III

 

 

12

 

LA MALEDIZIONE DELLE MUMMIE titolano i giornali, chi più cautamente, inserendo punti interrogativi e un “si dice”, chi più sfacciatamente: due mummie di persone uccise, due custodi del museo assassinati in meno di ventiquattr’ore (la morte di Bertenghi risale alla sera del martedì, tra le sei e le undici, più o meno). Su alcuni blog in Internet si dice che il numero di secoli intercorsi tra l’uccisione dell’uomo egiziano e il sacrificio della donna colombiana corrisponde certamente al numero di ore trascorse tra la morte del primo custode e quella del secondo. Insomma, c’è spazio per tutta l’ampia gamma di idiozie che la mente umana è in grado di concepire.

Su un punto però Ferraris è perfettamente, completamente, assolutamente e integralmente d’accordo. Quelle mummie sono una maledizione, perché i giornalisti lo assediano e anche se Ferraris non rilascia interviste (con l’OK del capo, che conosce Ferraris e preferisce saperlo lontano dalla stampa), la sua faccia appare in TV quasi quanto quella di alcuni politici di professione. Tra un po’ lo inviteranno a Porta a Porta e ci sarà un nuovo serial-killer, l’ispettore (quasi commissario) Ferraris.

 

Il mattino seguente, venerdì, si presenta in commissariato il figlio di Bertenghi. Si chiama Matteo, è sui trenta e ha grandi occhi azzurri. Il colloquio non è lungo, Matteo non ha molte informazioni da fornire: abita a Bologna e viene (veniva) a Torino a trovare il padre una volta al mese, non lo vedeva da tre settimane. 

- Suo padre era a corto di soldi. Perché?

Matteo si morde il labbro. È pallido, deve aver passato la notte in bianco. Povero cristo anche lui, non è piacevole sentirsi telefonare che il proprio padre è stato assassinato.

- La casa, quella maledetta casa. Finché c’era mia madre, con due stipendi, tiravano avanti abbastanza bene. Da solo non ce la faceva. Cercavo di aiutarlo, ma mio padre era orgoglioso, non voleva.

Ferraris sa che l’aiuto c’è stato. Su questo Matteo Bertenghi è sincero.

- Gli ha mandato dei soldi in diverse occasioni, non è vero?

Matteo lo guarda un po’ stupito. Si starà chiedendo come fa a saperlo Ferraris.

- Sì, ma ogni volta era una fatica farlo accettare.

- Perché non cambiava casa?

- Perché lui e mia madre erano vissuti lì da quando si erano sposati, sempre. Lui non voleva rinunciare a quella casa. Erano stati felici, insieme…

Matteo ha le lacrime agli occhi e Ferraris si sente a disagio. Preferisce avere a che fare con ladri, assassini, spacciatori, rapinatori e quanti altri. Per trattare con i parenti delle vittime, ci vorrebbe Michele, che è in gambissima: l’agente preferito dell’ispettore non ha avuto una vita facile, ma le sofferenze hanno sviluppato la sua sensibilità. Ferraris, che di tale dote difetta alquanto, ne sente la mancanza in questo frangente.  

Matteo continua a parlare e dice cose che non c’entrano niente.

- Lui e mia madre erano molto uniti. Da quando lei è morta, mio padre ha perso ogni voglia di vivere. Passa le ore a guardare le vecchie foto di mia madre, di loro due insieme.

      Matteo parla del padre come se fosse ancora vivo. Ora piange, voltando la testa per non farsi vedere dall’ispettore. Ferraris è sul punto di lasciarlo andare, ma ha ancora qualche domanda da fare. Quando Matteo si è calmato e si è soffiato il naso, l’ispettore riprende:

      - Ha sentito suo padre negli ultimi giorni?

      - Gli telefonavo più o meno ogni due giorni, ci siamo sentiti martedì nel tardo pomeriggio. Mio padre era sconvolto, nella notte avevano ammazzato un collega, aveva scoperto lui il cadavere. Era talmente agitato che gli ho chiesto se voleva che venissi su. Mi sono spaventato. Ma lui non voleva. Poi mercoledì sera l’ho cercato di nuovo, prima non ho potuto, è stata una giornata infernale. Lui non ha risposto. Ero preoccupato. L’ho cercato parecchie volte, poi è diventato troppo tardi. Non sapevo che cosa fare. Qui a Torino non abbiamo nessun parente, con i vicini… non ci sono rapporti.

      C’è un momento di silenzio. Poi Matteo Bertenghi conclude:

- Giovedì l’ho cercato il mattino, ho anche pensato di telefonare al museo, poi mi avete telefonato voi.

