essere tanto gentile da rispondere alla mia domanda, invece di menare il can per l’aia, per il culo di Satana!

Il self-control di Ferraris, dote di cui madre natura è stata avara nei confronti dell’ispettore, è giunto al capolinea e anche Mantovani, probabilmente più versato nell’archeologia preincaica che nella psicologia umana, lo intuisce. Perciò corregge un po’ il tiro, senza nascondere completamente la sua irritazione per la mancanza di rispetto.

- Un ritrovamento di questa importanza richiede uno spazio museale adeguato e i tempi di allestimento sono lunghi. Lasciare in magazzino un reperto di questo genere, una volta conclusi gli esami, ci sembrava un delitto. Organizzare una mostra itinerante permetteva di far conoscere in altri paesi la ricchezza archeologica e culturale delle civiltà precolombiane, mentre il museo provvedeva a sistemare lo spazio destinato a accogliere il reperto…

- Chi ha organizzato la mostra?

- L’organizzazione di mostre all’estero è di mia competenza. Con i dottori Campos e Umbral, di cui certo lei conoscerà i nomi, abbiamo individuato gli elementi che potevano essere utilizzati per la mostra e abbiamo avanzato la proposta a due musei europei, il Museo Egizio di Torino, con cui avevamo già contatti, e il museo Guimet di Parigi.

Mantovani risponde paziente. Ferraris invece perde la pazienza e decide di giocare un’altra carta.

- Sappiamo che cosa c’era in quelle casse, Mantovani.

Il cambio di tono dell’ispettore disorienta Mantovani, che risponde, un po’ stupito:

- Ah sì, che cosa?

Ferraris vede aprirsi uno spiraglio. Se Mantovani non ne sapesse niente, non avrebbe neanche capito la domanda. Nelle casse ci sono i reperti colombiani. Non è certamente un indizio significativo, men che mai una prova, ma l’ispettore naviga a vista e gli sembra di aver finalmente scorto qualche cosa. 

- Lei non lo sapeva, Mantovani?

Se c’è stato un attimo di cedimento, è superato. Mantovani risponde, serafico:

- Certo, ci sono i reperti che abbiamo collocato a Bogotà. Ho seguito personalmente le operazioni di imballaggio, per assicurarmi che avvenissero correttamente.

- C’era anche altro, Mantovani, e lei lo sa benissimo.

- Non capisco che cosa intende dire, ispettore.

Mantovani appare leggermente irritato. E dire che Ferraris è stato di una cortesia assolutamente squisita!

Comunque di elementi per incastrare Mantovani non ce ne sono e Ferraris se ne rende perfettamente conto. L’unica è mettergli paura e sperare che faccia una mossa falsa.

- Se non l’ha capito, lo capirà molto presto.

Mantovani non replica. Ha scelto la parte di chi non capisce, dell’innocente stupito e un po’ seccato dalle vessazioni che subisce. Ferraris esce dall’ufficio, dicendo a Mantovani di aspettarlo, e va a dare alcuni ordini. Si occupa d’altro per un buon momento, in modo da dare a Mantovani il tempo di cuocere nel suo brodo, poi rientra e chiede ancora alcuni dettagli sulla spedizione.

- Lei ha assistito personalmente alla sistemazione del materiale nelle casse?

- Certo, era il mio compito.

- Quanto tempo ha richiesto la sistemazione dei reperti?

- Tre giorni.

- Quindi non può escludere che qualcuno abbia aperto le casse durante la notte.

- Ma… non capisco. I materiali ci sono tutti, non mi risulta che manchi nulla. Qual è il senso di queste domande?

- Senta, qui le domande le faccio io, ci siamo capiti?

Mantovani è ormai offeso (o finge di esserlo, se l’ipotesi di Ferraris è giusta).

Ferraris non se ne preoccupa. Come si diceva a casa sua, se è offeso, ha solo da tagliarsi la parte offesa. L’ispettore riprende:

- Può rispondere alla domanda che le ho fatto?

La voce di Mantovani è fredda, chiaramente ostile:

- Certo, non ho dormito sulle casse, ma durante la notte vi era una sorveglianza continua.

E durante il trasporto all’aeroporto?

