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      Il dottor Mantovani dovrà presentarsi in commissariato. Lo trovano in albergo all’ora di pranzo e nel primo pomeriggio è già nell’ufficio di Ferraris.

      Lorenzo Mantovani sembra molto giovane, ha un sorriso simpatico ed un’aria indifesa. Insomma: un bravo ragazzo, non certo il classico funzionario ministeriale come uno se lo immagina. L’ispettore è alquanto diffidente, l’esperienza gli ha insegnato che quelli con la faccia da bravo ragazzo sono i peggiori. Intanto però lancia una seconda occhiata. Niente male neanche lui, insomma, questa fottuta inchiesta almeno ha degli aspetti positivi.

      - Avrei bisogno di porle alcune domande, dottor Mantovani.

      - Sono a sua completa disposizione, commissario. È un piacere per me poter collaborare con la giustizia italiana.

      Mantovani ha risposto in un italiano perfettamente corretto, perfino forbito, con appena un leggero accento straniero. La direttrice lo aveva detto, ma Ferraris è diffidente per natura.

      - Come mai parla così bene l’italiano?

      - I miei nonni erano italiani ed in famiglia spesso parliamo italiano.

      - Non sapevo che ci fossero molti italiani in Colombia.

      - Non ce ne sono, i miei stavano in Argentina, ma nel periodo della dittatura preferirono emigrare, mio padre era un sindacalista, sfuggì per un pelo ad un tentativo di rapimento… Sa, pochi di quelli che sparivano ne sono usciti vivi.

      Ferraris annuisce: in effetti di uno dei suoi cugini, sequestrato durante la dittatura, non si è più saputo nulla. Adesso però è ora di venire al dunque.

      - Allora, dottor Mantovani, ci vuole spiegare come è nata l’idea di organizzare questa mostra?

      Mantovani esita un momento:

      - Come è nata la mostra? Non capisco bene che legame…

      Ferraris interviene, con delicatezza (non vuole creare problemi internazionali):

      - Lei risponda alle domande e non si preoccupi di capire.

      Mantovani è un po’ infastidito, ma non protesta.

      - Il ritrovamento della mummia, sul Nevado Cumbal, è stato un avvenimento di grande rilevanza per l’archeologia colombiana. In passato diverse mummie preincaiche sono state ritrovate ad alta quota in Perù, ma reperti di questo genere non erano mai stati scoperti in Colombia. Siamo molto orgogliosi di…

      Ferraris sta fumando, ha uno scatto d’impazienza, ma ancora si contiene. Mantovani continua imperterrito.

      - … questa scoperta sensazionale, che aggiunge una pagina gloriosa alla lunga storia dell’archeologia colombiana.  

      - Sono felice per l’archeologia colombiana, ma può essere tanto gentile da rispondere alla mia domanda, invece di menare il can per l’aia, per il culo di Satana!

      Il self-control di Ferraris, dote di cui madre natura è stata avara nei confronti dell’ispettore, è giunto al capolinea ed anche Mantovani, probabilmente più versato nell’archeologia preincaica che nella psicologia umana, lo intuisce. Perciò corregge un po’ il tiro, senza nascondere completamente la sua irritazione per la mancanza di rispetto.

      - Un ritrovamento di questa importanza richiede uno spazio museale adeguato ed i tempi di allestimento sono lunghi. Lasciare in magazzino un reperto di questo genere, una volta conclusi gli esami, ci sembrava un delitto. Organizzare una mostra itinerante permetteva di far conoscere in altri paesi la ricchezza archeologica e culturale delle civiltà precolombiane, mentre il museo provvedeva a sistemare lo spazio destinato a accogliere il reperto…

      - Chi ha organizzato la mostra?

      - L’organizzazione di mostre all’estero è di mia competenza. Con i dottori Campos e Umbral, di cui certo lei conoscerà i nomi, abbiamo individuato gli elementi che potevano essere utilizzati per la mostra ed abbiamo avanzato la proposta a due musei europei, il Museo Egizio di Torino, con cui avevamo già contatti, ed il museo Guimet di Parigi.

      Mantovani risponde paziente. Ferraris invece perde la pazienza e decide di giocare un’altra carta.

      - Sappiamo che cosa c’era in quelle casse, Mantovani.

