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Ferraris vuole avere maggiori informazioni sui sistemi di sorveglianza e la direttrice convoca il responsabile, il dottor Daniele Sannarcoti. Alla prima occhiata appare molto giovane, non più di un venticinque anni. È alto come un lampione, ma si merita una seconda occhiata, quella estetica. Sannarcoti ha la faccia del sognatore, un’aria indifesa, ma l’apparenza spesso inganna. Di sicuro è uno che bisogna guardare sempre da sotto in su, a meno di non farlo sedere e di rimanere in piedi. Questo a Ferraris dà un po’ fastidio. Alla richiesta
dell’ispettore, Sannarcoti spiega la situazione: - C’è un impianto di
videosorveglianza in tutte le sale, per cui dalla sala di controllo è
possibile vedere ciò che avviene. - Pure nei sotterranei? Ferraris finge di mantenere
ancora qualche speranza di una rapida soluzione del caso, anche se ormai non
ci crede più nemmeno lui. Come sarebbe bello se una telecamera a circuito
chiuso avesse ripreso l’assassino all’opera. Delitto risolto in quattro e
quattr’otto. Troppo bello per essere vero! Ed infatti non è vero. - Nei sotterranei non c’è
nessun sistema di videocontrollo, solo allarmi, controllati dalla postazione
centrale. - E le porte d’ingresso del
museo? - Le porte sono tutte
allarmate. A Ferraris l’espressione fa
un po’ ridere, ogni volta che gli capita di leggere “porta allarmata” si
immagina una porta tutta spaventata. - È possibile disinserire
l’allarme? - Solo dalla sala di
controllo. - Quindi nessuno può essere
entrato, se dalla sala di controllo non gli hanno aperto. - Esatto. - Chi era di turno nella
sala? - Di solito ci sono turni
di due ore. Adesso le segno i nomi. Daniele Sannarcoti scrive.
Se sono turni di due ore, nella notte, dalle dieci alle otto, si sono
alternati cinque custodi. Non c’è Messinese. - Messinese non era di
turno nella sala di videosorveglianza? Daniele Sannarcoti scuote
la testa. - No, ispettore. Non tutti
i custodi hanno turni nella sala di videosorveglianza. Scegliamo solo
persone… pienamente affidabili. - E Messinese non lo era? Daniele Sannarcoti alza le
spalle. - Per noi no. - Ci sono stati problemi
particolari? - No, ma era spesso assente
ed anche quando era presente non dimostrava molto impegno nel lavoro. Questo Ferraris l’aveva già
sospettato. Per il momento non c’è
altro da fare, per cui Ferraris si dirige all’uscita. Qui però sembra si stia
svolgendo l’attacco ai forni durante la carestia a Milano, di manzoniana
memoria. C’è una ressa incredibile, giornalisti, televisione, curiosi.
L’espressione di Ferraris scoraggia ogni richiesta, tanto più che gli addetti
ai lavori conoscono il carattere gioviale dell’ormai quasi commissario. - Ma che cazzo ci fa tutta
questa gente? – si chiede Martino – Sembra che abbiano avvisato mezza Italia. In effetti la calca è
inverosimile. Va bene che la mummia è al centro dell’attenzione, ma come
hanno fatto tutti questi a sapere? La risposta viene dal tizio
che prima ha portato via i giornalisti. Si avvicina sorridendo all’ispettore. - Permetta che mi presenti,
commissario. Posso chiamarla così, ormai, tanto sanno tutti che la sua
promozione è già decisa, che ha brillantemente superato il concorso.