Matteo rabbrividisce e rimane in silenzio. Non urla che vuole sapere chi è l’assassino, che la polizia deve prenderlo, che ci vuole la pena di morte. Ferraris lo sa già: tra coloro che hanno perso qualcuno a cui tenevano davvero, molti sono troppo inebetiti dal dolore per chiedere, pretendere, minacciare. Invece quelli che fingono soltanto e che magari sono stati loro ad uccidere, spesso esigono rapide indagini e giustizia implacabile, alzano la voce, accusano.

- Senta, negli ultimi giorni, prima di martedì, ha notato in suo padre cambiamenti? L’ha sentito più teso, agitato?

- No, no, anzi, era più contento del solito, diceva che contava di fare delle ore di straordinario che gli avrebbero permesso di risolvere i problemi con la banca, almeno per un po’. Io non volevo che si affaticasse, ma lui era tutto contento…

Sì, Bertenghi aveva in mente di incassare un po’ di soldi, ma non con gli straordinari. Con un’unica notte in sala videosorveglianza, togliendo un allarme e aprendo una porta. Non gli è andata bene.

Un ultimo dettaglio:

- A che ora ha sentito suo padre, martedì?

- Al ritorno dall’ufficio, verso le sette.

Quindi Bertenghi è stato assassinato dopo le sette di martedì.

- Va bene, la ringrazio. Lei si ferma a Torino in questi giorni?

Matteo Bertenghi annuisce, ma sta pensando a qualche cos’altro. Guarda Ferraris e dice:

- Non so se è importante, ispettore, ma mi è venuta in mente una cosa…

- Dica.

- Martedì sera, quando stavamo parlando al telefono, io e mio padre, qualcuno ha suonato alla porta. Mi sono stupito, mio padre aveva pochi amici e non li vedeva mai la sera. Ho pensato ad un vicino, anche se non è che avesse molti rapporti con loro…

L’elemento è molto interessante. Potrebbe indicare con precisione l’ora dell’omicidio. Bisognerà controllare se qualcuno dei vicini ha suonato alla porta di Bertenghi. In caso contrario l’uomo che ha suonato era il suo assassino. Che forse aveva già deciso di ucciderlo oppure era venuto solo per ricordargli di stare zitto e lo ha ammazzato quando ha capito che Bertenghi aveva troppa paura per non cedere al primo interrogatorio.

Ferraris annuisce. I pezzi presenti vanno al loro posto. Ne mancano tanti, troppi, ma almeno la situazione a grandi linee è chiara.

 

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La convinzione dell’ispettore dura meno di cinque minuti. Perché quando Matteo Bertenghi esce, Ferraris ha un altro interrogatorio in vista, anche se ancora non lo sa: è una conseguenza del grande can-can mediatico, che, nonostante quello che pensa l’ispettore, ha anche effetti positivi.

Diotallevi entra nell’ufficio di Ferraris e gli dice:

- C’è un ragazzo che dice di aver visto un furgone fuori dal Museo Egizio, martedì, alle tre di notte, e della gente. Lo faccio entrare?

Ferraris è sempre dubbioso sui testimoni che si presentano spontaneamente. Questo magari neanche sa dove si trova il Museo Egizio o ha scambiato il camion della raccolta rifiuti con un furgone. Ma non si sa mai. Magari è attendibile. E un testimone sarebbe molto apprezzato in questo momento.

Il ragazzo ha meno di trent’anni, barbetta nera e occhioni scuri. Ferraris gli lancia una prima occhiata per farsi un’idea del tipo e della sua possibile attendibilità come testimone; giudizio: sufficiente, non sembra fuori di testa, non sembra tonto (in campo professionale Ferraris non è largo di manica). Una seconda occhiata, del tutto privata, è la solita valutazione estetica; giudizio: niente male, sì, niente male (la ripetizione è dovuta ad una terza occhiata).

- Come ti chiami?

- Fabio Traldi.

- Che cosa hai da raccontare?

- Lunedì notte, cioè, martedì mattina, verso le tre, sono passato in via Principe Amedeo, di fianco al museo Egizio.

- Che ci facevi a quell’ora lì?

- Ero andato a trovare un amico. Stavo tornando a casa.

L’impulso di Ferraris sarebbe quello di ottenere, con le buone o con le cattive, una risposta più precisa: il nome dell’amico, le motivazioni della visita e così via, ma, considerando che probabilmente tutto ciò è completamente inutile per l’indagine, si dice che se servirà, glielo chiederà dopo.

Ci sono altri elementi più importanti, da verificare.

- Sei sicuro dell’ora?

- Sì, avevo guardato l’orologio quando ero uscito da casa del mio amico. Erano le tre meno dieci. Lui sta in una soffitta di piazza Vittorio, quindi dovevano essere le tre, tre e cinque.

Ferraris annuisce, il ragazzo deve essere uno che cammina, i tempi corrispondono.

- Prosegui.

