II

 

 

6

 

Quando torna in centrale, Ferraris chiama Martino, che si occupa dell’agenda telefonica di Messinese.

I numeri di telefono non sono molti e diversi corrispondono a locali notturni di Torino e della Valle d’Aosta: due agenti faranno un giro per raccogliere informazioni. Sono certamente quelli in cui sono state scattate le fotografie. Forse qualcuno sarà in grado di fornire elementi interessanti per l’indagine, ma Ferraris non ci crede molto. Gli sembra più significativa l’altra traccia, quella del materiale rubato al museo: Messinese è stato ucciso lì, non in un locale notturno o a casa sua.

Tra i numeri scritti dalla vittima, c’è quello di Gino detto lo Svelto, già condannato diverse volte per furto. Il recapito però non è aggiornato e Ferraris è abbastanza sicuro che lo Svelto non c’entra con il delitto, perché è in carcere da sei mesi. C’è anche il numero di un certo Giovanni Consigli, antiquario. Un custode di museo non ha molte occasioni per frequentare un antiquario. Consigli è incensurato, ma è altamente probabile che abbia un ruolo nel traffico di reperti rubati al Museo Egizio.

Il tizio saprà di sicuro che Messinese è morto: la notizia è sulla prima pagina di diversi quotidiani, oggi; della mostra di Torino si parla in mezza Italia, il public relations manager Lamberti si dà molto da fare, che Dio lo strafulmini (augurio di Ferraris).

Ferraris decide che vale la pena di fare una visita all’antiquario, che ha il negozio in pieno centro, in via Carlo Alberto. Lo accompagna Martino e per strada i due si mettono d’accordo.

Ferraris entra nel negozio con un’aria poco rassicurante, Martino ostenta un fiero cipiglio. L’antiquario saluta, ossequioso, è un ometto basso, con una pelata che il mezzo inchino mette bene in vista (anche in questo caso, un’occhiata è più che sufficiente per una valutazione). Il tizio vorrebbe far finta di niente, ma è evidente che non si tratta di due clienti qualunque: Martino è in divisa e nessuno dei due ha la faccia dell’estimatore dell’arredamento Biedermeier. Ferraris si rende conto che il tipo è nervoso, in qualche modo temeva la loro visita, e questo significa che la preda è pronta a farsi impallinare. Se si aspetta la grazia dall’ispettore, ha sbagliato i conti, alla grande. La grazia no, ma il colpo di grazia, sì.

Ferraris esordisce con durezza.

- Chiuda il negozio, non voglio interruzioni.

- Ma… io, commissario…

Il povero Consigli ha già commesso il primo errore, mostrando di aver riconosciuto Ferraris. Non deve essersi perso un telegiornale, ieri sera, dopo aver saputo della morte di Messinese.

- Muoviti.

Ferraris è già passato al tu. Si siede su una sedia Luigi XV, mentre Consigli sprofonda in un pantano di paura e non trova neanche il coraggio di dire al futuro commissario che non dovrebbe sedersi lì, perché quel pezzo vale molto di più di quanto l’ispettore guadagna ogni mese.

Martino rimane in piedi, l’aria sempre più corrucciata. Indica con un cenno del capo la porta e Consigli corre a chiuderla, ormai in preda al panico. Martino è una pasta d’uomo, non farebbe male ad una mosca, ma per recitare la parte del duro è perfetto. L’antiquario, quando gli passa vicino per andarsi a sedere (in piedi non regge, è sul punto di svenire), lo guarda sgomento. È talmente agitato che anche lui si siede su una sedia Luigi XV (si vendono a coppie), passandosi un fazzoletto sulla fronte.

Ferraris riprende.

- Lei è nei guai, Consigli, guai grossi.

Consigli agita le mani, vorrebbe parlare, apre la bocca tre volte, ma non esce suono.

- Farebbe bene a dirmi tutta la verità su Messinese. Un omicidio non è uno scherzo, Consigli.

Consigli strabuzza gli occhi.

- Ma… io… io… io non so nulla.

Le ultime parole sono state quasi gridate, con una voce sempre più acuta.

- Messinese era in contatto con lei. Abbiamo le prove. Le vendeva reperti rubati al Museo. E poi…

L’ispettore tace, come se sapesse benissimo che cosa è successo dopo. La pausa di Ferraris è il colpo di grazia. Ogni volontà di resistenza (ma quale? Consigli aveva calato le brache prima ancora di aprire bocca) svanisce.

- Commissario… io… lo conoscevo appena. Non sapevo che quei pezzi… io credevo…

- … che li aveva portati la Befana. Per il culo di Satana, piantala con queste stronzate.

Consigli scoppierebbe a piangere.

- Sì… no, lui, aveva questi pezzi… Gli affari non vanno molto… L’affitto di questo locale, sa quanto pago d’affitto?…

A Ferraris non potrebbe fregare di meno di quanto Consigli paga d’affitto e il verso che emette è più eloquente di un discorso circostanziato, completo di sillogismo e deduzione.