      Il cambio di tono dell’ispettore disorienta Mantovani, che risponde, un po’ stupito:

      - Ah sì, che cosa?

Ferraris vede aprirsi uno spiraglio. Se Mantovani non ne sapesse niente, non avrebbe neanche capito la domanda. Nelle casse ci sono i reperti colombiani. Non è certamente un indizio significativo, men che mai una prova, ma l’ispettore naviga a vista e gli sembra di aver finalmente scorto qualche cosa. 

- Lei non lo sapeva, Mantovani?

Se c’è stato un attimo di cedimento, è superato. Mantovani risponde, serafico:

- Certo, ci sono i reperti che abbiamo collocato a Bogotà. Ho seguito personalmente le operazioni di imballaggio, per assicurarmi che avvenissero correttamente.

- C’era anche altro, Mantovani, e lei lo sa benissimo.

- Non capisco che cosa intende dire, ispettore.

Mantovani appare leggermente irritato. E dire che Ferraris è stato di una cortesia assolutamente squisita!

Comunque di elementi per incastrare Mantovani non ce ne sono e Ferraris se ne rende perfettamente conto. L’unica è mettergli paura e sperare che faccia una mossa falsa.

- Se non l’ha capito, lo capirà molto presto.

Mantovani non replica. Ha scelto la parte di chi non capisce, dell’innocente stupito ed un po’ seccato dalle vessazioni che subisce. Ferraris esce dall’ufficio, dicendo a Mantovani di aspettarlo, e va a dare alcuni ordini. Si occupa d’altro per un buon momento, in modo da dare a Mantovani il tempo di cuocere nel suo brodo, poi rientra e chiede ancora alcuni dettagli sulla spedizione.

- Lei ha assistito personalmente alla sistemazione del materiale nelle casse?

- Certo, era il mio compito.

- Quanto tempo ha richiesto la sistemazione dei reperti?

- Tre giorni.

- Quindi non può escludere che qualcuno abbia aperto le casse durante la notte.

- Ma… non capisco. I materiali ci sono tutti, non mi risulta che manchi nulla. Qual è il senso di queste domande?

- Senta, qui le domande le faccio io, ci siamo capiti?

Mantovani è ormai offeso (o finge di esserlo, se l’ipotesi di Ferraris è giusta).

Ferraris non se ne preoccupa. Come si diceva a casa sua, se è offeso, ha solo da tagliarsi la parte offesa. L’ispettore riprende:

- Può rispondere alla domanda che le ho fatto?

La voce di Mantovani è fredda, chiaramente ostile:

- Certo, non ho dormito sulle casse, ma durante la notte vi era una sorveglianza continua.

E durante il trasporto all’aeroporto?

- Ho viaggiato io stesso su uno dei furgoni ed ho seguito tutte le operazioni di imbarco e sbarco.

- Quindi le casse possono essere state aperte solo al museo di Bogotà?

- Ma perché dice che le casse sono state aperte?

- Può rispondere alla mia domanda?

Mantovani alza le spalle.

- Se sono state aperte, può essere avvenuto a Bogotà, durante la notte, o qui a Torino, dopo il loro arrivo.

- Sì, tutte e due le volte e credo che lei ne sappia qualche cosa…

L’ispettore tiene sotto pressione la sua vittima ancora per un’oretta, ma Mantovani nulla sa, nulla sospetta, non ha visto, non ha sentito, non parla, appare sempre più offeso, anche se mantiene modi cortesi e non protesta.

Ferraris ha guadagnato il tempo che gli serviva. Ora rimane solo più una domanda:

- Dov’era martedì verso le sette di sera?

- Martedì verso le sette di sera? Martedì…

- Il giorno del primo omicidio, non se ne sarà dimenticato, vero?

- No, certamente. Verso le sette… Ero con la direttrice. Abbiamo avuto un incontro alla sei, per discutere delle difficoltà che ci creava l’impossibilità di accedere ai sotterranei. Come riuscire a rispettare i tempi previsti, pur non potendo incominciare a sistemare i reperti.

- A che ora è finito l’incontro?

- Direi verso le sette e mezzo. Può chiedere alla direttrice.

- E poi?

- Poi avevo una cena con il dottor Contreras, console onorario della Colombia a Torino.

- È andato direttamente dal museo a cena?

