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Ferraris rivede l’elenco dei turni nella notte tra lunedì e martedì. Dalle tre alle cinque, quindi nel periodo in cui è stato ammazzato Messinese, c’era Bertenghi.

- Bertenghi è presente?

- No, è a casa in malattia, sa, ha subito un colpo...

Considerando che l’unica volta che Ferraris l’ha visto, il poveretto era tanto pallido da sembrare un cadavere, l’ispettore non si stupisce. Decide che farà un salto a casa sua. Preferisce prenderlo di sorpresa, perché se qualcuno è entrato nel museo in quel lasso di tempo, Bertenghi lo deve sapere.

Il custode abita in corso Montegrappa, al quarto piano di un palazzone costruito negli anni ’60. Una casa di sicuro più elegante di quella di Messinese, anche se non di lusso, in un bel quartiere.

Ferraris suona, ma nessuno risponde. Eppure Bertenghi è in mutua, dovrebbe essere a casa. L’ispettore si fa aprire da un vicino e sale al quarto piano.

Suona il campanello dell’appartamento. Nessuna risposta. Strano, si sente la televisione. Che Bertenghi sia un po’ sordo?

Ferraris suona alla porta dei vicini, ma non lo hanno visto. Gli dicono che il televisore è acceso dall’altro ieri. È insolito, abitualmente Bertenghi non lo lascia acceso. L’ispettore sta già lanciando maledizioni. Chiede perché cazzo non hanno chiamato la polizia, ma evidentemente è un condominio in cui ognuno si fa gli affari suoi. E poi il volume non è così alto da disturbare.

Quindi se non disturba, l’inquilino può benissimo essere morto. Solo quando incomincerà a puzzare tanto da appestare l’aria nella tromba delle scale, qualcuno avviserà la polizia che c’è un televisore acceso da una settimana. Perché la puzza disturba.

A questo punto occorre entrare in casa di Bertenghi e vedere se è scappato o che cos’altro è successo: Ferraris teme il peggio. Ottenuta l’autorizzazione, il fabbro apre la porta. Bertenghi è sulla poltrona davanti al televisore, pallido come un cadavere.

Questa volta la causa del pallore non è la paura, ma un numero ancora imprecisato di pallottole, tre si direbbe, dai fori nella camicia. Il pallore cadaverico di Bertenghi ha un’ottima motivazione, inoppugnabile: Bertenghi è un cadavere, ormai completamente freddo.

Difficile ora ricavarne quelle informazioni che Bertenghi era in grado di dare: perché il custode e seconda vittima certamente sapeva chi è entrato nel museo l’altra notte, altrimenti non sarebbe stato assassinato. Ferraris si darebbe dei pugni in testa per non averlo pensato prima.

Ferraris voleva che l’inchiesta ripartisse? È stato soddisfatto. L’inchiesta riparte. Alla grande. Ferraris bestemmia.

Mentre la scientifica fa i rilievi del caso, Ferraris riflette. Ormai ha le idee chiare su come devono essere andate le cose.

Bertenghi era di turno nella sala di videosorveglianza. Ha disattivato l’allarme di una delle porte ed ha fatto entrare qualcuno nel museo. L’uomo ha raggiunto i sotterranei, è stato sorpreso da Messinese, sceso per rubare, e lo ha ucciso. Quindi non bisogna cercare un complice di Messinese, ma un complice di Bertenghi o qualcuno che comunque ha pagato il custode perché gli aprisse.

Bertenghi non deve essersi accorto di niente. Probabilmente all’ora prevista ha fatto uscire l’intruso, senza sospettare che avesse ammazzato il suo collega. Poi ha riattivato l’allarme delle porte e quando è sceso nei sotterranei per accompagnare i tecnici, ha scoperto il cadavere. Certo che era sconvolto: non si aspettava il morto. E sapeva benissimo che in quell’omicidio c’era dentro fino al collo.