- Mi portava quei pezzi, io gli avevo detto che non li volevo…

Nuovo verso animalesco di Ferraris, con una sfumatura di incazzo quanto mai convincente, perché Consigli sussulta e si riprende.

- Commissario, ho venduto quei pochi pezzi…

Ferraris si chiede se Consigli ha paura perché è implicato nell’omicidio o se è tanto coniglio, da essere sul punto di svenire solo perché la polizia ha scoperto che vende reperti rubati. L’ispettore vorrebbe con tutto il cuore che la risposta giusta fosse la prima, ma incomincia a temere che sia invece la seconda. Nel qual caso, c’è poco da ricavare per l’indagine.

- Dov’eri ieri notte?

- Ieri notte?

- Sì, quando hanno ammazzato il tuo complice.

Consigli sobbalza.

- Il mio complice!? Commissario, io… io…

- Per il culo di Satana, ti ho fatto una domanda: rispondimi!

La voce era già piuttosto stridula. Adesso è un gesso che graffia la lavagna.

- Io ero a casa. Dormivo. Non ne so nulla. Io… commissario… io… non penserà… io…

- Chiudi il negozio e vieni con noi in commissariato.

Consigli è sul punto di mettersi a piangere. Ferraris è sempre più in dubbio, ma in ogni caso questa pista va battuta fino in fondo. Perché altre, per il momento, non ce ne sono.

 

7

 

In commissariato Consigli rilascia la sua deposizione. Messinese gli aveva fornito alcuni pezzi da vendere, poca roba, qualche volta, quanti, esattamente non sa, forse una decina. Ne aveva promessi altri, ma Consigli non voleva prenderli, Messinese aveva insistito, Consigli non sapeva bene che fare, non voleva più… Aveva venduto qualche pezzo direttamente, a famiglie della Torino bene, suoi clienti a cui aveva proposto un affare. Qualche altro pezzo lo aveva passato ad un amico antiquario a Milano, ma…

Ferraris è sempre più cupo. Sì, è chiaro che Messinese rubava dal museo i reperti per venderli. Prendeva dai magazzini oggetti di piccole dimensioni, se li infilava in tasca e li passava all’antiquario. Con quei soldi si pagava il casinò e i locali notturni, le puttane e lo spumante di terz’ordine spacciato per champagne francese. Probabilmente è stato ucciso proprio mentre andava a rubare.

Il problema è capire chi può averlo ammazzato e perché. Un complice? Magari Messinese aveva deciso di rubare pezzi di maggiore valore oppure era il suo compare che intendeva farlo, magari c’è stato un diverbio tra i due. Consigli non sa nulla di un complice.

Ferraris non si vede Consigli come assassino. È un coniglio e i conigli uccidono solo se non hanno via d’uscita. È possibile che sia entrato nel Museo, d’accordo con il Messinese, per scegliere i pezzi da prendere? Poi un diverbio... Difficile, Consigli è piccolino e Ferraris proprio non se lo immagina che spacca il cranio a uno con una pietra. Improbabile. Altamente improbabile. Merda!

Doveva esserci qualcun altro.

Se c’era un altro complice, chi poteva essere? Ovviamente c’è Busini, che era amico di Messinese. Però quella notte non era al museo. Almeno non era di turno, era in malattia. Ma poteva essere entrato in qualche modo.

Consigli è trattenuto in commissariato. Non è ancora in arresto, ma intanto perquisiscono il negozio e casa sua e lo tengono un po’ a bagno Maria. Magari si ricorda qualche cosa che si era dimenticato.

Nel tardo pomeriggio Ferraris telefona al museo. Stanno facendo il controllo. Gli passano Daniele Sannarcoti, che se ne occupa.

- Ci vorrà parecchio tempo, ma abbiamo trovato due casse manomesse, da cui sono spariti diversi pezzi, almeno una trentina.

- Oggetti di grande valore?

- No, tutti reperti di valore limitato e di piccole dimensioni, tra cui sicuramente due di quelli che lei ha ritrovato. Ah, commissario, c’è un’altra cosa…

- Mi dica.

- Abbiamo trovato alcuni pezzi fuori dalla cassa, avvolti in uno straccio.

- Cosa?

- Sì, qualcuno deve aver preso i pezzi dalla cassa e averli nascosti. Nella stanza a fianco di quella in cui è stato ritrovato il cadavere.

- Che tipo di pezzi?

- Reperti come gli altri che sono stati trafugati. Piccoli, poco ingombranti. Li teniamo a sua disposizione.

Ferraris posa il ricevitore, medita un momento, poi fa chiamare Consigli nel suo ufficio.

- Bene, bene, alla faccia di pochi pezzi, per il culo di Satana! Sono almeno sessanta quelli che hai smerciato. E altri te ne dovevano arrivare.

