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In centrale Ferraris passa il numero chiamato da Mantovani a due agenti: si occuperanno loro di scoprire chi è l’intestatario del contratto. Non che l’ispettore nutra molte speranze: se il telefonino viene usato per affari criminali, è facile che il contratto abbia un nome fasullo oppure che il cellulare sia stato rubato.

Intanto il commissario ha organizzato una riunione e questo non contribuisce a mettere Ferraris di buon umore (e quando mai?). 

Gli agenti che l’ispettore ha mandato agli alberghi di Dadotto e Strillacci sono ritornati. Dadotto non è rientrato per la notte, è arrivato solo in mattinata, poco fa, per cambiarsi. Strillacci invece ha dormito in camera, ma all’albergo non sanno dire a che ora sia rientrato.

      Prima di andare alla riunione Ferraris e Michele fanno il punto. L’ispettore è sul colpevolista:

- Dadotto non ha un alibi per nessuno degli omicidi.

Michele è dubbioso:

- Il fatto che sia rientrato solo poco fa non vuol dire che non abbia un alibi. Semplicemente non era in albergo. E poi, è alquanto strano che non sia rientrato fino a questa mattina, se è lui l’assassino. Perché lo ha fatto? Dà nell’occhio. Il portiere notturno può non ricordare a che ora uno è rientrato, ma se uno arriva solo il mattino, è più facile che lo noti.

- Sì, però il terzo omicidio ha creato una situazione nuova. Magari Dadotto doveva far sparire delle prove, avvertire dei complici, insomma, garantirsi che noi non riuscissimo ad incastrarlo. Non lo so, è solo un’ipotesi, Michele.

- Secondo me è più facile che abbia passato la notte in compagnia. Magari anche la sera di lunedì non era da solo. Ma preferisce che non si sappia.

- Lunedì? Ma se era con qualcuno poteva dirlo, no? Se raccontava di essere stato da un’amica o da un amico, nessuno andava a chiedergli se ci aveva anche scopato. Preferisce essere accusato di omicidio piuttosto che si sappia che scopa, che so…, con la direttrice o con il Sannarcoti?!

Michele sorride.

- Da come me lo ha descritto, non sembra tanto il tipo da preoccuparsi di che cosa pensa la gente. E lei non gli deve stare molto simpatico. Sa che nessuno può accusarlo di omicidio solo perché non ha un alibi e se davvero venissero fuori altri elementi a suo carico, può sempre tirarlo fuori dopo, il suo alibi.

Michele potrebbe avere ragione. Può darsi che Dadotto preferisca non sputtanarsi. Se la situazione evolve a suo sfavore, si deciderà a dire la verità.

- Forse hai ragione, Michele. Non è nemmeno detto che ci fosse un altro complice al museo. Mantovani poteva essere sufficiente.

- Non so, ispettore. È arrivato in Italia con le casse, quindi solo lunedì. Le casse dovevano essere svuotate la notte stessa e lui probabilmente aveva appena messo piede al museo quel giorno, per seguire le operazioni di trasporto del materiale. Non poteva sapere nulla di custodi, turni e quant’altro. Tutto doveva essere stato preparato prima da qualcun altro, qualcuno che era in grado di raccogliere per tempo le informazioni necessarie, di individuare il custode che poteva essere convinto ad aprire la porta.

Ferraris annuisce.

- Sì, il Sannarcoti, che controllava i turni. O Dadotto, che si occupa della mostra. O Strillacci. Insomma, ritorniamo sempre a questi tre. Per il culo di Satana, quale dei tre?! Come facciamo a scoprirlo?

Michele non ha proposte e l’ispettore conclude:

- Adesso però andiamo, se no quello stronzo ci manda a chiamare.

Lo stronzo è ovviamente il commissario, che è alquanto irrequieto. È stato assassinato un funzionario del Ministero della cultura colombiano, inviato in Italia ad accompagnare una mostra di grande rilievo. I mass media si impadroniranno della faccenda (come se non se ne fossero già impadroniti da tempo, un cadavere in più non fa molta differenza).