- Ho viaggiato io stesso su uno dei furgoni e ho seguito tutte le operazioni di imbarco e sbarco.

- Quindi le casse possono essere state aperte solo al museo di Bogotà?

- Ma perché dice che le casse sono state aperte?

- Può rispondere alla mia domanda?

Mantovani alza le spalle.

- Se sono state aperte, può essere avvenuto a Bogotà, durante la notte, o qui a Torino, dopo il loro arrivo.

- Sì, tutte e due le volte e credo che lei ne sappia qualche cosa…

L’ispettore tiene sotto pressione la sua vittima ancora per un’oretta, ma Mantovani nulla sa, nulla sospetta, non ha visto, non ha sentito, non parla, appare sempre più offeso, anche se mantiene modi cortesi e non protesta.

Ferraris ha guadagnato il tempo che gli serviva. Ora rimane solo più una domanda:

- Dov’era martedì verso le sette di sera?

- Martedì verso le sette di sera? Martedì…

- Il giorno del primo omicidio, non se ne sarà dimenticato, vero?

- No, certamente. Verso le sette… Ero con la direttrice. Abbiamo avuto un incontro alla sei, per discutere delle difficoltà che ci creava l’impossibilità di accedere ai sotterranei. Come riuscire a rispettare i tempi previsti, pur non potendo incominciare a sistemare i reperti.

- A che ora è finito l’incontro?

- Direi verso le sette e mezzo. Può chiedere alla direttrice.

- E poi?

- Poi avevo una cena con il dottor Contreras, console onorario della Colombia a Torino.

- È andato direttamente dal museo a cena?

- Il dottor Contreras è passato a prendermi al museo. Gli avevo telefonato che avevo questo incontro non previsto, per cui il dottore è stato tanto cortese da venire ad aspettarmi.

- A che ora è arrivato?

- Non so, quando sono uscito, verso le sette e mezzo, come le dicevo, era già fuori ad attendermi.

- E dove avete cenato?

- Un posto delizioso, vicino ad un campo da golf. Aspetti, come si chiama, La Volpe e l’Uva, mi pare, non è a Torino, è dietro la collina, a… Paciotto?

- Pecetto.

Ferraris si dice che ormai può lasciarlo andare.

Mantovani esce dal commissariato salutando in modo alquanto freddo. È irritato per come è stato trattato. Ferraris spera di averlo spaventato abbastanza. La sua unica possibilità è che Mantovani faccia un passo falso. E i suoi passi saranno rigorosamente controllati, perché l’ispettore lo ha fatto mettere sotto sorveglianza. Anche le sue telefonate saranno intercettate, almeno quelle dall’albergo. Le operazioni per mettere sotto controllo il cellulare saranno più lunghe, trattandosi probabilmente di un contratto colombiano, ma Ferraris si è procurato il numero e non dovrebbero esserci problemi neanche da quella parte. Se Mantovani cercherà di avvisare qualcuno, fornirà una traccia.

 

19

 

Intanto il commissario convoca Ferraris. Ha la classica aria un po’ imbarazzata di quando deve mettere i bastoni tra le ruote al suo migliore ispettore (questa è la versione Ferraris. Quella del commissario sarebbe: di quando deve ridurre alla ragione quella testa dura di Ferraris. Qual è il punto di vista più vicino alla verità? Ai lettori l’ardua sentenza).

- Ispettore, sono molto contento dei progressi di questa inchiesta.

Ferraris emette un suono inarticolato e aspetta: sa benissimo che quando il commissario lo loda, sta per dargli qualche botta.

- Visto che ormai sappiamo che cosa c’era in quelle casse, ho autorizzato il museo a riprendere il montaggio della mostra lunedì.

- Cooooosa?

- L’inaugurazione è martedì, si tratta di un evento internazionale, che non può essere rimandato. Avrebbero voluto riprendere oggi, ma non sapevo se lei aveva ancora controlli da fare.

Ferraris avrebbe molte cose da dire e da fare (sbranare il commissario, in primissimo luogo; impalare i responsabili della mostra, dal Gando, del tutto estraneo alla faccenda, al Mantovani; torturare la direttrice), ma evidentemente il capo ha ricevuto pressioni a cui non ha saputo dire di no e l’ispettore non può opporsi.