- Nella viuzza lì dietro, via Eleonora Duse, si chiama, quella chiusa al fondo, c’era un furgone, fermo, con le porte dietro aperte e quattro tizi. Portavano dei grossi sacchi sulla schiena. Sono entrati da un portone. Io mi sono detto: “Che strano, a quest’ora portano merci! E dove poi?” Lì per lì non ho capito che era il Museo Egizio. L’entrata principale è dal lato opposto. Ci ho riflettuto solo dopo, quando ho visto alla tv dei furti.

 - Ferma un attimo. Ripeti: hai detto che sono entrati nel museo con quattro grossi sacchi? Stavano entrando? Non uscendo?

- Sì, certo, stavano entrando, con i sacchi. Li ho visti entrare con i sacchi sulla schiena.

- E poi?

- E poi niente, me ne sono andato. Era già abbastanza tardi. Ah sì, credo che il furgone sia ripartito subito. Ho sentito mettere in moto e non credo che ci fosse un’altra auto.

- Quattro uomini sono entrati dentro il museo. E in più ci doveva essere l’autista, allora.

- Credo di sì.

- Allora, pensa bene a quello che hai visto. Quando tu sei passato, com’erano messi i quattro uomini? Avevano già i sacchi sulla schiena?

- Sì, certo, almeno, tre di loro sì. Il quarto è spuntato dopo, come se fosse sceso in quel momento dal retro del furgone. Anche lui aveva un sacco.

- E tu ti sei fermato a guardare?

- No, io ho tirato diritto, ma guardando da quella parte. Ero curioso di capire dove andavano.

- E li hai visti entrare nel Museo? Qualcuno ha aperto la porta?

- No, la porta era già aperta.

- Quindi poteva esserci anche qualcun altro.

- Sì, certo. Io ho visto solo quei quattro, ma magari c’erano anche altri.

- Sono entrati e poi?

- E poi niente. Li ho visti entrare, ma io intanto ero passato oltre, per cui non mi sono girato più a guardare. Ma dopo un po’ ho sentito avviare un motore.

L’interrogatorio procede, ma Fabio non ha altri elementi da fornire. Non sarebbe in grado di descrivere gli uomini. Ha fornito una testimonianza precisa, anche se difficile da interpretare.

 

14

 

     Ferraris non ci capisce più niente. Meno male che i pochi pezzi a disposizione sembravano incastrarsi uno dentro l’altro!

     Fino ad ora ha pensato ad un ladro, anche se ovviamente non ha escluso che i ladri potessero essere due o più. Adesso saltano fuori quattro tizi, che invece di rubare, portano sacchi pieni dentro il museo. Che cosa hanno portato? Quattro uomini, con grossi sacchi, per di più. Forse il problema è lì: lui ha sempre cercato di scoprire che cosa mancava, invece deve scoprire che cosa è stato portato dentro. Ma che cazzo si può portare dentro un museo alle tre di notte e ammazzare anche il custode che ti scopre?

    Di tornare al museo, Ferraris non ha propria voglia. Ha la sensazione che, conclusa l’inchiesta, non metterà più piede in quell’edificio, neanche dovessero, che so… tenerci la prossima edizione del festival Da Sodoma a Hollywood e in particolare la sezione notturna, quella dei film hard.

     Prende il telefono, chiama il museo e si fa passare la direttrice. La signora spera in un’autorizzazione a completare l’allestimento. Ferraris invece le chiede se al museo sono stati trovati sacchi o altri oggetti che non dovrebbero esserci. Alla direttrice non risulta, non capisce nemmeno bene che cosa vuole l’ispettore, l’idea le sembra assurda. Ferraris non riesce a essere convincente: non è convinto nemmeno lui! Alla fine l’ispettore manda Diotallevi e Martino, che facciano un controllo loro, insieme a qualcuno del museo, il Sannarcoti, ad esempio.

     Intanto Ferraris va all’istituto di medicina legale. Vuole parlare con il dottor Merli, che si è occupato delle due autopsie. L’ispettore ha già le informazioni essenziali, ma il rapporto definitivo non è ancora arrivato e Ferraris vuole sapere qualche cosa di più.

     Ferraris entra nello studio del dottore senza farsi annunciare. I due si conoscono da tempo e sono in buoni rapporti, anche se Marco Merli si diverte a stuzzicare l’ispettore, che, come è facilmente intuibile, non subisce senza reagire.

     Marco Merli è al computer, ma non sta scrivendo la relazione. Ferraris si dice che sta chattando oppure scambiando messaggi con qualcuno.

         - Buongiorno, Ferraris, qual buon vento la porta?

     Marco Merli sa benissimo che cosa vuole Ferraris, ma gli piace tenerlo sulle spine. Ferraris sbotta:

     - Per il culo di Satana, stiamo aspettando i rapporti. Che ne direbbe di smetterla di girare sui siti porno e provare a fare quello per cui la pagano?

     Il dottore inarca le sopracciglia, fingendosi profondamente offeso dall’insinuazione di Ferraris.