Ferraris ha già abbastanza gatte da pelare, non gliene frega niente delle preoccupazioni del suo (ancora per poco) capo e non appare molto conciliante. Tanto più che l’esordio del commissario non è il più adatto a mettere di buon umore qualcuno che è stato tirato giù dal letto alle sei.

- Ispettore, questo caso va risolto al più presto. L’assassinio di Mantovani può creare problemi a livello internazionale.

Interviene Orsini:

- E certo, si potrebbe arrivare ad una rottura delle relazioni diplomatiche, si dice così, no?

Come no, pensa Ferraris, magari anche allo scoppio di una guerra, Italia-Colombia, che Orsini probabilmente immagina come una partita di calcio.

L’ispettore ignora il collega e risponde al commissario:

- Stiamo facendo tutto il possibile, ma io non mi preoccuperei più di tanto delle relazioni diplomatiche. Mantovani era un figlio di puttana, coinvolto nel traffico di cocaina, e certamente non aveva le mani pulite neanche per quanto riguarda gli omicidi.

La prima e l’ultima affermazione sono un po’ azzardate, ma Mantovani non è più in grado di smentirle. Sul suo coinvolgimento nel traffico di cocaina invece non rimangono dubbi.

Ferraris fa il punto della situazione: ormai si sa che cosa è successo al museo e perché, rimangono solo da individuare i responsabili degli omicidi. L’ispettore dubita che saranno mai scoperti, ma questo preferisce non dirlo.

Il commissario insiste:

- Dobbiamo trovarli al più presto!

L’esigua riserva di pazienza e di buone maniere che la natura ha assegnato a Roberto Ferraris si è esaurita, per cui la prosecuzione è ampiamente prevedibile:

- Per il culo di Satana, ci stiamo provando!

Il clima diventa pesante e non lo migliora l’arrivo dell’agente Nicoletta, che conferma quanto Ferraris già temeva: l’intestatario del cellulare non esiste, il documento presentato al momento di firmare il contratto doveva essere falso. Il cellulare è stato acquistato (o rubato) proprio per essere utilizzato all’interno di qualche azione criminale.

- Com’era prevedibile!

- Adesso bisogna capire se l’assassino se n’è già disfatto o no.

Ferraris è convinto che sia così:

- Sarebbe idiota da parte sua tenerlo. Quelli sono professionisti, non tengono un cellulare con l’ultimo numero che la vittima ha chiamato prima di morire.

Michele è meno pessimista:

- Forse l’assassino non se n’è ancora disfatto, se Mantovani gli ha detto che stava usando il telefono di qualcun altro. Può pensare che noi non conosciamo il numero di quel cellulare. E magari quel numero gli serve per comunicare con altri membri della banda, che lo possono raggiungere solo così. Tenga conto che il cellulare di Mantovani non è stato ritrovato né sul cadavere, né in camera: doveva averlo con sé e l’assassino glielo ha preso, proprio per evitare che risalissero al numero del suo cellulare.

Orsini non capisce (e quando mai?) e interviene:

- Ma Mantovani non ha chiamato dal suo cellulare. Quindi sul suo cellulare non può esserci una chiamata verso quel numero.

Orsini è convinto di aver detto una cosa molto intelligente, non l’ennesima cazzata. Michele spiega, paziente, prima che Ferraris sbrani il collega:

- Ieri sera no, ma magari altre volte sì, non è da escludere. L’assassino ha preferito farlo sparire, in modo da essere sicuro che nessuno lo potesse vedere.

Ferraris è scettico anche su questo:

- Possiamo sempre controllare il traffico dei giorni precedenti e l’assassino lo sa benissimo.

- Sì, ma non è così rapido. L’assassino può avere bisogno di guadagnare qualche ora, prima di disfarsi del telefonino, ed in questo modo l’ha guadagnata.

Ferraris non cambia opinione:

- A quest’ora, l’ha già gettato. Se no, lo farà presto.

- Cerchiamo di scovarlo in fretta, allora.

- E come? Anche se è acceso, possiamo individuare la zona, ma non possiamo sapere esattamente dove si trova.

C’è un momento di silenzio, Ferraris sembra del tutto assente, lo sguardo fisso nel vuoto, poi si alza di scatto.

- Sì, facciamo una prova, subito. Se non l’ha ancora buttato via, forse c’è una possibilità.