Se tra i trenta mancanti ci sono solo due dei quattro che hanno ritrovato a casa di Messinese, allora i pezzi sono almeno sessanta: la matematica non è un’opinione, la statistica per Ferraris sì, ma non ha importanza, lui si occupa di delitti, non lavora mica per l’ISTAT.

Le ore trascorse in commissariato non hanno aiutato Consigli a recuperare la serenità perduta. Di rado hanno questo effetto.

Consigli era crollato nel suo negozio, peggio che le torri gemelle. È già a Ground Zero, adesso che cosa gli resta da fare? Non sa nemmeno lui quanti sono i pezzi, ma fornisce i nomi. Davanti a Ferraris sfila un pezzo della Torino bene, di quella stessa di cui si è occupato per il caso delle teste tagliate.

Altro non c’è. Della morte di Messinese Consigli non sa un cazzo, che Satana lo sprofondi a Malebolge (Ferraris è un estimatore di Dante), dopo avergli fatto altre cose che è meglio non ripetere, essendo il linguaggio in questo romanzo già abbastanza indecoroso, ma la colpa è del protagonista, l’autore declina ogni responsabilità.

 

Bene, in meno di due giorni Ferraris ha scoperto il responsabile di piccoli furti che avvenivano all’Egizio, ha arrestato un ricettatore, ha recuperato persino otto reperti (quattro a casa di Messinese, quattro dal Consigli, per non parlare di quelli trovati avvolti nello straccio e di quelli che si recupereranno dai compratori), ha scoperto un giro di acquirenti di oggetti rubati nella Torino bene. Che cosa vuole di più?

Certo, avrebbe dovuto scoprire un assassino, ma non si può dire che non abbia fatto niente, in quarantott’ore qualche risultato l’ha ottenuto.

Ferraris fuma dalla rabbia, ma è chiaro che l’inchiesta è arrivata ad un punto morto e che bisogna ripartire in un’altra direzione. Quale? Questo è il problema.

 

Quando l’ispettore, già di pessimo umore, torna a casa, Michele è al computer, su Internet. Da quando Ferraris gli ha detto di avere un abbonamento tutto compreso, Michele non si pone limiti. Gira spesso, frequenta MySpace e chatta su Messenger. Tutte cose che Ferraris ha sempre fatto e proprio per quello gli girano i coglioni all’idea che anche Michele lo faccia.

Perché fin che Michele parla con qualche donna, va bene, anche se Ferraris non capisce che cosa ci trovi a comunicare con LaraCroft o Ilenia. Lui ha sempre cercato interlocutori dotati di altri attributi.

Ma quando chatta con quel porco di Alex e insieme immaginano scene hard, a Ferraris va meno bene. E che Michele con Alex sviluppi storie a luci rosse, Ferraris lo sa per certo, perché lui l’ha fatto un sacco di volte, proprio con quel maiale.

 

8

 

A tavola Ferraris parla con Michele degli ultimi sviluppi dell’inchiesta.

- Questa faccenda dei pezzi nascosti in uno straccio non mi quadra.

- Non è possibile che siano quelli che Messinese stava prendendo?

- Sì, l’ho pensato anch’io. Ma perché non erano nelle tasche di Messinese?

- Vediamo un po’. Io faccio le ipotesi, tu le vagli. Ipotesi n.1: l’assassino li ha tolti perché non capissimo.

- No, non ha senso. Se era così, se li portava via. Messi in un angolo, prima o poi saltavano fuori di sicuro.

- Ipotesi n.2: è stato Messinese a nasconderli.

Ferraris guarda Michele, che sta meditando.

- Si spieghi, agente. Articoli la sua ipotesi, la sviluppi, la illustri e dimostri di avere un po’ di sale in quella zucca che porta sopra il collo come ornamento.

Peraltro un ornamento di gran buon gusto, ma questo Ferraris evita di dirlo, anche se lo pensa.

Michele sorride.

- Vediamo un po’, signor Poirot. Messinese ha deciso di rubare alcuni pezzi. Non può riempirsi le tasche più di tanto, qualcuno potrebbe notare il rigonfio e sospettare. Apre le casse, prende quello che serve, si mette in tasca quello che riesce a nascondere e lascia il resto a portata di mano per la prossima volta.

- Messinese non aveva in tasca niente, a parte il fazzoletto e il portafogli, mio caro Hastings.

- Sì, perché appena è sceso, proprio per ritirare proprio quei pezzi che aveva lasciato la volta prima, lo hanno fatto secco, ipotesi n.2A. Oppure…

- Oppure?

- Oppure c’è l’ipotesi 2B: ha tirato fuori i pezzi che contava di prendere, ma in quel momento ha sentito dei rumori. Ha nascosto quello che aveva rubato ed è andato a vedere. Ha visto quello che non doveva e lo hanno eliminato.