D’altronde tutti conoscono le sue gesta. Sono Andrea Lamberti, public
relations manager della fondazione. Ho spiegato ai giornalisti che
l’inchiesta è nelle sue mani e quindi… siamo in buone mani. Risolverà senza
dubbio questo mistero, mentre sul mistero della mummia il buio rimane fitto. Il public relations manager
si impadronisce della mano di Ferraris, che ha l’impressione di essere
invischiato in una massa gelatinosa. Lamberti sorride ai giornalisti, che
scattano duecentoventisei fotografie, e finalmente Ferraris può liberarsi e
fuggire via. - Tutta pubblicità per la
mostra! – borbotta Diotallevi. - L’avranno mica fatto
fuori per questo? Per attirare più pubblico. Secondo me la settimana
prossima, all’inaugurazione, c’è la coda di qui al Lingotto. Martino ironizza, ma nella
sua rabbia Ferraris sbranerebbe lui, Ghibaudo e Diotallevi, nonostante la
palese innocenza di questi ultimi. In centrale il commissario
è già sulle spine. Spera in qualche elemento significativo, ma Ferraris non
ha nulla da offrire, se non uno di quei cattivi umori che inducono tutti a
tenersi alla larga e che mettono in soggezione anche il commissario. 4 Più tardi vengono
interrogati gli altri custodi notturni. Il primo è Gabriele
Buomparenti, un tizio giovane e con un’aria simpatica. Si merita una seconda
occhiata, giudizio: niente male. È dispostissimo a collaborare e soprattutto
è un appassionato dell’antico Egitto. Vive il suo lavoro di custode come una
vocazione e sa più o meno tutto su dinastie, riti funebri e divinità di cui
Ferraris non capisce niente. Purtroppo non sa praticamente nulla su ciò che è
successo mentre lui era di sorveglianza al museo. Però, prima che Ferraris
riesca a liberarsene, è riuscito a fornirgli diverse informazioni sul computo
degli anni presso gli antichi Egizi, sui sistemi per canalizzare le acque del
Nilo, su alcune divinità minori e sulla distruzione del tempio di Aamrna,
tutte cose che Ferraris smaniava di sapere. Alla fine lo saluta dicendogli: -
Ankh! Wdja! Seneb! Ferraris lo guarda truce e
Buomparenti, senza scomporsi, spiega: -Vuol dire: Vita!
Prosperità! Salute! È un antico augurio egizio. Ferraris l’aveva
sospettato. Il grugnito dell’ispettore non richiede spiegazioni. Buomparenti
lo interpreta come un cortese congedo e se ne va. Poi Ferraris passa agli
altri. Con nessuno di loro va oltre la prima occhiata, quella per vedere di
chi si tratta. La seconda occhiata, a fini estetici, è del tutto superflua: i
quattro uomini non hanno nessuna delle caratteristiche per cui in altra
situazione l’ispettore potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di
un’attività comune; gli altri due custodi sono donne, quindi ancora peggio. Andrea Scianaro è un
anziano signore, sulla soglia della pensione. La notizia dell’assassinio lo
ha sconvolto: ha visto Messinese poco prima dell’una, prima di incominciare
il suo turno di videosorveglianza. Hanno scambiato due parole, hanno discusso
dei numeri da giocare al lotto, una passione che hanno in comune. Altro in
comune non avevano, su Messinese Scianaro non ha molto da dire, né sulle
frequenti assenze, né sulla scarsa simpatia di cui godeva tra i colleghi.
Scianaro è uno che si fa gli affari propri e non si impiccia di quelli
altrui. È stato di turno nella sala di videosorveglianza dall’una alle tre.