Il capo vorrebbe sapere che cosa ha in testa l’ispettore, ma Ferraris non spiega niente a nessuno: non c’è tempo da perdere. Si alza, dicendo:

- Volturno, Diotallevi, voi venite con me. Preparate l’auto.

Fa una telefonata all’Egizio, in modo da non perdere tempo, e poi tutti e tre raggiungono il museo. Ferraris vorrebbe che fosse l’ultima volta in vita sua che mette piede in quel posto, ma non è molto fiducioso.

Le speranze sono esili, ma se davvero quel cellulare non è stato buttato via, se è acceso, forse… Se l’assassino ha preso il cellulare di Mantovani, in effetti è perché non voleva che la polizia arrivasse subito a quel numero. Può aver contato sul fatto che la telefonata dal cellulare di Vella non sarebbe stata scoperta tanto in fretta.

 

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Sono le dieci del mattino. Il museo Egizio è chiuso al pubblico, ma al suo interno gli uffici funzionano regolarmente e tutti coloro che si occupano dell’allestimento della mostra stanno lavorando a più non posso: domani mattina si inaugura e c’è ancora molto da fare, chissà come mai...

Adesso però la direttrice Monica (ma come si chiama, quella, di cognome?), Dadotto, Sannarcoti, Strillacci e i tecnici addetti all’allestimento della mostra hanno interrotto la loro frenetica attività e sono tutti in riunione: l’incontro è stato richiesto (imposto sarebbe più esatto) da Ferraris. Tutti sono insofferenti, ancora un’interruzione! Non è possibile! Ferraris è visto come il fumo negli occhi da tutto il personale, ma non c’è da preoccuparsi: anche lui vede il museo come il fumo negli occhi.

Ferraris è seduto davanti al gruppo riunito su sua richiesta. Dadotto non vorrebbe nemmeno sedersi, scalpita. Ferraris non usa toni concilianti e gli impone di mettersi seduto, se non vuole far perdere tempo a tutti.

Michele è in piedi, dietro il gruppo. Diotallevi è davanti a lui e lo nasconde alla vista degli altri. Nessuno può accorgersi che, mentre l’ispettore parla e comunica che è stato ucciso Mantovani, Michele sta componendo un numero. È l’ultima carta. Ferraris si dice che è probabile che Dadotto, perché deve essere lui l’assassino, si sia già disfatto del cellulare o che lo tenga spento. Comunque tentare non costa niente.

Al suono del telefonino, Ferraris quasi sussulta. Gli sembra troppo bello per essere vero. Il suono viene dalla sinistra del gruppo, dove Dadotto è seduto di fianco a Strillacci. Quel coglione di Dadotto è fottuto. Ferraris gli dice, sorridente:

- Risponda pure.

Il tono di Ferraris è chiaramente ironico e Dadotto lo guarda un po’ stupito, poi capisce e replica:

- Non è il mio.

In effetti il telefono non è quello di Dadotto. Gio Strillacci porta una mano alla tasca e ne estrae il cellulare. Si alza, mentre dice:

- Che scocciatura! Scusate un momento.

      Appena sente la voce di Strillacci, Michele chiude la chiamata.

      Ferraris si alza anche lui e si dirige verso Strillacci.

      - Lei viene con noi in commissariato, Strillacci.

      Dadotto si alza, sbalordito, apre la bocca per protestare: non gli possono togliere Strillacci proprio ora, che devono finire di montare la mostra, domani c’è l’inaugurazione. L’ispettore ha le pigne nel cervello, ha già scassato abbastanza, quando è troppo, è troppo!

      Dadotto continua a imprecare (ha deciso di imitare Ferraris?), ma Strillacci, che ha capito, annuisce. Fa un passo verso Ferraris, come volesse consegnarsi, poi, con un movimento rapido, estrae una pistola, passa dietro a Filippo Dadotto, lo cinge con un braccio e gli punta l’arma alla tempia, mentre si gira in modo da non avere i poliziotti alla schiena. Il tutto è avvenuto in un attimo, prima che uno chiunque dei presenti potesse reagire. Strillacci grida:

      - Se vi avvicinate lo uccido. State indietro, bastardi.