Ferraris annuisce. Sì, probabilmente è andata così. Non che questo cambi molto. Prenderanno le impronte dal cadavere di Messinese e controlleranno se le stesse impronte si trovano su quei pezzi. Non che questo sia di grande aiuto, ma deve essere così.

Adesso il problema è, semplicemente: che cazzo succedeva nei sotterranei, quando Messinese è sceso? È ora di ricontrollare i turni di sorveglianza e mettere sotto torchio i custodi. Il patito dell’egittologia però no, quello lo interroga Martino. Ferraris non intende sorbirsi un’altra lezione.

 

L’umore dell’ispettore non migliora il giorno dopo, alla lettura dei giornali. La stampa si è già impadronita dei primi sviluppi del caso. Il furto e il traffico di reperti egizi hanno assunto dimensioni epiche, manco Messinese avesse rubato le tre piramidi di Giza (e la Sfinge in sovrappiù) e Consigli avesse venduto il tesoro di Tutankhamon al Berlusca.

Ferraris non sa se deve ringraziare Lamberti (come vorrebbe che Satana inculasse il public relations manager!) o il solito anonimo del commissariato. Ma in fondo di che si lamenta? Fa la figura del super-eroe, che al solo comparire sulla scena ha già sgominato una banda. Dategli un po’ di tempo e Ferraris-Superman risolverà ogni problema, anche quello della monnezza a Napoli. Certo, per la questione palestinese gli ci vorrà un po’ di più, ma se lo lasciate fare, se non gli remate contro…

 

Ferraris arriva in commissariato con tre diavoli (virgola cinque, per essere precisi) per capello (totale impressionante, perché Ferraris i capelli non li perde, beato lui).

Prende in mano i fogli con i turni dei custodi e decide di fare un altro salto al museo.

Il dottor Sannarcoti sorride gentilmente a Ferraris e lo invita a sedersi. Davanti a quel gigante, l’ispettore ha sempre l’impressione di essere seduto su una sedia troppo bassa, ma la sedia di Sannarcoti è uguale alla sua.

Il dottore rispiega nuovamente, paziente e preciso, forse anche un po’ pignolo, come funziona il sistema. Aggiunge qualche dettaglio.

- Ogni due ore cambia il custode addetto alla videosorveglianza. Dalla sala sono visibili tutti i locali del museo e gli ingressi. Se occorre, si possono attivare le riprese.

- Nella notte tra lunedì e martedì sono state attivate?

- No. Di solito si fa solo quando c’è qualche cosa di anomalo o quando il custode di turno lascia la sala.

- Mi ha detto che dalla sala si controllano anche le porte d’ingresso, no?

- Sì, è possibile attivare e disattivare l’allarme, aprire le porte.

- E intanto si possono vedere anche i custodi in servizio e sapere se uno di loro è vicino ad una porta.

Il dottor Sannarcoti annuisce.

- Sì… certo.

- E anche vedere se un custode scende nei sotterranei.

Il dottore riflette un momento.

- Sì, cioè, dipende… forse

Ferraris aggrotta la fronte. Daniele Sannarcoti si alza. Dio mio, vederlo in piedi è impressionante. Giocherà a basket?

- Venga con me, le faccio vedere.

Nella sala di videocontrollo, le telecamere sono accese e due custodi sono in servizio.

- Non mi aveva detto che c’era un solo custode di turno?

- La notte sì, di giorno sono due, ci sono i visitatori e serve un controllo in più.

Poi indica un monitor.

- Vede, quella è la telecamera che riprende il corridoio dove c’è la porta da cui si scende nei sotterranei. Non è un corridoio accessibile al pubblico, ma ne abbiamo messa una anche lì, non si sa mai. Però, vede, il lato sinistro non è visibile, uno può arrivare alla porta senza che dalla sala di controllo se ne accorgano.

- Quindi chiunque può introdursi nei sotterranei senza essere visto.

- Non direi. Deve essere già entrato nel museo e questo non può avvenire senza che dalla sala controllo lo vedano: gli ingressi sono tutti videosorvegliati, oltre che allarmati. Inoltre deve sapere dove si trova la telecamera e che cosa riprende. Difficile rendersene conto se uno non è mai stato qui dentro.

- Messinese però qui non è mai entrato.

Daniele Sannarcoti alza le spalle.

- Come potrei dirlo? Non è mai stato messo di turno, ma magari può essere passato per fare due chiacchiere. O con la scusa di farle…

          Già, altamente probabile.

 

9

 

 

Ferraris rivede l’elenco dei turni nella notte tra lunedì e martedì. Dalle tre alle cinque, quindi nel periodo in cui è stato ammazzato Messinese, c’era Bertenghi.

- Bertenghi è presente?

- No, è a casa in malattia, sa, ha subito un colpo...