- Il dottor Contreras mi è passato a prendere al museo. Gli avevo telefonato che avevo questo incontro non previsto, per cui il dottore è stato tanto cortese da venire ad aspettarmi.

- A che ora è arrivato?

- Non so, quando sono uscito, verso le sette e mezzo, come le dicevo, era già fuori ad attendermi.

- E dove avete cenato?

- Un posto delizioso, vicino ad un campo da golf. Aspetti, come si chiama, La Volpe e l’Uva, mi pare, non è a Torino, è dietro la collina, a… Paciotto?

- Pecetto.

Ferraris si dice che ormai può lasciarlo andare.

Mantovani esce dal commissariato salutando in modo alquanto freddo. È irritato per come è stato trattato. Ferraris spera di averlo spaventato abbastanza. La sua unica possibilità è che Mantovani faccia un passo falso. Ed i suoi passi saranno rigorosamente controllati, perché l’ispettore lo ha fatto mettere sotto sorveglianza. Anche le sue telefonate saranno intercettate, almeno quelle dall’albergo. Le operazioni per mettere sotto controllo il cellulare saranno più lunghe, trattandosi probabilmente di un contratto colombiano, ma Ferraris si è procurato il numero e non dovrebbero esserci problemi neanche da quella parte. Se Mantovani cercherà di avvisare qualcuno, fornirà una traccia.

 

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Intanto il commissario convoca Ferraris. Ha la classica aria un po’ imbarazzata di quando deve mettere i bastoni tra le ruote al suo migliore ispettore (questa è la versione Ferraris. Quella del commissario sarebbe: di quando deve ridurre alla ragione quella testa dura di Ferraris. Qual è il punto di vista più vicino alla verità? Ai lettori l’ardua sentenza).

- Ispettore, sono molto contento dei progressi di questa inchiesta.

Ferraris emette un suono inarticolato ed aspetta: sa benissimo che quando il commissario lo loda, sta per dargli qualche botta.

- Visto che ormai sappiamo che cosa c’era in quelle casse, ho autorizzato il museo a riprendere il montaggio della mostra lunedì.

- Cooooosa?

- L’inaugurazione è martedì, si tratta di un evento internazionale, che non può essere rimandato. Avrebbero voluto riprendere oggi, ma non sapevo se lei aveva ancora controlli da fare.

Ferraris avrebbe molte cose da dire e da fare (sbranare il commissario, in primissimo luogo; impalare i responsabili della mostra, dal Gando, del tutto estraneo alla faccenda, al Mantovani; torturare la direttrice), ma evidentemente il capo ha ricevuto pressioni a cui non ha saputo dire di no e l’ispettore non può opporsi.

Ferraris mugugna ed incassa il colpo.

 

Mentre esce dall’ufficio del capo, gli consegnano i tabulati delle telefonate di Bertenghi, appena arrivati. Nessuna comunicazione nella giornata di martedì, se non quella con il figlio, finita alla 19.20. A quell’ora qualcuno ha suonato. Diotallevi ha fatto un rapido giro tra i vicini, ma nessuno è andato da Bertenghi, nessuno ha visto uno sconosciuto sulle scale o in ascensore, nessuno sa un cazzo, si sa, ognuno si fa gli affari propri, in quel fottuto condominio.

Se l’assassino è arrivato alle 19.20, si può vedere dov’erano i principali sospetti a quell’ora. Sannarcoti ha detto che era a casa sua, ma non ha un alibi. Mantovani pare averlo, invece; bisognerà chiedere alla direttrice se conferma, ma è difficile che Mantovani si sia inventato l’incontro, a meno che non abbia barato sperando di non essere scoperto: l’incontro con la direttrice potrebbe essere finito prima oppure quel Contreras potrebbe essere un complice. Prima della cena potrebbero essere passati ad ammazzare Bertenghi. 

Dadotto e Strillacci sono al Museo Egizio. Stanno allestendo la mostra, senza metà dei reperti, naturalmente, quelli potranno metterli solo lunedì.

Tra loro ci sono anche due poliziotti: Ferraris li ha mandati nel caso Mantovani decidesse di presentarsi al museo, con l’ordine di non perderlo di vista neanche un secondo, neppure quando va al cesso.