Ferraris si blocca. Potrebbe gettarsi a terra, estrarre la pistola e sparare, ma il rischio di colpire Dadotto è troppo forte.

Strillacci arretra verso la porta, trascinando con sé il suo ostaggio. Ferraris preferisce evitare mosse azzardate. Comunque quel figlio di puttana non riuscirà a farla franca: penserà mica di fuggire a piedi, nel pieno centro di Torino, tenendo in ostaggio Dadotto?

Strillacci esce dal locale, trascinando con sé un Dadotto esterrefatto. Con un calcio chiude la porta.

Ferraris scatta verso la porta, mentre ordina di telefonare in centrale, chiedendo un intervento urgente. Devono mandare anche dei tiratori scelti.

Intanto Ferraris ha estratto la pistola e con cautela apre la porta.

La direttrice Monica (ma come si chiama?) si fa avanti, molto pallida.

- Commissario, la prego… Faccia tutto il possibile per evitare una sparatoria all’interno del museo. C’è tutto il personale… e poi… i reperti…

Ferraris grugnisce. Ha altre urgenze.

Al fondo del corridoio Strillacci e Dadotto stanno scomparendo oltre un’altra porta. Ferraris si lancia in avanti, seguito da Michele e Diotallevi.

Si sente un urlo, una voce femminile. Ferraris apre la porta e si ritrova nell’ingresso del museo, dove la segretaria della direttrice, Viviana, ha le mani davanti alla bocca. Appena vede Ferraris, lo riconosce (lo ha già visto e poi comunque al museo tutti lo conoscono, ormai, la sua foto è sui i giornali e lo si vede pure in tv, anche se non rilascia interviste) e si rivolge a lui. Indica verso l’estremità di un altro corridoio:

- Di là, da quella parte. Si è infilato nello statuario.

- Lo statuario ha altre uscite?

- Sì, c’è il passaggio dalle sale sotterranee.

Ferraris manda Michele a sorvegliare l’altra uscita. Diotallevi rimane ad attendere i rinforzi.

 

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Ferraris si avvicina alla porta dello statuario.

Intanto riflette. Non aveva previsto che Strillacci potesse essere armato: presentarsi armato al museo non aveva nessun senso. Ma Strillacci deve aver capito che la rete si stava stringendo e ha preferito prendere un’arma, disposto a giocare il tutto per tutto. Non venire al museo e dileguarsi era una confessione inequivocabile. Sperava di riuscire a cavarsela. Probabilmente aspettava una telefonata importante, per quello ha lasciato il cellulare acceso, senza sospettare che sarebbe squillato in presenza della polizia.

La vita di Dadotto è in pericolo, Strillacci ha già ammazzato tre persone ed è pronto ad ammazzarne una quarta, anche solo per guadagnare una manciata di minuti.

Ferraris socchiude la porta e guarda dentro. Non si vede nessuno.

Intanto le sirene gli dicono che i rinforzi sono in arrivo. Ma lo dicono anche a Strillacci.

Ferraris preferisce aspettare.

I poliziotti entrano. L’edificio è circondato, tutte le uscite sono bloccate. Tre uomini sorvegliano il cortile su cui si affacciano le finestre dello statuario, altri tre vanno a prestare manforte a Michele ed attraverso i sotterranei raggiungeranno lo statuario. Tra di loro un tiratore scelto.

Gli altri sono a fianco di Ferraris. Due tiratori scelti, una è Alessandra Delmare, che Ferraris conosce bene. È una che sa il fatto suo. E qui ci vorrà.

La direttrice e Sannarcoti si avvicinano. Appaiono entrambi molto preoccupati. Ferraris chiede informazioni sullo statuario. Sono due sale affiancate. Al fondo una terza saletta, da cui si passa alle sale sotterranee. Da quella parte Strillacci non può fuggire, Michele e gli altri agenti controllano le uscite.

Ferraris allontana la direttrice. Sannarcoti non vuole saperne di andarsene, è chiaramente agitato. Ferraris lo manda al diavolo e si affaccia nuovamente allo statuario. La sala appare deserta.

Ferraris grida:

- Arrenditi, Strillacci, le uscite sono bloccate. Non hai nessuna possibilità di fuggire.