Considerando che l’unica volta che Ferraris l’ha visto, il poveretto era tanto pallido da sembrare un cadavere, l’ispettore non si stupisce. Decide che farà un salto a casa sua. Preferisce prenderlo di sorpresa, perché se qualcuno è entrato nel museo in quel lasso di tempo, Bertenghi lo deve sapere.

Il custode abita in corso Montegrappa, al quarto piano di un palazzone costruito negli anni ’60. Una casa di sicuro più elegante di quella di Messinese, anche se non di lusso, in un bel quartiere.

Ferraris suona al citofono, ma nessuno risponde. Eppure Bertenghi è in mutua, dovrebbe essere a casa. L’ispettore si fa aprire da un vicino e sale al quarto piano.

Suona il campanello dell’appartamento. Nessuna risposta. Strano, si sente la televisione. Che Bertenghi sia un po’ sordo?

Ferraris suona alla porta dei vicini, ma non lo hanno visto. Gli dicono che il televisore è acceso dall’altro ieri. È insolito, abitualmente Bertenghi non lo lascia acceso. L’ispettore sta già lanciando maledizioni. Chiede perché cazzo non hanno chiamato la polizia, ma evidentemente è un condominio in cui ognuno si fa gli affari suoi. E poi il volume non è così alto da disturbare.

Quindi se non disturba, l’inquilino può benissimo essere morto. Solo quando incomincerà a puzzare tanto da appestare l’aria nella tromba delle scale, qualcuno avviserà la polizia che c’è un televisore acceso da una settimana. Perché la puzza disturba.

A questo punto occorre entrare in casa di Bertenghi e vedere se è scappato o che cos’altro è successo: Ferraris teme il peggio. Ottenuta l’autorizzazione, il fabbro apre la porta. Bertenghi è sulla poltrona davanti al televisore, pallido come un cadavere.

Questa volta la causa del pallore non è la paura, ma un numero ancora imprecisato di pallottole, tre si direbbe, dai fori nella camicia. Il pallore cadaverico di Bertenghi ha un’ottima motivazione, inoppugnabile: Bertenghi è un cadavere, ormai completamente freddo.

Difficile ora ricavarne quelle informazioni che Bertenghi era in grado di dare: perché il custode e seconda vittima certamente sapeva chi è entrato nel museo l’altra notte, altrimenti non sarebbe stato assassinato. Ferraris si darebbe dei pugni in testa per non averlo pensato prima.

Ferraris voleva che l’inchiesta ripartisse? È stato soddisfatto. L’inchiesta riparte. Alla grande. Ferraris bestemmia.

Mentre la scientifica fa i rilievi del caso, Ferraris riflette. Ormai ha le idee chiare su come devono essere andate le cose.

Bertenghi era di turno nella sala di videosorveglianza. Ha disattivato l’allarme di una delle porte e ha fatto entrare qualcuno nel museo. L’uomo ha raggiunto i sotterranei, è stato sorpreso da Messinese, sceso per rubare, e lo ha ucciso. Quindi non bisogna cercare un complice di Messinese, ma un complice di Bertenghi o qualcuno che comunque ha pagato il custode perché gli aprisse.

Bertenghi non deve essersi accorto di niente. Probabilmente all’ora prevista ha fatto uscire l’intruso, senza sospettare che avesse ammazzato il suo collega. Poi ha riattivato l’allarme delle porte e quando è sceso nei sotterranei per accompagnare i tecnici, ha scoperto il cadavere. Certo che era sconvolto: non si aspettava il morto. E sapeva benissimo che in quell’omicidio c’era dentro fino al collo.

L’altra ipotesi è che Bertenghi, Messinese e lo sconosciuto fossero complici. Non sembra probabile, anche se non può essere scartata. Comunque una cosa è certa: né Messinese, né Bertenghi potranno dire che cosa è successo.

 

Quando la scientifica ha finito, Ferraris fa il suo giro di perlustrazione nella casa. È un appartamento più vasto di quello di Messinese, con mobili che hanno maggiori pretese, tappeti, diversi libri. Piuttosto ben curato e pulito. A parte questo, non emerge niente di anomalo. Sul televisore c’è una vecchia foto di un Bertenghi giovane e sorridente, accanto a una sposa vestita di bianco. Una rapida ispezione dei documenti, ordinatamente raccolti in una cartellina, in un cassetto, rivela che Bertenghi è rimasto vedovo quattro anni fa. C’è un figlio, che sta a Bologna.

Ci sono molte foto, sistemate in un album, di Bertenghi e della moglie, poi di loro due con un bambino che cresce, poi ancora di loro due con un ragazzo e poi da soli. Frammenti di vita quotidiana. Nulla che rimandi a ladri, assassini o delitti.

I rendiconti della banca sono più interessanti. Dopo la morte della moglie c’è stato un rapido calo dei pochi risparmi accumulati negli anni precedenti. Il conto è andato in rosso in più occasioni, nonostante qualche bonifico da una banca di Bologna, da parte del figlio.