L’altra ipotesi è che Bertenghi, Messinese e lo sconosciuto fossero complici. Non sembra probabile, anche se non può essere scartata. Comunque una cosa è certa: né Messinese, né Bertenghi potranno dire che cosa è successo.

 

Quando la scientifica ha finito, Ferraris fa il suo giro di perlustrazione nella casa. È un appartamento più vasto di quello di Messinese, con mobili che hanno maggiori pretese, tappeti, diversi libri. Piuttosto ben curato e pulito. A parte questo, non emerge niente di anomalo. Sul televisore c’è una vecchia foto di un Bertenghi giovane e sorridente, accanto ad una sposa vestita di bianco. Una rapida ispezione dei documenti, ordinatamente raccolti in una cartellina, in un cassetto, rivela che Bertenghi è rimasto vedovo quattro anni fa. C’è un figlio, che sta a Bologna.

Ci sono molte foto, sistemate in un album, di Bertenghi e della moglie, poi di loro due con un bambino che cresce, poi ancora di loro due con un ragazzo e poi da soli. Frammenti di vita quotidiana. Nulla che rimandi a ladri, assassini o delitti.

I rendiconti della banca sono più interessanti. Dopo la morte della moglie c’è stato un rapido calo dei pochi risparmi accumulati negli anni precedenti. Il conto è andato in rosso in più occasioni, nonostante qualche bonifico da una banca di Bologna, da parte del figlio.

Bertenghi aveva bisogno di soldi. Il perché non è chiaro e forse non è neppure importante. Comunque lo dirà il figlio, che andrà contattato.

 

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Mentre gli agenti si occupano di rintracciare il figlio di Bertenghi, Ferraris torna al museo. Comunica la notizia alla direttrice, poi, accompagnato dal Sannarcoti, fa ancora un giro per verificare i sistemi di videosorveglianza.

Infine ritorna dalla direttrice, quella Monica come-cazzo-si-chiama, perché vuole capire che cosa poteva cercare l’intruso (o gli intrusi, non è detto che fosse una persona sola) nel museo.

La signora appare stanca ed il suo sorriso gentile non è propriamente allegro, ma due morti in tre giorni sono davvero un po’ troppo: insomma, siamo al Museo Egizio di Torino, mica a Bagdad. Lavorare in un museo non dovrebbe essere così pericoloso.

- Nei magazzini non sono conservati reperti di grande valore. Nulla che possa giustificare un omicidio. A meno che…

La direttrice si blocca, assalita da un dubbio improvviso. Impallidisce. Ferraris vede un barlume di luce profilarsi all’orizzonte. Speranzoso, sollecita:

- A meno che?

- Proprio lunedì sono arrivati i reperti colombiani e sono stati collocati nei sotterranei. Forse i ladri intendevano rubare alcuni di quegli oggetti. Vi sono monili d’oro ed altri manufatti preziosi. Spero che non abbiamo preso niente. Sarebbe un disastro, a livello internazionale. Il dottor Mantovani…

La direttrice è molto agitata, ora. Ferraris si frega le mani, soddisfatto. Ladri di opere d’arte, quindi! Questo potrebbe rimettere in campo Messinese. Potrebbe essere stato lui a convincere Bertenghi. Ha deciso di tentare un colpaccio, con l’aiuto di qualcuno altro, ma la faccenda non ha funzionato. No, se fosse così non si spiegherebbe lo straccio con i reperti egizi. Messinese doveva essere sceso per quelli.

- Avete aperto le casse?

La direttrice annuisce, apre la bocca, ma si ferma ed aggrotta la fronte, come colpita da un pensiero improvviso. Poi impallidisce ancora di più. Ferraris incomincia a temere uno svenimento, che lo priverebbe di una fonte di informazioni e soprattutto lo metterebbe in una situazione fastidiosa. Che si può fare quando una donna sviene? La respirazione bocca a bocca no, quella si può fare ad un uomo, se vale la pena. A Michele lui farebbe la respirazione bocca a bocca tutto il giorno, ma quello non sviene mai (però si lascia ugualmente fare la respirazione bocca a bocca).