         - Ispettore, lei conosce i tempi previsti dalla legge…

         Ferraris interrompe con la finezza che lo contraddistingue:

         - Con i suoi tempi mi pulisco il culo! Voglio sapere che cosa è emerso dalle autopsie.

     Merli sospira, lancia un’ultima occhiata al monitor, dove troneggia l’immagine di Parker Williams, pornostar ed escort (300 dollari l’ora, si potrebbe anche fare, adesso che il dollaro vale così poco rispetto all’euro, ne varrebbe la pena, pensa Merli, ma bisogna andare fino a San Diego) e si rassegna a rispondere a Ferraris.

     - Niente di particolare. Messinese è stato ucciso con un unico colpo, sferrato con grande forza. Mi verrebbe da dire: un professionista. Ma non credo che i killer di professione usino più le pietre come armi, almeno dalla fine del Neolitico. Gli ha sfondato la base del cranio.

         - Un colpo vibrato mentre Messinese stava entrando nel locale…

     - Messinese non stava entrando da nessuna parte.

      - Per il culo di Satana, questo come cazzo fa a dirlo?

      - Messinese era steso a terra, quando l’hanno ammazzato.

      - Steso a terra? Ma… ne è sicuro?

      Il dottor Merli assume di nuovo un’aria offesa e questa volta non è tutta scena. Che Ferraris si permetta di dubitare della sua competenza, è proprio un po’ troppo…

      - Certo che ne sono sicuro. Inequivocabile. Era steso a terra e qualcuno lo ha colpito. Si dev’essere messo su di lui, probabilmente seduto, e lo ha colpito. Una sola volta. Più che sufficiente.

      - Quindi…

      - Quindi le conclusioni le può tirare lei. Io adesso avrei da fare.

      Ferraris grugnisce, lancia un’occhiata in tralice al monitor e chiede.

      - E Bertenghi?

      Merli alza le spalle.

      - Niente. Gli hanno sparato da nemmeno due metri, mentre era seduto.

      Ferraris annuisce. Lancia un’ultima occhiata al monitor e colpisce:

      - Non si affatichi troppo con il lavoro. Sa, dicono che uno rischi di diventare cieco… a guardare troppo il monitor…

      Merli sorride:

      - Occorre sacrificarsi per il lavoro. E poi, non creda a tutto quello che dicono.

      Merli ritorna alla sua occupazione, chiedendosi se non visitare la California, a giugno, quando andrà in ferie. Certo, sarebbe un viaggio molto costoso, ma si vive una volta sola…

      Ferraris esce dall’ufficio di Merli, ponendosi altre domande. Messinese era steso sul pavimento. Probabilmente è stato buttato a terra da quelli che lo hanno sorpreso e poi eliminato. Niente di strano. Nessun passo avanti in questa fottuta inchiesta.

     

      Dopo un po’ che Ferraris è ritornato in ufficio, arrivano Diotallevi e Martino. Hanno fatto un giro completo del museo con il dottor Sannarcoti, ma non è emerso nulla. Non ci sono cumuli di sabbia, cadaveri sezionati nascosti in un angolo, schede elettorali ficcate in un sarcofago. Nulla di nulla. Che cazzo è stato portato al museo nella notte?

      Ferraris torna a casa prima del solito, questa sera va all’opera. Da quando Michele vive da lui, il ritorno a casa ha tutt’un altro senso. Prima era soltanto il chiudere con l’ufficio e le inchieste, il potersi riposare. Adesso c’è l’attesa di rivedere Michele. Ma, ahimè, ci sono anche sorprese amare. C’è chi trova il proprio uomo (o la propria donna) a letto con l’amante. Ferraris trova Michele che fa merenda con pane e marmellata di marroni.

      Ferraris lo guarda e per una volta non si dice che è bellissimo, ma che si sta allargando un po’ troppo. Non in senso letterale, Michele non sta ingrassando, ma in senso domestico. È vero che Ferraris gli ha messo a completa disposizione la casa, il collegamento ad internet, il proprio corpo. Ma la marmellata di marroni della sua mamma, questo è davvero troppo. La produzione casalinga è alquanto limitata e rimanere senza marmellata prima dell’autunno, quando arriveranno i rifornimenti, sarebbe una tragedia, peggio del naufragio del Titanic. Ci sono altre marmellate, ad esempio quella di cotogne, per cui la produzione è più abbondante e quindi il rischio di esaurimento scorte è più ridotto. Michele deve imparare a selezionare. Purtroppo Michele ha molto buon gusto, come ama dirsi il nostro ispettore, in campo alimentare come in fatto di uomini…

      Ferraris interviene con l’energia e l’efficacia degne di un quasi commissario: lui sa come affrontare le situazioni di emergenza. Si avvicina a Michele, lo bacia sulle labbra, sentendo ancora il gusto dei marroni, poi chiude il barattolo e lo mette via.

      Michele protesta.