Bertenghi aveva bisogno di soldi. Il perché non è chiaro e forse non è neppure importante. Comunque lo dirà il figlio, che andrà contattato.

 

10

 

Mentre gli agenti si occupano di rintracciare il figlio di Bertenghi, Ferraris torna al museo. Comunica la notizia alla direttrice, poi, accompagnato dal Sannarcoti, fa ancora un giro per verificare i sistemi di videosorveglianza.

Infine ritorna dalla direttrice, quella Monica come-cazzo-si-chiama, perché vuole capire che cosa poteva cercare l’intruso (o gli intrusi, non è detto che fosse una persona sola) nel museo.

La signora appare stanca e il suo sorriso gentile non è propriamente allegro, ma due morti in tre giorni sono davvero un po’ troppo: insomma, siamo al Museo Egizio di Torino, mica a Bagdad. Lavorare in un museo non dovrebbe essere così pericoloso.

- Nei magazzini non sono conservati reperti di grande valore. Nulla che possa giustificare un omicidio. A meno che…

La direttrice si blocca, assalita da un dubbio improvviso. Impallidisce. Ferraris vede un barlume di luce profilarsi all’orizzonte. Speranzoso, sollecita:

- A meno che?

- Proprio lunedì sono arrivati i reperti colombiani e sono stati collocati nei sotterranei. Forse i ladri intendevano rubare alcuni di quegli oggetti. Vi sono monili d’oro e altri manufatti preziosi. Spero che non abbiamo preso niente. Sarebbe un disastro, a livello internazionale. Il dottor Mantovani…

La direttrice è molto agitata, ora. Ferraris si frega le mani, soddisfatto. Ladri di opere d’arte, quindi! Questo potrebbe rimettere in campo Messinese. Potrebbe essere stato lui a convincere Bertenghi. Ha deciso di tentare un colpaccio, con l’aiuto di qualcuno altro, ma la faccenda non ha funzionato. No, se fosse così non si spiegherebbe lo straccio con i reperti egizi. Messinese doveva essere sceso per quelli.

- Avete aperto le casse?

La direttrice annuisce, apre la bocca, ma si ferma ed aggrotta la fronte, come colpita da un pensiero improvviso. Poi impallidisce ancora di più. Ferraris incomincia a temere uno svenimento, che lo priverebbe di una fonte di informazioni e soprattutto lo metterebbe in una situazione fastidiosa. Che si può fare quando una donna sviene? La respirazione bocca a bocca no, quella si può fare ad un uomo, se vale la pena. A Michele lui farebbe la respirazione bocca a bocca tutto il giorno, ma quello non sviene mai (però si lascia ugualmente fare la respirazione bocca a bocca).

- Aspetti un attimo.

Va sulla porta e si rivolge alla segretaria.

- Viviana, per favore, può dire al signor Dadotto di venire subito?

La segretaria è ferma alla scrivania che fissa un punto in lontananza. Per un attimo sembra non aver neppure sentito, poi si riscuote.

- Mi scusi, ero distratta. Il signor Dadotto, ha detto?

- Sì.

- Subito.

La signora Viviana si allontana, su tacchi a spillo vertiginosi. Ferraris la guarda e come sempre si chiede come diavolo facciano le donne a camminare su quei trampoli. E questa ci cammina come se fosse nata con quelle appendici addosso.

Comunque ormai l’ispettore si sta innervosendo (si sa, la pazienza non è tra le sue virtù) e ritorna alla direttrice:

- Che c’è?

- Il signor Dadotto, il responsabile dell’allestimento della mostra, mi ha detto una cosa strana, questa mattina. Ma preferisco che gliela dica lui stesso.

A Ferraris qualche cosa non quadra. Qui ci sono troppi responsabili per un’unica mostra: Strillacci era responsabile e parlava di quel Gando come responsabile e adesso spunta fuori questo Dadotto.

- Ma chi è il responsabile della mostra, insomma?

La direttrice lo guarda un attimo, perplessa.

- Come, scusi?

Ferraris già sbuffa.

- Dadotto, Gando, Strillacci. Mi sembra un po’ troppa gente per una mostra sola.

La direttrice sorride cortese (questa donna potrebbe dare lezioni di buone maniere a chiunque, peccato che per Ferraris, che tanto ne avrebbe bisogno, sarebbero del tutto sprecate).

- Allora, il dottor Alessandro Gando è uno studioso ed è il curatore della sezione egizia della mostra, che ruota intorno alla mummia ritrovata nei sotterranei. Per la sezione colombiana, il responsabile è il dottor Lorenzo Mantovani, del ministero della Colombia.

Mantovani? Un altro che spunta fuori, come un coniglio dal cappello? Questo è troppo!

- Per il culo di Satana! E Strillacci e questo Dadotto, chi sarebbero?