In quelle ore non ha notato assolutamente nulla di anomalo, le porte avevano
tutte l’allarme regolarmente inserito e nel museo si muovevano solo i
custodi. Senza dubbio sui monitor ha visto ancora Messinese, che era di turno
nello statuario, ma non saprebbe dire a che ora per l’ultima volta. Ferraris si dice che almeno
all’una Messinese era ancora vivo e lo è rimasto per un certo tempo. Gli altri cinque interrogatori
non forniscono nuovi elementi. Nessuno dei custodi di
turno nella sala di videosorveglianza ha visto nulla. Rimane solo Bertenghi
da interrogare, ma Ferraris l’ha già visto e se il tipo avesse avuto
informazioni importanti da fornire, lo avrebbe fatto. Comunque andrà
nuovamente sentito. Il poveretto, raggiunto a casa per telefono, è ancora
sotto shock, balbetta, dice che senz’altro verrà in commissariato, ma adesso
non se la sente. Nessun problema, non c’è fretta. Infine è il turno di Busini
che, anche se in malattia, è gentilmente invitato a presentarsi in
commissariato nel giro di quei venti minuti necessari per spostarsi da casa
sua. Di fronte alla squisita cortesia con cui è avanzato l’invito, Busini non
può esimersi e si presenta nel tempo previsto. Busini incomincia a
lamentarsi dei suoi acciacchi, ma Ferraris gli fa capire, con la consueta
delicatezza, che non intende perdere tempo. Ferraris è un grande comunicatore
ed in dieci secondi Busini ha già cambiato registro. Messinese secondo lui
era un’ottima persona, purtroppo con problemi di salute, anche lui,
d’altronde con l’aria che respiriamo… sì commissario, mi dica commissario…
Messinese non aveva nemici, neppure molti amici, andava volentieri al bar a
fare due chiacchiere, quando poteva. La moglie no, Busini non la conosce,
Messinese era divorziato da almeno quindici anni, lui lo conosceva da dodici,
prima lavorava alla Galleria Sabauda. Solo che lo trattavano male perché era
spesso malato, ma che cosa… sì commissario, certo commissario. Messinese non
aveva una donna, che lui sapesse, almeno, erano amici, ma non erano mica così
intimi, di donne parlavano qualche volta, ma Messinese non gli aveva mai
detto di avere una fidanzata, diceva che aveva successo con le femmine, che
gli correvano dietro. Nemici? No, Messinese non gli aveva mai parlato di
nemici, non gli risultava che nessuno lo odiasse. Certo, c’era la faccenda
delle assenze, sa com’è, purtroppo non tutti hanno una fibra di ferro e… sì
commissario, certo commissario. No, negli ultimi tempi Messinese non sembrava
preoccupato, non diceva di avere problemi, no, assolutamente. Economicamente?
No, nessuna richiesta di soldi, non sembrava avere problemi di soldi, sa
com’è commissario, facciamo una vita grama, siamo abituati ad accontentarci…
sì commissario, certo commissario, ma… commissario… Busini nella notte era a
casa a dormire, come può confermare sua moglie. Alla fine Ferraris lo manda
via. Anche lui non ha fornito molti elementi. Arrivano intanto i primi
risultati dell’esame del cadavere. Messinese è stato ucciso tra le tre e
trenta e le quattro e trenta del mattino, quindi prima della fine del turno
di notte. Qualcuno lo ha colpito con una pietra alla nuca, sfondandogli il
cranio. Per altri dettagli, bisogna aspettare qualche giorno, ma quanto è
emerso è già sufficiente. A quell’ora era di turno nella sala di
videosorveglianza Bertenghi. Ferraris cerca di fare il
punto della situazione. Le ipotesi sono diverse. La prima è quella di un
delitto maturato sull’ambiente di lavoro. Ipotesi plausibile. Possibili
sospetti: i custodi in servizio nella notte o uno degli altri, anche se,
stando a quanto dice Daniele Sannacorti, non possono entrare nel Museo se
qualcuno non apre dalla sala di videocontrollo. A meno che non esista qualche
sistema che chi lavora all’interno conosce. In ogni caso ci sono i circuiti
di sorveglianza, non deve essere così facile. Andranno controllati gli alibi
di tutti, anche se non c’è molto da aspettarsi, vista l’ora del delitto:
tutti sosterranno che erano a letto ed al massimo potranno portare la
testimonianza di un familiare o di un amante insonne. Movente: difficile da
individuare. Seconda ipotesi: un delitto
maturato all’esterno e compiuto nel museo. In che modo l’assassino è riuscito
ad entrare nel museo? Potrebbe avergli aperto il Messinese stesso, non
sapendo di far entrare il proprio assassino? Difficile, Messinese non era di
turno nella sala di videosorveglianza, quindi non poteva disinserire
l’allarme delle porte. Movente: anche in questo caso sconosciuto. Occorrerà
contattare la ex-moglie, anche se, dopo quindici anni di separazione, un
delitto passionale sembra da escludersi. La terza ipotesi è quella
del delitto non premeditato. Ad esempio, un ladro introdottosi nel museo è
stato sorpreso dal Messinese e lo ha ucciso. È un’ipotesi plausibile, sembra
la migliore, ma bisogna capire come il tizio ha fatto ad entrare. Bisognerà
verificare anche le finestre, se da qualcuna è possibile introdursi, magari
con un aiuto dall’interno. C’è poi il particolare
della pietra messa in verticale, ma può essere un tentativo di confondere le
idee. Che peraltro sono confuse
già più che a sufficienza. Intanto la casa di
Messinese è stata perquisita, è stata sequestrata l’agenda telefonica ed i
ragazzi del commissariato stanno esaminando tutti i nomi nell’elenco.