Ferraris mugugna e incassa il colpo.

 

Mentre esce dall’ufficio del capo, gli consegnano i tabulati delle telefonate di Bertenghi, appena arrivati. Nessuna comunicazione nella giornata di martedì, se non quella con il figlio, finita alla 19.20. A quell’ora qualcuno ha suonato. Diotallevi ha fatto un rapido giro tra i vicini, ma nessuno è andato da Bertenghi, nessuno ha visto uno sconosciuto sulle scale o in ascensore, nessuno sa un cazzo, si sa, ognuno si fa gli affari propri, in quel fottuto condominio.

Se l’assassino è arrivato alle 19.20, si può vedere dov’erano i principali sospetti a quell’ora. Sannarcoti ha detto che era a casa sua, ma non ha un alibi. Mantovani pare averlo, invece; bisognerà chiedere alla direttrice se conferma, ma è difficile che Mantovani si sia inventato l’incontro, a meno che non abbia barato sperando di non essere scoperto: l’incontro con la direttrice potrebbe essere finito prima oppure quel Contreras potrebbe essere un complice. Prima della cena potrebbero essere passati ad ammazzare Bertenghi. 

Dadotto e Strillacci sono al Museo Egizio. Stanno allestendo la mostra, senza metà dei reperti, naturalmente, quelli potranno metterli solo lunedì.

Tra loro ci sono anche due poliziotti: Ferraris li ha mandati nel caso Mantovani decidesse di presentarsi al museo, con l’ordine di non perderlo di vista neanche un secondo, neppure quando va al cesso.

 

Mantovani in effetti è passato al museo, ma se n’è andato quasi subito. Questo è un elemento positivo, perché in qualche modo conferma i sospetti di Ferraris: probabilmente è venuto per parlare con qualcuno, ma ha capito che rischiava di destare sospetti e se n’è andato. Anche se ovviamente potrebbe essere passato solo per vedere com’era la situazione o prendere accordi per lunedì.

Quando Dadotto vede il commissario, nei suoi occhi c’è un inequivocabile lampo di furia omicida.

- Mi dica lei come faccio ad allestire le vetrine e sistemare le luci, basandomi solo sulle fotografie dei pezzi!

Ferraris ignora la domanda. Dà un’occhiata alla parte già montata. Bisogna riconoscere che Dadotto ha fatto un bel lavoro. Quanto alla parte che manca, ha tutto lunedì per concludere. Di che si lamenta?

- Ho bisogno di parlarle.

- Non ha ancora finito di scassare…

Dadotto si interrompe e Ferraris lo guarda, ghignando.

- No, non ho ancora finito, per il culo di Satana. Se non vuole perdere tempo, non me ne faccia perdere.

Ferraris e Dadotto si mettono in un ufficio vuoto.

- Dov’era martedì alle 19.20?

- Questo martedì, quello degli omicidi?

- Sì.

- A spasso per Torino. Era una bella giornata e ho deciso di fare due passi dopo che abbiamo finito. O, meglio, dopo che abbiamo sospeso senza neppure incominciare, visto che lei ce l’ha vietato.

Ferraris non coglie la sottile allusione al suo ruolo nel mancato allestimento della mostra.

- Era da solo?

- Sì.

- E poi?

- Poi ho mangiato una pizza ed infine sono tornato in albergo.

- Tutto da solo?

- Sì.

- Quindi non ha un alibi? Nessuno che possa testimoniare?

- No.

- In che pizzeria è stato?

- In nessuna, ho solo preso un trancio di pizza.

- Sì, ma dove l’ha preso?

- Non mi ricordo, credo… sì, in quella piazza dove c’è il conservatorio.

- Piazza Bodoni?

Dadotto alza le spalle.

- Se lo dice lei…

- Non ha incontrato nessuno? Qualcuno che possa garantire che lei era davvero in centro e non da un’altra parte, ad esempio a casa del custode assassinato?

- No.

C’è un chiaro tono di sfida, ma Ferraris lo ignora. Quello che conta è che Dadotto non ha un alibi. Ferraris si informa ancora sull’albergo e su alcuni altri dettagli, poi congeda Dadotto e fa chiamare Strillacci.

 

Strillacci appare più disponibile di Dadotto.

