9
Ferraris rivede l’elenco dei turni nella
notte tra lunedì e martedì. Dalle tre alle cinque, quindi nel periodo in cui
è stato ammazzato Messinese, c’era Bertenghi. - Bertenghi è presente? - No, è a casa in malattia, sa, ha subito
un colpo... Considerando che l’unica volta che
Ferraris l’ha visto, il poveretto era tanto pallido da sembrare un cadavere,
l’ispettore non si stupisce. Decide che farà un salto a casa sua. Preferisce
prenderlo di sorpresa, perché se qualcuno è entrato nel museo in quel lasso
di tempo, Bertenghi lo deve sapere. Il custode abita in corso Montegrappa, al
quarto piano di un palazzone costruito negli anni ’60. Una casa di sicuro più
elegante di quella di Messinese, anche se non di lusso, in un bel quartiere. Ferraris suona, ma nessuno risponde.
Eppure Bertenghi è in mutua, dovrebbe essere a casa. L’ispettore si fa aprire
da un vicino e sale al quarto piano. Suona il campanello dell’appartamento.
Nessuna risposta. Strano, si sente la televisione. Che Bertenghi sia un po’
sordo? Ferraris suona alla porta dei vicini, ma
non lo hanno visto. Gli dicono che il televisore è acceso dall’altro ieri. È
insolito, abitualmente Bertenghi non lo lascia acceso. L’ispettore sta già
lanciando maledizioni. Chiede perché cazzo non hanno chiamato la polizia, ma
evidentemente è un condominio in cui ognuno si fa gli affari suoi. E poi il
volume non è così alto da disturbare. Quindi se non disturba, l’inquilino può
benissimo essere morto. Solo quando incomincerà a puzzare tanto da appestare
l’aria nella tromba delle scale, qualcuno avviserà la polizia che c’è un
televisore acceso da una settimana. Perché la puzza disturba. A questo punto occorre entrare in casa di
Bertenghi e vedere se è scappato o che cos’altro è successo: Ferraris teme il
peggio. Ottenuta l’autorizzazione, il fabbro apre la porta. Bertenghi è sulla
poltrona davanti al televisore, pallido come un cadavere. Questa volta la causa del pallore non è
la paura, ma un numero ancora imprecisato di pallottole, tre si direbbe, dai
fori nella camicia. Il pallore cadaverico di Bertenghi ha un’ottima
motivazione, inoppugnabile: Bertenghi è un cadavere, ormai completamente
freddo. Difficile ora ricavarne quelle
informazioni che Bertenghi era in grado di dare: perché il custode e seconda
vittima certamente sapeva chi è entrato nel museo l’altra notte, altrimenti
non sarebbe stato assassinato. Ferraris si darebbe dei pugni in testa per non
averlo pensato prima. Ferraris voleva che l’inchiesta
ripartisse? È stato soddisfatto. L’inchiesta riparte. Alla grande. Ferraris
bestemmia. Mentre la scientifica fa i rilievi del
caso, Ferraris riflette. Ormai ha le idee chiare su come devono essere andate
le cose. Bertenghi era di turno nella sala di
videosorveglianza. Ha disattivato l’allarme di una delle porte ed ha fatto
entrare qualcuno nel museo. L’uomo ha raggiunto i sotterranei, è stato
sorpreso da Messinese, sceso per rubare, e lo ha ucciso. Quindi non bisogna
cercare un complice di Messinese, ma un complice di Bertenghi o qualcuno che
comunque ha pagato il custode perché gli aprisse. Bertenghi non deve essersi accorto di
niente. Probabilmente all’ora prevista ha fatto uscire l’intruso, senza
sospettare che avesse ammazzato il suo collega. Poi ha riattivato l’allarme
delle porte e quando è sceso nei sotterranei per accompagnare i tecnici, ha
scoperto il cadavere. Certo che era sconvolto: non si aspettava il morto. E
sapeva benissimo che in quell’omicidio c’era dentro fino al collo. L’altra ipotesi è che Bertenghi,
Messinese e lo sconosciuto fossero complici. Non sembra probabile, anche se
non può essere scartata. Comunque una cosa è certa: né Messinese, né
Bertenghi potranno dire che cosa è successo. Quando la scientifica ha finito, Ferraris
fa il suo giro di perlustrazione nella casa. È un appartamento più vasto di
quello di Messinese, con mobili che hanno maggiori pretese, tappeti, diversi
libri. Piuttosto ben curato e pulito. A parte questo, non emerge niente di
anomalo. Sul televisore c’è una vecchia foto di un Bertenghi giovane e