- Aspetti un attimo.

Va sulla porta e si rivolge alla segretaria.

- Viviana, per favore, può dire al signor Dadotto di venire subito?

La segretaria è ferma alla scrivania che fissa un punto in lontananza. Per un attimo sembra non aver neppure sentito, poi si riscuote.

- Mi scusi, ero distratta. Il signor Dadotto, ha detto?

- Sì.

- Subito.

La signora Viviana si allontana, su tacchi a spillo vertiginosi. Ferraris la guarda e come sempre si chiede come diavolo facciano le donne a camminare su quei trampoli. E questa ci cammina come se fosse nata con quelle appendici addosso.

Comunque ormai l’ispettore si sta innervosendo (si sa, la pazienza non è tra le sue virtù) e ritorna alla direttrice:

- Che c’è?

- Il signor Dadotto, il responsabile dell’allestimento della mostra, mi ha detto una cosa strana, questa mattina. Ma preferisco che glielo dica lui stesso. 

A Ferraris qualche cosa non quadra. Qui ci sono troppi responsabili per un’unica mostra: Strillacci era responsabile e parlava di quel Gando come responsabile ed adesso spunta fuori questo Dadotto.

- Ma chi è il responsabile della mostra, insomma?

La direttrice lo guarda un attimo, perplessa.

- Come, scusi?

Ferraris già sbuffa.

- Dadotto, Gando, Strillacci. Mi sembra un po’ troppa gente per una mostra sola.

La direttrice sorride cortese (questa donna potrebbe dare lezioni di buone maniere a chiunque, peccato che per Ferraris, che tanto ne avrebbe bisogno, sarebbero del tutto sprecate).

- Allora, il dottor Alessandro Gando è uno studioso ed è il curatore della sezione egizia della mostra, che ruota intorno alla mummia ritrovata nei sotterranei. Per la sezione colombiana, il responsabile è il dottor Lorenzo Mantovani, del ministero della Colombia.

Mantovani? Un altro che spunta fuori, come un coniglio dal cappello? Questo è troppo!

- Per il culo di Satana! E Strillacci e questo Dadotto, chi sarebbero?

- Il signor Filippo Dadotto cura l’allestimento della mostra dal punto di vista estetico: si occupa di valorizzare i reperti, esponendoli nel modo più appropriato. Ha studiato le vetrine, i sostegni, l’illuminazione. È uno dei più quotati in Europa in questo campo, ha lavorato anche al museo Miho di Kyoto: un curriculum che pochi possono vantare. In questo caso per i reperti colombiani ha dovuto lavorare senza avere i pezzi a disposizione, perché ci sono stati dei ritardi e…

Ferraris non sa che cosa sia il museo Mio, per un attimo ha pensato che fosse un museo della direttrice, poi ha capito che non era così, difficile che la direttrice abbia un suo museo personale a Kyoto (ma non era Tokyo la capitale del Giappone?). Comunque adesso ha inquadrato la situazione. Manca solo Strillacci.

- E Strillacci?

- Il signor Gio Strillacci è un tecnico, lavora alle dipendenze di Dadotto. Lei capisce, reperti di questo genere richiedono particolari precauzioni, non possono essere maneggiati da chiunque. Per la sistemazione dei reperti ci si serve solo di tecnici specializzati, con una vasta esperienza. Ogni museo ha i propri.

- Quindi Strillacci è alle dipendenze del museo?

- No, l’équipe che realizza il montaggio della mostra è costituita da personale esterno. I nostri tecnici si occupano della sistemazione dei pezzi all’interno dell’esposizione permanente del museo, non delle mostre.

 

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In quel momento fa il suo ingresso Filippo Dadotto. È sui trenta, magro ma muscoloso, il cranio rasato. Dopo la prima occhiata (è un tipo di cui diffidare, classica faccia da delinquente), Ferraris ne lancia una seconda e poi una terza. Altre seguiranno nel colloquio (si sa, i delinquenti è bene tenerli d’occhio).