- Dov’era questo martedì alle 19.20?

Strillacci guarda il commissario, si gratta un attimo la testa.

- Martedì… martedì… Quando hanno ammazzato il primo custode…

Dadotto ha subito fatto riferimento ai due omicidi, anche se di quello di Bertenghi si è saputo solo giovedì. È vero che è stato detto che la morte di Bertenghi risale a martedì, quindi non è strano che Dadotto abbia fatto il collegamento a tutti e due i morti. Però gli è proprio venuto subito. Un piccolo indizio?

Strillacci sta ancora pensando:

- Dunque, mi pare… Sono uscito dopo le sette e sono andato subito in albergo, a cena.

Per la cena ovviamente basterà fare un controllo all’albergo. Sull’ora a cui Strillacci è uscito dal museo, non ci possono essere certezze. È uscito dopo Dadotto, questo se lo ricorda benissimo. È andato in albergo a piedi.

L’alibi va verificato. È debole, se nessuno sa a che ora è uscito e se in albergo non sanno indicare l’ora dell’arrivo di Strillacci, come è probabile, per non dire sicuro. Può comunque essere uscito, essere andato da Bertenghi e averlo ucciso e poi essere andato in albergo. Se c’era un complice con l’auto che l’aspettava, ha avuto tutto il tempo per farlo. Perfino con la metropolitana non ci vuole moltissimo, da Porta Nuova alla casa di Bertenghi si arriva in un quarto d’ora, anche meno.

Ancora qualche domanda, poi Ferraris congeda Strillacci. Quando l’ispettore esce dal museo, Dadotto non lo saluta neanche. Povero Ferraris, ci dormirà male questa notte!

 

20

 

Il sabato sera e la domenica non succede nulla. Mantovani non telefona, non incontra nessuno di sospetto, sta un po’ in albergo, va in giro per Torino, prende un gelato da Fiorio. Nella serata di domenica ha una cena ufficiale con alcuni studiosi, tra cui il Gando, che ha curato la sezione egizia della mostra. O non ha niente da nascondere, o sospetta di essere sorvegliato.

Si può metterlo sotto torchio, ma non c’è assolutamente nulla contro di lui e purtroppo la tortura per costringerlo a confessare non è praticabile. Ferraris mugugna, ma tanto per lui è abituale.

Domenica sera Ferraris fa il punto della situazione con Michele. Il suo agente preferito sta decisamente bene, domani riprende servizio e, se non ci sono altre urgenze, lavorerà anche lui all’inchiesta. Elencare tutti gli elementi emersi e cercare di formulare ipotesi dovrebbe chiarire le idee, ma Ferraris non vede proprio nessuno spiraglio di luce. Mantovani, che a quest’ora è a cena con gli studiosi, non si è tradito in nessun modo.

- E dove cazzo possiamo trovare un altro filo per sbrogliare la matassa? Per il culo di Satana, non caviamo un ragno dal buco!

- Tu dici che ci dev’essere qualcuno al museo che è complice e mi sembra probabile. Bisogna trovarlo. Quali sono i sospetti?

- Il Sannarcoti, in primo luogo. Ha una funzione importante, organizza il lavoro dei custodi.

- Ma perché allora non ha messo Bertenghi di turno, quella notte? Non può averlo fatto per allontanare da sé i sospetti: se tutto fosse filato liscio, nessuno avrebbe sospettato irregolarità.

- Questo è possibile, però può aver deciso che era meglio premunirsi nel caso qualche cosa andasse storto.

- Sì, non possiamo escludere del tutto questa possibilità. Poi?

- C’è il responsabile dell’allestimento della mostra, Dadotto.

- Uno studioso? Mi sembra strano.

- No, non è un esperto di vecchiume, quello. Cura la parte, come dire, artistica: come si mettono i pezzi, come si illuminano e altre cazzate del genere. Ci sono poi gli esperti, ma quelli mi sembrano fuori gioco, non hanno nessun potere, non si occupano di aprire le casse, non me li vedo. Dadotto potrebbe benissimo essere un complice.

- Altri?