Nessuno risponde.

Ferraris guarda la lunga sala, dove sono esposte le grandi statue.

      Poi dà un’occhiata ad Alessandra, si scambiano un cenno d’intesa e scivolano rapidamente dentro.

      Non è facile nascondersi. Gli specchi rinviano le loro immagini, ma anche Strillacci ha lo stesso problema.

Un movimento in fondo ala sala. Da una porta laterale, quella del locale da cui si passa ai sotterranei, è apparso Dadotto, sempre tenuto da Strillacci.

L’assassino e Ferraris si guardano. Strillacci urla:

- Bada, figlio di puttana, se fai un movimento, lo ammazzo.

La canna della pistola preme alla tempia di Dadotto, che non è propriamente in una bella situazione, ma sembra mantenere un certo autocontrollo.

- Che cazzo pensi di fare? Conti mica di riuscire a scappare?

- Esci di qui, stronzo, o lo ammazzo.

Strillacci tiene d’occhio l’ispettore. Non si è accorto di Alessandra, che dietro la statua di Ramesse II sta prendendo la mira.

- Se l’ammazzi, come pensi di cavartela, poi?

Mentre parla, Ferraris controlla Alessandra con la coda dell’occhio. L’idea che spari non gli va molto a genio. È bravissima, non manca mai il bersaglio, ma se sbaglia di dieci centimetri, Dadotto si trova un buco in mezzo alla fronte. Oppure qualche antica statua egizia perde il naso, ma questo a Ferraris non sembra un grande problema: in fondo anche la Sfinge è senza naso, no? (Questa conoscenza archeologica di Ferraris non deve stupire: l’ispettore ama molto i fumetti e si ricorda benissimo che in Astérix e Cleopatra, Obélix provoca la rottura del naso della Sfinge).

Ferraris sa che deve fare il possibile per evitare che Strillacci si muova o si guardi intorno.

- Va bene, Strillacci, io adesso esco, però non credere…

Ferraris non finisce la frase. Uno sparo ha lacerato l’aria. Dadotto sussulta.

Strillacci lancia un urlo e lascia cadere la pistola. La pallottola gli ha trapassato la mano. Dadotto approfitta della situazione per liberarsi. Con un calcio allontana l’arma, che è caduta davanti ai suoi piedi, e si dirige rapidamente verso Ferraris. Questi avanza, la pistola in mano, in direzione di Strillacci, che impreca contro di lui.

- Bastardo di un frocio. Lurido finocchio. Ouch!

Il grido di dolore di Strillacci ha cause che non verranno mai chiarite. Ferraris, che è giunto proprio davanti a lui, garantisce di non aver visto o fatto niente. Dadotto conferma l’affermazione di Ferraris e la Delmare, anche lei, assicura che se Strillacci si è piegato di colpo portandosi la mano sana alle palle, è certamente stato per qualche improvviso dolore naturale e non per una ginocchiata di Ferraris, come i malpensanti potrebbero insinuare.

Due agenti si affacciano alla porta e dietro di loro Sannarcoti. Ma ormai Ferraris ha in pugno la situazione.

L’ambulanza, già pronta all’ingresso del museo, per ogni evenienza, trasporta Strillacci all’ospedale, con la debita scorta.

Ferraris si mette subito al lavoro: bisogna ottenere il tabulato del traffico telefonico di Strillacci, perquisire la stanza d’albergo, cercare i complici.

Strillacci è poco disponibile a collaborare, ma si vedrà di fargli cambiare idea.

 

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La mostra si apre regolarmente il giorno dopo. Hanno finito di montarla alle quattro del mattino, ma per l’inaugurazione tutto è a posto. Dadotto, Sannarcoti, i tecnici, la direttrice, tutti hanno le occhiaie.

Ferraris è stato invitato a presenziare, naturalmente, ma purtroppo è molto impegnato, per cui non può intervenire. La direttrice sentirà molto la sua mancanza, il dottor Sannarcoti pure, Dadotto più ancora degli altri. Strillacci no, Strillacci potrà godersi l’ispettore, rimarranno a tu per tu per diverse ore, con reciproca insoddisfazione.