 

Mantovani in effetti è passato al museo, ma se n’è andato quasi subito. Questo è un elemento positivo, perché in qualche modo conferma i sospetti di Ferraris: probabilmente è venuto per parlare con qualcuno, ma vista la situazione, ha deciso che rischiava di destare sospetti e se n’è andato. Anche se ovviamente potrebbe essere passato solo per vedere com’era la situazione o prendere accordi per lunedì.

Quando Dadotto vede il commissario, nei suoi occhi c’è un inequivocabile lampo di furia omicida.

- Mi dica lei come faccio ad allestire le vetrine e sistemare le luci, basandomi solo sulle fotografie dei pezzi!

Ferraris ignora la domanda. Dà un’occhiata alla parte già montata. Bisogna riconoscere che Dadotto ha fatto un bel lavoro. Quanto alla parte che manca, ha tutto lunedì per concludere. Di che si lamenta?

- Ho bisogno di parlarle.

- Non ha ancora finito di scassare…

Dadotto si interrompe e Ferraris lo guarda, ghignando.

- No, non ho ancora finito, per il culo di Satana. Se non vuole perdere tempo, non me ne faccia perdere.

Ferraris e Dadotto si mettono in un ufficio vuoto.

- Dov’era martedì alle 19.20?

- Questo martedì, quello degli omicidi?

- Sì.

- A spasso per Torino. Era una bella giornata ed ho deciso di fare due passi dopo che abbiamo finito. O, meglio, dopo che abbiamo sospeso senza neppure incominciare, visto che lei ce l’ha vietato.

Ferraris non coglie la sottile allusione al suo ruolo nel mancato allestimento della mostra.

- Era da solo?

- Sì.

- E poi?

- Poi ho mangiato una pizza ed infine sono tornato in albergo.

- Tutto da solo?

- Sì.

- Quindi non ha un alibi? Nessuno che possa testimoniare?

- No.

- In che pizzeria è stato?

- In nessuna, ho solo preso un trancio di pizza.

- Sì, ma dove l’ha preso?

- Non mi ricordo, credo… sì, in quella piazza dove c’è il conservatorio.

- Piazza Bodoni?

Dadotto alza le spalle.

- Se lo dice lei…

- Non ha incontrato nessuno? Qualcuno che possa garantire che lei era davvero in centro e non da un’altra parte, ad esempio a casa del custode assassinato?

- No.

C’è un chiaro tono di sfida, ma Ferraris lo ignora. Quello che conta è che Dadotto non ha un alibi. Ferraris si informa ancora sull’albergo e su alcuni altri dettagli, poi congeda Dadotto e fa chiamare Strillacci.

 

Strillacci appare più disponibile di Dadotto.

- Dov’era questo martedì alle 19.20?

Strillacci guarda il commissario, si gratta un attimo la testa.

- Martedì… martedì… Quando hanno ammazzato il primo custode…

Dadotto ha subito fatto riferimento ai due omicidi, anche se di quello di Bertenghi si è saputo solo giovedì. È vero che è stato detto che la morte di Bertenghi risale a martedì, quindi non è strano che Dadotto abbia fatto il collegamento a tutti e due i morti. Però gli è proprio venuto subito. Un piccolo indizio?

Strillacci sta ancora pensando:

- Dunque, mi pare… Sono uscito dopo le sette e sono andato subito in albergo, a cena.

Per la cena ovviamente basterà fare un controllo all’albergo. Sull’ora a cui Strillacci è uscito dal museo, non ci possono essere certezze. È uscito dopo Dadotto, questo se lo ricorda benissimo. È andato in albergo a piedi.

      L’alibi va verificato. È debole, se nessuno sa a che ora è uscito e se in albergo non sanno indicare l’ora dell’arrivo di Strillacci, come è probabile, per non dire sicuro. Può comunque essere uscito, essere andato da Bertenghi ed averlo ucciso e poi essere andato in albergo. Se c’era un complice con l’auto che l’aspettava, ha avuto tutto il tempo per farlo. Perfino con la metropolitana non ci vuole moltissimo, da Porta Nuova alla casa di Bertenghi si arriva in un quarto d’ora, anche meno.

      Ancora qualche domanda, poi Ferraris congeda Strillacci. Quando l’ispettore esce dal museo, Dadotto non lo saluta neanche. Povero Ferraris, ci dormirà male questa notte!

 

 

 

Due mummie per un ispettore

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