La direttrice si rivolge al tecnico.

- Signor Dadotto, mi diceva questa mattina di aver notato alcune… irregolarità nelle casse in cui sono contenuti i reperti colombiani. Credo che la faccenda possa interessare al commissario Ferraris.

Ferraris è già in fibrillazione.

Dadotto si rivolge direttamente a lui:

- Abbiamo aperto quattro casse e… l’impressione è che almeno due fossero già state aperte. Gli oggetti erano nei loro involucri, intatti, ma qualcuno doveva aver aperto le casse.

Ferraris sobbalza.

- Cosa? Mancano degli oggetti? È stato rubato qualche cosa?

Dadotto scuote la testa.

- No, il contenuto delle casse aperte corrisponde esattamente a quanto risulta nel nostro elenco, ho verificato. Mi sono preoccupato molto, avrà sentito anche lei delle statue del Bangladesh scomparse quando erano in partenza per Parigi. - Ferraris non ha sentito niente, sa a malapena dove si trova il Bangladesh, perciò non dice nulla – Io ho pensato ad un controllo doganale, a Bogotà o a Torino, però è un po’ strano, questi materiali, inviati attraverso il ministero, di solito non subiscono particolari controlli. Trattandosi di pezzi di valore e delicati, prima di aprire le casse, ci pensano due volte. E poi c’era il dottor Mantovani, del ministero colombiano, che ha seguito personalmente tutte le fasi della spedizione. L’ho contattato immediatamente e si è precipitato qui.

- Dalla Colombia?

- Ma no, è venuto in Italia per accompagnare i pezzi e rappresenterà il ministro all’inaugurazione della mostra.

- Che cosa ha detto Mantovani?

- Che probabilmente hanno fatto qualche controllo prima di spedirle, anche se a lui non risultava. Non era troppo preoccupato, quando ha visto che i pezzi c’erano tutti. In alcune delle casse che abbiamo aperto c’erano monili d’oro di grande valore. Se avessero voluto rubare, una volta aperta la cassa, quelli li avrebbero fatti sparire.

Il ragionamento del Mantovani sembra funzionare, anche se non si può mai sapere: magari si tratta di un furto su commissione ed i ladri cercavano un pezzo particolare, ma non sapevano dov’era.

- Avete aperto tutte le casse?

- No, procediamo gradualmente, sa è materiale…

Ferraris interrompe.

- Quindi ci sono delle casse che voi non avete ancora toccato.

- Certo.

La direttrice interviene. È chiaramente agitata. Pensa ad un possibile furto, allo scandalo internazionale.

- Dobbiamo controllarle subito. Sarebbe un disastro se fosse scomparso qualche reperto.

Prima che Dadotto abbia avuto il tempo di dire mezza parola, Ferraris interviene:

- Non toccate niente! Se qualcuno entra nella sala lo arresto!

Dadotto guarda Ferraris, sbalordito.

- Ma sta scherzando!? Dobbiamo finire l’allestimento. Siamo in un ritardo pazzesco.

Ferraris è molto comprensivo, come al solito:

- Non me ne fotte un cazzo del ritardo. Qui sono avvenuti due omicidi.

Dadotto guarda la direttrice, sperando in un appoggio, ma questa allarga le braccia, sconsolata: ha capito che tipo è Ferraris.

Ferraris chiama subito la scientifica. La squadra arriva in fretta. La dirige Elisabetta Della Rocca, Eli per gli amici. Ferraris la conosce bene. Ottimo, è una in gamba, di lei ci si può fidare.

 

L’esame richiede parecchio tempo: Eli è una che fa le cose per bene e Ferraris ne è ben contento, ma adesso la manderebbe a stendere, è troppo impaziente.

- Allora? Per il culo di Satana, intendi lasciarmi qui tutta la mattina ad aspettare?

Ferraris freme. Eli, che lo conosce benissimo, lo lascia cuocere un momento nel suo brodo, ma non troppo: c’è il rischio di un’esplosione, con schizzi sui muri...