Ferraris fa richiedere anche i tabulati del traffico telefonico ed intanto fa
cercare la ex-moglie della vittima. La ex-signora Messinese è
molto più giovane di quanto Ferraris non si aspettasse. In effetti ha appena
trentacinque anni, si è sposata a diciotto, contro la volontà della famiglia,
si è separata due anni dopo. Sono almeno dieci anni che non vede il suo
ex-marito, si è risposata, ha due figli ed ha lasciato completamente alle
spalle quello che definisce il peggiore errore della sua vita. C’è poco da
ricavare dalla signora, che di certo non nutre molti rimpianti per il suo
ex-marito (“un figlio di puttana, buono a nulla, meschino, stupido ed
incapace” sono le sue parole, una splendida orazione funebre, ma dei morti
non si deve sempre parlare bene? O tempora, o mores!). 5 La giornata è trascorsa,
senza che siano emersi elementi significativi, in grado di dare una direzione
precisa alle indagini. In commissariato si tiene
una riunione generale, per fare il punto sul caso. Nessuno ha intuizioni
geniali, a meno di non considerare tali il commento di Orsini sui tre morti
(le due mummie ed il Messinese), ammazzati tutti nello stesso modo, a
distanza di secoli: -
Dà da pensare, eh!? Ferraris guarda il collega
e si dice che riuscire a far pensare Orsini è un’impresa impossibile. Al termine della riunione
Ferraris esce ingrugnito dal commissariato in cui era entrato sorridente.
Diciamo: giornata incominciata in modo anomalo, ma finita nella norma. Roberto Ferraris entra a
casa ed il suo umore recupera qualche posizione. Da quando c’è Michele che lo
aspetta, il rientro è sempre un momento piacevole e rilassante (anche se
magari qualche muscolo invece si tende).
Michele però è davanti alla
televisione. Non la guarda spesso, ma il telegiornale non lo perde. E mentre
Ferraris entra in salotto, in televisione si parla del nuovo misterioso
omicidio avvenuto nella notte a Torino, al Museo Egizio, proprio una
settimana prima dell’apertura di un’importante mostra. Ferraris sta per
aprire bocca e dire a Michele che se non vuole un rapido divorzio, è bene che
spenga, quando si vede in televisione, mentre esce dall’Egizio. - Wow, mi sono messo con
uno famoso. Sta pure in televisione. Michele lo sta prendendo
per il culo in un modo sfacciato e se non fosse Michele, rischierebbe grosso.