Sui giornali non si parla d’altro. Non c’è prima pagina in cui non compaia una foto di Ferraris. Il brillante intervento della polizia, diretto dal commissario (a questo punto dargli dell’ispettore sarebbe quasi insultante, Ferraris è un eroe popolare) Ferraris, ha sgominato una banda di trafficanti di cocaina ed arrestato l’assassino che ha fatto ben tre vittime. 

Le cose non sono così semplici. La banda non è stata sgominata e Strillacci si dimostra poco intenzionato a collaborare. Comunque nei giorni successivi, con il contributo della polizia colombiana e della squadra narcotici, parecchie persone coinvolte nel traffico vengono arrestate.

Ci vorrà un po’ prima di mettere gli ultimi tasselli al loro posto, ma uno dei complici fermati si decide a parlare e, pezzo per pezzo, i diversi dettagli vengono chiariti.

Mantovani non era un membro della banda, ma era stato corrotto per assicurare la copertura necessaria in Colombia ed eventualmente anche in Italia: in quanto rappresentante del governo colombiano avrebbe sempre potuto fare pressione, se si fosse reso necessario, dando una mano a Strillacci.

Strillacci era il cervello dell’operazione, per quanto riguarda l’Italia. La sua attività gli forniva una buona copertura e non era la prima volta che si occupava di traffici clandestini (non solo di droga) internazionali. È stato lui ad uccidere Messinese, quella notte al museo. Il custode li aveva sorpresi mentre toglievano la cocaina dalle casse e mettevano la segatura. Messinese li aveva spiati, ma era stato scoperto. Strillacci aveva deciso che era troppo pericoloso lasciarlo andare e lo aveva ucciso.

L’omicidio di Bertenghi è stata l’inevitabile conseguenza della morte di Messinese ed anche in questo caso se n’è occupato Strillacci, con un complice che lo ha portato fino a casa della vittima. Quanto a Mantovani, ha firmato la sua condanna a morte quando ha telefonato a Strillacci per dirgli che Ferraris sospettava di lui. Mantovani era l’unica persona che poteva rivelare il ruolo di Strillacci e questi si è detto che uccidendolo sarebbe stato al sicuro. Per lui un omicidio in più non avrebbe fatto nessuna differenza, se lo avessero scoperto. 

Per chiarire questi elementi, ci vorranno alcuni giorni, man mano che le perquisizioni, gli arresti e gli interrogatori portano nuovi elementi.

 

Ma il martedì davanti al museo, la coda per visitare la mostra inizia a formarsi un’ora prima dell’apertura. Quando si aprono le porte, ci sono già alcune centinaia di persone che aspettano e sarà lo stesso nei giorni seguenti. Il successo è strepitoso, sarà una delle mostre più visitate del secolo. Il public relations manager gongola. In televisione Lamberti non fa che lodare la polizia ed in particolare il commissario Ferraris per la rapidità e l’efficienza di cui ha dato prova. Dice che il commissario è talmente bravo che riuscirà perfino a risolvere il mistero dell’assassinio avvenuto tremila anni fa, nell’antico Egitto.

L’umore di Ferraris è tale che in commissariato tutti girano al largo. Corre voce che negli uffici adiacenti a quello di Ferraris abbiano acquistato anche sacchi di sabbia per difendersi da un’ormai inevitabile esplosione.

Il nostro ispettore medita di prendersi una vacanza, prima di dare fuori di testa.

 

Il venerdì torna a casa un po’ dopo Michele.

- Senti, Michele, che ne diresti di prenderci una vacanza? Fuori dall’Italia, Facciamo un viaggetto. Se rimango qui scoppio. Hai dei giorni di ferie?

- Ma certo, se il commissario non ha niente in contrario, per me va benissimo. Hai qualche idea?

- Cerchiamo un’offerta Last Minute. Un posto caldo, in cui posso stendermi al mare a prendere il sole e dimenticarmi questa faccenda.

- Allora, che ne diresti di andare in Egitto? Una settimana di archeologia e poi una settimana sul mar Rosso. Ho sempre desiderato di vedere le piramidi…

Michele non finisce la frase. Una crisi matrimoniale è in arrivo…

 

 

 

Due mummie per un ispettore

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