- Le casse sono state tutte aperte al loro arrivo, alcune sicuramente dopo essere state collocate qui dentro.

- Come fai a dirlo?

Eli si aspettava la domanda, ha avuto molte occasioni di lavorare con Ferraris. Peggio di san Tommaso, quello.

- Se guardi le casse, lo vedi anche tu. Guarda qui. È evidente che hanno usato delle pinze per togliere i chiodi e poi li hanno rimessi. In diversi casi il buco del chiodo è doppio. O chi ha inchiodato le casse ha deciso di rifare tutto il lavoro o qualcuno le ha aperte dopo che sono state chiuse. Ti faccio notare che le casse hanno una doppia chiusura: il coperchio si infila e rimane bloccato. I chiodi servono solo come misura di sicurezza, per evitare che qualcuno possa aprire.

- Va bene, sono state riaperte dopo che le avevano chiuse, ma questo non significa che lo abbiano fatto qui a Torino. Potrebbero essere state riaperte in Colombia, per i controlli.

Eli alza le spalle.

- Forse sì.

Poi scoppia a ridere di fronte all’espressione di Ferraris, chiaramente deluso, e riprende, senza lasciarlo andare oltre il classico:

- Per il culo di Satana! Ma allora …

- Ma almeno due sicuramente no. Perché sono state chiuse male, come se avessero lavorato di corsa, ed in particolare quella lì, chiusa in quel modo, qui non ci arrivava. Il coperchio era infilato male. Hanno finito di fretta, con l’acqua alla gola.

- Senti… e gli involucri dei singoli pezzi? Mi dicono che ogni reperto è in un suo involucro. Sono stati aperti?

- No gli involucri non sono stati manomessi, in nessun modo.

Ferraris non ci capisce niente. Che cazzo cercava il ladro? Ha aperto tutte le casse, lavoro non da poco, ma non ha toccato nemmeno uno dei reperti! Che cosa cercava, che sembra non aver trovato?

- Ma perché mai? Per il culo di Satana, perché?

Eli ride.

- Questo me lo dovresti spiegare tu! È il tuo compito.

Ferraris grugnisce. Eli riprende:

- Ah, c’è un’altra cosa. Proprio in quell’ultima scatola, quella che è stata chiusa malamente…

- Che cosa?

- L’imbottitura è insufficiente. Non ci sono abbastanza sacchetti di segatura. Rispetto alle altre sembra mezza vuota. Non ha viaggiato in quelle condizioni, di sicuro.

- Quindi in quella cassa doveva esserci qualche cos’altro?

- Sì, teoricamente altra segatura…

Ferraris non ci capisce niente. Qualcuno è entrato nel museo, ha aperto le casse con i reperti, ha lasciato i monili d’oro ed altri oggetti di valore, si è preso due sacchetti di segatura, ha richiuso il tutto, ha ammazzato Messinese che lo aveva scoperto e se n’è andato. Ma chi? Perché? Un collezionista di segatura a cui mancava quella colombiana, notoriamente rara? Ferraris darebbe la testa contro il muro.

La direttrice ha chiesto che Ferraris passi un momento da lei. Cerca di convincerlo ad autorizzare l’apertura delle altre casse, per poter completare l’allestimento. La mostra dovrebbe incominciare martedì, ci sono visite prenotate da mezza Europa, all’inaugurazione verrà…

Da quell’orecchio Ferraris non ci sente, anche se le casse sono già aperte. Nessuno tocca niente. Pena l’arresto, la deportazione in Siberia, la tortura della ruota e lo strangolamento ad opera dello stesso Ferraris (l’ispettore minaccia solo la prima punizione, ma è ovvio per chi lo conosce che in agguato ci sono anche le altre).

Ferraris raccoglie ancora un po’ di informazioni sul ruolo del Dadotto e delle altre persone che si occupano della mostra. Per il culo di Satana, quanta gente per sistemare quattro resti in due vetrine!

 

 

 

Due mummie per un ispettore

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