sorridente, accanto ad una sposa vestita di bianco. Una rapida ispezione dei
documenti, ordinatamente raccolti in una cartellina, in un cassetto, rivela
che Bertenghi è rimasto vedovo quattro anni fa. C’è un figlio, che sta a
Bologna. Ci sono molte foto, sistemate in un
album, di Bertenghi e della moglie, poi di loro due con un bambino che
cresce, poi ancora di loro due con un ragazzo e poi da soli. Frammenti di
vita quotidiana. Nulla che rimandi a ladri, assassini o delitti. I rendiconti della banca sono più
interessanti. Dopo la morte della moglie c’è stato un rapido calo dei pochi
risparmi accumulati negli anni precedenti. Il conto è andato in rosso in più
occasioni, nonostante qualche bonifico da una banca di Bologna, da parte del
figlio. Bertenghi aveva bisogno di soldi. Il perché
non è chiaro e forse non è neppure importante. Comunque lo dirà il figlio,
che andrà contattato. 10 Mentre gli agenti si occupano di
rintracciare il figlio di Bertenghi, Ferraris torna al museo. Comunica la notizia
alla direttrice, poi, accompagnato dal Sannarcoti, fa ancora un giro per
verificare i sistemi di videosorveglianza. Infine ritorna dalla direttrice, quella
Monica come-cazzo-si-chiama, perché vuole capire che cosa poteva cercare
l’intruso (o gli intrusi, non è detto che fosse una persona sola) nel museo. La signora appare stanca ed il suo
sorriso gentile non è propriamente allegro, ma due morti in tre giorni sono
davvero un po’ troppo: insomma, siamo al Museo Egizio di Torino, mica a
Bagdad. Lavorare in un museo non dovrebbe essere così pericoloso. - Nei magazzini non sono conservati
reperti di grande valore. Nulla che possa giustificare un omicidio. A meno
che… La direttrice si blocca, assalita da un
dubbio improvviso. Impallidisce. Ferraris vede un barlume di luce profilarsi
all’orizzonte. Speranzoso, sollecita: - A meno che? - Proprio lunedì sono arrivati i reperti
colombiani e sono stati collocati nei sotterranei. Forse i ladri intendevano
rubare alcuni di quegli oggetti. Vi sono monili d’oro ed altri manufatti
preziosi. Spero che non abbiamo preso niente. Sarebbe un disastro, a livello
internazionale. Il dottor Mantovani… La direttrice è molto agitata, ora.
Ferraris si frega le mani, soddisfatto. Ladri di opere d’arte, quindi! Questo
potrebbe rimettere in campo Messinese. Potrebbe essere stato lui a convincere
Bertenghi. Ha deciso di tentare un colpaccio, con l’aiuto di qualcuno altro,
ma la faccenda non ha funzionato. No, se fosse così non si spiegherebbe lo
straccio con i reperti egizi. Messinese doveva essere sceso per quelli. - Avete aperto le casse? La direttrice annuisce, apre la bocca, ma
si ferma ed aggrotta la fronte, come colpita da un pensiero improvviso. Poi
impallidisce ancora di più. Ferraris incomincia a temere uno svenimento, che
lo priverebbe di una fonte di informazioni e soprattutto lo metterebbe in una
situazione fastidiosa. Che si può fare quando una donna sviene? La
respirazione bocca a bocca no, quella si può fare ad un uomo, se vale la
pena. A Michele lui farebbe la respirazione bocca a bocca tutto il giorno, ma
quello non sviene mai (però si lascia ugualmente fare la respirazione bocca a
bocca). - Aspetti un attimo. Va sulla porta e si rivolge alla
segretaria. - Viviana, per favore, può dire al signor
Dadotto di venire subito? La segretaria è ferma alla scrivania che
fissa un punto in lontananza. Per un attimo sembra non aver neppure sentito,
poi si riscuote. - Mi scusi, ero distratta. Il signor
Dadotto, ha detto? - Sì. - Subito. La signora Viviana si allontana, su
tacchi a spillo vertiginosi. Ferraris la guarda e come sempre si chiede come
diavolo facciano le donne a camminare su quei trampoli. E questa ci cammina
come se fosse nata con quelle appendici addosso. Comunque ormai l’ispettore si sta
innervosendo (si sa, la pazienza non è tra le sue virtù) e ritorna alla
direttrice: - Che c’è? - Il signor Dadotto, il responsabile
dell’allestimento della mostra, mi ha detto una cosa strana, questa mattina.