Ma Michele è Michele e, come recitava una vecchia pubblicità, con quella
bocca può dire ciò che vuole. Ferraris provvede a baciare la bocca e ad
impadronirsi del telecomando, dopodiché nel salotto cala improvvisamente il
silenzio: parlare mentre ci si bacia non è facile e – di certo
inavvertitamente - Ferraris deve aver pigiato il tasto che spegne il
televisore. Così si perdono le
dichiarazioni del public relations manager Lamberti, che viene opportunamente
intervistato da una zelante giornalista. Non è un problema: volendo
recuperare, avranno un sacco di occasioni, perché nei prossimi giorni il
Lamberti apparirà in televisione un giorno sì e l’altro anche, per parlare
del mistero della mummia e, incidentalmente, del mistero dell’omicidio del
custode. Ferraris lo odierà selvaggiamente, perché quel figlio di buona donna
fa di tutto per attirare l’attenzione sul museo e sulla mostra e ci riesce
pure, complice un omicidio. D’altronde è il suo mestiere. Martino e Diotallevi hanno
ragione: quando apriranno quella fottutissima mostra al museo ci sarà una
coda chilometrica per entrare. E nei prossimi giorni l’umore di Ferraris
scenderà molto al di sotto dei livelli abituali, come dire… temperature
insolitamente basse quest’inverno in Siberia. Domani è un altro giorno,
ma l’indomani non sembra portare molte novità. La perquisizione
dell’appartamento di Messinese non ha dato grandi risultati, a parte
l’agenda. Ferraris comunque vuole vedere di persona. Non è che non si fidi
del lavoro degli agenti, magari non troverà niente, ma almeno si farà un’idea
più precisa del morto. Dimmi dove abiti e ti dirò chi sei. Ci va con Diotallevi, che
fino a qualche tempo fa era il suo agente preferito (adesso è al secondo
posto, con un distacco incolmabile, così è la vita – Diotallevi non se ne fa
un problema, è un etero convinto ed ha pure una fidanzata incinta, anche se
né lui, né lei lo sospettano: non si sono accorti che una delle ultime volte
si è rotto il preservativo). Sono due stanze, tinello e
cucinino in via Gorizia, zona Santa Rita. Mobili dozzinali, presi in qualche
supermercato dell’arredamento, grande televisore bene in vista, nessun libro
visibile. Più o meno quello che Ferraris si aspettava. Ferraris incomincia dalla
camera da letto. Con l’occhio scorre rapidamente i vestiti. Niente di
particolare, di certo Messinese non badava molto a quello che si metteva
addosso. C’è però un abito scuro, non di buona stoffa, né di fattura
elegante, ma chiaramente con maggiori pretese. - Per il culo di Satana! E
di questo che cazzo se ne fa un custode? - Sarà stato ad matrimonio.
Diotallevi sorride ed
aggiunge: - O magari va all’opera. Diotallevi sa benissimo che
Ferraris ama l’opera. Ma l’ispettore lo inchioda alle sue responsabilità: - Controlla. Ha un lettore
di CD? Ha dei CD? Di che tipo? Diotallevi controlla. Il
tizio non ha (“aveva” sarebbe più esatto) un lettore di CD e non sembra
possedere neanche un CD. Probabilmente non era un amante dell’opera, anche se
non si può mai dire, magari ascoltava musica alla radio. Ferraris passa ai cassetti
del guardaroba. In uno c’è un album di
fotografie. L’ispettore lo prende e lo sfoglia. La faccia del morto sorride in
tutte le immagini. L’uomo non è mai solo. Vicino c’è sempre qualche bella
ragazza, un po’ scollacciata. Le tizie sembrano fatte con lo stampino ed
appartengono tutte ad una categoria che Ferraris conosce benissimo, anche se
non frequenta quegli ambienti (ha altri gusti, come i lettori più perspicaci
avranno intuito): le ragazze sono quelle che suo padre chiamava entraîneuse.