      - Ehi, io ho ancora fame!

         - È quasi ora di cena, questa sera mangiamo presto, che io vado al Regio.

     Michele tiene il broncio: è un provocatore nato. Ferraris, ora che la marmellata è al sicuro, sorride ed aggiunge:

         - Ma se proprio sei affamato, ti do un bel pezzo di carne.

     Ferraris si apre i pantaloni e mostra un altro boccone, alquanto appetitoso. Non sarà proprio la marmellata di marroni, ma comunque presenta un certo interesse e permette di saziare un altro tipo di appetito. Di fronte a questa brillante manovra diversiva, Michele si distrae e la marmellata di marroni viene dimenticata. Il tempo passa in fretta e arriva l’ora di cena, come Ferraris aveva previsto, senza che Michele abbia più pensato al barattolo proibito.

      Comunque l’ispettore non ha scordato il rischio corso e si sta chiedendo se non sia opportuno occultare le scorte. Non è gentile nei confronti del suo ospite, però una convivenza può funzionare solo se si mettono dei paletti.

 

15

 

In serata, Ferraris va al Regio. Dovrebbe essere molto contento, l’opera gli piace un casino e poi ritrova il suo amico Bruno, che è un po’ che non vede, ma… c’è un ma. Questa sera danno l’Aida e tra tutti i titoli di Verdi, proprio l’unico che ha a che fare con l’antico Egitto dovevano prendere? Non potevano dare, che so, La Traviata o magari La fanciulla del West, che così facevano contento Ferraris e pure Bruno, appassionato di Puccini, due piccioni con una fava? E invece no.

Ci mancherebbe solo che ci fossero i giornalisti e che magari domani sui giornali venisse fuori qualche battuta, del tipo: l’ispettore Ferraris prosegue la sua inchiesta sui delitti dell’Egizio andando a vedere l’Aida

Fortunatamente i giornalisti non ci sono, perché non è la prima, il soprano (la Cedolins) ha una gran bella voce, tutto scorre a meraviglia e Ferraris dimentica i suoi guai.

Nell’intervallo chiacchiera con Bruno nel foyer. Il suo amico conosce bene la grande passione dell’ispettore per i giornalisti, la televisione e in generale la notorietà, per cui gli dice, comprensivo:

- Sei sotto pressione, eh, Roberto?

Ferraris è ingrugnito. Annuisce.

- Per il culo di Satana, non ne posso più. Li ammazzerei tutti.

Le vittime designate del Ferraris-killer sono i giornalisti (di radio, tv, quotidiani, riviste, persino quelli dei giornali gratuiti), come Bruno capisce subito. Devia leggermente il discorso.

- Voglio andare a vedere la mostra. Sono curioso di vedere i reperti colombiani. È una bella idea questa di mettere a confronto una mummia egiziana e una preincaica.

Ferraris si dice che è certamente un’idea di Lamberti e al pensiero del public relations manager gli si torcono le budella. Replica asciutto.

- Sarà.

Bruno sa benissimo che, lirica a parte, il suo amico non è un appassionato di arte (a meno di non considerare tale l’ars amatoria). Prosegue:

- Spero che riescano a completare l’allestimento. Ho letto che dalla Colombia ci sono stati problemi all’ultimo minuto con le autorizzazioni o i controlli, non ho capito bene. Faranno controlli anti-droga, da quelle parti…

Ferraris guarda Bruno, ma non lo vede. L’impressione è che una lampadina si sia accesa nel suo cervello. Ferraris incomincia a darsi del cretino, del deficiente e una lunga serie di altri epiteti (l’ispettore ne conosce moltissimi, come forse i lettori più acuti avranno sospettato; molti sono assolutamente irripetibili).

Le luci incominciano a spegnersi e riaccendersi per segnalare la fine dell’intervallo e il pubblico torna ai propri posti. Ferraris e Bruno si avviano anche loro, ma la testa dell’ispettore è da tutt’altra parte, impegnata a rimontare un puzzle in cui i pezzi vanno al loro posto, uno dopo l’altro. Per un attimo si chiede se non sia più opportuno uscire subito, ma il controllo che intende fare può essere rinviato a domani, tanto a questo punto non cambia nulla. E poi non si può mica perdere “O cieli azzurri”!

All’uscita dal Regio c’è Michele, che è andato al cinema con due amici e poi è passato a prendere l’ispettore. Ferraris lo presenta a Bruno e vede che al suo amico brillano gli occhi. Di Bruno Ferraris si fida, ma ad ogni buon conto mette un braccio sulle spalle di Michele. Il messaggio è chiarissimo: questa è riserva di caccia.

Prendono un gelato da Grom, poi si separano. Mentre torna con Michele, Ferraris gli racconta l’intuizione che ha avuto: ha bisogno di confrontarsi con lui. L’ipotesi che l’ispettore ha fatto appare del tutto plausibile anche a Michele.