Ma preferisco che glielo dica lui stesso.
A Ferraris qualche cosa non quadra. Qui
ci sono troppi responsabili per un’unica mostra: Strillacci era responsabile
e parlava di quel Gando come responsabile ed adesso spunta fuori questo
Dadotto. - Ma chi è il responsabile della mostra,
insomma? La direttrice lo guarda un attimo,
perplessa. - Come, scusi? Ferraris già sbuffa. - Dadotto, Gando, Strillacci. Mi sembra
un po’ troppa gente per una mostra sola. La direttrice sorride cortese (questa
donna potrebbe dare lezioni di buone maniere a chiunque, peccato che per
Ferraris, che tanto ne avrebbe bisogno, sarebbero del tutto sprecate). - Allora, il dottor Alessandro Gando è
uno studioso ed è il curatore della sezione egizia della mostra, che ruota
intorno alla mummia ritrovata nei sotterranei. Per la sezione colombiana, il
responsabile è il dottor Lorenzo Mantovani, del ministero della Colombia. Mantovani? Un altro che spunta fuori,
come un coniglio dal cappello? Questo è troppo! - Per il culo di Satana! E Strillacci e
questo Dadotto, chi sarebbero? - Il signor Filippo Dadotto cura
l’allestimento della mostra dal punto di vista estetico: si occupa di
valorizzare i reperti, esponendoli nel modo più appropriato. Ha studiato le
vetrine, i sostegni, l’illuminazione. È uno dei più quotati in Europa in
questo campo, ha lavorato anche al museo Miho di Kyoto: un curriculum che
pochi possono vantare. In questo caso per i reperti colombiani ha dovuto
lavorare senza avere i pezzi a disposizione, perché ci sono stati dei ritardi
e… Ferraris non sa che cosa sia il museo
Mio, per un attimo ha pensato che fosse un museo della direttrice, poi ha
capito che non era così, difficile che la direttrice abbia un suo museo
personale a Kyoto (ma non era Tokyo la capitale del Giappone?). Comunque
adesso ha inquadrato la situazione. Manca solo Strillacci. - E Strillacci? - Il signor Gio Strillacci è un tecnico,
lavora alle dipendenze di Dadotto. Lei capisce, reperti di questo genere
richiedono particolari precauzioni, non possono essere maneggiati da
chiunque. Per la sistemazione dei reperti ci si serve solo di tecnici
specializzati, con una vasta esperienza. Ogni museo ha i propri. - Quindi Strillacci è alle dipendenze del
museo? - No, l’équipe che realizza il montaggio
della mostra è costituita da personale esterno. I nostri tecnici si occupano
della sistemazione dei pezzi all’interno dell’esposizione permanente del
museo, non delle mostre. 11 In quel momento fa il suo ingresso
Filippo Dadotto. È sui trenta, magro ma muscoloso, il cranio rasato. Dopo la
prima occhiata (è un tipo di cui diffidare, classica faccia da delinquente),
Ferraris ne lancia una seconda e poi una terza. Altre seguiranno nel
colloquio (si sa, i delinquenti è bene tenerli d’occhio). La direttrice si rivolge al tecnico. - Signor Dadotto, mi diceva questa
mattina di aver notato alcune… irregolarità nelle casse in cui sono contenuti
i reperti colombiani. Credo che la faccenda possa interessare al commissario
Ferraris. Ferraris è già in fibrillazione. Dadotto si rivolge direttamente a lui: - Abbiamo aperto quattro casse e…
l’impressione è che almeno due fossero già state aperte. Gli oggetti erano
nei loro involucri, intatti, ma qualcuno doveva aver aperto le casse. Ferraris sobbalza. - Cosa? Mancano degli oggetti? È stato