- Volendo Strillacci, il responsabile della squadra che si occupa del montaggio, lavora agli ordini di Dadotto. Lui manovra le casse, nel caso per qualche motivo non fosse stato possibile sostituire la cocaina con la segatura, lui aveva un margine per intervenire.

- Quindi questi tre sono i principali sospetti.

- Sì, senza uno straccio di indizio, neppure la certezza che ci sia davvero un complice in quel cazzo di museo.

Ferraris è di cattivo umore, ma si consola andando a letto (non a dormire) con Michele. I due provano una scena per un film a luci rosse e rimangono soddisfatti del risultato, tanto che decidono di provarne altre.

Sono quasi le tre quando si mettono a dormire, un po’ tardi, è vero, ma non di solo sonno vive l’uomo.

     

Sono le sei del mattino quando il telefono squilla. Il futuro commissario grugnisce e solleva la cornetta, maledicendo Bell e Meucci, il mondo e soprattutto quel fottuto figlio di buona donna che ha chiamato.

La voce è quella di Diotallevi e anche se Ferraris ha molta stima di lui, il poveretto viene (mentalmente) inviato a farsi fottere e a gettarsi in mare, possibilmente con una pietra al collo, per garantire che l’effetto desiderato venga raggiunto rapidamente, senza inutili sofferenze (la morte per polmonite è più lunga e dolorosa di quella per annegamento, in fondo Ferraris è misericordioso).

- Ispettore, hanno ammazzato il Mantovani, lo abbiamo trovato al Valentino. Se vuole venire…

La notizia è una doccia fredda, che sveglia completamente l’ispettore.

- Ma come cazzo è possibile? Era sotto sorveglianza!

- Dopo la cena si è dileguato, i due agenti lo hanno perso di vista. Mezz’ora fa hanno telefonato che c’era un cadavere alla fontana dei Mesi e siamo andati a vedere. È lui.

- Per il culo di Satana, lasciate che uno sotto sorveglianza se la svigni e si faccia pure ammazzare! Siete una manica di incapaci! Alla fontana dei Mesi, hai detto? Vengo subito.

Ferraris riattacca senza aspettare una risposta. È completamente fuori dai fogli. In un batter d’occhio si scaraventa giù dal letto.

Michele ha seguito la telefonata e quando vede Ferraris alzarsi, gli chiede:

- Che è successo?

- Hanno ammazzato Mantovani. Vado subito. Tu cerca di dormire ancora un po’.

Ferraris si veste. Anche Michele si alza e incomincia a vestirsi.

- Che cazzo fai?

- Vengo anch’io. Tanto oggi riprendo a lavorare e se devo occuparmi di questa inchiesta, è meglio che sia presente. Due ore prima o dopo, che differenza fa?

Le differenze ci sono, eccome. Se Ferraris arriva con Michele, tutti avranno una conferma di quello che comunque già sanno, perché come indirizzo per il periodo di convalescenza Michele ha dato l’abitazione di Ferraris. L’ispettore non ha nessuna intenzione di nascondere la loro relazione, però… però… Non saprebbe spiegare la sua incertezza, ma non si sente del tutto a proprio agio.

Michele lo guarda, coglie il suo imbarazzo e gli sorride (una mossa sleale, questa, che priva Ferraris della lucidità necessaria). Poi ritorna serio e gli dice:

- Se preferisci che io non venga perché non ci vedano arrivare insieme, rimango qui. Se non è questo il motivo, vengo con te.

Ferraris lo guarda, annuisce e brontola:

- Muoviti a vestirti, per il culo di Satana, non farmi perdere tempo.

In auto, mentre Michele guida, Ferraris lo guarda e d’improvviso si sente felice, assurdamente felice, come gli sembra di non essere stato mai. Gli mette una mano sulla patta e se non stesse guidando, lo bacerebbe sulla bocca.

 

21

 

Arrivano all’estremità meridionale del Valentino, dove si trova la fontana dei Mesi. Michele parcheggia sulla strada, dove già ci sono due auto della polizia, e scendono a raggiungere i colleghi.

Mantovani giace dietro ad un cespuglio. Il sangue sulla camicia e i fori dei proiettili non lasciano molto spazio a dubbi. Non si tratta di una sincope, né di un ictus. Siamo a tre morti ammazzati. Tre persone che avrebbero avuto un sacco di cose da dire e che non parleranno mai più, a meno di rivolgersi a un medium.