 

L’indomani mattina Ferraris arriva al museo con la squadra narcotici e i cani: è sabato, ma niente week-end, l’inchiesta ha la precedenza. La direttrice ormai è rassegnata a tutto: dopo le sette piaghe d’Egitto, c’è l’ispettore Ferraris, peggiore di tutte le calamità precedenti. Nei testi egizi di simili flagelli non si parlava, per trovare un riferimento valido bisognerebbe prendere l’Apocalisse.

Ferraris continua a non ricordarsi il cognome, non sa perché non gli vuole entrare in testa, ma tanto non ha importanza: la vede talmente spesso che potrebbe darle del tu e chiamarla direttamente Monica. Potrebbe anche portarla a cena, ma Ferraris non è molto interessato e la direttrice ancora meno (oltretutto, gentile com’è, l’ispettore le farebbe pure pagare il conto!).

Quando arrivano nella stanza dove si trovano le casse, i cani entrano subito in fibrillazione. Sì, droga c’è stata e non poca.

Era ovvio, avrebbe dovuto pensarci prima. Ma Ferraris non ha mai avuto modo di occuparsi del traffico internazionale di droga. Certo, lo spaccio è pane per i suoi denti e i tossici sono presenze abituali in commissariato, ma qui la dimensione è un’altra. Alla cocaina non aveva proprio pensato.

Diotallevi annuisce.

- Sì, come aveva sospettato, ispettore. Le casse erano state imbottite di cocaina.

- Sostituita con segatura nella notte, appena sono arrivate.

- Ecco perché quattro uomini sono entrati carichi come muli, di notte: per portare la segatura. E due ore dopo…

- … sono usciti con la coca. Peccato che Messinese avesse scelto proprio quelle ore per i suoi soliti furtarelli, per cui l’hanno ammazzato. L’omicidio ha fatto perdere un po’ di tempo a quei gentili signori, che hanno finito il loro lavoro di corsa, regolandosi male con la segatura. Così l’ultima cassa è stata riempita solo a metà.

Diotallevi sta ancora pensando a Messinese.

- Quel povero cristo è sceso per rubare qualche amuleto e ha sorpreso gente che aveva affari ben più lucrosi. Lo hanno messo a tacere per sempre.

Ferraris non prova molta pietà per Messinese. Si limita a commentare:

- I pesci grossi mangiano quelli piccoli.

- Adesso si tratta di pescare i pesci grossi, almeno quelli di qui, perché quelli della Colombia non sono affare nostro.

Ferraris lo guarda ironico.

- Butta pure la rete… Vediamo che pigli, per il culo di Satana!

Diotallevi alza le spalle, ma Ferraris gli fa cenno di allontanarsi dagli altri e si mette a parlare a bassa voce. Sta ragionando e vuole avere qualcuno con cui confrontarsi.

- Per entrare la notte hanno contattato Bertenghi, d’accordo. Gli hanno offerto qualche cosa, probabilmente più di quello che guadagnava in un mese. Ma ci dev’essere qualcun altro coinvolto in questa faccenda, qui dentro.

- E perché, ispettore?

- Un custode può ammalarsi, può non essere di turno la notte giusta…

- Veniva al lavoro anche se ammalato, se lo pagavano bene. E se non era di turno poteva fare un cambio con un collega, dicendo che aveva un problema per la notte in cui lo avevano messo.

- Sì, ma tu spediresti qualche quintale di cocaina sapendo che basta un problema di turni, qualcuno che si impunta, un’appendicite, per mandare il tutto a puttane?

Diotallevi annuisce. L’ispettore deve avere ragione. È probabile che qualcun altro sapesse e controllasse. Qualcuno che aveva un margine di manovra più ampio di un custode.

- E poi c’è un’altra faccenda. Come cazzo facevano a sapere che Bertenghi aveva problemi di soldi? Solo qualcuno che lavorava qui poteva saperlo.

- Quindi qualche dipendente del museo, non qualcuno di quelli che si occupano della mostra?

- No, dev’essere qualcuno della mostra, perché solo loro potevano maneggiare le casse, per loro non era difficile avere qualche informazione sui custodi. Oppure il Sannarcoti, che gestisce i turni dei custodi.

È ora di mettere sotto torchio il personale del museo. A partire dal Sannarcoti.

 

16

 

Daniele Sannarcoti è sempre disponibile, anche se è sabato ed è dovuto venire apposta al museo. Certo, a giudicare dalla sua faccia viene il sospetto che sarebbe ben felice di potersi godere un week-end di riposo o almeno di occuparsi del suo lavoro, invece di passare il suo tempo a rispondere alle domande di Ferraris. La gente ha proprio delle pretese!

- Come avviene l’assegnazione dei turni notturni e di quelli nella sala di videosorveglianza?