rubato qualche cosa? Dadotto scuote la testa. - No, il contenuto delle casse aperte
corrisponde esattamente a quanto risulta nel nostro elenco, ho verificato. Mi
sono preoccupato molto, avrà sentito anche lei delle statue del Bangladesh
scomparse quando erano in partenza per Parigi. - Ferraris non ha sentito
niente, sa a malapena dove si trova il Bangladesh, perciò non dice nulla – Io
ho pensato ad un controllo doganale, a Bogotà o a Torino, però è un po’
strano, questi materiali, inviati attraverso il ministero, di solito non
subiscono particolari controlli. Trattandosi di pezzi di valore e delicati,
prima di aprire le casse, ci pensano due volte. E poi c’era il dottor
Mantovani, del ministero colombiano, che ha seguito personalmente tutte le
fasi della spedizione. L’ho contattato immediatamente e si è precipitato qui. - Dalla Colombia? - Ma no, è venuto in Italia per
accompagnare i pezzi e rappresenterà il ministro all’inaugurazione della
mostra. - Che cosa ha detto Mantovani? - Che probabilmente hanno fatto qualche
controllo prima di spedirle, anche se a lui non risultava. Non era troppo
preoccupato, quando ha visto che i pezzi c’erano tutti. In alcune delle casse
che abbiamo aperto c’erano monili d’oro di grande valore. Se avessero voluto
rubare, una volta aperta la cassa, quelli li avrebbero fatti sparire. Il ragionamento del Mantovani sembra
funzionare, anche se non si può mai sapere: magari si tratta di un furto su
commissione ed i ladri cercavano un pezzo particolare, ma non sapevano
dov’era. - Avete aperto tutte le casse? - No, procediamo gradualmente, sa è
materiale… Ferraris interrompe. - Quindi ci sono delle casse che voi non
avete ancora toccato. - Certo. La direttrice interviene. È chiaramente
agitata. Pensa ad un possibile furto, allo scandalo internazionale. - Dobbiamo controllarle subito. Sarebbe
un disastro se fosse scomparso qualche reperto. Prima che Dadotto abbia avuto il tempo di
dire mezza parola, Ferraris interviene: - Non toccate niente! Se qualcuno entra
nella sala lo arresto! Dadotto guarda Ferraris, sbalordito. - Ma sta scherzando!? Dobbiamo finire
l’allestimento. Siamo in un ritardo pazzesco. Ferraris è molto comprensivo, come al
solito: - Non me ne fotte un cazzo del ritardo.
Qui sono avvenuti due omicidi. Dadotto guarda la direttrice, sperando in
un appoggio, ma questa allarga le braccia, sconsolata: ha capito che tipo è
Ferraris. Ferraris chiama subito la scientifica. La
squadra arriva in fretta. La dirige Elisabetta Della Rocca, Eli per gli
amici. Ferraris la conosce bene. Ottimo, è una in gamba, di lei ci si può
fidare. L’esame richiede parecchio tempo: Eli è
una che fa le cose per bene e Ferraris ne è ben contento, ma adesso la
manderebbe a stendere, è troppo impaziente. - Allora? Per il culo di Satana, intendi
lasciarmi qui tutta la mattina ad aspettare? Ferraris freme. Eli, che lo conosce
benissimo, lo lascia cuocere un momento nel suo brodo, ma non troppo: c’è il
rischio di un’esplosione, con schizzi sui muri... - Le casse sono state tutte aperte al
loro arrivo, alcune sicuramente dopo essere state collocate qui dentro. - Come fai a dirlo? Eli si aspettava la domanda, ha avuto
molte occasioni di lavorare con Ferraris. Peggio di san Tommaso, quello. - Se guardi le casse, lo vedi anche tu.