- Il signor Filippo Dadotto cura l’allestimento della mostra dal punto di vista estetico: si occupa di valorizzare i reperti, esponendoli nel modo più appropriato. Ha studiato le vetrine, i sostegni, l’illuminazione. È uno dei più quotati in Europa in questo campo, ha lavorato anche al museo Miho di Kyoto: un curriculum che pochi possono vantare. In questo caso per i reperti colombiani ha dovuto lavorare senza avere i pezzi a disposizione, perché ci sono stati dei ritardi e…

Ferraris non sa che cosa sia il museo Mio, per un attimo ha pensato che fosse un museo della direttrice, poi ha capito che non era così, difficile che la direttrice abbia un suo museo personale a Kyoto (ma non era Tokyo la capitale del Giappone?). Comunque adesso ha inquadrato la situazione. Manca solo Strillacci.

- E Strillacci?

- Il signor Gio Strillacci è un tecnico, lavora alle dipendenze di Dadotto. Lei capisce, reperti di questo genere richiedono particolari precauzioni, non possono essere maneggiati da chiunque. Per la sistemazione dei reperti ci si serve solo di tecnici specializzati, con una vasta esperienza. Ogni museo ha i propri.

- Quindi Strillacci è alle dipendenze del museo?

- No, l’équipe che realizza il montaggio della mostra è costituita da personale esterno. I nostri tecnici si occupano della sistemazione dei pezzi all’interno dell’esposizione permanente del museo, non delle mostre.

 

11

 

In quel momento fa il suo ingresso Filippo Dadotto. È sui trenta, magro ma muscoloso, il cranio rasato. Dopo la prima occhiata (è un tipo di cui diffidare, classica faccia da delinquente), Ferraris ne lancia una seconda e poi una terza. Altre seguiranno nel colloquio (si sa, i delinquenti è bene tenerli d’occhio).

La direttrice si rivolge al tecnico.

- Signor Dadotto, mi diceva questa mattina di aver notato alcune… irregolarità nelle casse in cui sono contenuti i reperti colombiani. Credo che la faccenda possa interessare al commissario Ferraris.

Ferraris è già in fibrillazione.

Dadotto si rivolge direttamente a lui:

- Abbiamo aperto quattro casse e… l’impressione è che almeno due fossero già state aperte. Gli oggetti erano nei loro involucri, intatti, ma qualcuno doveva aver aperto le casse.

Ferraris sobbalza.

- Cosa? Mancano degli oggetti? È stato rubato qualche cosa?

Dadotto scuote la testa.

- No, il contenuto delle casse aperte corrisponde esattamente a quanto risulta nel nostro elenco, ho verificato. Mi sono preoccupato molto, avrà sentito anche lei delle statue del Bangladesh scomparse quando erano in partenza per Parigi. - Ferraris non ha sentito niente, sa a malapena dove si trova il Bangladesh, perciò non dice nulla – Io ho pensato a un controllo doganale, a Bogotà o a Torino, però è un po’ strano, questi materiali, inviati attraverso il ministero, di solito non subiscono particolari controlli. Trattandosi di pezzi di valore e delicati, prima di aprire le casse, ci pensano due volte. E poi c’era il dottor Mantovani, del ministero colombiano, che ha seguito personalmente tutte le fasi della spedizione. L’ho contattato immediatamente e si è precipitato qui.

- Dalla Colombia?

- Ma no, è venuto in Italia per accompagnare i pezzi e rappresenterà il ministro all’inaugurazione della mostra.

- Che cosa ha detto Mantovani?

- Che probabilmente hanno fatto qualche controllo prima di spedirle, anche se a lui non risultava. Non era troppo preoccupato, quando ha visto che i pezzi c’erano tutti. In alcune delle casse che abbiamo aperto c’erano monili d’oro di grande valore. Se avessero voluto rubare, una volta aperta la cassa, quelli li avrebbero fatti sparire.

Il ragionamento del Dadotto sembra funzionare, anche se non si può mai sapere: magari si tratta di un furto su commissione e i ladri cercavano un pezzo particolare, ma non sapevano dov’era.

- Avete aperto tutte le casse?

- No, procediamo gradualmente, sa è materiale…

Ferraris interrompe.

- Quindi ci sono delle casse che voi non avete ancora toccato.

- Certo.

La direttrice interviene. È chiaramente agitata. Pensa a un possibile furto, allo scandalo internazionale.

- Dobbiamo controllarle subito. Sarebbe un disastro se fosse scomparso qualche reperto.

Prima che Dadotto abbia avuto il tempo di dire mezza parola, Ferraris interviene:

- Non toccate niente! Se qualcuno entra nella sala lo arresto!

Dadotto guarda Ferraris, sbalordito.

- Ma sta scherzando!? Dobbiamo finire l’allestimento. Siamo in un ritardo pazzesco.