Ferraris recupera l’incazzatura che nel tragitto in auto sembrava svanita. L’ispettore è bravissimo in questo: talvolta gli sfugge un assassino, ma l’incazzatura non se la lascia mai scappare.

- Come cazzo ha fatto a eludere la sorveglianza, me lo spieghi?

Il povero Diotallevi non ha nessuna responsabilità nella faccenda, non spettava a lui pedinare Mantovani. Comunque è informato e spiega:

- Sono andati a cena al ristorante Casa Martìn, in via Sant’Agostino, poi sono usciti. Erano in cinque. Il dottor Gando abita proprio lì dietro, in via Bonelli, e li ha invitati a casa sua. Sono entrati e non li hanno più visti uscire.

- Che cazzo dici? Mica sono ancora lì!

Considerando che Mantovani è a due metri di distanza, l’osservazione di Ferraris è pleonastica.

- No, i due agenti non lo sapevano, ma quell’isolato ha i box sotterranei, con l’uscita dalla piazza Emanuele Filiberto, sull’altro lato. Così quando il dottor Gando ha preso l’auto per accompagnare i suoi ospiti alle loro abitazioni, non li hanno visti uscire. Però quando è ritornato, gli agenti lo hanno visto, nel momento in cui è sceso per aprire il portone, e si sono avvicinati. Hanno chiesto informazioni e hanno scoperto che Mantovani si è fatto lasciare a Porta Susa, dicendo che aveva voglia di fare due passi.

- E perché non mi avete avvisato subito, per il culo di Satana?

- Perché non avevamo nessun elemento, ispettore. I due agenti sono andati all’albergo, ma Mantovani non era rientrato. Deve essere venuto subito qui.

Interviene Michele.

- Deve aver contattato qualcuno, che gli ha dato un appuntamento qui, probabilmente già con l’idea di ammazzarlo.

- E perché?

- Perché era l’unico che poteva ancora portarci all’assassino, ispettore. E quella è gente per cui un cadavere in più o in meno non fa nessuna differenza. Non pensa anche lei?

Come sempre, sul lavoro Michele gli dà del lei. Gli viene con una naturalezza che stupisce Ferraris.

L’ispettore annuisce. Sì, un cadavere in più o uno in meno non fa differenza e oggi la notizia dell’omicidio sarà data in tutti i telegiornali; domani i giornali faranno il resto!

C’è poco da fare, a parte tirare giù dal letto Gando e gli altri tre studiosi. E informarsi  presso gli alberghi in cui alloggiano Dadotto e Strillacci a che ora sono rientrati.

 

Il dottor Alessandro Gando riceve l’ispettore e il suo agente preferito (dell’ispettore, non di Gando) alle sette del mattino, in vestaglia e con un’espressione non precisamente entusiasta. Chissà perché in questa inchiesta si incontra tanta gente poco soddisfatta. Devono aver ragione le statistiche che dicono che gli italiani sono meno felici di un tempo…

Il dottor Gando è comunque cortesissimo, dev’essere un vero gentleman.

A Ferraris sembra molto giovane, per essere un grande esperto di cose così vecchie come l’antico Egitto: lui gli egittologi se li immagina come vecchi bacucchi noiosi, invece questo è sui trenta (anche se è un po’ stempiato) e ha una faccia simpatica. Comunque lui di egittologi non si intende, di egittologia neppure. In compenso però sta imparando a conoscere il Museo Egizio di Torino come le sue tasche.

Ferraris non comunica a Gando che Mantovani è stato assassinato. Si limita a dirgli che ha bisogno di informazioni sulla serata precedente. Il dottor Gando li fa accomodare in salotto.

- Sono a sua completa disposizione, ispettore. Ma… è successo qualche cosa?

Ferraris dribbla la domanda e passa direttamente all’attacco.

- Come mai ha invitato il dottor Mantovani a cena?

Il dottor Gando sorride. Ha un sorriso molto cordiale.