Si userà ancora il termine? L’abito che vorrebbe essere
elegante e ragazze un po’ discinte, che certamente non abbracciano Messinese
perché è un bell’uomo (lasciatelo dire a Ferraris, che è sempre stato un
intenditore in materia): tutto questo dà da pensare. Quanto guadagna il
custode di un museo statale? Non molto, certamente. Un’entraîneuse non si
struscia contro un cliente solo per la sua bella faccia (ed in particolare
quando la faccia non è per niente bella). Ferraris prende
dall’armadio l’abito che ha notato prima. Infila la mano nelle tasche. Da una
viene fuori il tagliando di un parcheggio. Saint-Vincent, valle
d’Aosta. C’è un casinò. Non
sarà mica che il tizio giocava anche? Ferraris prosegue con il
controllo dei cassetti. Nell’ultimo in basso, nascosto tra pigiami e
canottiere, c’è un pacchetto. Con cautela Ferraris lo apre. Dentro ci sono
quattro oggetti di piccole dimensioni: due statuette raffigurano strane
creature (un uomo che sembra avere la testa da ibis; una donna seduta con la
testa da leonessa); poi c’è un uccello con le ali aperte ed infine una
sbarretta, di un colore azzurro intenso, con alcuni geroglifici. Ferraris incomincia a
sentirsi soddisfatto, molto soddisfatto. Cercava una traccia, ne ha trovate
diverse. Non sa ancora dove porteranno, ma Messinese non era solo uno
scansafatiche. Ladro, puttaniere, giocatore… Ferraris si dice che forse sta
correndo troppo, ma un po’ di elementi sono saltati fuori. Dall’esame degli altri
locali non emerge nulla di interessante. A questo punto ci sono
diverse strade da battere. Bisogna individuare i locali in cui Messinese
passava le serate ed interrogare il personale. C’è da verificare al museo se
sono stati rubati degli oggetti, cosa di cui Ferraris è certo. C’è da cercare
un ricettatore, perché è difficile che Messinese si occupasse personalmente
dello smercio dei reperti. In centrale Ferraris si
rivolge subito agli uomini che stanno passando al setaccio l’agenda della
vittima. - Controllate tra i nomi
dell’agenda di Messinese se c’è qualcuno che possa essere un ricettatore. Poi affida l’album delle
fotografie agli agenti, perché scoprano in che locali sono state scattate. Fornisce
anche l’indicazione che alcuni di quei locali potrebbero trovarsi a
Saint-Vincent. Mentre gli agenti indagano
sulla vita privata di Messinese, l’ispettore si occupa del furto al museo. Un
nuovo colloquio con la direttrice del museo, quella Monica-come-diavolo-si-chiama,
è necessario. Ferraris ci va di persona, anche se l’idea di farsi vedere da
quelle parti non lo entusiasma. Per fortuna non incontra giornalisti. Alla direttrice non risulta
nessun furto, ma Ferraris tira fuori gli oggetti ritrovati a casa di
Messinese. La direttrice rimane senza parole. Prende gli oggetti e li esamina
con cura. Sono in effetti reperti
egizi. Non hanno un grandissimo valore, oggetti di questo tipo non sono rari,
tanto che solo alcuni esemplari vengono esposti e gli altri sono conservati
nei magazzini. Tutti i musei egizi ne posseggono. Certamente questi pezzi
possono essere venduti facilmente sul mercato clandestino di antichità:
nessuno potrebbe dire con sicurezza da dove provengono. La direttrice dovrà
fare un controllo per appurare la loro origine, anche se, avendoli trovati a
casa di Messinese, è quasi sicuro che vengano dai magazzini del museo. Ferraris chiede che venga
fatto un controllo per verificare se sono stati compiuti altri furti. È un
grosso lavoro, un inventario del materiale nei magazzini richiederebbe anni,
ma Ferraris suggerisce di controllare soltanto le casse che un custode può
facilmente raggiungere: non dovrebbe essere difficile scoprire quali sono
state manomesse. La direttrice concorda, poi
sorride, un po’ imbarazzata, ed avanza la sua richiesta: - Mi scusi, commissario,
non voglio interferire con le indagini, ma nei sotterranei ci sono tutti i
materiali per la mostra ed i tempi per montarla sono davvero stretti. Quando
pensa che potremo accedere a quella sale, aprire le casse e collocare i
materiali nelle vetrine? Ferraris pone alcuni limiti: oltre
all’area in cui è avvenuto il delitto, che rimarrà ovviamente fuori portata a
lungo, viene individuata un’altra vasta zona in cui nessuno potrà passare,
fino a che il caso non sarà stato risolto. Comunque, strisciando contro una
parete, sarà possibile raggiungere i reperti colombiani, a condizione di non
indossare scarpe troppo larghe, che provocherebbero uno sconfinamento. |