Ferraris è molto comprensivo, come al solito:

- Non me ne fotte un cazzo del ritardo. Qui sono avvenuti due omicidi.

Dadotto guarda la direttrice, sperando in un appoggio, ma questa allarga le braccia, sconsolata: ha capito che tipo è Ferraris.

Ferraris chiama subito la scientifica. La squadra arriva in fretta. La dirige Elisabetta Della Rocca, Eli per gli amici. Ferraris la conosce bene. Ottimo, è una in gamba, di lei ci si può fidare.

 

L’esame richiede parecchio tempo: Eli è una che fa le cose per bene e Ferraris ne è ben contento, ma adesso la manderebbe a stendere, è troppo impaziente.

- Allora? Per il culo di Satana, intendi lasciarmi qui tutta la mattina ad aspettare?

Ferraris freme. Eli, che lo conosce benissimo, lo lascia cuocere un momento nel suo brodo, ma non troppo: c’è il rischio di un’esplosione, con schizzi sui muri...

- Le casse sono state tutte aperte al loro arrivo, alcune sicuramente dopo essere state collocate qui dentro.

- Come fai a dirlo?

Eli si aspettava la domanda, ha avuto molte occasioni di lavorare con Ferraris. Peggio di san Tommaso, l’ispettore.

- Se guardi le casse, lo vedi anche tu. Guarda qui. È evidente che hanno usato delle pinze per togliere i chiodi e poi li hanno rimessi. In diversi casi il buco del chiodo è doppio. O chi ha inchiodato le casse ha deciso di rifare tutto il lavoro o qualcuno le ha aperte dopo che sono state chiuse. Ti faccio notare che le casse hanno una doppia chiusura: il coperchio si infila e rimane bloccato. I chiodi servono solo come misura di sicurezza, per evitare che qualcuno possa aprire.

- Va bene, sono state riaperte dopo che le avevano chiuse, ma questo non significa che lo abbiano fatto qui a Torino. Potrebbero essere state riaperte in Colombia, per i controlli.

Eli alza le spalle.

- Forse sì.

Poi scoppia a ridere di fronte all’espressione di Ferraris, chiaramente deluso, e riprende, senza lasciarlo andare oltre il classico:

- Per il culo di Satana! Ma allora …

- Ma almeno due sicuramente no. Perché sono state chiuse male, come se avessero lavorato di corsa, e in particolare quella lì, chiusa in quel modo, qui non ci arrivava. Il coperchio era infilato male. Hanno finito di fretta, con l’acqua alla gola.

- Senti… e gli involucri dei singoli pezzi? Mi dicono che ogni reperto è in un suo involucro. Sono stati aperti?

- No gli involucri non sono stati manomessi, in nessun modo.

Ferraris non ci capisce niente. Che cazzo cercava il ladro? Ha aperto tutte le casse, lavoro non da poco, ma non ha toccato nemmeno uno dei reperti! Che cosa cercava, che sembra non aver trovato?

- Ma perché mai? Per il culo di Satana, perché?

Eli ride.

- Questo me lo dovresti spiegare tu! È il tuo compito.

Ferraris grugnisce. Eli riprende:

- Ah, c’è un’altra cosa. Proprio in quell’ultima scatola, quella che è stata chiusa malamente…

- Che cosa?

- L’imbottitura è insufficiente. Non ci sono abbastanza sacchetti di segatura. Rispetto alle altre sembra mezza vuota. Non ha viaggiato in quelle condizioni, di sicuro.

- Quindi in quella cassa doveva esserci qualche cos’altro?

- Sì, teoricamente altra segatura…

Ferraris non ci capisce niente. Qualcuno è entrato nel museo, ha aperto le casse con i reperti, ha lasciato i monili d’oro e altri oggetti di valore, si è preso due sacchetti di segatura, ha richiuso il tutto, ha ammazzato Messinese che lo aveva scoperto e se n’è andato. Ma chi? Perché? Un collezionista di segatura a cui mancava quella colombiana, notoriamente rara? Ferraris darebbe la testa contro il muro.

La direttrice ha chiesto che Ferraris passi un momento da lei. Cerca di convincerlo ad autorizzare l’apertura delle altre casse, per poter completare l’allestimento. La mostra dovrebbe incominciare martedì, ci sono visite prenotate da mezza Europa, all’inaugurazione verrà…

Da quell’orecchio Ferraris non ci sente, anche se le casse sono già aperte. Nessuno tocca niente. Pena l’arresto, la deportazione in Siberia, la tortura della ruota e lo strangolamento a opera dello stesso Ferraris (l’ispettore minaccia solo la prima punizione, ma è ovvio per chi lo conosce che in agguato ci sono anche le altre).

Ferraris raccoglie ancora un po’ di informazioni sul ruolo del Dadotto e delle altre persone che si occupano della mostra. Per il culo di Satana, quanta gente per sistemare quattro resti in due vetrine!

 

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