Guarda qui. È evidente che hanno usato delle pinze per togliere i chiodi e
poi li hanno rimessi. In diversi casi il buco del chiodo è doppio. O chi ha
inchiodato le casse ha deciso di rifare tutto il lavoro o qualcuno le ha
aperte dopo che sono state chiuse. Ti faccio notare che le casse hanno una
doppia chiusura: il coperchio si infila e rimane bloccato. I chiodi servono
solo come misura di sicurezza, per evitare che qualcuno possa aprire. - Va bene, sono state riaperte dopo che
le avevano chiuse, ma questo non significa che lo abbiano fatto qui a Torino.
Potrebbero essere state riaperte in Colombia, per i controlli. Eli alza le spalle. - Forse sì. Poi scoppia a ridere di fronte
all’espressione di Ferraris, chiaramente deluso, e riprende, senza lasciarlo
andare oltre il classico: - Per il culo di Satana! Ma allora … - Ma almeno due sicuramente no. Perché
sono state chiuse male, come se avessero lavorato di corsa, ed in particolare
quella lì, chiusa in quel modo, qui non ci arrivava. Il coperchio era
infilato male. Hanno finito di fretta, con l’acqua alla gola. - Senti… e gli involucri dei singoli
pezzi? Mi dicono che ogni reperto è in un suo involucro. Sono stati aperti? - No gli involucri non sono stati
manomessi, in nessun modo. Ferraris non ci capisce niente. Che cazzo
cercava il ladro? Ha aperto tutte le casse, lavoro non da poco, ma non ha
toccato nemmeno uno dei reperti! Che cosa cercava, che sembra non aver
trovato? - Ma perché mai? Per il culo di Satana,
perché? Eli ride. - Questo me lo dovresti spiegare tu! È il
tuo compito. Ferraris grugnisce. Eli riprende: - Ah, c’è un’altra cosa. Proprio in
quell’ultima scatola, quella che è stata chiusa malamente… - Che cosa? - L’imbottitura è insufficiente. Non ci
sono abbastanza sacchetti di segatura. Rispetto alle altre sembra mezza
vuota. Non ha viaggiato in quelle condizioni, di sicuro. - Quindi in quella cassa doveva esserci
qualche cos’altro? - Sì, teoricamente altra segatura… Ferraris non ci capisce niente. Qualcuno
è entrato nel museo, ha aperto le casse con i reperti, ha lasciato i monili
d’oro ed altri oggetti di valore, si è preso due sacchetti di segatura, ha
richiuso il tutto, ha ammazzato Messinese che lo aveva scoperto e se n’è
andato. Ma chi? Perché? Un collezionista di segatura a cui mancava quella
colombiana, notoriamente rara? Ferraris darebbe la testa contro il muro. La direttrice ha chiesto che Ferraris
passi un momento da lei. Cerca di convincerlo ad autorizzare l’apertura delle
altre casse, per poter completare l’allestimento. La mostra dovrebbe incominciare
martedì, ci sono visite prenotate da mezza Europa, all’inaugurazione verrà… Da quell’orecchio Ferraris non ci sente,
anche se le casse sono già aperte. Nessuno tocca niente. Pena l’arresto, la
deportazione in Siberia, la tortura della ruota e lo strangolamento ad opera
dello stesso Ferraris (l’ispettore minaccia solo la prima punizione, ma è
ovvio per chi lo conosce che in agguato ci sono anche le altre). Ferraris raccoglie ancora un po’ di
informazioni sul ruolo del Dadotto e delle altre persone che si occupano
della mostra. Per il culo di Satana, quanta gente per sistemare quattro resti
in due vetrine! |