- I funzionari ministeriali che accompagnano i reperti, come misura di sicurezza, seguono il montaggio della mostra e ritornano a casa solo dopo l’inaugurazione. Rimangono lontano dalle loro case per parecchie settimane, a volte per mesi. Si trovano da soli in un paese straniero, di cui spesso non conoscono nemmeno la lingua. Non è certo il caso del dottor Mantovani, che parla perfettamente e vorrei dire anche in modo forbito l’italiano. Comunque i funzionari vengono sempre invitati a cena, da parte dei direttori dei musei e degli altri studiosi: è un gesto di cortesia.

- Chi c’era con Mantovani?

- C’erano tre studiosi di fama internazionale, che certamente lei conoscerà di nome: il dottor Vella, insigne egittologo che ha lavorato a lungo a Berlino, presso l’Ägyptisches Museum; il dottor Wellington, del British Museum; il dottor Wilkinson, dell’università di Oxford. I dottori Vella e Wellington sono a Torino per un convegno sulla mummificazione, che si terrà in contemporanea all’apertura della mostra; Wilkinson invece si trova a Torino per studiare il papiro di Artemidoro.

Ferraris non ha mai sentito nominare nessuno dei tre, non è molto interessato agli studiosi, ancora meno al convegno e men che meno al papiro di Artemidoro. Perciò preme per ritornare a Mantovani.

- Un funzionario ministeriale non è uno studioso. Che cosa aveva in comune con questi Vella, Wellinson e Willington?

- Wellington, Wilkinson. Il dottor Mantovani è una persona squisita, molto colta. Abbiamo discusso insieme dei problemi legati ai finanziamenti dei musei, ai criteri espositivi, ai falsi…

Ferraris non è interessato neppure agli argomenti discussi (in effetti, ha interessi alquanto limitati, specialmente durante le indagini), ma Gando prosegue.

- È raro trovare qualcuno così dotto. Immagini che è un latinista. È stato davvero un piacere conoscerlo, spero di avere ancora occasione di intrattenermi con lui.

Il dottor Gando ovviamente non avrà più nessuna occasione di stare con Mantovani, a meno che non ne accompagni la bara nel viaggio di ritorno verso la Colombia, cosa altamente improbabile, ma per il momento la notizia di questo assassinio non è stata divulgata.

- Chi ha scelto il ristorante?

- I signori erano miei ospiti, per cui ho scelto io il locale. Casa Martìn ha una cucina molto curata, che di solito i miei ospiti apprezzano. Essendo dietro l’angolo, posso invitare gli ospiti a casa mia, dopo cena, oppure a prendere un aperitivo, prima di cena.

- E ieri sera?

- Ieri sera siamo venuti qui dopo cena.

- A che ora?

- Verso le dieci, no, un po’ dopo, forse.

- Subito dopo essere usciti dal ristorante?

- Sì, ma…

- E poi?

- Abbiamo conversato circa un’ora qui, in salotto. Il dottor Mantovani è davvero una persona squisita. Poi ho accompagnato gli ospiti alle loro abitazioni. Il dottor Mantovani ha insistito per essere lasciato a Porta Susa, dicendo che preferiva fare due passi. Sa, è alloggiato all’Ambasciatori, non lontano dalla stazione.

Interviene Michele:

- Nel corso della serata Mantovani ha fatto una telefonata, che lei sappia?

Gando annuisce.

- Certo, me lo ricordo benissimo. Ad un certo punto si è alzato, scusandosi con noi, e ha detto che doveva fare una telefonata. Ha messo la mano in tasca e si è accorto di aver dimenticato il cellulare. Allora il dottor Vella gli ha prestato il suo.

Ferraris e Michele si guardano. Tutti e due stanno pensando la stessa cosa: Mantovani non ha dimenticato il cellulare, non voleva telefonare dal proprio, perché temeva che fosse sorvegliato. Mantovani era astuto, ma questo non gli ha giovato.

- Come le è sembrato Mantovani? Era teso, preoccupato?

- No, era perfettamente a suo agio.

Ancora alcune domande, ma non viene fuori nulla di significativo. L’unico elemento importante emerso è la telefonata.

Ferraris e Michele passano quindi dal dottor Vella, che alloggia in un albergo del centro. C’è poco da sapere da lui, ma controllando il suo telefonino, ottengono il numero chiamato da Mantovani: si tratta di un altro cellulare, com’era prevedibile.

 

 

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