- Me ne occupo personalmente, all’inizio del mese precedente. Distribuisco i turni e li pubblico subito, in modo che ognuno abbia la possibilità di organizzarsi.

- E se ci sono proteste o richieste di cambiamenti?

- Proteste di rado, i turni sono distribuiti in modo da non penalizzare nessuno. Chi richiede un cambiamento, deve trovare qualcuno che lo sostituisca.

- Ci sono state richieste di cambiamenti da parte di Bertenghi per le notti di quest’ultimo mese?

Il dottor Sannarcoti riflette un momento.

- Vediamo, ho qui l’elenco dei turni che avevo preparato all’inizio del mese scorso. Confrontiamolo con l’elenco definitivo. Sì, ecco, Bertenghi ha fatto un cambio proprio per la notte in cui è stato assassinato Messinese. 

Ferraris annuisce. Non si stupisce.

- Non si ricorda che motivazione ha portato?

- Come le ho detto, io non richiedo motivazioni. Mi limito, a registrare lo spostamento, se gli interessati sono d’accordo. 

- Con chi ha fatto cambio?

- Vediamo un po’… Con Gabriele Buomparenti.

All’idea di sorbirsi nuovamente una spiegazione sulle tecniche di mummificazione durante il Basso Regno o sulle diverse rappresentazioni della pesatura dell’anima, Ferraris si sente male. Un colloquio con Buomparenti è comunque necessario. Diotallevi assisterà Ferraris, che Dio assista entrambi.

Prima però Ferraris si rivolge al Sannarcoti e gli chiede, a bruciapelo.

- Lei dov’era martedì sera verso le sette?

Sannarcoti lo guarda un po’ stupito, poi risponde:

- A casa mia. Sono uscito dal museo alle cinque.

- Ed è andato subito a casa?

- Sì. Ah… no, sono passato a comprare al supermercato.

- A che ora è arrivato a casa?

- Verso le sei.

- E non è più uscito?

- No.

- Ha passato tutta la serata a casa?

- Sì.

Ferraris rimane un momento in silenzio. Poi aggiunge.

- C’è qualcuno che può testimoniare?

Una leggera esitazione, poi la risposta:

- No.

Ferraris annuisce. Se Sannarcoti ha qualche cosa da nascondere, la faccia di Ferraris non contribuirà a tranquillizzarlo. Altro da dire non c’è. Mettere sotto torchio il Sannarcoti è prematuro, in mancanza di altri elementi. Per la tortura c’è sempre tempo.

Poi l’ispettore si rassegna a interrogare il fanatico di egittologia.

 

Gabriele Buomparenti ha poco da dire. Si ricorda benissimo del cambio, glielo ha chiesto Bertenghi, che era anche lui di turno, ma non nella sala di videosorveglianza. Lui ha accettato, perché tanto non faceva nessuna differenza. Bertenghi glielo aveva detto già due giorni prima, era un periodo in cui dormiva male, era spesso stanco, voleva andare dal medico, per cui preferiva rimanere nella sala almeno quelle due ore. A Buomparenti andava benissimo, lui si annoia di meno a girare per il museo che a rimanere seduto a fissare i monitor. Può guardare con calma i pezzi, ad esempio l’altra sera ha osservato che in una delle pitture della tomba di Iti, ai piedi del capo delle truppe, c’è un cane che…

Ferraris lo blocca subito, tanto non ha ottenuto nessun risultato apprezzabile. Non c’è stato un intervento esterno, Bertenghi ha risolto il problema da solo. Per sua sfortuna.

E se così non fosse stato? Chi sarebbe dovuto intervenire?

- Per il culo di Satana, non ne caviamo un ragno dal buco!

- No, Bertenghi non ha avuto bisogno di interventi dall’alto per cambiare turno.

- Bisogna capire qualche cosa di più sulla mostra. Chi ha deciso di organizzarla? Perché proprio una mummia colombiana?

 

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Nuovo colloquio con la direttrice, la quale ormai vede Ferraris più delle sue figlie. Nessuno dei due è propriamente entusiasta di questa assidua frequentazione, ma si sa, non sempre si possono scegliere le persone con cui si passa il proprio tempo. Fosse una commedia americana, da questi incontri-scontri potrebbe nascere una storia d’amore, ma qui non c’è nessuna possibilità. Ferraris si dice che se la direttrice fosse almeno un bel ragazzo, potrebbe lustrarsi gli occhi, ma Monica Come-cazzo-si-chiama è indiscutibilmente una donna, una vera signora, anche, vista la cortesia di cui dà sempre prova nei confronti del non altrettanto cortese Ferraris.

- L’idea della mostra? La fondazione aveva deciso di organizzare una grande esposizione che richiamasse molto pubblico, un’iniziativa per rilanciare il museo. Il dottor Lamberti ci teneva molto. Secondo lui occorre una maggiore visibilità a livello internazionale.

A sentire nominare il Lamberti, Ferraris sente la solita nausea, ma c’è poco da fare.

- L’idea è del dottor Lamberti, quindi.

- L’idea è emersa in una riunione o meglio, per essere esatti, la proposta arriva direttamente dal museo del Oro di Santa di Bogotà, no, dal ministero. Avevano ritrovato in tempi recenti una mummia, che contavano di esporre al Museo del Oro, ma mentre preparavano la sala destinata ad accoglierla, hanno pensato a un’esposizione in alcune città europee. Avrebbe consentito loro di reperire i fondi necessari per alcuni dei lavori. 

- Allora, una proposta partita dalla Colombia.

- Sì, esatto, ce ne aveva parlato il dottor Mantovani, che lavora al Ministerio de Cultura colombiano.

- Mantovani? Non è un nome spagnolo!

- La famiglia del dottor Mantovani è di origine italiana. Il dottore parla perfettamente l’italiano.

Ferraris si dice che verificherà. Questo nome italiano non lo convince, anche se un fratello di suo nonno emigrò in Argentina a metà del Novecento e oggi Roberto Ferraris ha diversi cugini a Buenos Aires ed a Rosario.

Adesso però quello che preme è capire come si è arrivati alla mostra.

- E voi avete accolto la proposta?

La direttrice annuisce.

- Sì. Io ero un po’ perplessa, perché non c’è un legame con l’antichità egizia, ma il dottor Lamberti ha giudicato che i reperti precolombiani avrebbero esercitato un forte richiamo, per cui si è deciso di battere questa strada.

Dal tono della direttrice, è chiaro che quella della mummia colombiana non è stata proprio una sua scelta, ma evidentemente gli argomenti del public relations manager avevano un certo peso (si sa, il denaro pesa).

- Dopo aver ricevuto una conferma dalla Colombia, siamo passati ad organizzare la mostra, centrata sulla mummificazione. Dalle schede delle diverse mummie attualmente non esposte, risultava che una avesse una frattura alla base del cranio, come quella colombiana. Il dottor Lamberti pensava che si potesse suscitare la curiosità del pubblico… Sa, questo fatto che per entrambe le mummie ci fosse stata una morte violenta, in modo molto simile…

      La direttrice è a disagio. È una studiosa, per cui non deve aver condiviso gli argomenti del public relations manager. Infatti aggiunge:

      - Anche se si tratta di situazioni del tutto diverse: la donna colombiana fu sacrificata in un rito, per l’uomo egizio un sacrificio è da escludere, forse si trattò di un assassinio o di un incidente. Non abbiamo nessun elemento che ci aiuti a capire che cosa successe. 

Ferraris annuisce, convinto. Per la prima (e unica) volta si trova perfettamente d’accordo con la direttrice: non c’è nessun elemento che aiuti a capire che cazzo è successo in questo fottuto museo (la direttrice forse non si esprimerebbe proprio così e poi lei si riferiva ad una morte di oltre tremila anni fa, non a quella dei due custodi, ma Ferraris prende le cose a modo suo, è leggermente Ferraris-centrico).

La direttrice si ferma un momento, poi riprende:

- Allora abbiamo esaminato questa mummia, che era conservata nei magazzini, e abbiamo scoperto che aveva una serie di ornamenti di grande valore.

Diotallievi è molto scettico:

- Ma come mai non erano stati scoperti prima? Se risultava che aveva una frattura cranica, vuol dire che avevano fatto i raggi X, no? E i gioielli avrebbero dovuto saltare fuori. Ai raggi X il metallo è perfettamente visibile, meglio delle ossa, persino.

La direttrice non ha una risposta.

- Non sappiamo neanche noi. La radiografia risale a sessanta anni fa e probabilmente fu controllato solo il cranio. O chi fece le radiografie era poco competente.

      A Ferraris questo aspetto della faccenda interessa poco, lui ha altre gatte da pelare.

      - Ritorniamo al materiale colombiano. Il dottor Mantovani ha viaggiato con i reperti, no?

      - Sì, certo.

      - E adesso dove si trova?

      - Alloggia all’hotel Ambasciatori, ma di solito viene ogni giorno, per seguire l’allestimento. Solo che in questi giorni non abbiamo potuto procedere. A proposito…

      Ferraris interrompe, sa benissimo dove vuole arrivare la direttrice, ma per il momento nessuno deve toccare niente.

      - Il dottor Mantovani è presente, ora?

      Mantovani non è presente, solito scansafatiche come tutti quelli che lavorano al ministero: invece di seguire i lavori di realizzazione di una mostra, se ne va a spasso. Qualcuno potrebbe notare che i lavori sono fermi, per colpa di Ferraris, ma l’ispettore non si assume nessuna responsabilità: ci sono già stati due omicidi e non è mica lui l’assassino. Se gli trovano l’omicida, lui dà il via libera, potrebbe essere un buon affare per tutti, no?

 

 

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